"La vita è il soffio di amore da cui veniamo e verso cui siamo diretti ...
la vita è piena quando la perdiamo per gli altri."
don Matteo Zuppi,
Arcivescovo di Bologna
Messa episcopale per la Giornata del Seminario
e istituzione di Accoliti e Lettori candidati al presbiterato
7 maggio 2017, Bologna - Cattedrale
E' proprio la domenica delle vocazioni e del Seminario! E' Eucarestia, ringraziamento, chiamata di questa voce che parla a noi, oggi, che ci conosce per nome, voce di amore. E' la nostra vocazione.
"Io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza". Questo è il Vangelo! Gesù non è venuto per limitare la vita, per imporre rinunce e sacrifici. I farisei imponevano un giogo pesante sugli altri, perché preferivano i sacrifici alla misericordia, l'osservanza meticolosa alla ma svuotata però dallo spirito! Gesù è pastore buono perché vuole - e come vuole! Che la nostra "vita" non si perda e che sia piena. La "vita". La vita è un mistero che a volte facciamo fatica a capire nel profondo; la vita" è quel mistero che ci è affidato, unico, irripetibile, dono che se rendiamo possesso lo roviniamo. La vita è il soffio di amore da cui veniamo e verso cui siamo diretti. La vita desidera quello che non finisce, è quella nostalgia di Dio che essa stessa porta in sé. Quando siamo deboli (o forse dovremmo dire siamo quello che siamo, non ci rifugiamo in forze che ci ingannano o ci nascondiamo in apparenze che ci deformano), quando siamo costretti a confrontarci con l'assenza di qualcuno, quando con trepidazione contempliamo il mistero di quella che nasce o con sofferenza accompagniamo chi ci lascia entrando nella "valle oscura" della morte, siamo allora liberi da tanto superfluo e comprendiamo l'essenza della vita stessa. Spesso la cerchiamo dove non c'è; pensiamo di misurarla sullo spazio e non sul tempo, crediamo sia abbondante quando abbiamo tanto invece la vita è piena quando la perdiamo per gli altri. Gesù vuole rispondere a questa domanda di "vita". Ci fa conoscere la sua voce perché diventi familiare e possiamo riconoscere chi ama da chi, invece, la disperde. Ci vuole suoi per amore, non dimentichiamolo! I discepoli di Gesù, cioè i suoi amici, non sono uomini che disprezzano la vita e quindi possono occuparsi degli altri! La trovano proprio "occupandosi" degli altri, facendosi carico, amando. Proprio perché amano la vita non la vogliono sciupare nel modo più banale ed apparentemente inoffensivo: vivere per se stessi. Ascoltando e seguendo Gesù impariamo a riconoscere il prossimo e ad esserlo noi per chiunque, in particolare chi soffre; ad amare i nemici; a riconoscere il mistero che è nascosto nel cuore di ognuno; a superare il limite stesso della vita con un amore che non finisce.
Quando ci lasciamo toccare il cuore, quando smettiamo di credere che possiamo rimandare sempre, anche noi, come gli abitanti di Gerusalemme dopo avere ascoltato Pietro non ci vergogniamo di chiedere: "Che cosa dobbiamo fare?". Pietro invita: "Salvatevi da questa generazione perversa". Non vuol dire costruirsi un mondo a parte, un paradiso protetto, pensare che il male venga da fuori, giudicare con disprezzo. Quello lo facciamo già e in genere finiamo per crederci giusti e per riempirci noi di paure e per rendere antipatico il Vangelo! Salvarsi vuol dire essere protetti dal nemico della vita, che è il male. Salvarsi vuol dire essere uomini del pastore buono, amare il suo gregge e aiutare il Signore a raccoglierlo.
