giovedì 5 giugno 2025

Lavoro e cittadinanza, cinque referendum col "battiquorum"


Lavoro e cittadinanza, cinque referendum
col "battiquorum"

Domenica 8 e lunedì 9 giugno si vota su cinque quesiti importantissimi. Ma politica e informazione tacciono, e il rischio astensione è altissimo. I partiti si dividono, mentre il fronte del no punta sul fallimento della soglia minima. Vediamo di che cosa si tratta


Domenica 8 e lunedì 9 giugno si vota per i referendum, cinque per la precisione. Riguardano temi importanti: il lavoro, la cittadinanza, la vita civile. 
La loro eco mediatica è infima, la politica si è rintanata, l’informazione si occupa d’altro e il cittadino-elettore è lasciato solo. Inoltre si tratta di referendum abrogativi e dunque occorre superare il quorum, che prevede la partecipazione del 50 per cento più uno degli aventi diritto al voto (urne aperte domenica dalle 7 alle 23 e lunedì dalle 7 alle 15). Ma veniamo ai quesiti. 

Sono ben quattro quelli sul lavoro, tutti proposti dalla Cgil. 
Il primo chiede di abrogare le norme che impediscono il reintegro al lavoro in caso di licenziamenti illegittimi (quelli del tutto privi di giusta causa o giustificato motivo). 
Il secondo si concentra sull’abrogazione delle norme che facilitano i licenziamenti ingiusti nelle piccole imprese (dunque con meno di 15 addetti).
Con il terzo quesito si intende far ritornare in vigore l’obbligo di causale per il ricorso al contratto di lavoro a termine. 
Infine, nell’ultimo si punta a estendere, in caso di infortunio sul lavoro negli appalti e subappalti, la responsabilità all’impresa appaltante. 

I referendum sul lavoro hanno diviso il mondo sindacale. Cisl e Uil sono rimasti molto critici di fronte ai quesiti. Secondo la segretaria della Cisl Daniela Fumarola «il contesto lavorativo è cambiato e richiede nuove tutele». In pratica si tornerebbe alla riforma Fornero, che tra l’altro comporterebbe una riduzione dell’indennizzo massimo da 36 a 24 mensilità. Questa, secondo la Cisl, «è una battaglia anacronistica che non affronta le vere criticità del presente, come il persistente divario tra il record di occupati e la stagnazione dei salari».

Il quinto quesito, lanciato da +Europa, mira a modificare le norme vigenti in tema di cittadinanza (la legge n. 91 del 1992) per ridurre da 10 a 5 anni il termine di soggiorno legale ininterrotto in Italia ai fini della presentazione della domanda di concessione della cittadinanza da parte dei maggiorenni. 

E i partiti come la pensano? Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia sono contrari, invitando gli elettori a non recarsi alle urne per ostacolare il raggiungimento del quorum, come ha fatto persino il presidente del Senato Ignazio La Russa, seconda carica dello Stato. Divisa l’opposizione.

L’alleanza Verdi-Sinistra è l’unica schierata per il sì a tutti e cinque i quesiti. 
La direzione del Pd ha approvato la stessa linea, ma alcuni esponenti del partito hanno annunciato che voteranno sì solo ai quesiti sulla cittadinanza e sulla sicurezza. 
Il Movimento 5 Stelle ha invitato i suoi elettori a votare sì sui quattro referendum sul lavoro, lasciando libertà di voto su quello relativo alla cittadinanza (Conte ha dichiarato che voterà si). 

I partiti contrari propongono il vecchio espediente di ingrossare la già consistente zona grigia degli astenuti e ottenere così l’annullamento del referendum. Un espediente che funziona. La storia ci dice che da 30 anni nessuna consultazione ha mai superato la soglia, prevista dall’articolo 75 della Costituzione, ad eccezione del referendum sull’acqua, nel 2011. Una soglia concepita in un’altra epoca, quando la partecipazione era più alta, l’informazione meno frammentata, la fiducia nelle istituzioni più solida.

Per cercare di riequilibrare questa situazione, si è parlato di introdurre il voto digitale. Ma, per ora, è rimasto tutto sulla carta. Un appello al voto lo fa Piero Martello, già presidente del Tribunale del lavoro di Milano e direttore dell’autorevole rivista digitale giuslavoristica www.LavoroDirittiEuropa.it: «È importante utilizzare questo strumento di partecipazione posto in mano ai cittadini, oltretutto su temi di interesse generale, non politici. Se vincessero i sì il referendum consoliderebbe alcuni diritti che sono stati ridotti senza comportare effetti negativi per i lavoratori». 
La parola agli elettori. Saranno di nuovo “colpiti al quorum”?
(fonte: Famiglia Cristiana, articolo di Francesco Anfossi 05/06/2025)

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Referendum abrogativi 2025,
pubblicati i fac-simile delle schede per il voto dell’8 e 9 giugno


La direzione centrale per i Servizi elettorali del dipartimento Affari interni e territoriali del Viminale ha pubblicato i fac-simile delle schede di voto relative ai referendum abrogativi, indetti con decreti del Presidente della Repubblica 25 marzo 2025 (Gazzetta ufficiale, Serie Generale, n.75 del 31 marzo 2025), che si svolgeranno domenica 8 e lunedì 9 giugno 2025.

I modelli riproducono fedelmente le schede che saranno utilizzate nei seggi, con il testo integrale di ciascun quesito e le opzioni di voto.

Nel dettaglio, le schede saranno di colore diverso per ciascun referendum:


scheda verde chiaro per il quesito n. 1: 
«Contratto di lavoro a tutele crescenti – Disciplina dei licenziamenti illegittimi: Abrogazione»



scheda arancione per il quesito n. 2:
«Piccole imprese – Licenziamenti e relativa indennità: Abrogazione parziale»



scheda grigia per il quesito n. 3:
«Abrogazione parziale di norme in materia di apposizione di termine al contratto di lavoro subordinato, durata massima e condizioni per proroghe e rinnovi»


scheda rosso rubino per il quesito n. 4:
«Esclusione della responsabilità solidale del committente, dell'appaltatore e del subappaltatore per infortuni subiti dal lavoratore dipendente di impresa appaltatrice o subappaltatrice, come conseguenza dei rischi specifici propri dell'attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici: Abrogazione»

scheda gialla per il quesito n. 5:
«Cittadinanza italiana – Dimezzamento da 10 a 5 anni dei tempi di residenza legale in Italia dello straniero maggiorenne extracomunitario per la richiesta di concessione della cittadinanza italiana»


L’elettore potrà esprimere il proprio voto tracciando un segno sul “Si” o sul “No”, accanto al quesito riportato sulla scheda.
(fonte: Ministero dell'Intero)


Pensare la fede . Le parole del giubileo – 20 – CONTEMPLAZIONE - di Gilberto Borghi

Pensare la fede.
Le parole del giubileo – 20
Contemplazione
di Gilberto Borghi

Contemplare è la verifica più vera di una fede 
meno religiosa e più spirituale e carnale al tempo stesso


CONTEMPLAZIONE

Anche questa è una parola non troppo diffusa nel linguaggio popolare cattolico, ma indica un’esperienza spirituale che sta al centro profondo della fede.

Quando siamo innamorati di qualcuno e questa persona non è con noi fisicamente, la nostra mente tende a perdersi nel ricordo dei momenti belli vissuti assieme e nella fantasia di quelli che ci potranno essere. In questo modo, ascoltando le nostre emozioni e i nostri sentimenti, verifichiamo se davvero quella persona ci prende tanto da poterlo scegliere come nostro amore, consolidiamo la nostra scelta di essere e vivere per lui/lei e possiamo presentire la nostra vita futura assieme.

La contemplazione è la stessa cosa. La parola indicava, prima del cristianesimo, la delimitazione mentale di uno spazio del cielo, in cui si poteva osservare e descrivere il volo degli uccelli e il movimento delle stelle. Mettersi, cioè, davanti ad una finestra che ci apre sull’infinito e lasciare che ciò entri in risonanza interiore con l’infinito che sta dentro di noi.

