26 ottobre 2018
inizio 7 a.m. fine 7:45 a.m.
Papa Francesco:
“Tre piccole cose per fare la pace”
Magnanimità, dolcezza, umiltà: sono gli atteggiamenti semplici, le «piccole cose» — indicate da san Paolo a una comunità cristiana delle origini, quella di Efeso — ancora oggi efficaci per «fare» e «consolidare l’unità» nel mondo, nelle società umana e nelle famiglie che «hanno bisogno di pace». Il Papa le ha riproposte durante la messa celebrata a Santa Marta nella mattina di venerdì 26 ottobre, prendendo spunto dalla prima lettura, tratta dalla lettera dell’apostolo agli Efesini (4, 1-6).
«Paolo è in prigione» e «si rivolge ai cristiani con questo — possiamo dire — “inno” all’unità» ha premesso il Pontefice descrivendo la scena prima di soffermarsi su un aspetto in particolare: la solitudine del protagonista. «Lui — ha constatato — è solo. Un po’ prima di questo brano, si lamenta: “Mi hanno lasciato solo”. Poi a Tito dice: “Nella mia prima udienza davanti al giudice nessuno mi ha assistito”. Solo. E quella solitudine di prigioniero condannato a morte già sicuramente, lo accompagnerà fino alle Tre Fontane», dove «morirà solo, perché i cristiani sono troppo occupati “sul fronte interno”, nelle lotte interne».
Ecco perché, ha fatto presente il Pontefice, «Sáulo prende il meglio di sé in questo brano» attingendo a tutte le energie che gli restano «per richiamare l’unità, per richiamare alla dignità della vocazione: “Comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto”. Verso l’unità». Del resto, «lo stesso Gesù, prima di morire, nell’ultima Cena, chiese al Padre la grazia dell’unità per tutti noi: “Che loro siano uno, come tu e io, Padre”». E ciò contiene una lezione anche per l’umanità di oggi. Una lezione che Francesco ha riproposto attualizzando la riflessione: «Noi siamo abituati a respirare l’aria dei conflitti. Ogni giorno, nel telegiornale, nei giornali, si parla dei conflitti, uno dietro l’altro, di guerre, senza pace, senza unità, l’uno contro l’altro». Al punto che, è stata la sua denuncia, «anche se si fanno patti per fermare un po’ qualsiasi conflitto, come diceva un saggio: “I patti si fanno per disfarli dopo”. E così quello che è stato firmato dieci anni prima, poi si dice: “No, non andiamo più avanti con questo patto”».
In tal modo, ad andare avanti sono «la corsa agli armamenti, la preparazione alle guerre, alla distruzione». Col risultato, ha fatto notare il Papa, che «anche le istituzioni mondiali — oggi vediamo — create con la migliore volontà di aiutare l’unità dell’umanità, per la pace, si sentono incapaci di trovare un accordo: che c’è un veto di qui, un interesse di là... E fanno fatica a trovare degli accordi di pace». In tutto questo però, ha avvertito Francesco, «nel frattempo i bambini non hanno da mangiare, non vanno a scuola» e non vengono «educati; non ci sono degli ospedali perché la guerra distrugge tutto». In definitiva, «c’è una tendenza nostra alla distruzione, alla guerra, alla disunione». Ed «è la tendenza che semina nel cuore nostro il nemico, il distruttore dell’umanità: il diavolo».
Ecco allora la perenne validità dell’insegnamento paolino, che «qui, in questo passo — ha commentato il Papa — ci insegna il cammino verso l’unità». Infatti afferma che «l’unità è coperta, è “blindata” — possiamo dire — con il vincolo della pace». Ovvero, ha chiarito Francesco, «la pace porta all’unità». Per raggiungere la quale, l’apostolo «ci insegna un cammino semplice: “Comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità”».
Eccole dunque le «tre cose» indicate da Paolo «per fare la pace, l’unità fra noi: “umiltà, dolcezza — noi che siamo abituati a insultarci, a gridarci... dolcezza — e magnanimità”». Come per dire: «Lascia perdere, apri il cuore».
