Lettera sull’educazione delle nuove generazioni
di Vito Angiuli,
Vescovo di
Ugento-S. Maria di Leuca
Cari dirigenti scolastici, docenti, genitori, educatori dei giovani, invio questa lettera, all’inizio del nuovo anno scolastico 2018-2019, per richiamare le ragioni e l’importanza dell’alleanza educativa tra la scuola, la famiglia e la comunità ecclesiale. La consapevolezza del profondo cambiamento economico.03
, sociale e culturale che sta attraversando la nostra società richiede una maggiore convergenza tra tutti coloro che operano in campo educativo. La differente responsabilità educativa tra i diversi soggetti deve trovare una sorta di accordo e di incontro circa alcuni valori che sono alla base dell’azione educativa.
Un mondo “liquido” e in fuga
Viviamo dentro il vortice di un cambiamento veloce, addirittura accelerato. Tutto questo crea una fragilità personale e un’instabilità istituzionale. Come ha detto lo storico Eric Hobsbawm, «le fondamenta stesse della nostra società sono state terremotate dalla rivoluzione economica, sociale e culturale dell’ultima parte del XX secolo». In una società in profondo cambiamento è inevitabile che le istituzioni educative entrino in crisi. In questa situazione, occorre imparare a discernere le mutazioni in atto e a saper stare nel cambiamento, mantenendo saldi alcuni punti di riferimento come bussola per il cammino personale e comunitario.
Secondo Zigmunt Bauman, ai nostri giorni si impone la categoria della liquidità. I Millennials sono i “nati liquidi”. Il cambiamento si mostra evidente nella sostituzione del valore della comunità con quello dell’identità. Il primo concetto (comunità) è depotenziato a favore del secondo (identità). La comunità definisce previamente la condizione sociale dell’individuo, l’identità indica la libera scelta, una sorta di ‘fai da te’. Ugualmente problematico è il passaggio dalla collettività alla connettività. L’influenza di Internet e dei social ha subìto una forte impennata, ma non ha risolto il senso di impotenza, di inadeguatezza e soprattutto di esclusione dei giovani. Essi cercano rifugio nei social, dove il senso della collettività è sostituito da una comunità fittizia e falsamente accomodante, che spesso non aiuta ad affrontare la realtà e genera uno scambio tra virtualità e realtà.
Un terzo cambiamento si manifesta sul piano sociale e linguistico con la sostituzione del termine disoccupazione con quello di esubero. La parola disoccupazione contiene ancora la possibilità di un reintegro nel lavoro, quella di esubero significa semplicemente “non utilizzabile”, perché considera la persona merce di scambio o addirittura scarto da rifiutare. Sul piano culturale, la società dei consumi è governata dal criterio secondo cui «ciò che è tecnicamente possibile, diventa eticamente lecito». In tal modo, è la tecnica ad essere il decisivo punto di riferimento etico.
Anche il desiderio di essere unici e anticonformisti si tramuta, in realtà, nel seguire “liberamente” la tendenza e il gusto del momento. La mancanza di valori condivisi, porta quasi inconsciamente e inevitabilmente verso la banalizzazione del male, operazione che implica una progressiva insensibilità nei confronti del male stesso e di tutte le sue manifestazioni. In una società in cui il pluralismo sembra alleggerire le responsabilità individuali in nome di un agire collettivo, fare il male non richiede più motivazioni. Talvolta è motivato solo dal desiderio di provare nuove emozioni.
Sul versante mediatico, il web rappresenta il non luogo e il non tempo per eccellenza, ma permette di essere contemporaneamente ovunque e in connessione con chiunque. La relazione si costruisce prima online e solo in un secondo momento, ma non sempre si concretizza, in un incontro offline. I social accorciano i nostri tempi, fanno arrivare con molta più rapidità al target desiderato. Sono processi istantanei che sanciscono, come mai prima d’ora, la fine delle distanze spaziali e il superamento della sottile staccionata temporale. In tal modo, essi possono rappresentare un vero grande inganno. Fanno credere che, attraverso i like e i commenti, sia possibile creare e diffondere una democrazia universale, mentre in realtà si dà vita a una visione individuale e chiusa della realtà.
In questa società liquida, anche la dimensione sessuale e amorosa si trasforma profondamente. Aumenta tra i giovani e tra gli adulti il terrore di scegliere e di coinvolgersi in un rapporto unico e duraturo. Il tradimento è ormai una routine. Non manca la pratica sessuale, ma vi è un deficit di intimità. Occorre una nuova educazione al valore della sessualità e dell’amore.