Quando siamo innamorati di Cristo questa esperienza prende i toni dello stupore, della meraviglia, del ringraziamento, per l’amore infinito che Lui ha per noi e del valore che noi abbiamo per Lui. La contemplazione cristiana, quindi, ci permette di verificare se davvero Gesù ci prende tanto da poterlo scegliere come nostro amore, di consolidare la nostra scelta di essere e vivere per Lui e di presentire l’infinita bellezza della nostra vita futura assieme, nel suo Regno.

Un’esperienza che ha le sue radici già nell’AT, con Mosè al roveto ardente (Es 3,3); o con il profeta Elia sul monte Oreb (1 Re 19). Ma soprattutto un’esperienza che è messa al centro della vita spirituale di Gesù stesso che, secondo il NT, soprattutto Lc, per ben 10 volte si dice che contempla il padre. E di cui abbiamo testimonianza, nei credenti, lungo tutti i duemila anni di cristianesimo, dal primo secolo fino ad oggi.

Un’esperienza che non si improvvisa, va cercata soprattutto rifugiandosi nel silenzio, delimitando spazi e tempi appositi, e attivando il desiderio di stare alla sua presenza: “Di te ha detto il mio cuore: «Cercate il suo volto»; il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto” (Sl 26, 8). Un’esperienza che mobilita tutto il nostro essere, dalla testa, al cuore, al corpo e rende possibile una fede spirituale e carnale al tempo stesso.

Fino a 30-40 anni fa era un’esperienza che veniva pensata possibile solo per alcuni che avevano una vocazione al rapporto mistico con Cristo, ipotizzando che il fedele comune potesse vivere la propria fede dentro alle forme di relazione con Dio definite dei riti religiosi classici. Oggi, si tende a pensare, invece che questo tipo di esperienza spirituale sia alla base di una fede autentica che non si può appoggiare più sul contesto culturale in cui si vive, ma sulla qualità del vissuto individuale nella relazione personale con Cristo.

Certo non tutti possono pensare di raggiungere le vette della contemplazione mistica che grandi santi ci hanno raccontato: Teresa d’Avila o Giovanni della croce, solo per citare i due più famosi. Ma tutti possiamo provare ad incamminarci verso questa esperienza, perché contemplare è la verifica più vera di una fede meno religiosa e più spirituale e carnale al tempo stesso.

Esistono già movimenti e associazioni che la stanno rivalorizzando, come la “Comunità mondiale per la Meditazione Cristiana” – WCCM Italia, o “L’associazione italiana per la Meditazione Cristiana” – AIMC; o anche l’associazioni “La Via del Silenzio”, “La rete della Preghiera del Cuore” o il movimento del “Rinnovamento Contemplativo” (Centering Prayer). Perché non mettere il naso, durante il giubileo, dentro ad una di queste?

(Fonte: VinoNuovo)

mercoledì 4 giugno 2025

Tonio Dell'Olio: La rivolta dei piloti israeliani

Tonio Dell'Olio
 
La rivolta dei piloti israeliani


PUBBLICATO IN MOSAICO DEI GIORNI  IL 4 GIUGNO 2025

Solo qualche giorno fa Daniel Yahalom e il capitano Ron Feiner sono stati condannati rispettivamente a cinque e venti giorni di prigione per essersi rifiutati di tornare in servizio.

Yahalom aveva trascorso 230 giorni al fronte, Feiner 270. Sono soldati israeliani. 

Il fenomeno dei militari Idf che si rifiutano di partecipare al genocidio in corso, sta crescendo in maniera esponenziale. Ad aprile c’era stata una lettera sottoscritta da militari e riservisti ma in questi giorni ne è stata inviata un’altra a Netanyahu e all’attuale capo di stato maggiore, Eyal Zamir. A firmarla vi sono 1.352 ufficiali e comandanti dell’aeronautica. 

“A questo punto, il conflitto non è di alcuna utilità per la sicurezza di Israele”, si legge nel testo, sostenuto da due ex capi di Stato maggiore, undici generali di divisione, 45 generali di brigata e 133 colonnelli, come confermato da Guy Poran, 69 anni di cui venti da volontario nell’aeronautica, uno dei promotori dell’iniziativa. 

È un segnale importante perché la condanna, il rifiuto e la protesta, provengono da persone che sono state addestrate a combattere e a uccidere. Questo significa che si è proprio superato ogni limite. 

(Fonte: Lucia Capuzzi, in Avvenire del 4.06.2025, pag. 3)


Padre Paolo dall’Oglio. Ancora un mistero? - Il corpo di padre Dall'Oglio forse in una fossa comune Resti trovati a Raqqa. La sorella Francesca: 'Non credo sia lui'




Riccardo Cristiano

Padre Paolo dall’Oglio. Ancora un mistero?


Come accade da quasi dodici anni, le voci su padre Paolo Dall’Oglio rimangono avvolte nel mistero. Hanno ritrovato il suo corpo? La voce, che circolava da giorni, da quando un giornalista siriano di Raqqa, una persona che chi conosce definisce “perbene”, ha scritto su Facebook che una delegazione curda giunta a Raqqa aveva rivenuto in un cimitero, quello di al Furuja, il corpo di un uomo molto alto, forse quello di Paolo, senza aggiungere altro. Il fatto, ha scritto il collega negli ultimi giorni della scorsa settimana, risaliva a qualche giorno prima. Da quando un amico siriano mi ha riferito questa storia, mantenendo il più assoluto riserbo, una folla di pensieri ha cominciato ad inseguirsi dentro di me. Non era la prima volta che accadeva una cosa del genere. Gli anni che ci separano dal suo sequestro, il 29 luglio del 2013, sono pieni di voci simili, di rivelazioni che come in una doccia scozzese prima scottano con l’annuncio a sorpresa e poi gelano il sangue con la sua smentita. E anche questa volta ho cominciato a domandarmi: perché se le cose stanno così i curdi non confermano che hanno avuto una indicazione affidabile da un prigioniero dell’Isis, sono andati nella località indicatagli e ora stanno cercando di capire? E’ da anni che tutti sappiamo che i prigionieri dell’Isis sono nelle mani dei curdi.

Ricordo che il carissimo collega Amedeo Ricucci, poco prima di scomparire ancora giovanissimo purtroppo, era andato proprio sulle tracce di padre Paolo fino a Raqqa e aveva individuato tal Abu Faysal, un ex emiro dell’Isis, che catturato dai curdi, poteva sapere della fine di Paolo. Ma i curdi, da lui contattati per tornare a Raqqaa a intervistarlo, non gli hanno mai concesso la necessaria autorizzazione. Questo Abu Faysal, venne a sapere Amedeo, apparteneva a una tribù molto potente, era tenuto dai curdi in una sorta di arresti domiciliari, la sua non era una storia semplice da sbrogliare: forse i curdi lo temevano, forse poteva creargli problemi. Non so di più, so che i tentativi di Amedeo di intervistarlo non ebbero successo, non riuscì a sapere se il 29 luglio a Raqqa, come gli avevano sussurrato alcuni, questo Abu Faisal aveva aperto le porte del comando generale dell’Isis a padre Paolo. Questo ricordo mi dice qualcosa, di nuovo: il mistero di Paolo si intreccia con altri misteri, i rapporti tra i curdi e questi personaggi temuti, influenti, pericolosi, ex Isis, non hanno mai prodotto notizie. Sono anni che si trovano nel loro controllo ma cosa hanno fatto sapere del fiume di siriani che nel corso degli anni l’Isis e il regime di Assad, come due mostri avvinghiati in un macabro balletto, hanno fatto sparire? Così mi viene il sospetto che il misterioso testo su Facebook di questo collega siriano che non conosco, voglia come forzare un tentativo di nascondere il fatto: un qualcuno dell’Isis ha parlato, qualcosa è emerso, ma ci sono resistenze a farlo emergere. Ma subito dopo penso che potrebbe essere vero anche il contrario: questa è l’ora della lotta all’Isis, dei proclami di tutti, o di un rinnovato impegno contro di loro. La fine di questo mistero, il misero di padre Paolo, può spiegarsi anche così: la si fa emergere, al di là della sua fondatezza, per dire che qualcuno sta agendo per scoprire i segreti dell’Isis. Siamo nella palude delle possibile azioni di diversi, configgenti servizi segreti, che si accompagnano a sospetti, bugie, insinuazioni. E’ tutto questo che ha sequestrato padre Paolo dopo il suo vero sequestro: una palude di voci che rende tutti sospettosi, che illude, e poi si risolve in un nuovo mistero. E’ il destino di padre Paolo? In realtà, sebbene pochi lo scrivano, simboleggia ai nostri occhi il dramma di migliaia di famiglie siriane che ogni giorno vivono lo stesso dramma da anni, senza trovarne il bandolo: cosa è accaduto ai loro cari? Così ora mi ritrovo a domandarmi cosa sia emerso di nuovo su Paolo, dodici anni dopo il suo sequestro? E’ vero che lo hanno trovato? Chi conduce le indagini medico-legali in quella zona lo nega. E dopo questa presa di posizione nessuno è intervenuto a dire con dati inoppugnabili che la notizia è vera. Per di più da quando è emersa la voce non si dice che è stato trovato un corpo che potrebbe essere quello di padre Paolo, ma che è proprio il suo: e come asserire una cosa del genere quando parleremmo di un corpo abbandonato anni e anni fa? Così torna il dolore, il timore che la vicenda di padre Paolo sia usata, di nuovo. Ma da chi? Da chi tenta di farla emergere o da chi vuole impedirlo? Si fa sera e senza averne idea incappo in un’intervista assai strana: A Rai 3 il vicario apostolico di Aleppo, monsignor Hanna Jallouf, dice che lui sa che Paolo è stato ucciso il 22 aprile del 2014.

