Il rapporto direttamente proporzionale tra incremento delle spese militari e impoverimento della scuola e dell’istruzione è evidente e netto. La denuncia di Guterres
António Guterres, Segretario Generale delle Nazioni Unite
Sarebbe davvero necessario convertire le caserme in luoghi di cultura, in ambiti di dialogo interculturale, interreligioso e di educazione alla pace e alla gestione dei conflitti, anche perchè in un contesto globale segnato da tensioni crescenti, guerre a bassa e alta intensità, corsa agli armamenti e nuove alleanze belliche, si fa sempre più evidente una drammatica correlazione: l’aumento delle spese militari si accompagna, in modo direttamente proporzionale, all’impoverimento del sistema scolastico e formativo. Dove si investe in armi, si disinveste in educazione. Dove si moltiplicano i bilanci per la difesa, si riducono i fondi per le scuole, per gli insegnanti, per le biblioteche, per la ricerca.
I dati parlano chiaro. Secondo l’ultimo rapporto del SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute), nel 2024 la spesa militare globale ha superato per la prima volta i 2.400 miliardi di dollari, con aumenti record in Europa, Stati Uniti, Russia, Cina, India e Medio Oriente. Parallelamente, l’UNESCO denuncia che oltre 244 milioni di bambini e adolescenti nel mondo non vanno a scuola, e che la qualità dell’istruzione sta crollando anche nei paesi cosiddetti sviluppati a causa di tagli, precarizzazione del personale e logiche aziendalistiche.
Anche in Italia il fenomeno è sotto gli occhi di tutti: mentre il bilancio del Ministero della Difesa supera i 30 miliardi di euro nel 2025 (in costante crescita), le scuole pubbliche si trovano in condizioni sempre più precarie, con classi sovraffollate, stipendi docenti tra i più bassi d’Europa, edifici fatiscenti e una cronica mancanza di fondi per l’inclusione e il sostegno. Le università, intanto, soffrono di una costante fuga di cervelli e di un sottofinanziamento strutturale che penalizza ricerca e innovazione.
Questo rapporto inverso tra guerra e cultura – o, meglio, questa proporzionalità diretta tra investimento nel conflitto e disinvestimento nella crescita umana – non è casuale, ma esprime una precisa visione del mondo: un mondo in cui la sicurezza viene cercata nella deterrenza e nella minaccia, piuttosto che nella giustizia sociale, nella cooperazione, nella formazione delle nuove generazioni.
Come ha denunciato recentemente anche il Segretario Generale delle Nazioni Unite, António Guterres, «ogni dollaro speso in armi è un dollaro sottratto all’istruzione, alla sanità, alla lotta contro la povertà e il cambiamento climatico». Una verità scomoda, che trova eco in numerose voci del mondo della cultura, della scuola e della società civile.
Molti insegnanti, studenti e genitori si chiedono perché ci siano fondi per i nuovi caccia F-35, ma non per garantire insegnanti di sostegno per i bambini disabili. Perché si trovino risorse per costruire basi militari, ma non per riparare i tetti delle scuole che crollano. Perché si alimenti la paura e non la conoscenza.
A dieci anni dalla pubblicazione dell’enciclica Laudato si’, che già metteva in guardia contro una “economia dell’esclusione e dello scarto”, la realtà sembra dar ragione a chi da tempo denuncia la militarizzazione della società a scapito dei beni comuni. È necessario, dicono in molti, un cambio radicale di paradigma: dalla logica della difesa armata a quella dell’educazione come strumento di pace. Dalla sicurezza dei confini alla sicurezza delle coscienze.
Se è vero che “l’istruzione è l’arma più potente per cambiare il mondo”, come diceva Nelson Mandela, allora ogni taglio alla scuola è un colpo inferto al futuro. E ogni euro speso in armi che poteva essere speso in libri è una sconfitta per tutti.
Il militarismo e la propensione alla guerra sono un aspetto del maschilismo più truce. Gli uomini, muovendosi guerra, violentano la madre terra, l’umanità e l’ambiente.
I processi di Pace iniziano dalla valorizzazione di genere, dalla considerazione della donna e del femminile, nel dialogo tra generi e generazioni, come punto di riferimento per la trasmissione della memoria storica e dei valori della Pace, a partire dall’istituzione scolastica.
La scuola deve promuovere l’altro come punto di incontro tra le diversità, quale principio attivo di scambio vicendevole e di integrazione solidale, dove l’alterità venga accettata e accolta in quanto ricchezza e risorsa per conoscere il mondo circostante e se stessi.
L’istituzione scolastica è chiamata a promuovere e trasmettere i valori della Pace, al fine di pensare, concepire e progettare una società senza guerre, dove si mobilitino meccanismi positivi di cultura della nonviolenza in un ambiente ecosostenibile, in cui le risorse delle ricchezze naturali siano spartite equamente tra i ceti e i gruppi sociali, nella civiltà delle relazioni tra popoli, genti e minoranze, per un’utopia attuale e realizzabile concretamente nel qui ed ora, nell’attualità del presente.
Un futuro senza conflitti è generato dalla condivisione della coesistenza tra culture aperte nel tessuto sociale e collettivo, che deve promuovere e progettare un processo civile orientato alla pace e al dialogo tra culture e religioni, dove l’altro divenga meta di condivisione, scambio e confronto pacifico, evitando ogni affronto sprezzante e violento.
