José “Pepe” Mujica, un uomo comune straordinario
Morto martedì 13 maggio 2025 a 89 anni, l'ex presidente dell'Uruguay viene ricordato e raccontato con commozione e ammirazione trasversali
José Mujica nella sua fattoria alla periferia di Montevideo, Uruguay, 25 gennaio 2023 (AP Photo/Matilde Campodonico)
È stato spesso definito «il presidente più povero del mondo» perché dopo la sua elezione alla presidenza dell’Uruguay, nel 2009, continuò a vivere in una piccola casa vicino alla capitale Montevideo, continuò ad andare al lavoro con il suo Maggiolino blu del 1987 e a volare in classe economica decidendo di devolvere quasi il 90 per cento del proprio stipendio mensile in beneficenza. Ma al di là del suo stile di vita spartano furono la vita degna di un romanzo e i risultati positivi della sua presidenza ad aver reso José “Pepe” Mujica, che è morto (ieri) martedì 13 maggio 2025. In queste ore Mujica è stato ricordato e raccontato da molti. È stato detto come fosse un uomo allo stesso tempo potente e umile, visionario e popolare. Ed è stato descritto come lontano dalle ideologie perché, nonostante la sua provenienza politica, non aderì mai al socialismo del XXI secolo proclamato da Hugo Chávez in Venezuela e portato avanti da altri leader sudamericani.
Ne condivideva, in parte, il programma e la lotta antimperialista, ma non l’impostazione ideologica: «Una delle principali fonti di conoscenza è il senso comune» disse ai due giornalisti uruguaiani Andrés Danza e Ernesto Tulbovitz, autori di un libro a lui dedicato (Una oveja negra al poder, “Una pecora nera al potere”): «Il problema è quando metti l’ideologia al di sopra della realtà. La realtà ti arriva come un pugno e ti fa rotolare per terra… Io devo lottare per migliorare la vita delle persone nella realtà concreta di oggi e non farlo è immorale. Questa è la realtà. Sto lottando per degli ideali, ok; ma non posso sacrificare il benessere della gente per degli ideali».
Mujica è stato raccontato come un uomo «modesto ma coraggioso», come scrisse il settimanale britannico Economist, non attratto né affascinato dal potere. Che dimostrò, anzi, come il potere si potesse conciliare con la fedeltà alle proprie convinzioni e che il potere lo seppe usare. Bene, secondo molti, poiché quando lasciò la presidenza l’Uruguay era un paese più libero, più prospero e con meno povertà. Nonostante i suoi detrattori lo accusassero talvolta di avere uno stile troppo diretto fu proprio questa sua autenticità a renderlo gradito in modo piuttosto trasversale. Non cercò mai di agire seguendo il consenso né di accontentare tutti, impegnandosi solo a difendere ciò che riteneva giusto. Su di lui sono stati girati film e documentari (Pepe Mujica, una vita suprema di Emir Kusturica, o Compañeros, che raccontava i suoi anni di carcere, tra gli altri) e sono stati scritti moltissimi libri.
José Mujica è stato il quarantesimo presidente dell’Uruguay, un piccolo paese pioniere nella creazione dello stato sociale e la cui storia è stata oscurata da una dittatura, prima civile e poi militare, che è durata dal 1973 al 1985. Nato nel 1935, rimasto orfano di padre a otto anni e cresciuto in quella che lui stesso definì una «dignitosa povertà», Mujica fu innanzitutto un guerrigliero di sinistra che dagli anni Sessanta scelse di dedicarsi alla lotta armata con il movimento dei Tupamaros, un’organizzazione ispirata al marxismo e che si rifaceva agli obiettivi della Rivoluzione cubana. Mujica, in quegli anni, venne ferito sei volte in scontri armati e arrestato quattro. Evase di prigione due volte e trascorse in carcere un totale di circa quindici anni.

Venne imprigionato nel 1972 trascorrendo in isolamento la maggior parte del tempo, nove anni, inclusi i due in cui fu confinato in una buca scavata nella terra dove condivideva lo spazio con topi e rane. Subì torture, privazioni, malattie e in seguito confessò che la punizione peggiore fu per lui quella di essere privato dei libri. «A volte, il dolore è una cosa positiva se si è in grado di trasformarlo in qualcos’altro», dirà Mujica agli studenti dell’American University di Washington nel 2014. La prigione, proseguì in quell’occasione, «è stata brutta, ma allo stesso tempo ho ritrovato me stesso. Se mai vi dovesse succedere qualcosa, cercate di ricordare che siete forti, che potete ricominciare e che ne vale la pena». Mujica fu liberato solo nel 1985 grazie all’amnistia generale concessa dalle forze democratiche – che nel frattempo erano prevalse – a tutte le persone incarcerate dal regime.