E cosa avrebbe fatto dalla data del suo sequestro, nove mesi prima, a quel giorno? Damilano glielo chiede ma lui non sa cosa dire. Dice sola che voleva entrare nella Siria controllata da Assad. Strano, uno vuole andare nella Siria controllata da Assad e va in quella dove c’è l’Isis. Anche queste sono parole che sorprendono, come quelle sulla ragione del suo assassinio: un diverbio con un ordinario miliziano dell’Isis che voleva impedirgli di passare illegalmente nei territori di Assad e al quale Paolo si sarebbe rivolto in termini bruschi. Davvero? Questo mi addolora profondamente, forse il vescovo non padroneggia l’italiano, forse io ho capito male; preferisco pensarla così.
(fonte: Articolo 21 04/06/2025)

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Il corpo di padre Dall'Oglio forse in una fossa comune
Resti trovati a Raqqa. La sorella Francesca: 'Non credo sia lui'


Da Damasco, il nunzio apostolico, il cardinale Mario Zenari non conferma e non smentisce mentre è più diretta Francesca Dall'Oglio, sorella del gesuita sparito in Siria nel 2013: "Questa per me non è una notizia vera, quel corpo non è di mio fratello", dice a caldo.

Rimbalza dalla Siria la notizia del presunto ritrovamento del corpo di padre Paolo dall'Oglio, il gesuita romano scomparso il 29 luglio di 12 anni fa nel Nord della Siria, all'epoca occupato dallo Stato Islamico, dove il religioso si era recato per trattare la liberazione di alcuni ostaggi. "Il cadavere di un uomo in abiti religiosi che si ritiene possa essere quello di padre Paolo Dall'Oglio - scrive il settimanale Oggi - è stato ritrovato in una fossa comune nei pressi di Raqqa in Siria".

A chiarire i contorni del presunto ritrovamento, è all'ANSA, il vescovo armeno-cattolico di Qamishlie, mons. Antranig Ayvazian. "Non c'è nessun interesse a dire bugie su questo caso - afferma -: sono passati quasi 12 anni da quella cena e già sette anni fa avevo notato ed informato la nunziatura apostolica che, secondo mie fonti, padre Dall'Oglio era stato ucciso da un Emir (un comandante, ndr) dell'Isis, un saudita la cui confessione figurava anche sul Guardian e su un giornale arabo pubblicato a Londra, dove in prima pagina c'era questa notizia di due righe". "Questa mattina presto - fa quindi sapere il vescovo - il parroco caldeo della regione mi ha comunicato per iscritto quello che rimane della salma di padre Paolo Dall'Oglio. La fonte è un giornalista musulmano. Io ho passato questo nome all'ambasciata d'Italia e alla nunziatura apostolica".

"Dobbiamo accertare ancora la realtà di questa scoperta - spiega quindi il presule -. Tocca a me come vescovo cattolico la responsabilità di seguire il caso, e questa sera mi metterò in contatto con il generale Mazloum Abdi dei curdi. Ora mi trovo in Armenia". Il vescovo armeno fa anche il nome del presunto terrorista che avrebbe ucciso padre Dall'Oglio, noto per aver rifondato in Siria la comunità monastica cattolico-siriaca "Al-Khalil" del Deir Mar Musa al-Abash e contro cui il regime di Bashar al Assad aveva anche emesso un decreto di espulsione, dopo che il gesuita aveva tentato di comporre un dialogo in seguito alle sommosse popolari scoppiate proprio per protestare contro il regime. ...



“Condividete con mitezza la speranza”: ventuno voci per una comunicazione che costruisce


“Condividete con mitezza la speranza”:
ventuno voci per una comunicazione che costruisce

Mitezza e speranza sono le coordinate del volume “Condividete con mitezza la speranza”, promosso dall’Ufficio Cei per le comunicazioni sociali e dal Cremit. Ventuno contributi, tra cui Zuppi, Scavo, Mukwege e Cecchettin, riflettono sul potere delle parole per generare ascolto, relazione e cambiamento in un tempo fragile

(Foto SIR)

“Non è da ingenui pensare di poter cambiare questa società con le parole”. Le parole del card. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, aprono con forza il volume “Condividete con mitezza la speranza”, promosso dall’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali e dal Cremit. Il libro raccoglie i commenti al Messaggio di Papa Francesco per la 59ª Giornata mondiale delle comunicazioni sociali. Per la prima volta è Zuppi a firmarne la prefazione: “Chi spera cerca la pace quando ancora c’è la guerra, il perdono quando ci sono solo sofferenza e rabbia”. È un invito rivolto in modo particolare agli operatori della comunicazione, chiamati a non vendere illusioni o paure, ma “a raccontare la verità senza calpestare la dignità umana”.

La speranza come cammino condiviso

La mitezza e la speranza, indica l’introduzione di Vincenzo Corrado e Stefano Pasta, sono le coordinate decisive di questo tempo inquieto: “La speranza è sempre un progetto comunitario”. E oggi, in un’epoca di guerra normalizzata e solitudine digitale, occorre “disarmare la comunicazione” e ricomporre il “noi”, come chiede il Papa in Fratelli tutti Il volume, edito da Scholé-Morcelliana, si presenta come un mosaico articolato: ventuno saggi firmati da giornalisti, studiosi, educatori, poeti e anche dal Premio Nobel per la Pace Denis Mukwege. Le firme spaziano da Nello Scavo a Gino Cecchettin, da Colum McCann a Milena Santerini, da Rita Sidoli a Fabio Pasqualetti. Un ventaglio di approcci e sensibilità che rispondono a una stessa domanda: quale comunicazione è possibile oggi, alla luce della speranza cristiana? Corrado, nel suo saggio, descrive l’attuale contesto comunicativo come “un labirinto”: “Unica possibilità: riavvolgere il filo per tornare indietro”. Il riferimento è al mito di Arianna, ma assume una valenza profondamente pedagogica: nella giungla mediatica serve orientamento, un’etica, una memoria viva. “Non si può comunicare correttamente se non ci si apre all’ascolto”, scrive. E la mitezza – aggiunge – “è la fiducia profonda che si possano ancora offrire motivazioni serie per la speranza”.
Volti, storie e parole che costruiscono

