SOFIA GOGGIA,
QUANDO LO SPORT È VITA, NON METAFORA
Nel mondo di Sofia non ci sono spugne da gettare, non c'è posto per le recriminazioni. Nel suo argento, che vale un'enormità, una lezione di vita che va oltre lo sport
Nel mondo di Sofia non ci sono spugne, si sa mai che venga voglia una volta di gettarle. E neanche c'è spazio per i mugugni, per le scuse, per le recriminazioni. A 23 giorni dalla fine, in cui era precipitata con la caduta di Cortina; a 16 centesimi dal trionfo perfetto, lei c’è. Non doveva esserci Sofia Goggia ma c’è. Ed è un messaggio di forza d’animo vivente e strepitoso questa ragazza sorridente, autoironica, intelligente e caparbia, che a 29 anni ha già lasciato pezzi di corpo sulla neve per 15 volte, che ogni volta sembra l’incarnazione del motto della sua città, Bergamo, conosciuto in tutto il mondo da quando la provincia è diventata per prima l’epicentro dell’epidemia, allora non ancora pandemia in Europa: «Berghem, mòla mia», Bergamo, non mollare. Ecco Sofia ci è cresciuta dentro e si vede.
Dire che questo argento in discesa libera vale oro è insieme una frase fatta e una sciocchezza: non è vero perché vale di più. Vale tutto, vale il senso dell’impresa sportiva contro l’impossibile, vale il senso dell’uomo per il proprio limite. Ma vale anche, al contrario, il sorriso furbo e sghembo di Sofia che si tramuta in una smorfia di disappunto quando Corinne Suter le arriva al traguardo 16 centesimi di secondo davanti: perché se sei campione, e non c’è dubbio che Sofia lo è, non vuoi arrivare secondo mai, neanche quando non ci dovevi essere. Almeno a caldo s’è rabbuiata, Sofia, poi man mano che la mente si raffreddava, un angolo della bocca ha ritrovato a poco a poco la strada del sorriso soddisfatto. Non può non capire, Sofia che c’è passata tante volte, quanto cambi i significati la tortuosità impervia della strada per arrivare alla meta. E infatti lo sa.
Lo aveva scritto il giorno prima della discesa, in uno dei suoi post autoanalitici su Instagram, in cui raccontava il percorso di vita che l’ha portata alla partenza della discesa libera olimpica di Pechino 2022, lo stesso che ha riassunto in inglese alla cronista dell’edizione internazionale di Eurosport: «Sull’elicottero da Cortina ho pianto tantissimo, ero a terra perché non riuscivo neanche a camminare. Non credevo al medico che mi diceva che avrei potuto rimettere gli sci in 15 giorni. Ho detto al mio allenatore: “Non posso farcela”. Mi ha risposto: “E invece puoi, perché tu sai come farlo”. Non cammino ancora senza dolore (e lo si è visto nel gesto con cui ha fatto il gradino che portava al podio ndr.) ma sugli sci mi sono sentita bene. Sono orgogliosa di questo argento». Anche se qualcosa di freudiano sembra passato nella sua mente quando Sofia, che pure parla benissimo l’inglese, ha fatto ripetere tre volte la parola “argento” all’intervistatrice che le chiedeva come si sentisse con quel metallo al collo, quasi che la sua mente non fosse pronta a concepire qualcosa di diverso dall’oro.
Razionalmente, però, sa benissimo quanto ardua sia stata la sfida al limite umano, passata soprattutto attraverso il mettersi alle spalle l’istinto degli automatismi che saltano, quando per dirla come lo dice lei dopo una stagione di trionfi, subito prima dell’appuntamento più importante, prendi due «cartelle» ravvicinate da paura a 100 all’ora e da paura non è un modo di dire. Mica scontato tornare a da zero a 100 dopo. Nel tempo che non hai non devi solo ricostruire il corpo a una velocità che la fisiologia non permetterebbe, ma devi insegnare alla mente a cancellare dall’inconscio la paura istintiva di sbattere di nuovo e del dolore che ne consegue. Ed è qui che lo sport smette di diventare metafora disincarnata di vita per farsi vita vera, carne e sangue: non c’è niente di metaforico nel corpo che si spacca, nella fatica e nel dolore che bisogna attraversare per ricomporlo, fino a rimetterlo al massimo.
C’è dentro tutto questo in quel tondino d’argento, che dev’essere pesantissimo, e Sofia lo sa e lo capirà meglio nei prossimi giorni. Il pianto di gioia di Nicole Delago, terza nella stessa gara, invece non ha bisogno di elaborazioni mentre ne avrà la sportività di Elena Curtoni, perché finché non è scesa Corinne Suter sul podio c’erano tre bandiere italiane ed è certo il suo quasi legno il più difficile da metabolizzare.
Sofia un minuto dopo sta già guardando avanti, a Milano-Cortina 2026: «Sarà l’alba del mio tramonto agonistico», dice con la consueta autoronia. E dopo tutto questo si comincia a capire meglio la frase sibillina con cui aveva accolto l’esito dell’incidente nel giorno più duro: «Se questo è il piano che Dio ha pensato per me, altro non posso fare che spalancare le braccia, accoglierlo e abbracciarlo. E andare avanti». Tutto sta nell’intendersi sul senso di “accettarlo”: non certo passivamente, ma dimostrando al Signore delle cime di essere all’altezza della prova. Altro che fatalismo.
(fonte: Famiglia Cristiana, articolo di Elisa Chiari 15/02/2022)
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