La diversa sensibilità che caratterizza i Millenials ha una grande incidenza sul loro modo di considerare e vivere la fede. Più che di una “generazione incredula”, si dovrebbe parlare di una generazione “diversamente credente”. Le nuove generazioni ritengono che la vita e la fede debbano essere strettamente collegate. Da queste considerazioni scaturiscono comportamenti conseguenti. Il primo spostamento di accento consiste nel passaggio dal festivo al feriale. L’autenticità della fede non nasce dalla partecipazione ai riti liturgici, ma dallo stile che si pratica nella vita feriale. Il secondo cambiamento riguarda lo spostamento di accento dal sacro al profano. Dio non lo si incontra più nello spazio sacro, ma negli ambienti che si frequentano tutti i giorni, in modo inatteso, sorprendente, libero. I giovani non negano l’aldilà, ma non vi pensano perché non è sentito come una condizione per vivere il presente. Il valore della fede è misurato con i parametri estetici, più che con quelli etici.
Educare: un’arte difficile, possibile, gioiosa
A fronte di questa situazione, ho pensato di scrivere questa lettera intitolandola: educare, che passione! Con questa espressione, ho inteso dire che l’educazione, come il parto, porta con sé un inevitabile e ineliminabile carico di sofferenza. Non è un parto indolore. Non può essere espletata senza una passione per la vita. L’educazione non deve comunicare verità “fredde” che lasciano indifferenti. Quando è fatta con pathos, essa diventa un flusso caldo di vita che riscalda il cuore, rivela ciò che veramente ha valore, rassicura da dubbi e incertezze e produce una trasformazione della persona. Il rischio più grande oggi sembra che «i nostri ragazzi siano costretti – come i trapezisti di un circo – ad attraversare la vita in equilibrio su una corda sospesa nel vuoto. Mentre gli adulti non sembrano più in grado di alzare il loro sguardo al cielo» (P. Crepet).
Come ho scritto nel documento Educare a una forma di vita meravigliosa (cfr. nn 76-78). In quanto arte delle arti, l’educazione è sempre stata un’arte difficile. In campo educativo, non vi sono ricette prestabilite, ma orientamenti da verificare continuamente nella concretezza della relazione interpersonale. Ogni generazione è chiamata a confrontarsi nuovamente sulle modalità più opportune per trasmettere il patrimonio di valori alle nuove generazioni. Anche le più sofisticate teorie pedagogiche devono fare i conti con la singolarità della persona e la dimensione di mistero in cui ogni uomo è immerso. Possono migliorare gli strumenti e le tecniche, ma il processo educativo è sempre accompagnato da un’intrinseca complessità perché legato alla specifica esperienza che ciascuna persona compie nell’arco della sua esistenza.
Nonostante la sua ineliminabile complessità, l’educazione è un’arte possibile. Essa è una dimensione essenziale del vivere umano. È nella stessa idea di umanità che è intrinsecamente presente la necessità di una paideia, di un’accoglienza del nuovo e della sua crescita secondo valori che danno fondamento alla vita. Per questo l’educazione va intesa come un’arte generativa. Si basa sulla consapevolezza che la vita si conserva solo se la si trasmette e che la trasmissione riguarda non contenuti astratti, ma la vita stessa. L’educazione è un processo vitale, uno stimolo a creare qualcosa di nuovo, di buono e di bello. Educare è vita che genera vita. In questo senso «l’educazione è un’arte gioiosa, non può essere un lavoro forzato. Nemmeno può essere motivata in se stessa da un fine di lucro, ma soltanto dalla creazione armoniosa e felice il più possibile di una persona umana» (card. Carlo M. Martini). La gioia di vivere sprigiona una forza attrattiva che dona fiducia e speranza e genera un desiderio di promuovere ogni espressione di amore per la vita.
Non si può educare se manca un orizzonte di valori da promuovere e da consegnare alle nuove generazioni. Educare vuol dire guardare gli avvenimenti con realismo, stabilire un rapporto sereno col futuro, protendersi all’avvenire con una volontà di dare credito alle risorse morali di cui l’uomo dispone, sostenere il suo intrinseco desiderio di cercare e compiere il bene, aspirare a un mondo più giusto e più fraterno, aprirsi ai fondamentali valori umani e cristiani che danno senso alla vita. Ciò che blocca la trasmissione dei valori non è soltanto l’incoerenza pratica, la contraddizione tra il pensare e l’agire, che è un retaggio della fragilità umana, ma la sfiducia nella possibilità di aderire alla verità della vita. Ciò che è assolutamente necessario è compiere un esercizio di speranza. «L’anima dell’educazione può essere solo una speranza affidabile» (Benedetto XVI).