Nel cuore del libro si fa strada l’idea che le parole possano cambiare la realtà. Colum McCann afferma che “le storie lavano i piedi del mondo”, Gino Cecchettin scrive che “le parole possono cambiare il mondo”, mentre Denis Mukwege invita a “prenderci cura degli altri”. E se “gli ultimi (non) fanno notizia”, come denuncia Nello Scavo, è allora urgente un nuovo stile narrativo capace di “vedere ciò che non è ancora e che sarà”, come ricorda Charles Péguy, citato nella conclusione dell’introduzione. Il volume si distingue anche per la sua forte valenza formativa: la speranza, si legge, “non è una semplice attesa passiva”, ma “una disposizione esistenziale che consente di rompere l’isolamento individuale”. È il filo conduttore che connette anche temi complessi come l’intelligenza artificiale, le fake news, la post-verità e la polarizzazione degli algoritmi, affrontati con rigore da Pasta, Alessandra Carenzio, Milena Santerini e Alessandro Rosina. “Togli la speranza e tutto finisce”, avverte Corrado. Per questo, “Condividete con mitezza la speranza” non è solo un esercizio teorico, ma un’azione concreta: una semina, nella nebbia, verso il “fulgore del giugno”. Un invito a comunicare “con il cuore”, per non smarrirsi nel labirinto di un mondo che ha urgente bisogno di sperare.
(fonte: SIR, articolo di Riccardo Benotti 29/05/2025)


martedì 3 giugno 2025

Il rapporto direttamente proporzionale tra incremento delle spese militari e impoverimento della scuola e dell’istruzione è evidente e netto. La denuncia di Guterres

Il rapporto direttamente proporzionale tra incremento delle spese militari e impoverimento della scuola e dell’istruzione è evidente e netto. La denuncia di Guterres

António Guterres, Segretario Generale delle Nazioni Unite

Sarebbe davvero necessario convertire le caserme in luoghi di cultura, in ambiti di dialogo interculturale, interreligioso e di educazione alla pace e alla gestione dei conflitti, anche perchè in un contesto globale segnato da tensioni crescenti, guerre a bassa e alta intensità, corsa agli armamenti e nuove alleanze belliche, si fa sempre più evidente una drammatica correlazione: l’aumento delle spese militari si accompagna, in modo direttamente proporzionale, all’impoverimento del sistema scolastico e formativo. Dove si investe in armi, si disinveste in educazione. Dove si moltiplicano i bilanci per la difesa, si riducono i fondi per le scuole, per gli insegnanti, per le biblioteche, per la ricerca.

I dati parlano chiaro. Secondo l’ultimo rapporto del SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute), nel 2024 la spesa militare globale ha superato per la prima volta i 2.400 miliardi di dollari, con aumenti record in Europa, Stati Uniti, Russia, Cina, India e Medio Oriente. Parallelamente, l’UNESCO denuncia che oltre 244 milioni di bambini e adolescenti nel mondo non vanno a scuola, e che la qualità dell’istruzione sta crollando anche nei paesi cosiddetti sviluppati a causa di tagli, precarizzazione del personale e logiche aziendalistiche.

Anche in Italia il fenomeno è sotto gli occhi di tutti: mentre il bilancio del Ministero della Difesa supera i 30 miliardi di euro nel 2025 (in costante crescita), le scuole pubbliche si trovano in condizioni sempre più precarie, con classi sovraffollate, stipendi docenti tra i più bassi d’Europa, edifici fatiscenti e una cronica mancanza di fondi per l’inclusione e il sostegno. Le università, intanto, soffrono di una costante fuga di cervelli e di un sottofinanziamento strutturale che penalizza ricerca e innovazione.

Questo rapporto inverso tra guerra e cultura – o, meglio, questa proporzionalità diretta tra investimento nel conflitto e disinvestimento nella crescita umana – non è casuale, ma esprime una precisa visione del mondo: un mondo in cui la sicurezza viene cercata nella deterrenza e nella minaccia, piuttosto che nella giustizia sociale, nella cooperazione, nella formazione delle nuove generazioni.

Come ha denunciato recentemente anche il Segretario Generale delle Nazioni Unite, António Guterres, «ogni dollaro speso in armi è un dollaro sottratto all’istruzione, alla sanità, alla lotta contro la povertà e il cambiamento climatico». Una verità scomoda, che trova eco in numerose voci del mondo della cultura, della scuola e della società civile.
Molti insegnanti, studenti e genitori si chiedono perché ci siano fondi per i nuovi caccia F-35, ma non per garantire insegnanti di sostegno per i bambini disabili. Perché si trovino risorse per costruire basi militari, ma non per riparare i tetti delle scuole che crollano. Perché si alimenti la paura e non la conoscenza.

A dieci anni dalla pubblicazione dell’enciclica Laudato si’, che già metteva in guardia contro una “economia dell’esclusione e dello scarto”, la realtà sembra dar ragione a chi da tempo denuncia la militarizzazione della società a scapito dei beni comuni. È necessario, dicono in molti, un cambio radicale di paradigma: dalla logica della difesa armata a quella dell’educazione come strumento di pace. Dalla sicurezza dei confini alla sicurezza delle coscienze.

Se è vero che “l’istruzione è l’arma più potente per cambiare il mondo”, come diceva Nelson Mandela, allora ogni taglio alla scuola è un colpo inferto al futuro. E ogni euro speso in armi che poteva essere speso in libri è una sconfitta per tutti.

Il militarismo e la propensione alla guerra sono un aspetto del maschilismo più truce. Gli uomini, muovendosi guerra, violentano la madre terra, l’umanità e l’ambiente.
I processi di Pace iniziano dalla valorizzazione di genere, dalla considerazione della donna e del femminile, nel dialogo tra generi e generazioni, come punto di riferimento per la trasmissione della memoria storica e dei valori della Pace, a partire dall’istituzione scolastica.
La scuola deve promuovere l’altro come punto di incontro tra le diversità, quale principio attivo di scambio vicendevole e di integrazione solidale, dove l’alterità venga accettata e accolta in quanto ricchezza e risorsa per conoscere il mondo circostante e se stessi.

L’istituzione scolastica è chiamata a promuovere e trasmettere i valori della Pace, al fine di pensare, concepire e progettare una società senza guerre, dove si mobilitino meccanismi positivi di cultura della nonviolenza in un ambiente ecosostenibile, in cui le risorse delle ricchezze naturali siano spartite equamente tra i ceti e i gruppi sociali, nella civiltà delle relazioni tra popoli, genti e minoranze, per un’utopia attuale e realizzabile concretamente nel qui ed ora, nell’attualità del presente.
Un futuro senza conflitti è generato dalla condivisione della coesistenza tra culture aperte nel tessuto sociale e collettivo, che deve promuovere e progettare un processo civile orientato alla pace e al dialogo tra culture e religioni, dove l’altro divenga meta di condivisione, scambio e confronto pacifico, evitando ogni affronto sprezzante e violento.

L’altro è un microcosmo di conoscenza in un pluriverso di differenze che permettono di avvicinarsi all’attualizzazione concreta del concetto di pace tra popoli, a partire da ogni singolo individuo, chiamato ad entrare in relazione con il diverso da sé, al fine di porre in comunicazione molteplici entità ed identità che racchiudono ciascuna un microcosmo di idee, valori, sentimenti, pensieri, progetti da spartire collettivamente nella quotidianità, all’interno degli ambiti comunicativi e sociali, dove poter imparare a convivere e ad accogliere i caratteri identitari e impliciti nel soggetto che aiuta o chiede aiuto, che soccorre chi soffre o è soccorso.
La società intera è chiamata a promuovere i valori e a rivendicare i diritti umani contro ogni intenzione basata sul conflitto armato, nella pretesa di prevaricazione sull’altro, in quanto occorre immaginare, ipotizzare e realizzare l’utopia contemporanea di un mondo senza guerre, dove il più debole venga aiutato e accolto e non sottomesso da pretese prepotenti di sfruttamento, prevaricazione e riduzione in schiavitù dei più bisognosi.

Il dialogo è una risorsa pedagogica che consente di mettere in discussione i propri assunti, le certezze e i presupposti nel confronto con gli altri, come atteggiamento tramite cui la pluralità delle esperienze può agire come arricchimento reciproco e non come volontà di sopraffazione e prevaricazione, promuovendo invece comportamenti equilibrati tra il prestare la giusta attenzione nei riguardi dell’alterità e il riconoscimento delle differenze.
La scuola è il luogo dove si genera un nuovo orientamento umanitario per tradurre gli atteggiamenti negativi di non accettazione e intolleranza, che nascono da pregiudizi razziali molto diffusi nella società, in idealità e comportamenti positivi e costruttivi.