José Mujica durante un’intervista a casa sua, l’8 giugno 1999 (AS/JP/FMS via Reuters)
Dopo aver abbandonato la lotta armata Mujica creò un partito, il Movimento di Partecipazione Popolare (MPP), che entrò a far parte della coalizione di sinistra Frente Amplio, decisiva per l’elezione alla presidenza del paese del socialista Tabaré Vázquez, nel 2005. Eletto deputato e poi senatore, tra il 2005 e il 2008 fu ministro per l’Allevamento, l’Agricoltura e la Pesca imponendo da subito uno stile politico differente e tutto suo che incuriosì i media di mezzo mondo: «Qualunque sia il proprio posizionamento politico è impossibile non rimanere impressionati o affascinati da José “Pepe” Mujica», scrisse ad esempio la BBC.
Lasciato il governo, nel 2008, si preparò per le successive elezioni presidenziali. A novembre 2009 venne eletto con quasi il 55 per cento dei voti spiegando di essere «più che completamente guarito dalle semplificazioni, dal dividere il mondo in bene e male, dal pensare in bianco e nero». Durante la campagna elettorale accettò di sostituire il pesante maglione che era solito indossare con un abito, ma rifiutò sempre la cravatta.
Da presidente, insieme alla moglie, la senatrice e compagna di lotte Lucia Topolansky, Mujica non volle vivere nella residenza riservata al suo ruolo nel centro di Montevideo e rimase nella sua piccola proprietà alla periferia della capitale, composta da una casa di meno di 50 metri quadrati e da un appezzamento di terra dove coltivava fiori, la cui rivendita era stata per lungo tempo il suo unico mezzo di sussistenza. Durante la forte ondata di freddo che colpì l’Uruguay all’inizio del suo mandato, inserì addirittura la residenza presidenziale nell’elenco delle strutture aperte a chi non aveva una casa.
Mujica accettò con riluttanza la scorta, ma rifiutò qualsiasi domestico. Rinunciò all’87 per cento del proprio stipendio trattenendo solo ciò che riteneva strettamente necessario per le spese correnti: meno di 1000 euro al mese. «È una questione di libertà», spiegò: «Se non si dispone di molti beni allora non c’è bisogno di lavorare tutta la vita come uno schiavo per mantenerli e quindi si ha più tempo per sé. Potrei sembrare un vecchio eccentrico, ma questa è solo una mia libera scelta».
Fu in ambito sociale che le riforme promosse da Mujica cambiarono l’Uruguay trasformandolo in un modello per l’intero continente. Nel 2012 spinse per la depenalizzazione dell’aborto, e fu un passo notevole per un paese nel quale fino a quel momento venivano puniti col carcere sia il medico che praticava l’aborto sia la donna che lo richiedeva. Nell’aprile del 2013 sotto la sua presidenza furono legalizzati anche i matrimoni tra persone dello stesso sesso e sempre nel 2013 venne legalizzata marijuana. «L’aborto è vecchio quanto il mondo», disse Mujica al quotidiano brasiliano O Globo, «e il matrimonio tra persone dello stesso sesso è più vecchio del mondo».
All’estero la sua fama continuò a fare notizia. Come si poteva, ha scritto ieri Libération, non amare un leader che poteva arrivare a una riunione del Consiglio dei ministri in sandali con i pantaloni arrotolati, o lasciare un incontro dicendo: “Mi dispiace, devo aiutare mia moglie a raccogliere le zucche”? Era «l’ultimo degli hippy», avrebbe poi detto di lui con ammirazione il presidente argentino di sinistra Alberto Fernández.
Mujica si dimostrò un oratore efficace e spontaneo. I suoi interventi alle Nazioni Unite o agli altri vertici internazionali contro il «dio mercato», la crescita sfrenata del capitalismo e a favore dell’ambiente vennero raccontati in tutto il mondo. La felicità era per lui un orizzonte politico: «Lo sviluppo deve essere a favore della felicità umana; dell’amore sulla Terra, delle relazioni umane», disse al vertice della Celac (Comunità stati latinoamericani e dei Caraibi) che si tenne all’Avana nel 2014.
