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martedì 4 luglio 2023

Andrea Riccardi: “NON BISOGNA AVERE PAURA DEI PROFUGHI, CONTRIBUISCONO A COSTRUIRE IL FUTURO”

Andrea Riccardi:
“NON BISOGNA AVERE PAURA 
DEI PROFUGHI,
CONTRIBUISCONO 
A COSTRUIRE IL FUTURO”
Intervista di Flavia Amabile

Non bisogna avere paura dei migranti. Si devono, invece, cogliere gli aspetti positivi. È l’appello di Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio in un momento in cui l’Unione europea è sempre più incline a chiudere i suoi confini.



 pubblicato su “La Stampa” - 2 luglio 2023


Che cosa pensa del nuovo Patto dell’Ue sulle migrazioni?

«Penso che l’Europa abbia una visione polarizzata dell’emigrazione o non ha ancora elaborato una visione. È la visione che manca anche all’Italia dove il tema migratorio da anni non è concepito come una questione epocale che riguarda da vicino il nostro futuro ma come un argomento di polemica politica. Credo che un Paese come l’Italia, con un problema gravissimo di natalità e un calo rilevante della forza lavoro, debba porsi il problema dell’emigrazione come contributo positivo alla costruzione del futuro nazionale. Questo non vuol dire rinunciare alla nostra identità e non è un discorso buonista. È un discorso realista».

Al governo non la pensano così. Per la ministra Roccella è umiliante appaltare agli stranieri la soluzione del problema della natalità in Italia.

«Penso che non si debba avere paura delle migrazioni. In Italia si è instaurato un modello d’integrazione diverso da quello inglese o francese. È un modello tipicamente italiano, formato da colf e badanti e da lavoratori che nelle fabbriche hanno trovato delle comunità capaci di integrare. Il mio è un appello all’interesse nazionale e anche al bene di queste persone: si devono mettere in campo tutti gli strumenti che abbiamo per accogliere e integrare chi arriva in Italia».

Non le sembra che invece l’Ue invece vada in una direzione molto diversa? Gli stranieri vengono trattenuti al di fuori dei confini europei, in Tunisia, in Turchia, in Libia.

«Sì e no. Per esempio in Germania si sta preparando un progetto per creare accessi per migranti lavoratori in possesso di qualifiche alte e meno alte di cui la società tedesca ha bisogno. Creare Stati-cuscinetto come la Turchia ha una funzione temporanea ma non può durare a lungo. Approvo le iniziative realizzate da Italia e Ue a favore dello sblocco di risorse per la Tunisia ma mi chiedo perché ancora manchino in Italia accessi al mondo del lavoro e perché, quando esistono, vengano disseminati di continui ostacoli. Il governo ha proposto un piano Mattei per l’Africa, io credo che si debba negoziare seriamente con i Paesi africani ma bisogna sapere che le guerre e il cambiamento climatico fanno aumentare in ogni caso il tasso di richiedenti asilo in arrivo: quindi è necessario affrontare il discorso dell’emigrazione senza timore di un’invasione, sapendo che ci sono aspetti positivi che vanno colti».

Con i Paesi dell’Ue Meloni ha dovuto ridimensionare alcune pretese iniziali. È fallita anche la trattativa con Polonia e Ungheria. Le sembra che l’Italia sia meno influente che in passato?

«L’Italia ha sempre avuto un’influenza media. Sarebbe ora di passare, però, da un approccio contingente a una visione di orizzonte ampio. Questo manca da anni, anche i governi di centrosinistra non hanno portato a casa la riforma della cittadinanza per i bambini figli di stranieri nati in Italia. Realizzare percorsi sicuri è l’unico modo per costruire un Paese sicuro».

Secondo Matteo Salvini le violenze in Francia sono il frutto di anni di errori e follie ideologiche in tema di immigrazione». È d’accordo?

«Penso che la stratificazione presente lì non sia il frutto dell’immigrazione ma dell’impero coloniale. Il modello francese ha addensato nelle periferie i mondi migranti. Purtroppo non si è lavorato sull’integrazione».

In Italia dobbiamo temere violenze, come lascia intuire Salvini?

«Non sono un profeta ma credo che l’Italia non abbia periferie sterminate come quella francese e deve evitare che si creino. In Italia, poi, la società è ancora capace di articolazioni e il rapporto tra forze dell’ordine e la popolazione mi sembra molto diverso»

Siete tra i promotori dei corridoi umanitari. Dal 2016 hanno permesso di accogliere e integrare oltre 6 mila persone. Troppo pochi per risolvere il problema dei flussi, è la critica che si sente spesso muovere.

«La saggezza ebraica insegna che chi salva un uomo salva un mondo intero. Sono migliaia di persone in condizioni di fragilità, sono malati, bambini che vengono portati in Italia in modo sicuro e inseriti a spese della società civile non dello Stato. I corridoi indicano una strada di integrazione, rappresentano un modello positivo per creare altri corridoi sicuri».

È appena uscito il suo libro “Il grido della pace” dove affronta la crisi creata dalla guerra in Ucraina e riflette sulla necessità di creare una cultura della pace. Come?

«Ho scritto questo libro perché mi sembra che ci stiamo abituando troppo alla guerra. Viene vista quasi come uno strumento per risolvere i conflitti. Per alcuni quasi un game. Mi chiedo se non si debba investire di più in iniziative diplomatiche per trovare una soluzione che possa garantire la sicurezza dell’Ucraina nei suoi giusti confini e per far cessare la guerra».

Esistono dei margini per una pace allo stato attuale?

«I margini non esistono ma da mesi non vengono cercati e si è data voce solo alle armi. La Santa Sede ha avviato una missione esplorativa su problemi umanitari che sta cercando delle vie di dialogo ma credo che tutti abbiano la responsabilità di cercare come avviare un negoziato per uscire da questa situazione. L’obiettivo, come scrivo nel mio libro, è evitare che la guerra si eternizzi, come è avvenuto in Siria e in altre parti del mondo».