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martedì 30 aprile 2024

Papa Francesco a Venezia 28 aprile 2024 - Santa Messa Omelia: "Venezia, terra che fa fratelli." Regina Caeli: "Anche da qui vogliamo invocare l’intercessione della Vergine Maria per le tante situazioni di sofferenza nel mondo." (cronaca, foto, testo e video)

VISITA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
A VENEZIA 

Domenica, 28 aprile 2024



10:30 Al termine del discorso, accompagnato da una delegazione di giovani, il Santo Padre attraversa il ponte di barche che collega con Piazza San Marco.
All’imbocco di Piazza San Marco il Santo Padre è accolto da: 
-On. Luca Zaia, Presidente della Regione Veneto
-Dott. Darco Pellos, Prefetto di Venezia
-Dott. Luigi Brugnaro, Sindaco di Venezia
11:00 Piazza San Marco:
CELEBRAZIONE DELLA SANTA MESSA
Omelia del Santo Padre
Regina caeli
Al termine della Santa Messa, ringraziamento di S.E. Mons. Francesco Moraglia, Patriarca di Venezia.
12:30 Terminata la Celebrazione Eucaristica, il Santo Padre entra in forma privata nella Basilica di San Marco per venerare le Reliquie del Santo; quindi sale sulla motovedetta e raggiunge l’eliporto del Collegio Navale “F. Morosini” a Sant’Elena.
Il Santo Padre si congeda dalle Autorità civili e religiose che Lo hanno accolto.
13:00 Decollo da Venezia
14:30 Atterraggio all’eliporto del Vaticano

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Francesco: Venezia sia segno di inclusione, cura del Creato e bellezza accessibile a tutti

Il Papa celebra la Messa in Piazza San Marco a conclusione della visita nella città lagunare. Circa 10.500 fedeli presenti. Nell’omelia l’invito ai cristiani a portare frutti di giustizia e solidarietà e “scelte di attenzione” per la salvaguardia del patrimonio ambientale e di quello umano: “Comunità, quartieri, città, diventino luoghi ospitali, accoglienti, inclusivi”. Dal Pontefice il monito: "Senza cura e salvaguardia dello scenario naturale, Venezia potrebbe cessare di esistere"

Il Papa durante la Messa in Piazza San Marco a Venezia

“Gesù è venuto a portare agli uomini la vita eterna… Essa è un’acqua fresca, che egli dà, una fonte sempre zampillante”. La metafora dell’acqua, sulla quale Venezia sorge, e le parole di Albino Luciani, che di Venezia fu patriarca per circa un decennio. Si richiama a due simboli della città lagunare, Papa Francesco, nell’omelia della Messa celebrata in Piazza San Marco che conclude la visita di oggi, domenica 28 aprile, in questa città tra le più affascinanti d’Italia e del mondo della quale il Pontefice elenca “le problematiche che la minacciano” - cambiamenti climatici, fragilità di costruzioni e beni culturali, gestione del turismo, relazioni sociali sfilacciate – e alla quale lascia un preciso mandato:

Essere segno di bellezza accessibile a tutti, a partire dagli ultimi, segno di fraternità e di cura per la nostra casa comune

Il Papa in jeep in Piazza San Marco

L'arrivo con i giovani sul ponte e il giro in papamobile

Sono circa 10.500 i fedeli presenti alla celebrazione del Papa nel quadrante architettonico, già luogo di concerti e manifestazioni, di fronte alla maestosa basilica che conserva le reliquie del patrono. Quelle a cui Francesco rende omaggio privatamente subito dopo la liturgia per un intimo momento di preghiera prima del congedo dalla città. Nella piazza il Pontefice giunge dopo aver attraversato in papamobile il ponte galleggiante da Santa Maria della Salute, seguito da un gruppo di ragazzi e ragazze in rappresentanza dei 1.500 giovani del Triveneto salutati poco prima fuori dalla Basilica. Lo accompagnano cantando canti della Gmg o con cori di "W il Papa" e "Francesco uno di noi!".

Jorge Mario Bergoglio compie per due volte il giro tra i fedeli assiepati tra i colonnati del Palazzo Ducale e gli spazi riservati ai bar storici, con i camerieri in fila in divisa che agitano le mani. Poi sale sul palco dove è sistemata l'icona della Madonna della Salute che da settant'anni non era esposta al pubblico. Sulla sinistra, un pannello ricorda il motto scelto per la visita: “Rimanere nell’amore di Cristo”. Un versetto biblico ispirato alla pagina del Vangelo di Giovanni del tralcio e della vite, da cui il Papa snoda la sua omelia. “Gesù è la vite, noi siamo i tralci”, dice Francesco. Cristo “ci raccomanda di custodire il dono inestimabile che è il legame con Lui, da cui dipende la nostra vita e la nostra fecondità”.