Gli insegnanti propongono piani e programmi di attività, di analisi, confronto e utilizzo didattico di elementi appartenenti alle culture degli allievi immigrati, con l’intenzione di contribuire, come istituzione educativa, alla costruzione dell’identità degli stessi, valorizzandone i patrimoni personali e culturali.
La presenza nella scuola di persone immigrate rappresenta uno stimolo a impegnarsi e a interrogarsi sui valori di cui siamo tutti portatori, in prima persona, perché l’educazione interculturale rappresenta per la scuola un elemento innovativo e critico, che comporta la trasmissione di idealità e valori di pace, accoglienza e dialogo con l’altro, contro ogni discriminazione e ogni guerra.

La scuola può insegnare il percorso di un’interazione che consideri l’apporto delle culture, cercando di leggerle in una sintesi globale, in modo che l’espansione di sè non sia basata sull’annientamento dell’altro, riconoscendo invece la pluralità dei contesti culturali, favorendo la costruzione di identità flessibili.
La società attuale è multiculturale, ma una simile consapevolezza non impedisce che si manifestino al suo interno azioni di intolleranza, conflittualità esasperate, episodi di razzismo, etnicismi e localismi portati all’eccesso e per questo motivo intolleranti verso il mondo.
Il sistema educativo è attualmente più che in altri periodi storici, sollecitato a cambiare le prospettive pedagogiche e le impostazioni didattiche che non rispondono ai mutamenti inevitabili delle pratiche educative, nella manifesta necessità di aprire la pedagogia a una dimensione interculturale, per una filosofia del dialogo, dell’incontro, dello scambio vicendevole nei messaggi educativi e valoriali di apertura alle culture altre e di valorizzazione delle differenze.

Attualmente è necessario aprire l’Italia, l’Europa, il mondo all’accoglienza dello straniero, non solo per integrarlo, ma soprattutto per riconoscerne e accettarne il valore, nella critica al dogmatismo totalitario, nel rispetto delle diversità, nella valorizzazione della specificità, della minoranza, della singolarità, con l’opposizione al razzismo, al nazionalismo, alla xenofobia, alla guerra.

Tutte queste motivazioni rientrano nei compiti della scuola e si possono realizzare e attualizzare tramite un lavoro costante di intermediazione, di conoscenza e rispetto dei diritti civili, inserendo gli elementi innovativi derivanti da altre correnti culturali, in una sorta di equilibrata interazione dinamica.
La scuola può insegnare il percorso di un’interazione che consideri l’apporto delle culture, cercando di leggerle in una sintesi globale, in modo che l’espansione di sè non sia basata sull’annientamento dell’altro, riconoscendo invece la pluralità dei contesti culturali, favorendo la costruzione di identità flessibili, individuando valori condivisi nell’appartenenza culturale, senza escluderne l’universalità. La scuola è responsabile, in quanto istituzione preposta all’educazione, di attivare iniziative per estirpare i pregiudizi sugli altri e le paure del diverso, facendo in modo di evitare che le incomprensioni si radicalizzino nel razzismo, nell’omofobia, nella xenofobia e nel conflitto armato.
La scuola deve promuovere la pedagogia dell’incontro, dell’accoglienza reciproca, del dialogo costruttivo, per evitare il conflitto a livello individuale e collettivo, per incentivare una predisposizione alla pace in un mondo che si concepisca privo di guerre e di scontri armati.

Nella foto: il Segretario Generale delle Nazioni Unite, António Guterres per il quale “ogni dollaro speso in armi è un dollaro sottratto all’istruzione, alla sanità, alla lotta contro la povertà e il cambiamento climatico”
(fonte: Faro di Roma, articolo di Laura Tussi 31/05/2025)


Maria Martello - Ricominciare dalle relazioni: il corpo, il digitale e la via della mediazione

Maria Martello*
 
Ricominciare dalle relazioni:
il corpo, il digitale e la via della mediazione

Nel tempo delle connessioni virtuali, la qualità delle relazioni umane sembra sgretolarsi. La proposta di un cambio di paradigma: riscoprire il valore della presenza fisica e dell’intelligenza emotiva attraverso la mediazione umanistico-filosofica. Un metodo per trasformare i conflitti in risorse e ritrovare il ben-essere nella complessità del quotidiano



Le relazioni sono spesso un fuoco incrociato, rappresentano le trame di una complessità che è oggettivamente difficile da gestire. E a volte mancano le competenze e proponiamo di recuperarle: è sempre il momento giusto per farlo. Nessuno ci ha formato alla gestione delle relazioni interpersonali, ne conseguono miriadi di problemi più o meno grandi. Crediamo che possano diventare solo contenziosi, cioè possano solo degenerare in liti giudiziarie e una serie di micro e macro conflittualità a fine giornata, rendono la nostra vita simile ad un campo di battaglia. Scegliere di soccombere e farci del male? Pena il trascinarsi in una miseranda e affannosa sopravvivenza interrotta da sprazzi di ben-essere, o meglio di illusioni euforiche? O decidere di lottare incontrando ostacoli senza fine e perdere la pace? Sprecando energie che meglio dovremmo investire per la nostra completa realizzazione e per il successo a cui tendiamo?

In questo scenario complesso, un ulteriore fattore ha aggravato le difficoltà: il crescente ricorso al digitale. Strumento potente e prezioso, ma anche ambivalente, che ha sì reso possibili nuove modalità di interazione, ma ha ridotto quel benefico esercizio quotidiano delle buone relazioni, che un tempo scaturiva spontaneamente nella fisicità delle interazioni dirette, continue, naturali. 
Che fare? Ecco, vi presentiamo un modo per risolverli da soli e con piena soddisfazione. Abbiamo infatti a portata di mano una prospettiva che può ribaltare la situazione che ci schiaccia, vale la pena conoscere, quella della filosofia della mediazione. È un antidoto: attiva la comunicazione, la riporta su un piano di autenticità, la veicola anche a livelli profondi, dove tutte le dimensioni dell’essere, compreso il corpo, possono tornare a interagire. Restituisce alla relazione quella qualità esperienziale che lo scambio digitale tende a impoverire, riportando al centro non solo il contenuto ma la presenza reciproca. Lasciamo quindi aperta la porta alla ‘meraviglia’ di scoprire che si può ed è per tutti. La Mediazione filosofico-umanistica sarà la chiave per il ben-essere di domani. Suggeriamo di iniziare ad approfondirla con qualche lettura (ad es. il mio libro Costruire relazioni intelligenti, Milano 2021 e Una giustizia alta e altra, Milano 2023) e qui ne diamo subito alcuni principi di base che possono trasformare il nostro atteggiamento nel quotidiano.

Segue un sistema di pensiero ed una metodologia innovativa, un nuovo paradigma che ci viene in aiuto e comporta un cambio radicale di mentalità. Rende possibile la sfida di una vita di relazione con l’altro in cui l’io e il tu attuano un felice scambio basato sulla diversità. Infatti nella complessità della vita anche i migliori propositi da soli non bastano. Non sono sufficienti al raggiungimento di un accordo, spesso intimamente insoddisfacente perché pervaso dal gusto amaro del compromesso, della rinuncia. Fra i due litiganti, uno vince e l’altro perde e spesso quest’ultimo vuole la rivincita, oppure, secondo la saggezza dei detti popolari, tra i due litiganti il terzo gode, ma di cosa? Forse è il caso di dire che il terzo “media” più che godere di uno scontro in cui, alla fine, ci sarà comunque una vittima.

Un presupposto è vedere il conflitto come qualcosa di connaturato, che a volte, è un’espressione di vita, di voglia di esserci e di fare, ma origina l’alzata di scudi da parte di chi in fondo paventa di venire messo in scacco dalle iniziative dell’altro. Tanto più queste gli appaiono valide, quanto più le vive come temibili e quindi da far morire al loro nascere. Fondamentale in questa nuova logica è porci una domanda e darci una risposta: «Perché spegnere la mia candela per far brillare meglio la tua?». Come se mai si fosse fatta esperienza di quanta “luce”, a vantaggio di tutti, ci possa essere se più candele trovano il diritto e il posto per “splendere”. Quanto siamo ignari della ricchezza insita in quella collaborazione che permetta di trarre il miglior frutto proprio dalla diversità? Si perde spesso la possibilità che “uno più uno non faccia due, ma tre”.