José Mujica all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, 24 settembre 2013 (AP Photo/Pool, Justin Lane)
Negli anni della sua presidenza fu anche il più ammirato rappresentante della cosiddetta “marea rosa”, il fenomeno che nel corso degli anni Duemila portò la gran parte dei paesi di quell’area a essere governati da forze di sinistra e progressiste, dopo anni di dittature militari e governi civili conservatori. L’espressione “marea rosa” si riferiva al fatto che gli esperti avevano visto nelle vittorie elettorali della sinistra del tempo non un’ascesa del comunismo (il cui colore simbolico è il rosso), ma di forze socialiste relativamente più moderate, non ideologiche e aperte a un liberalismo progressista.
I suoi successi in campo economico, sempre bilanciati da una grande attenzione alla vita reale delle persone, furono indiscussi. Mujica cercò di promuovere il commercio, lo sviluppo e di attrarre nuovi investitori stranieri, soprattutto nel settore minerario («Se li caccio e nazionalizzo, corro il rischio che si riducano gli investimenti e i posti di lavoro per la mia gente», raccontò). Durante la sua presidenza i salari aumentarono e la disoccupazione, tradizionalmente bassa in Uruguay, si mantenne intorno al 6 per cento. Nei cinque anni del suo governo il salario minimo aumentò del 250 per cento, l’economia uruguaiana crebbe del 3,6 per cento annuo, i progetti per le energie rinnovabili vennero finanziati e diminuì il numero di persone che vivevano in povertà. Mujica riuscì anche a disinnescare una disputa che durava da anni con l’Argentina, coltivò buoni rapporti con gli Stati Uniti e si rifiutò di modificare la Costituzione del paese per prolungare la sua presidenza.
Attribuì sempre poca importanza al fatto di essere al potere, perché per lui «si trattava solo di una circostanza», come disse. E quando lasciò la politica istituzionale, nell’ottobre del 2020, all’età di 85 anni, spiegò così la sua decisione: «A cosa serve un vecchio albero se non lascia passare la luce affinché nuovi semi possano crescere tra le sue foglie?». Ai giovani attivisti che si preparavano a raccogliere la sua eredità disse: «Non siete delle formiche o degli scarafaggi, perché avete una coscienza. Invece di inseguire un destino naturale, una tradizione o di condurre una vita senza senso, potete fare qualcosa con il mondo in cui vivete. Prendete la vita nelle vostre mani e costruite un progetto collettivo».
Nella piccola casa vicino a Montevideo, sulle sedie di plastica che stavano nel suo giardino, il pensionato Mujica continuò ad accogliere autorità, giornalisti e ammiratori da tutto il mondo continuando a condividere ciò in cui credeva: «La frenesia consumistica ci ruba la libertà, invade il posto che dovrebbe occupare l’emozione. Nella vita dobbiamo riservare del tempo per le relazioni umane, l’amore, l’amicizia, l’avventura, la solidarietà, la famiglia». Nei suoi interventi continuò a mettere sempre in guardia i giovani dai pericoli dell’alienazione sociale: «Non sprecare il tuo tempo lavorando per guadagnare soldi, avrai solo sprecato la tua vita, il tempo della tua vita, la cui unica cosa importante è viverla con gli altri. Vivi come pensi o finirai per pensare come vivi».
José Mujica accanto al suo cane, durante un’intervista con l’agenzia Reuters nella sua fattoria alla periferia di Montevideo, 25 febbraio 2015 (REUTERS/Andres Stapff)
Mujica e la moglie non ebbero dei figli perché, come spiegò lui stesso, erano entrambi troppo impegnati a cercare di fondare una nuova società: «Appartengo a una generazione che ha cercato di cambiare il mondo», disse ancora.
José “Pepe” Mujica è morto per un cancro all’esofago che gli era stato diagnosticato nell’aprile del 2024. Il suo vecchio Maggiolino gli sopravvive. Un ricco ammiratore, una volta, gli offrì un milione di dollari per averlo. Dopo aver pensato di donare la somma in beneficenza, alla fine lui rifiutò l’offerta: «Sarebbe stata un’offesa per gli amici che avevano contribuito a donarmela», raccontò. Mujica ha chiesto che le sue ceneri vengano sepolte sotto un albero del suo giardino, dove si trovano anche i resti di Manuela, il suo cane a tre zampe morto all’età di ventidue anni.