Francesco attraversa il ponte da Santa Maria della Salute a San Marco

Rami secchi senza il legame col Signore

Ma la metafora della vite, mentre esprime “la cura amorevole di Dio per noi”, d’altra parte “ci mette in guardia”

Se spezziamo questo legame con il Signore, non possiamo generare frutti di vita buona e noi stessi rischiamo di diventare rami secchi. È brutto, questo, diventare rami secchi, quei rami, che vengono gettati via

Senza cura e salvaguardia, Venezia rischia di cessare di esistere

Sullo sfondo di questa immagine usata da Gesù, il Papa rammenta la lunga storia che lega Venezia al “lavoro delle vigne”, alla “produzione del vino”, alla “cura di tanti viticoltori” e ai “numerosi vigneti” nelle isole della Laguna e nei giardini tra le calli. Dentro questa memoria non è difficile cogliere il messaggio della parabola, sottolinea: il Signore “moltiplica la nostra gioia” e “fa nascere germogli anche quando il terreno della nostra vita diventa arido. E tante volte il nostro cuore diventa arido…”. Ma la metafora di Cristo può essere letta anche pensando a Venezia, “città costruita sulle acque, e riconosciuta per questa sua unicità come uno dei luoghi più suggestivi al mondo”.

Venezia è un tutt’uno con le acque su cui sorge, e senza la cura e la salvaguardia di questo scenario naturale potrebbe perfino cessare di esistere

Numerose problematiche

Così è pure la nostra vita: in noi scorre “la linfa” dell’amore di Dio, senza questo diventiamo “rami secchi, che non portano frutto”. Perciò quello che conta, rimarca il Papa, è “rimanere nel Signore”, inteso non come “qualcosa di statico” ma come invito a “metterci in movimento” dietro a Lui, a "crescere, crescere", a “lasciarci provocare dal suo Vangelo e diventare testimoni del suo amore”.

L’amore è “il frutto” che i cristiani sono chiamati a portare nella vita, nelle relazioni, nella società, nel lavoro. “Se oggi guardiamo a questa città di Venezia, ammiriamo la sua incantevole bellezza, ma siamo anche preoccupati per le tante problematiche che la minacciano”, dice il Papa, elencandone una ad una:

I cambiamenti climatici, che hanno un impatto sulle acque della Laguna e sul territorio; la fragilità delle costruzioni, dei beni culturali, ma anche quella delle persone; la difficoltà di creare un ambiente che sia a misura d’uomo attraverso un’adeguata gestione del turismo; e inoltre tutto ciò che queste realtà rischiano di generare in termini di relazioni sociali sfilacciate, di individualismo e solitudine

Piazza San Marco durante la Messa del Papa

Frutti di pace e solidarietà

In questo scenario, solo restando uniti a Cristo si possono portare “frutti di giustizia e di pace, frutti di solidarietà e di cura vicendevole”; si può optare per “scelte di attenzione per la salvaguardia del patrimonio ambientale ma anche di quello umano”: "Non dimentichiamo il patrimonio umano, la grande umanità nostra, quella che ha preso Dio per camminare con noi", scandisce a braccio Papa Francesco. “Abbiamo bisogno – evidenzia - che le nostre comunità cristiane, i nostri quartieri, le città, diventino luoghi ospitali, accoglienti, inclusivi”.
Artisti capaci di diffondere l'amore

Un augurio a tutti i veneziani conclude l’omelia del Papa, quello di “respirare il clima della Biennale, che raccoglie, esplora e diffonde la multiforme ricchezza delle arti”.