La mediazione ritiene che i limiti insiti in una situazione possono divenire risorse per trasformarla e trasformarsi. Le difficoltà costituiscono a volte la via per raggiungere equilibrio e benessere: un viaggio in profondità alla ricerca dell’orizzonte di senso in cui si è immersi, per tenere vivo il pensiero critico e non ignorare le istanze del proprio sé. Questa logica induce a chiedersi non soltanto il come delle cose, ma anche il perché, in un’ottica che vede l’educarsi a diventare adulti, in senso pieno e non solo anagrafico, come il compito principale della vita. Ci fa sperimentare concretamente come la relazione con l’altra persona rappresenti il frutto sapiente, e non spontaneo, di una preparazione che segue “regole” e che richiede, quindi, “strategie” di azione, e come attraverso l’apprendimento di tali “strategie” sia possibile costruire rapporti migliori con gli altri, nell’ottica di una gestione costruttiva del conflitto. L’obiettivo al quale tendere è l’affinamento della nostra intelligenza emotiva, quella che ci aiuta a scegliere la via delle Mediazione per la risoluzione pacifica del conflitto, l’intelligenza che è in grado di trasformare il dolore del conflitto in opportunità per migliorare la qualità della propria e altrui vita. Certamente la Mediazione umanistico-filosofica reclama la rottura degli schemi vecchi, dell’ovvio, impone di mettere in discussione seriamente convinzioni con cui si credeva di aver fatto i conti una volta per tutte, di dover andare al di là del già noto.
*Psicologa docente di Psicologia dei rapporti interpersonali
(fonte: Famiglia Cristiana 28/05/2025)

lunedì 2 giugno 2025

Grazie Presidente per le sue parole su Gaza, ora protegga quel veliero - La nave civile Madleen sta navigando verso Gaza

Grazie Presidente per le sue parole su Gaza,
ora protegga quel veliero


Le parole appena pronunciate dal Capo dello Stato, Sergio Mattarella, durante la commemorazione del 2 Giugno festa della Repubblica, suonano come una sintesi ed al tempo stesso come una interpretazione autentica di quelle durissime e già peraltro chiare pronunciate ieri su Gaza:

“(la Repubblica italiana) è fermamente schierata a sostegno di quanti operano affinché prevalgano i principi del diritto internazionale contro ogni aggressione e prevaricazione”.

Ieri aveva detto:

“Il Medio Oriente, dopo il sanguinario attacco di Hamas (il 7 ottobre 2023, ndr) contro vittime israeliane inermi, con ostaggi odiosamente rapiti e ancora trattenuti e che vanno immediatamente liberati, vive il dramma in atto nella striscia di Gaza. È inaccettabile il rifiuto di applicare le norme del diritto umanitario. Si impone, subito, il cessate il fuoco. In qualunque caso, è indispensabile che l’esercito israeliano renda accessibili i territori della Striscia all’azione degli organismi internazionali, rendendo possibile la ripresa di piena assistenza umanitaria alle persone. Che venga ridotta alla fame un’intera popolazione, dai bambini agli anziani, è disumano”.

Impossibile non leggerle avendo in testa il discorso di Marsiglia nel quale il presidente Mattarella sollecitava i democratici europei a scegliere tra l’illusoria tranquillità di un nuovo vassallaggio ed un ritrovato protagonismo civile, libero e liberante.

A dispetto dei furbetti che cercano di strizzare l’occhio dal lato progressista contemporaneamente alle ragioni della pace ed a quelle della guerra, pare sempre più evidente lo sforzo del presidente Mattarella, sintonico con quello che fu di Papa Francesco, nel distinguere due campi semantici che non possono (più) mescolarsi.

Da un lato il “campo” di chi si arricchisce con la violenza e che dunque ha interesse ad alimentare la spirale culturale, politica, economica fatta di terrorismo-armi-guerra-repressione, dall’altro il campo di chi si batte per inverare quel MAI-PIU’ iscritto nella Costituzione italiana, così come nelle carte internazionali poste nel secondo dopoguerra ad argine futuro contro ogni rigurgito di nazionalismo, di razzismo, di imperialismo. 

Questo secondo è il campo del disarmo, del diritto come via alla risoluzione dei conflitti, della inclusione sociale. Questo campo è oggi mortificato da gran parte del sistema di informazione mass mediatico, che oscura, censura o dileggia chi da una vita, con opere e parole, si ostina a perseguire le vie della giurisdizione internazionale che non ha nulla a che vedere con l’indifferentismo, ne’ tanto meno con un pacifismo velleitario, ma che pretende anzi la combinazione tra forza di interposizione e tribunali sovranazionali, cioè precisamente di quegli strumenti faticosamente costruiti come reazione all’orrore nazi-fascista e poi progressivamente traditi a cominciare dagli anni ’90: a Sebrenica (salvo poi bombardare Belgrado!), a Mogadiscio, in Ruanda. 
Questo campo appare oggi sconfitto non per la debolezza delle proprie ragioni, che anzi resistono a qualunque critica, ma soltanto per una enorme disparità di accesso alle risorse finanziarie che a loro volta determinano le fortune politiche e quelle editoriali. Di questa enorme disparità è urgente preoccuparsi anche con qualche grano di creatività. 

Al presidente della Repubblica infine oltre a rivolgere un pensiero grato e riconoscente faccio anche un appello, che mi pare stia nello spirito delle sue parole: faccia presidente quello che può per proteggere la fragile traversata di un veliero partito ieri dalle coste italiane e precisamente dal porto di Catania alla volta di Gaza, carico di aiuti e soprattutto di speranza. 
Le immagini di questa imbarcazione, sulla quale è salita anche Greta Tumberg, fanno quasi tenerezza se confrontate con la potenza di fuoco di chi oggi ha il “gioco grande del potere” nelle mani, altre esperienze simili sono state annientate negli anni (l’ultima aggressione preventiva è stata il primo maggio: l’attacco è stato compiuto in territorio europeo, la nave che si preparava a salpare era all’ancora nel porto di Malta). 
Presidente, custodisca quella nave, ha imbarcato pure la nostra Costituzione.
(fonte: Articolo 21, scritto da Davide Mattiello 02/06/2025)

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La Freedom Flotilla Coalition ha varato una nave civile che sta navigando verso Gaza

 
(Foto di https://freedomflotilla.org/)

Catania, Sicilia, Italia

Ieri alle 16:00 GMT+2 la Freedom Flotilla Coalition (FFC) ha varato la Madleen, una nave civile che sta navigando verso Gaza e che trasporta aiuti umanitari e difensori internazionali dei diritti umani, in aperta sfida al blocco illegale e genocida di Israele.

Prendendo il nome dalla prima e unica pescatrice di Gaza nel 2014, Madleen simboleggia l’inflessibile spirito di resilienza palestinese e la crescente resistenza globale all’uso di punizioni collettive e alle politiche deliberate di fame da parte di Israele.

Il suo varo avviene appena un mese dopo che i droni israeliani hanno bombardato Conscience, un’altra nave umanitaria della Freedom Flotilla, in acque internazionali al largo di Malta, a sottolineare sia l’urgenza che la pericolosità di questa missione per rompere l’assedio di Gaza.

A bordo ci sono volontari provenienti da diversi paesi, tra cui la parlamentare europea Rima Hassan e l’attivista per la giustizia climatica Greta Thunberg.

La nave trasporta rifornimenti urgenti per la popolazione di Gaza, tra cui latte in polvere, farina, riso, pannolini, assorbenti femminili, kit per la desalinizzazione dell’acqua, forniture mediche, stampelle e protesi per bambini.