Oggi preghiamo per il nostro seminario e preghiamo per le vocazioni. Le ricordiamo tutte e preghiamo perché nessuno sia senza vocazione, cioè viva per se stesso, non senta la voce che parla a lui. Preghiamo in particolare per le vocazioni al sacerdozio. Queste verranno se tutti sentiamo la sua voce e se tutti rispondiamo: "Che cosa dobbiamo fare", cioè cerchiamo la nostra vocazione. E se io rispondo aiuto misteriosamente anche altri a farlo! E' la circolarità dei doni, non dobbiamo mai dimenticarlo! Essi conoscono la sua voce. La riconoscono. Il seminarista ha un'amicizia personale con il Signore Gesù, non per sentito dire, non per abitudine, tanto meno per ruolo. E questa cambia la nostra umanità. Ha detto Papa Francesco: "La formazione intellettuale non tende ad essere il semplice apprendimento di nozioni per diventare eruditi — voi non siete un dizionario! — ma vuole favorire l'acquisizione di strumenti sempre più raffinati per una lettura critica della realtà, a partire da sé stessi. Tutto il cammino vocazionale, come per Simon Pietro e i primi discepoli, ruota attorno ad un dialogo d'amore, d'amicizia, in cui, mentre noi riconosciamo in Gesù il Messia, il Signore della nostra vita, Lui ci dona il nome "nuovo", che racchiude la nostra vocazione, indica la nostra missione, che il Padre conosce e custodisce da sempre. Il Seminario è questa formazione di amore, che davvero non finisce mai. La Chiesa ha bisogno di sacerdoti fiduciosi e sereni per aver scoperto il vero tesoro, ansiosi di andare a farlo conoscere con gioia a tutti! Gesù è il buon pastore e noi possiamo aiutarlo. Tutto il nostro servizio, tutti i nostri servizi sono anzitutto camminare dietro a Lui, perché il Signore non ci lascia senza indicazioni, non permette che diventiamo come pecore stanche e sfinite proprio perché non sanno chi seguire. Lui è pastore buono e cammina avanti, prepara il terreno, verifica, aspetta. E noi dietro. Ogni nostro ministero nasce da Lui ed è per il gregge, al quale appartengono anche tante altre pecore che non sono di questo ovile e che dobbiamo aiutare il pastore a cercare, cioè a radunare.
Oggi sarete Lettore e Accoliti. Chi proclama la Parola e la cura deve per prima cosa leggerla, masticarla, averla prima nel cuore e poi sulla bocca. Accoliti. Apparecchiate questa mensa, dove sarà deposto il Corpo del Signore, la presenza di Dio, quel pane che nutre per la vita eterna. Non è una definizione, è una presenza. Apparecchiate la mensa anche con la fraternità, con l'accoglienza attenta, fraterna, empatica, al gregge, che vuol dire a tutti e a ciascuno. Curate la bellezza non esteriore della celebrazione. Non siamo per l'apparenza, ma per i segni; non per la freddezza, ma per la bellezza tutta umana della sua tavola; solenne e familiare. Fate tutto per il suo gregge, perché siamo suoi e vogliamo che la sua voce parli oggi, trafigga il cure di tanti, apra gli occhi, renda la vita bella, abbondante per tutti.
Gesù vuole che nessuno si perda. Nessuno. Questo sì, solo questo ci deve inquietare. Altre che le liti di campanile che tanto ci appassionano, i confronti tra noi o le sterili ma appassionanti discussioni su chi è il più grande. Gesù ama il gregge. Ce lo affida. Gesù le pecore "le conosce una per una", non le rende uguali, ma insieme, non più sole. Lui è la porta del gregge. Bisogna passare per lui, presentarci come siamo, senza diffidenza, senza paura di essere amati. La porta diventa stretta per chi è pieno di sé, per chi giudica sempre e pensa che la colpa è degli altri, per chi è attaccato alle sue ricchezze e vuole portarsele con sé perché altrimenti ha paura. La porta è grande, spaziosa, accogliente per i peccatori, per chi è solo e cerca cuore, per chi ha bisogno di perdono, per chi è ferito dai ladri e briganti (uomini che rubano quello che serve a loro, che giocano un po' con gli altri e poi non si fanno più vedere, che scappano quando ci sono i problemi). L'idolatria delle cose ruba la vita perché fa credere che vita la troviamo nel possedere, nel consumare, nell'affermarci e non nel regalare e nel servire. A che serve, domanda Gesù, conquistare il mondo intero se poi perdiamo la nostra anima? Ladro è il lusso, inganno che fa credere importante e bella la vita quando la rende solo più volgare e penosa, perché preziosa è soltanto la vita amata e capace di perdersi nell'amore. Come possiamo spiegare un mondo evidentemente ingiusto, segnato da disuguaglianze alle quali non possiamo mai abituarci, che ha paura della sofferenza e scambia la vita per attività; che la allunga e poi non sa accompagnarla nelle debolezza; che spende risorse sempre crescenti ed impressionanti per gli armamenti che lo possono distruggere; un mondo impaurito e violento; connesso con tutti e isolato come non mai; sicuro di potere scegliere sempre e quello che vuole ed in realtà fragilissimo, impaurito di definirsi, di legarsi; che ha tanto e non vuole perdere nulla?
Nell'amicizia verso tutti, in particolare i poveri, nell'aiutare Gesù a raccogliere chi è disperso perché niente per Lui perduto, viviamo fin da oggi la vita piena, quella del cielo, quando gli uomini saranno assieme per gustare la pienezza dell'amore.
Continuiamo con tanta insistenza a pregare il Signore perché mandi operai nella sua messe e ci dia sacerdoti innamorati del Vangelo, capaci di farsi prossimi con i fratelli ed essere, così, segno vivo dell'amore misericordioso di Dio.
"Felicità e grazia mi saranno compagne tutti i giorni della mia vita e abiterò nella casa del Signore per lunghissimi anni".
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