(fonte: Il Post 14/05/2025)
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Un’altro Faro si è spento in America Latina.
È morto Pepe Mujica, il presidente povero grande amico di Papa Francesco
Addio al leader uruguaiano José Mujica, deceduto martedì 13 maggio a 89 anni. Proverbiale la sua amicizia con Papa Francesco che lo ha preceduto di appena tre settimane in Paradiso.
Mujica fino al 2015 è stato “il presidente più povero del mondo” per il suo modesto stile di vita, rifiutando anche la pensione da senatore. Infatti aveva rassegnato le dimissioni anche dalla carica di senatore, che rivestiva da quando il suo mandato quinquennale come presidente era giunto al termine. A 83 anni aveva ufficializzato le dimissioni in una lettera al capo del Senato, Lucía Topolansky, che è anche vicepresidente dell’Uruguay, nonché sua moglie da tredici anni.
Come si legge sul sito della BBC, “i motivi delle dimissioni erano stati personali: li chiamerei, disse, ‘stanchezza dopo un lungo viaggio’. Tuttavia, mentre la mia mente lavora, non posso dimettermi dalla solidarietà e dalla battaglia delle idee”. Noto per il suo linguaggio diretto e talvolta colorito, Mujica si è scusato per questo con “tutti i colleghi che potrei aver personalmente ferito nella foga del dibattito”.
Il mondo piange oggi dunque la scomparsa di un leader rivoluzionario tanto umile quanto carismatico, che con Chavez e Fidel Castro ha lasciato un segno indelebile nella politica internazionale, incarnando un modello di leadership alternativo, basato sulla giustizia sociale e l’amore per il popolo a cominciare dai nativi americani.
Mujica ha conquistato il cuore di milioni di persone con il suo stile di vita semplice e la sua profonda umanità. Durante il suo mandato, dal 2010 al 2015, ha rinunciato alla residenza presidenziale per continuare a vivere nella sua modesta fattoria, devolvendo gran parte del suo stipendio in beneficenza.
La sua politica si è concentrata sulla riduzione delle disuguaglianze, sulla promozione dei diritti umani e sulla tutela dell’ambiente. Mujica ha legalizzato l’aborto e la marijuana, posizionando l’Uruguay all’avanguardia in materia di diritti civili. Ha inoltre promosso politiche di inclusione sociale e di sviluppo sostenibile, con un’attenzione particolare all’agricoltura e alla difesa delle risorse naturali.
La sua voce, sempre pacata e riflessiva, ha risuonato nei consessi internazionali, invitando i leader mondiali a riflettere sul modello di sviluppo dominante e a perseguire una maggiore equità globale. Mujica ha criticato il consumismo sfrenato e l’ossessione per la crescita economica, sottolineando l’importanza di valori come la solidarietà, la cooperazione e il rispetto per la natura.
La sua storia personale è un esempio di resilienza e di impegno politico. Mujica è stato un guerrigliero dei Tupamaros, trascorrendo 14 anni in prigione durante la dittatura militare in Uruguay. Dopo il ritorno alla democrazia, ha intrapreso la carriera politica, diventando senatore e poi presidente.
La sua eredità va oltre i risultati politici. Mujica ha ispirato milioni di persone con la sua coerenza, la sua umiltà e la sua capacità di incarnare i valori che professava. La sua figura rimarrà un faro per chi crede in una politica più umana, più giusta e più vicina alla gente.
Una notte lunga 12 anni
Negli anni ’60 Pepe Mujica combatté contro la dittatura, fu imprigionato per circa 15 anni e brutalmente torturato finché l’amnistia emanata con il ritorno della democrazia in Uruguay non gli conferì finalmente la libertà, divenendo poi presidente della repubblica del suo paese dal 2010 al 2015. Una storia raccontata in un film interpretato dal sempre straordinario Antonio de la Torre e intitolato “Una notte lunga 12 anni”. “Questa è un’atrocità: sarebbe più umano fucilarli”, replica il medico del carcere nel film che da oggi è distribuito in 44 sale in tutta Italia. Il film racconta la storia della difficile transizione democratica dell’Uruguay e di tre uomini, tre guerriglieri Tupamaros, prelevati dal regime un giorno nel settembre del 1973 e destinati a “chiudere gli occhi” nelle patrie galere fino al 1985.