Secondo Romano Guardini e Martin Buber, a fondamento di tutto deve esserci la fiducia nella vita. Educare significa avere fiducia nell’altro, considerando la sua persona come un mistero incommensurabile. Il mistero non è un “buco nero”, ma il fondamento stabile che esprime la verità degli affetti e la stabilità dei legami.
Educare a cercare e a sognare
Nella lettera che ho indirizzato ai giovani, li ho invitati a farsi «curiosi cercatori e sognatori folli». Il fondamentale compito degli educatori è di sostenere la ricerca e di aiutare i giovani a realizzare i loro sogni. Vi sono, infatti, giovani ai quali non interessa cercare la verità, forse perché la loro coscienza è stata manipolata e dirottata su altri registri, diventati per loro idoli o miti. In loro, la domanda di verità sembra essersi assopita e magari sostituita con altre proposte apparentemente più facili da raggiungere o più allettanti per la promessa di felicità che contengono.
In questa situazione, il primo compito degli educatori è mettersi in ascolto dei giovani. Alcuni di loro forse non cercano perché non si sentono cercati da nessuno. Avvertono quasi di essere abbandonati a se stessi. All’eccessiva cura e protezione materiale, non sempre corrisponde da parte degli adulti la vicinanza e soprattutto la pazienza di ascoltare. La ricerca è stimolata dal sentirsi amati e cercati da qualcuno che si fa vicino e si mostra attento alle domande più vere e più nascoste. «Abbiamo bisogno – scrive Papa Francesco – di esercitarci nell’arte di ascoltare, che è più che sentire. La prima cosa, nella comunicazione con l’altro, è la capacità del cuore che rende possibile la prossimità, senza la quale non esiste un vero incontro spirituale. L’ascolto ci aiuta ad individuare il gesto e la parola opportuna che ci smuove dalla tranquilla condizione di spettatori. Solo a partire da questo ascolto rispettoso e capace di compatire si possono trovare le vie per un’autentica crescita, si può risvegliare il desiderio dell’ideale cristiano, l’ansia di rispondere pienamente all’amore di Dio e l’anelito di sviluppare il meglio di quanto Dio ha seminato nella propria vita» (Evangelii gaudium, 171).
L’ascolto deve essere sostenuto dall’accompagnamento. I giovani hanno bisogno di sentire che le figure educative sono capaci di stare accanto e di farsi compagni di viaggio. Vi sono, infatti, giovani che non cercano perché nessuno glielo ha insegnato o li ha stimolati a farlo. Ancora Papa Francesco sottolinea: «Abbiamo bisogno di uomini e donne che, a partire dalla loro esperienza di accompagnamento, conoscano il modo di procedere, dove spiccano la prudenza, la capacità di comprensione, l’arte di aspettare, la docilità allo Spirito» (Evangelii gaudium, 171).
L’accompagnamento deve tradursi in un sapiente discernimento. L’educatore deve saper trovare la chiave giusta per entrare nello scrigno della interiorità confusa e disorientata dei giovani, per aiutarli ad entrare nella loro intimità più profonda. Ciò richiede la necessità di una pedagogia che sappia introdurre progressivamente il giovane alla scoperta e alla piena appropriazione del mistero della propria persona. Solo così sarà possibile giungere a un grado di maturità capace di assumere decisioni veramente libere e responsabili.
Infine, vi sono giovani che cercano, ma non trovano perché mancano testimoni credibili. Il vero educatore parla per diretta esperienza ed insegna con verità ciò che ha vissuto personalmente. La propria esperienza rende l’educatore un testimone credibile, paziente e comprensivo nei riguardi dei giovani; un maestro sapiente nel trovare i modi più appropriati «per risvegliare in loro la fiducia, l’apertura e la disposizione a crescere» (Evangelii gaudium 272).
In conclusione, cari amici, mentre auguro a tutti voi un buon anno formativo, rivolgo al Signore una fervente preghiera perché benedica il nostro impegno e ci doni la grazia di metterci con gioia a servizio delle nuove generazioni:
O Signore,
assisti e proteggi tutti i membri della comunità educante
e rendi fecondo ogni sforzo sincero,
perché le nuove generazioni
siano promosse nella scuola e nella vita;
aiutaci a dare un valido contributo
all’edificazione della civiltà dell’amore
a lode e gloria del tuo nome
+ Vito Angiuli
Vescovo di Ugento- S. Maria di Leuca