Quindici anni fa, Israele ha condotto un attacco illegale e mortale alla Mavi Marmara, in cui dieci volontari umanitari sono stati uccisi mentre cercavano di consegnare aiuti a Gaza. Questa missione è la continuazione di quell’eredità: il rifiuto di arrendersi al silenzio, alla paura o alla complicità. L’assedio di Gaza è mantenuto non solo dalla potenza di fuoco israeliana, ma dall’inazione globale. Nonostante i rischi, crediamo che la resistenza civile diretta sia ancora importante, che la solidarietà attiva possa cambiare la bussola morale del mondo. Ecco perché Madleen salpa.

La Freedom Flotilla Coalition sottolinea che questo è un atto pacifico di resistenza civile. Tutti i volontari e l’equipaggio a bordo della Madleen sono addestrati alla nonviolenza. Navigano disarmati, uniti dalla convinzione comune che i palestinesi meritino gli stessi diritti, libertà e dignità di tutti gli altri.

La Freedom Flotilla Coalition invita:
  • I governi devono garantire un passaggio sicuro per Madleen e tutte le imbarcazioni umanitarie
  • I media devono riferire su questa missione con accuratezza e integrità
  • Le persone di coscienza ovunque rifiutino il silenzio e agiscano per Gaza
  • Non ci lasceremo scoraggiare. Non ci lasceremo mettere a tacere.

Voci dalla Madleen

“Sono a bordo della Madleen perché il silenzio non è neutralità, è complicità. Il popolo palestinese a Gaza viene affamato e massacrato, e il mondo guarda. Questa nave non trasporta solo aiuti, ma una richiesta: porre fine al blocco. Porre fine al genocidio.” — Rima Hassan

“Stiamo assistendo alla sistematica carestia di 2 milioni di persone. Il mondo non può restare in silenzio a guardare. Ognuno di noi ha l’obbligo morale di fare tutto il possibile per lottare per una Palestina libera.” — Greta Thunberg
(fonte: Pressenza 02.06.25)


GIUBILEO DELLE FAMIGLIE - Leone XIV: la famiglia, forza di unità nelle società disgregate - Omelia e Regina Caeli 01/06/2025 (commento/sintesi, foto, testi e video)

GIUBILEO DELLE FAMIGLIE, DEI NONNI E DEGLI ANZIANI

Piazza San Pietro
VII Domenica di Pasqua - Domenica, 1° giugno 2025


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Leone XIV: la famiglia, forza di unità nelle società disgregate

Il Papa celebra il Giubileo delle famiglie, dei bambini, dei nonni e degli anziani richiamando a quell’”unione universale” che è "segno di pace" e di "futuro dei popoli": l'umanità a volte viene tradita, "ad esempio, ogni volta che s’invoca la libertà non per donare la vita, bensì per toglierla, non per soccorrere, ma per offendere"

Papa Leone con una coppia e i loro figli, durante la Messa per il Giubileo delle Famiglie, dei Bambini, dei Nonni e degli Anziani

Sono le famiglie che generano “il futuro dei popoli”, perché sono loro che possono essere “segno di pace per tutti, nella società e nel mondo”. Papa Leone XIV accoglie con queste parole le famiglie, genitori, bambini, nonni e anziani, 70milapersone che, sin dalle prime ore del mattino, lo aspettano in piazza San Pietro, generazioni diverse, arrivate da tutto il mondo per vivere in unità il Giubileo a loro dedicato. Alle famiglie, il Pontefice affida il prezioso mandato del Vangelo odierno: vivere in una “unione universale” attraverso la quale realizzare una comunione fondata sull’amore. Una comunione che Leone manifesta nell’abbraccio ai fedeli durante il suo giro di piazza in papamobile, quando benedice, accarezza e bacia i bambini, che i genitori gli porgono. Tutti hanno “ricevuto la vita prima di volerla”, dice il Papa, e loro, i più piccoli, hanno bisogno dell’aiuto di altri, perché da solo nessuno può farcela, perché viviamo “grazie a una relazione, cioè a un legame libero e liberante di umanità e di cura vicendevole”.

È vero, a volte questa umanità viene tradita. Ad esempio, ogni volta che s’invoca la libertà non per donare la vita, bensì per toglierla, non per soccorrere, ma per offendere.

Le famiglie generano il futuro dei popoli

Anche davanti al male, la preghiera di Dio per gli esseri umani diviene “annuncio di perdono e di riconciliazione”, dando così senso all’amore vissuto in famiglia, ciò che quindi, indica Leone, fa divenire tutti, “diversi, eppure uno, tanti, eppure uno, sempre, in ogni circostanza e in ogni età della vita”.

Carissimi, se ci amiamo così, sul fondamento di Cristo, che è «l’alfa e l’omega», «il principio e la fine» (cfr Ap 22,13), saremo segno di pace per tutti, nella società e nel mondo. E non dimentichiamo: dalle famiglie viene generato il futuro dei popoli.

Il saluto di Leone XIV alla folla in papamobile prima della Messa (@Vatican Media)

La testimonianza degli sposi santi e beati

Leone ricorda poi i nomi di coloro che, insieme, in quanto coppie di sposi, sono stati beatificati o canonizzati: Louis e Zélie Martin, i genitori di Santa Teresa di Gesù Bambino; i Beati Luigi e Maria Beltrame Quattrocchi; la famiglia polacca Ulma e che rappresentano un “segno che fa pensare”.

…additando come testimoni esemplari degli sposi, la Chiesa ci dice che il mondo di oggi ha bisogno dell’alleanza coniugale per conoscere e accogliere l’amore di Dio e superare, con la sua forza che unifica e riconcilia, le forze che disgregano le relazioni e le società.

Un colpo d'occhio delle decine di migliaia di persone in Piazza San Pietro (@VATICAN MEDIA)

Il matrimonio, canone del vero amore

L'esortazione del Pontefice è quindi rivolta a tutte le componenti della famiglia, a partire dai genitori, uniti dal matrimonio che "non è un ideale, ma il canone del vero amore tra l’uomo e la donna: amore totale, fedele, fecondo (cfr S. Paolo VI, Lett. Enc. Humanae vitae, 9). Mentre vi trasforma in una carne sola, questo stesso amore vi rende capaci, a immagine di Dio, di donare la vita"

Perciò vi incoraggio ad essere, per i vostri figli, esempi di coerenza, comportandovi come volete che loro si comportino, educandoli alla libertà mediante l’obbedienza, cercando sempre in essi il bene e i mezzi per accrescerlo. E voi, figli, siate grati ai vostri genitori: dire “grazie”, per il dono della vita e per tutto ciò che con esso ci viene donato ogni giorno, è il primo modo di onorare il padre e la madre (cfr Es 20,12). Infine a voi, cari nonni e anziani, raccomando di vegliare su coloro che amate, con saggezza e compassione, con l’umiltà e la pazienza che gli anni insegnano.

La famiglia trasmette la fede attraverso la vita, e per questo è “luogo privilegiato in cui incontrare Gesù, che ci vuole bene e vuole il nostro bene, sempre”, conclude Papa Leone XIV, ricordando che tutti un giorno si uniranno nella “Pasqua eterna” ai familiari che li hanno preceduti e che, in questa giornata a loro dedicata “sentiamo presenti qui, insieme a noi, in questo momento di festa”.
(fonte: Vatican News, articolo di Francesca Sabatinelli 01/06/2025)

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OMELIA DEL SANTO PADRE LEONE XIV



Il Vangelo appena proclamato ci mostra Gesù che, nell’ultima Cena, prega per noi (cfr Gv 17,20): il Verbo di Dio, fatto uomo, ormai vicino alla fine della sua vita terrena, pensa a noi, ai suoi fratelli, facendosi benedizione, supplica e lode al Padre, con la forza dello Spirito Santo. E anche noi, mentre entriamo, pieni di stupore e di fiducia, nella preghiera di Gesù, veniamo coinvolti dal suo stesso amore in un progetto grande, che riguarda l’intera umanità.

Cristo domanda infatti che tutti siamo «una sola cosa» (v. 21). Si tratta del bene più grande che possa essere desiderato, perché questa unione universale realizza tra le creature l’eterna comunione d’amore in cui si identifica Dio stesso, come Padre che dà la vita, Figlio che la riceve e Spirito che la condivide.