La frase che sussurra quel medico in penombra dà il senso dell’intera – bellissima – opera che descrive le condizioni disumane con cui vengono trattati i tre carcerati che, per fortuna, non vengono giustiziati anche se devono subire angherie di ogni tipo. Non è un film facile, né per deboli di cuore questa opera del giovane regista Alvaro Brechner che durante la presentazione alla stampa ha raccontato “di non aver voluto fare un’opera sulla storia della dittatura” bensì “la vita di tre uomini idealisti che sognavano di cambiare il mondo e, in modo particolare, il loro Paese”.
Un’amicizia al di là dei protocolli: l’incontro umano tra Pepe Mujica e Papa Francesco
Il mondo ha salutato con commozione la scomparsa di José “Pepe” Mujica, un uomo che ha saputo incarnare una leadership umile e profondamente umana. Tra i tanti legami significativi che hanno costellato la sua vita, spicca l’amicizia sincera e profonda con Papa Francesco, un rapporto che ha saputo trascendere le differenze ideologiche e di ruolo, fondandosi su una comune visione di giustizia sociale e di attenzione verso gli ultimi.
L’incontro tra il “presidente più povero del mondo” e il pontefice argentino ha rappresentato un evento emblematico, un dialogo tra due figure che, pur provenendo da contesti e percorsi differenti, condividevano una profonda preoccupazione per le sorti dell’umanità e un’attenzione particolare verso i marginalizzati. La loro amicizia non è nata da calcoli politici o convenienze diplomatiche, ma da un’autentica sintonia umana, nutrita da valori condivisi e da un reciproco rispetto.
(fonte: Faro di Roma, articolo di Irina Smirnova 13/05/2025)
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Pepe Mujica, una vita coerente e piena di senso
(Foto di Juliana Barbosa, MST-PR)
Una vita coerente. Una vita con il chiaro scopo di migliorare le condizioni di vita del popolo uruguaiano. Una vita con un significato profondo. Grazie per la tua vita, caro Pepe. Vola alto, Pepe Mujica”. Queste le parole del cileno Tomás Hirsch, deputato di Acción Humanista, nel salutare la partenza dell’ex presidente uruguaiano verso l’eternità.
Membro del movimento guerrigliero dei Tupamaros negli anni Sessanta, imprigionato dalla dittatura uruguaiana tra il 1972 e il 1985, poi ministro, presidente e due volte senatore dopo la sua presidenza, leggendario leader del Movimento di Partecipazione Popolare (MPP) – settore maggioritario del Frente Amplio, ora nuovamente al governo – “Pepe” ha messo tutta la sua vita al servizio del suo popolo.
Coerente con il suo approccio critico nei confronti della spinta capitalista ad accumulare beni materiali che non contribuiscono alla felicità umana, Mujica ha condotto uno stile di vita austero fino alla fine, donando il 90% del suo stipendio a istituzioni di azione sociale a beneficio di settori impoveriti e piccoli imprenditori.
Tra i principali risultati politici durante il suo mandato presidenziale, va ricordato il Piano di edilizia sociale “Juntos”, il cui obiettivo era quello di fornire alle famiglie bisognose una casa in cui vivere. La costruzione delle case ha coinvolto non solo i professionisti, ma anche le persone stesse, insieme ai loro vicini e ai volontari.
Nel giugno 2012, con una decisione da pioniere, il governo Mujica ha proposto di legalizzare e regolamentare la vendita di marijuana. Un altro progetto importante è stata la promozione dell’Università Tecnologica dell’Uruguay, un’istituzione pubblica e autonoma che offre istruzione in sei dipartimenti del Paese, consentendo agli studenti dell’interno del Paese di accedere all’istruzione universitaria.
Mujica è anche riuscito a promulgare, dopo un’accanita resistenza conservatrice, la legge sul matrimonio egualitario nel maggio 2013. Sempre sotto il suo mandato presidenziale, nel 2012 è stato depenalizzato l’aborto con la legge n. 18.987, che regola l’interruzione volontaria della gravidanza (IVE).
Strenuo oppositore della guerra, nel suo discorso alle Nazioni Unite del settembre 2013 ha affermato che il primo compito dell’umanità è “salvare la vita”.