Ma, si è chiesto il Pontefice, «si può far fare la pace al mondo con queste tre cose piccole»? La risposta non poteva che essere affermativa: «Sì, è il cammino. Si può arrivare all’unità? Sì, quel cammino: “umiltà, dolcezza e magnanimità”». E siccome «Paolo è pratico», nel brano biblico «continua con un consiglio molto pratico: “sopportandovi a vicenda nell’amore”. Sopportarci gli uni gli altri». Un consiglio che «non è facile» concretizzare nella quotidianità. Il Papa se ne è detto consapevole, facendo notare «che sempre esce il giudizio, la condanna, che porta alla separazione, alla distanza. Quante volte — ha osservato — uno domanda a una persona: “Come va la tua famiglia? Come vanno i tuoi cugini?” “No, no, noi siamo distanti...” E il diavolo è felice con questo. È l’inizio della guerra, perché non siete capaci di sopportarvi».
Insistendo sull’origine “domestica” dei conflitti, il Papa ha sottolineato come questa dimensione sia «una cosa che incomincia al mattino, quando ci alziamo, e finisce la notte quando andiamo a letto». Perciò occorre «sopportarci, perché tutti noi diamo motivo di fastidi, di impazienza, perché tutti noi siamo peccatori, tutti abbiamo i nostri difetti. Ma sopportare: è una strada bella, semplice, avendo a cuore: “Perché fate questo?” dice Paolo, “avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace”. Se io voglio conservare l’unità, devo fare queste cose piccole, non ci sono grandi ricette».
Proseguendo nel commento al brano paolino, il Papa ha poi spiegato che l’autore della lettera agli Efesini «va avanti ancora, sicuramente sotto l’ispirazione delle parole di Gesù nell’ultima Cena: “Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti”». Dunque Paolo «si entusiasma e va avanti: e dalla dolcezza, dall’umiltà, dalla magnanimità, poi va avanti e ci fa vedere l’orizzonte della pace, con Dio; come Gesù ci ha fatto vedere l’orizzonte della pace nella preghiera: “Padre, che siano uno, come tu e io”. L’unità. E così si va avanti passo a passo».
Riferendosi poi al brano del vangelo del giorno, tratto da Luca (12, 54-59), il Papa ha constatato quanto sia «pratico Gesù con questo consiglio che abbiamo sentito: “Quando vai con il tuo avversario davanti al magistrato — litigare — lungo la strada cerca di trovare un accordo con lui”». E ha definito quello di Gesù un «bel consiglio», perché «non è difficile trovare un accordo all’inizio del conflitto. Non è difficile». Basti pensare in proposito «agli sposi, quando litigano, anche quando volano i piatti, e c’è aria di tempesta in a casa»: in quelle situazioni difatti «il migliore consiglio da dare loro è: “Sì, sì sì, lanciate tutti i piatti, ma non finire la giornata senza fare la pace”. Perché? Perché la guerra fredda il giorno dopo è pericolosissima. Il consiglio di Gesù: mettiti d’accordo all’inizio, fare la pace all’inizio: questa è umiltà, questa è dolcezza, questa è magnanimità.
Si può costruire la pace nel mondo intero con queste piccole cose, perché questi atteggiamenti sono l’atteggiamento di Gesù: umile, mite, perdona tutto».
Si può costruire la pace nel mondo intero con queste piccole cose, perché questi atteggiamenti sono l’atteggiamento di Gesù: umile, mite, perdona tutto».
Da qui la preghiera finale di Francesco: «il mondo oggi — ha concluso — ha bisogno di pace, noi abbiamo bisogno di pace, le nostre famiglie hanno bisogno di pace, la nostra società ha bisogno di pace. Incominciamo a casa a praticare queste cose semplici: magnanimità, dolcezza, umiltà. Andiamo avanti in questa strada: del sempre fare l’unità, consolidare l’unità». Con l’auspicio «che il Signore ci aiuti in questo cammino».
(fonte: L'Osservatore Romano)
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