L’altro è un microcosmo di conoscenza in un pluriverso di differenze che permettono di avvicinarsi all’attualizzazione concreta del concetto di pace tra popoli, a partire da ogni singolo individuo, chiamato ad entrare in relazione con il diverso da sé, al fine di porre in comunicazione molteplici entità ed identità che racchiudono ciascuna un microcosmo di idee, valori, sentimenti, pensieri, progetti da spartire collettivamente nella quotidianità, all’interno degli ambiti comunicativi e sociali, dove poter imparare a convivere e ad accogliere i caratteri identitari e impliciti nel soggetto che aiuta o chiede aiuto, che soccorre chi soffre o è soccorso.
La società intera è chiamata a promuovere i valori e a rivendicare i diritti umani contro ogni intenzione basata sul conflitto armato, nella pretesa di prevaricazione sull’altro, in quanto occorre immaginare, ipotizzare e realizzare l’utopia contemporanea di un mondo senza guerre, dove il più debole venga aiutato e accolto e non sottomesso da pretese prepotenti di sfruttamento, prevaricazione e riduzione in schiavitù dei più bisognosi.
Il dialogo è una risorsa pedagogica che consente di mettere in discussione i propri assunti, le certezze e i presupposti nel confronto con gli altri, come atteggiamento tramite cui la pluralità delle esperienze può agire come arricchimento reciproco e non come volontà di sopraffazione e prevaricazione, promuovendo invece comportamenti equilibrati tra il prestare la giusta attenzione nei riguardi dell’alterità e il riconoscimento delle differenze.
La scuola è il luogo dove si genera un nuovo orientamento umanitario per tradurre gli atteggiamenti negativi di non accettazione e intolleranza, che nascono da pregiudizi razziali molto diffusi nella società, in idealità e comportamenti positivi e costruttivi.
Gli insegnanti propongono piani e programmi di attività, di analisi, confronto e utilizzo didattico di elementi appartenenti alle culture degli allievi immigrati, con l’intenzione di contribuire, come istituzione educativa, alla costruzione dell’identità degli stessi, valorizzandone i patrimoni personali e culturali.
La presenza nella scuola di persone immigrate rappresenta uno stimolo a impegnarsi e a interrogarsi sui valori di cui siamo tutti portatori, in prima persona, perché l’educazione interculturale rappresenta per la scuola un elemento innovativo e critico, che comporta la trasmissione di idealità e valori di pace, accoglienza e dialogo con l’altro, contro ogni discriminazione e ogni guerra.
La scuola può insegnare il percorso di un’interazione che consideri l’apporto delle culture, cercando di leggerle in una sintesi globale, in modo che l’espansione di sè non sia basata sull’annientamento dell’altro, riconoscendo invece la pluralità dei contesti culturali, favorendo la costruzione di identità flessibili.
La società attuale è multiculturale, ma una simile consapevolezza non impedisce che si manifestino al suo interno azioni di intolleranza, conflittualità esasperate, episodi di razzismo, etnicismi e localismi portati all’eccesso e per questo motivo intolleranti verso il mondo.
Il sistema educativo è attualmente più che in altri periodi storici, sollecitato a cambiare le prospettive pedagogiche e le impostazioni didattiche che non rispondono ai mutamenti inevitabili delle pratiche educative, nella manifesta necessità di aprire la pedagogia a una dimensione interculturale, per una filosofia del dialogo, dell’incontro, dello scambio vicendevole nei messaggi educativi e valoriali di apertura alle culture altre e di valorizzazione delle differenze.
Attualmente è necessario aprire l’Italia, l’Europa, il mondo all’accoglienza dello straniero, non solo per integrarlo, ma soprattutto per riconoscerne e accettarne il valore, nella critica al dogmatismo totalitario, nel rispetto delle diversità, nella valorizzazione della specificità, della minoranza, della singolarità, con l’opposizione al razzismo, al nazionalismo, alla xenofobia, alla guerra.
Tutte queste motivazioni rientrano nei compiti della scuola e si possono realizzare e attualizzare tramite un lavoro costante di intermediazione, di conoscenza e rispetto dei diritti civili, inserendo gli elementi innovativi derivanti da altre correnti culturali, in una sorta di equilibrata interazione dinamica.
La scuola può insegnare il percorso di un’interazione che consideri l’apporto delle culture, cercando di leggerle in una sintesi globale, in modo che l’espansione di sè non sia basata sull’annientamento dell’altro, riconoscendo invece la pluralità dei contesti culturali, favorendo la costruzione di identità flessibili, individuando valori condivisi nell’appartenenza culturale, senza escluderne l’universalità. La scuola è responsabile, in quanto istituzione preposta all’educazione, di attivare iniziative per estirpare i pregiudizi sugli altri e le paure del diverso, facendo in modo di evitare che le incomprensioni si radicalizzino nel razzismo, nell’omofobia, nella xenofobia e nel conflitto armato.
La scuola deve promuovere la pedagogia dell’incontro, dell’accoglienza reciproca, del dialogo costruttivo, per evitare il conflitto a livello individuale e collettivo, per incentivare una predisposizione alla pace in un mondo che si concepisca privo di guerre e di scontri armati.
Nella foto: il Segretario Generale delle Nazioni Unite, António Guterres per il quale “ogni dollaro speso in armi è un dollaro sottratto all’istruzione, alla sanità, alla lotta contro la povertà e il cambiamento climatico”
(fonte: Faro di Roma, articolo di Laura Tussi 31/05/2025)