In quel messaggio poetico e pieno di significato, ha sottolineato: “Porto il fardello dei milioni di poveri dell’America Latina, una patria comune in via di formazione. Porto con me le culture originarie schiacciate, i resti del colonialismo nelle Malvine, gli inutili blocchi di quell’alligatore sotto il sole dei Caraibi chiamato Cuba. Porto con me le conseguenze della sorveglianza elettronica che ci avvelena con la sfiducia. Porto con me un gigantesco debito sociale, con il dovere di lottare per l’Amazzonia, per una patria per tutti e perché la Colombia trovi la strada della pace. Porto con me il dovere della tolleranza. La tolleranza è necessaria per chi è diverso e non per chi è d’accordo con noi. La tolleranza è la base per vivere insieme in pace”. Mujica ha poi definito “piaghe contemporanee” l’economia sporca, il traffico di droga e la corruzione.
“Abbiamo sacrificato i vecchi dei immateriali e occupato il tempio con il dio mercato, che organizza la nostra economia, la politica, la vita e finanzia persino l’apparenza della felicità a rate. Sembra che siamo nati solo per consumare e consumare, e quando non possiamo farlo, ci sentiamo oppressi dalla frustrazione e dalla povertà”, ha aggiunto.
Ha criticato con forza il consumismo. Se l’umanità aspira a consumare come l’americano medio, ci vorrebbero tre pianeti per vivere. Gli sprechi e le speculazioni andrebbero puniti.
“Né i grandi Stati, né le multinazionali e tanto meno il sistema finanziario dovrebbero governare il mondo”. Per il presidente uruguaiano, è l’alta politica intrecciata con la scienza, “che non brama il profitto”, che dovrebbe fornire le linee guida.
Al di là delle critiche, Pepe Mujica ha concluso il suo discorso con un messaggio di speranza per la capacità dell’umanità di trasformare i deserti, di creare piante che vivono nell’acqua salata, di sradicare l’indigenza dal pianeta e di accettare il fatto che la vita è un miracolo di cui bisogna prendersi cura.
Attivo promotore dell’integrazione regionale sovrana, ha fatto parte dell’asse politico latinoamericano, accanto a Cristina Kirchner, Lula da Silva e Hugo Chávez, tra gli altri.
Nell’ambito delle Giornate Latinoamericane e Caraibiche dell’Integrazione dei Popoli, che si sono svolte a Foz de Iguazú nel febbraio 2024, alle quali ha partecipato con i suoi 88 anni, il veterano attivista ha affermato che “non c’è integrazione senza popoli che la sostengano”, tracciando una chiara rotta per gli sforzi di costruzione di una casa comune in America Latina e nei Caraibi.
Nel suo intervento nell’atto finale della Conferenza, Mujica ha illustrato interessanti esempi sulla necessità e l’utilità dell’integrazione per il miglioramento della deplorevole situazione del gruppo che siamo soliti chiamare “popolo”, anche se molti dei suoi membri, forse influenzati da false promesse individualistiche, non sempre si considerano tali.
Mujica ha proposto una prima fase con possibili questioni, difficili da respingere, che potrebbero facilitare la comprensione da parte della base sociale dei vantaggi e dei requisiti di sopravvivenza che l’integrazione continentale comporta.
“L’integrazione non è fine a se stessa e non prospera se non migliora la vita dei popoli. Inoltre, per non essere uno slogan vuoto e inutile, deve configurarsi con immagini precise, acquisire colore, forma, plasticità, suscitare passione…”.
E’ difficile descrivere in modo completo la sua personalità, a volte affabile e altre pungente nella sua franchezza, profonda e allo stesso tempo legata ai detti popolari. José Alberto “Pepe” Mujica Cordano passa alla storia come un umanista integrale.
Come ha detto durante una recente visita del Presidente cileno Boric alla sua fattoria di Rincón del Cerro, alla periferia di Montevideo: “Siamo diversi, ma sappiamo tutti che ci sono troppe persone che non hanno una possibilità nella vita. Per questo ci definiamo di sinistra, ma in realtà non siamo né di destra né di sinistra, siamo umanisti. Pensiamo a ciò che è meglio per il futuro dell’umanità. E moriremo sognando questo.”
Traduzione dallo spagnolo di Anna Polo
(fonte: Pressenza, articolo di Javier Tolcachier 14.05.25)