Il Signore non vuole che noi, per unirci, ci sommiamo in una massa indistinta, come un blocco anonimo, ma desidera che siamo uno: «Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola» (v. 21). L’unità, per la quale Gesù prega, è così una comunione fondata sull’amore stesso con cui Dio ama, dal quale vengono al mondo la vita e la salvezza. E come tale è prima di tutto un dono, che Gesù viene a portare. È dal suo cuore di uomo, infatti, che il Figlio di Dio si rivolge al Padre dicendo: «Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me» (v. 23).

Ascoltiamo ammirati queste parole: Gesù ci sta rivelando che Dio ci ama come ama sé stesso. Il Padre non ama noi meno di quanto ami il suo Figlio Unigenito, cioè infinitamente. Dio non ama meno, perché ama prima, ama per primo! Lo testimonia Cristo stesso quando dice al Padre: «Tu mi hai amato prima della creazione del mondo» (v. 24). Ed è proprio così: nella sua misericordia, Dio da sempre vuole stringere a sé tutti gli uomini, ed è la sua vita, donata per noi in Cristo, che ci fa uno, che ci unisce tra noi.

Ascoltare oggi questo Vangelo, durante il Giubileo delle Famiglie e dei Bambini, dei Nonni e degli Anziani, ci riempie di gioia.

Carissimi, noi abbiamo ricevuto la vita prima di volerla. Come insegnava Papa Francesco, «tutti gli uomini sono figli, ma nessuno di noi ha scelto di nascere» (Angelus, 1° gennaio 2025). Non solo. Appena nati abbiamo avuto bisogno degli altri per vivere, da soli non ce l’avremmo fatta: è qualcun altro che ci ha salvato, prendendosi cura di noi, del nostro corpo come del nostro spirito. Tutti noi viviamo, dunque, grazie a una relazione, cioè a un legame libero e liberante di umanità e di cura vicendevole.

È vero, a volte questa umanità viene tradita. Ad esempio, ogni volta che s’invoca la libertà non per donare la vita, bensì per toglierla, non per soccorrere, ma per offendere. Tuttavia, anche davanti al male, che contrappone e uccide, Gesù continua a pregare il Padre per noi, e la sua preghiera agisce come un balsamo sulle nostre ferite, diventando per tutti annuncio di perdono e di riconciliazione. Tale preghiera del Signore dà senso pieno ai momenti luminosi del nostro volerci bene, come genitori, nonni, figli e figlie. Ed è questo che vogliamo annunciare al mondo: siamo qui per essere “uno” come il Signore ci vuole “uno”, nelle nostre famiglie e là dove viviamo, lavoriamo e studiamo: diversi, eppure uno, tanti, eppure uno, sempre, in ogni circostanza e in ogni età della vita.

Carissimi, se ci amiamo così, sul fondamento di Cristo, che è «l’alfa e l’omega», «il principio e la fine» (cfr Ap 22,13), saremo segno di pace per tutti, nella società e nel mondo. E non dimentichiamo: dalle famiglie viene generato il futuro dei popoli.

Negli ultimi decenni abbiamo ricevuto un segno che dà gioia e al tempo stesso fa riflettere: mi riferisco al fatto che sono stati proclamati Beati e Santi dei coniugi, e non separatamente, ma insieme, in quanto coppie di sposi. Penso a Louis e Zélie Martin, i genitori di Santa Teresa di Gesù Bambino; come pure i Beati Luigi e Maria Beltrame Quattrocchi, la cui vita familiare si è svolta a Roma nel secolo scorso. E non dimentichiamo la famiglia polacca Ulma: genitori e bambini uniti nell’amore e nel martirio. Dicevo che si tratta di un segno che fa pensare. Sì, additando come testimoni esemplari degli sposi, la Chiesa ci dice che il mondo di oggi ha bisogno dell’alleanza coniugale per conoscere e accogliere l’amore di Dio e superare, con la sua forza che unifica e riconcilia, le forze che disgregano le relazioni e le società.

Per questo, col cuore pieno di riconoscenza e di speranza, a voi sposi dico: il matrimonio non è un ideale, ma il canone del vero amore tra l’uomo e la donna: amore totale, fedele, fecondo (cfr S. Paolo VI, Lett. Enc. Humanae vitae, 9). Mentre vi trasforma in una carne sola, questo stesso amore vi rende capaci, a immagine di Dio, di donare la vita.

Perciò vi incoraggio ad essere, per i vostri figli, esempi di coerenza, comportandovi come volete che loro si comportino, educandoli alla libertà mediante l’obbedienza, cercando sempre in essi il bene e i mezzi per accrescerlo. E voi, figli, siate grati ai vostri genitori: dire “grazie”, per il dono della vita e per tutto ciò che con esso ci viene donato ogni giorno, è il primo modo di onorare il padre e la madre (cfr Es 20,12). Infine a voi, cari nonni e anziani, raccomando di vegliare su coloro che amate, con saggezza e compassione, con l’umiltà e la pazienza che gli anni insegnano.

In famiglia, la fede si trasmette insieme alla vita, di generazione in generazione: viene condivisa come il cibo della tavola e gli affetti del cuore. Ciò la rende un luogo privilegiato in cui incontrare Gesù, che ci vuole bene e vuole il nostro bene, sempre.

E vorrei aggiungere un’ultima cosa. La preghiera del Figlio di Dio, che ci infonde speranza lungo il cammino, ci ricorda anche che un giorno saremo tutti uno unum (cfr S. Agostino, Sermo super Ps. 127): una cosa sola nell’unico Salvatore, abbracciati dall’amore eterno di Dio. Non solo noi, ma anche i papà e le mamme, le nonne e i nonni, i fratelli, le sorelle e i figli che già ci hanno preceduto nella luce della sua Pasqua eterna, e che sentiamo presenti qui, insieme a noi, in questo momento di festa.

Guarda il video dell'omelia


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REGINA CAELI
AL TERMINE DELLA MESSA


Al termine di questa Eucaristia, desidero rivolgere un caloroso saluto a tutti voi, partecipanti al Giubileo delle Famiglie, dei Bambini, dei Nonni e degli Anziani! Siete venuti da ogni parte del mondo, con delegazioni di centotrentuno Paesi.

Sono contento di accogliere tanti bambini, che ravvivano la nostra speranza! Saluto tutte le famiglie, piccole chiese domestiche, in cui il Vangelo è accolto e trasmesso. La famiglia – diceva San Giovanni Paolo II – ha origine dall’amore con cui il Creatore abbraccia il mondo creato (Lett. Gratissimam sane, 2). Che la fede, la speranza e la carità crescano sempre nelle nostre famiglie. Un saluto speciale ai nonni e agli anziani. Voi siete modello genuino di fede e ispirazione per le giovani generazioni. Grazie di essere venuti!

Estendo il mio saluto a tutti i pellegrini presenti, in particolare a quelli della Diocesi di Mondovì, in Piemonte.

Oggi in Italia e in diversi Paesi si celebra la solennità dell’Ascensione del Signore. È una festa molto bella, che ci fa guardare alla meta del nostro viaggio terreno. In questo orizzonte ricordo che ieri a Braniewo, in Polonia, sono state beatificate Cristofora Klomfass e quattordici consorelle della Congregazione di Santa Caterina Vergine e Martire, uccise nel 1945 dai soldati dell’Armata Rossa in territori dell’odierna Polonia. Nonostante il clima di odio e di terrore contro la fede cattolica, continuarono a servire gli ammalati e gli orfani. All’intercessione delle nuove Beate martiri affidiamo tutte le religiose che nel mondo si spendono generosamente per il Regno di Dio.

Ricordo anche l’odierna Giornata mondiale delle Comunicazioni Sociali e ringrazio gli operatori dei media che, curando la qualità etica dei messaggi, aiutano le famiglie nel loro compito educativo.

La Vergine Maria benedica le famiglie e le sostenga nelle loro difficoltà: penso specialmente a quelle che soffrono a causa della guerra in Medio Oriente, in Ucraina e in altre parti del mondo. La Madre di Dio ci aiuti a camminare insieme sulla via della pace.
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