Gli inseganti
che fanno l'indifferenza
di Eraldo Affinati
L’omaggio degli studenti del “D’Azeglio” di Torino all’insegnante di filosofia.
Un addio commovente ha illuminato il Liceo D’Azeglio, storico istituto classico di Torino,
pochi giorni fa. Dopo quarant’anni di onorato servizio,
il celebre professore di filosofia, Enzo Novara, è andato in pensione.
Pubblicato su "La Stampa" il 9 luglio 2023
Quello che accade in aula possiede effetti indelebili: è la potenza dell’insegnamento. L’ho sempre pensato e scritto: dopo aver visto l’applauso degli studenti del “Massimo D’Azeglio” nei confronti di Enzo Novara, il loro professore di filosofia in procinto di andare in pensione, lo riconfermo. La giusta e meritata soddisfazione del docente, ben superiore alla retribuzione economica ricevuta in tanti anni di servizio fedele e appassionato a una causa tutt’altro che persa, non deve tuttavia farci dimenticare, né tantomeno nascondere, ciò che l’entusiasmo irrefrenabile delle decine di ragazzi assiepati ai lati del lungo corridoio del liceo torinese suggerisce a tutti noi. Le agenzie educative sono in crisi, ma chi ha detto che a scuola non si possa fare ancora la differenza?
Quando il bambino di Barbiana si lamentava con sua madre perché don Milani era stato troppo severo, lei rispondeva a muso duro: se il priore ti ha punito con un nocchino, io te ne darò due! Rafforzava cioè l’azione di quello strano prete. Oggi, come sappiamo, non sempre ma purtroppo assai spesso, le famiglie tendono a ostacolare il lavoro pedagogico. Lo stesso professor Novara, sollecitato da Mario Calabresi in un bel podcast, lo ammette: troppe volte i genitori vogliono diventare i sindacalisti dei loro figli. E così gli insegnanti sono più soli di quanto non fossero negli anni Sessanta del secolo scorso, essendo rimasti gli unici a dover richiamare gli adolescenti, sedotti dai miti del successo, della ricchezza e della bellezza, ai valori dell’applicazione costante, del rigore conoscitivo e della concentrazione quotidiana. Il rispetto dell’angolo etico, indispensabile per favorire la crescita dell’individuo, viene tralasciato con sorprendente leggerezza anche per effetto della rivoluzione digitale che rischia di confondere informazione e conoscenza. Mentre invece tutti noi dovremmo aver chiaro che, se non compi una vera esperienza della realtà, cioè se non ti bruci le dita quando sbagli, non puoi arrivare a capire granché.
Ecco perché gli applausi che quegli scolari hanno rivolto al loro mister Chips (è sempre bello rileggere l’omonimo romanzo di James Hilton) sembrano prefigurare un altro mondo rispetto al nostro. È come se la deflagrazione del desiderio nella quale vivono i giovani di adesso, con l’illusione di poter causare un danno senza dover pagare il prezzo del risarcimento, senza mai essere costretti a imboccare la strada maestra, condannati al consenso immediato e maggioritario, avesse subito un arresto. Rendendo omaggio al professore che li ha saputi meglio interpretare, quei ragazzi dimostrano di avere apprezzato innanzitutto la scelta da lui compiuta nella sua vita, magari rinunciando a qualcosa che avrebbe potuto diventare in nome di qualcos’altro in cui credeva di più. Trascorrere quarant’anni in cattedra, allo stesso modo del granchio sullo scoglio, resistendo alle inevitabili tempeste, significa aver dedicato l’esistenza al passaggio di testimone da una generazione all’altra, asciugando le lacrime e incarnando il limite dei precetti che chiediamo di osservare.
Di questo avremmo bisogno, pareva filtrare dalle urla festose degli studenti torinesi: adulti credibili, capaci di stare accanto a noi come amici in grado di condividere i nostri sconforti quando siamo in crisi e di fronte a noi come maestri nel momento in cui dovremmo ricostruire la dimensione dialettica fondamentale per raggiungere la maggiore età, spirituale prima ancora che anagrafica.
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Gli studenti si sono posizionati in una fila ordinata,
ai lati del lungo corridoio dell'istituto:
battevano tutti le mani, scandivano un solo nome.
Quello del Prof di filosofia: Enzo Novara