Anche il Vangelo trasformando e modellando la nostra vita, ci vuole rendere artisti capaci di diffondere ovunque i frutti dell’amore e della gioia

La celebrazione di Papa Francesco

La venerazione delle reliquie di San Marco

Al termine della celebrazione, Francesco si è recato all'interno della Basilica per un momento privato di venerazione delle reliquie di San Marco. In silenzio, il Pontefice si è fermato per qualche istante davanti all'altare che custodisce le reliquie del patrono di Venezia. Poi di nuovo nella Piazza un bagno di folla con il saluto alle suore e ai volontari, il bacio ai neonati e la benedizione a qualche fedele che riusciva ad avvicinarsi alla papamobile. Salito in motovedetta, Francesco ha fatto ritorno alla Giudecca; dallo stesso cortile del carcere è decollato l'elicottero papale, atterrato alle 14.40 in Vaticano.
(fonte: Vatican News, articolo di Salvatore Cernuzio 28/04/2024)


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OMELIA DEL SANTO PADRE  

Piazza San Marco (Venezia)


Gesù è la vite, noi siamo i tralci. E Dio, il Padre misericordioso e buono, come un agricoltore paziente ci lavora con premura perché la nostra vita sia ricolma di frutti. Per questo, Gesù ci raccomanda di custodire il dono inestimabile che è il legame con Lui, da cui dipende la nostra vita e la nostra fecondità. Egli ripete con insistenza: «Rimanete in me e io in voi. […] Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto» (Gv 15,4). Solo chi rimane unito a Gesù porta frutto. Soffermiamoci su questo.

Gesù sta per concludere la sua missione terrena. Nell’Ultima Cena con quelli che saranno i suoi apostoli, Egli consegna loro, insieme con l’Eucaristia, alcune parole-chiave. Una di esse è proprio questa: «rimanete», mantenete vivo il legame con me, restate uniti a me come i tralci alla vite. Usando questa immagine, Gesù riprende una metafora biblica che il popolo conosceva bene e che incontrava anche nella preghiera, come nel salmo che dice: «Dio degli eserciti, ritorna! / Guarda dal cielo e vedi / e visita questa vigna» (Sal 80,15). Israele è la vigna che il Signore ha piantato e di cui si è preso cura. E quando il popolo non porta i frutti d’amore che il Signore si attende, il profeta Isaia formula un atto di accusa utilizzando proprio la parabola di un agricoltore che ha dissodato la sua vigna, l’ha ripulita dai sassi, vi ha piantato viti pregiate aspettandosi che producesse vino buono, ma essa, invece, dà soltanto acini acerbi. E il profeta conclude: «Ebbene, la vigna del Signore degli eserciti / è la casa d’Israele; / gli abitanti di Giuda / sono la sua piantagione preferita. / Egli si aspettava giustizia / ed ecco spargimento di sangue, / attendeva rettitudine / ed ecco grida di oppressi» (Is 5,7). Gesù stesso, riprendendo Isaia, racconta la drammatica parabola dei vignaioli omicidi, mettendo in risalto il contrasto tra il lavoro paziente di Dio e il rifiuto del suo popolo (cfr Mt 21,33-44).

Dunque, la metafora della vite, mentre esprime la cura amorevole di Dio per noi, d’altra parte ci mette in guardia, perché, se spezziamo questo legame con il Signore, non possiamo generare frutti di vita buona e noi stessi rischiamo di diventare rami secchi. È brutto, questo, diventare rami secchi, quei rami che vengono gettati via.

Fratelli e sorelle, sullo sfondo dell’immagine usata da Gesù, penso anche alla lunga storia che lega Venezia al lavoro delle vigne e alla produzione del vino, alla cura di tanti viticoltori e ai numerosi vigneti sorti nelle isole della Laguna e nei giardini tra le calli della città, e a quelli che impegnavano i monaci a produrre vino per le loro comunità. Dentro questa memoria, non è difficile cogliere il messaggio della parabola della vite e dei tralci: la fede in Gesù, il legame con Lui non imprigiona la nostra libertà ma, al contrario, ci apre ad accogliere la linfa dell’amore di Dio, il quale moltiplica la nostra gioia, si prende cura di noi con la premura di un bravo vignaiolo e fa nascere germogli anche quando il terreno della nostra vita diventa arido. E tante volte il nostro cuore diventa arido.

Ma la metafora uscita dal cuore di Gesù può essere letta anche pensando a questa città costruita sulle acque, e riconosciuta per questa sua unicità come uno dei luoghi più suggestivi al mondo. Venezia è un tutt’uno con le acque su cui sorge, e senza la cura e la salvaguardia di questo scenario naturale potrebbe perfino cessare di esistere. Così è pure la nostra vita: anche noi, immersi da sempre nelle sorgenti dell’amore di Dio, siamo stati rigenerati nel Battesimo, siamo rinati a vita nuova dall’acqua e dallo Spirito Santo e inseriti in Cristo come i tralci nella vite. In noi scorre la linfa di questo amore, senza il quale diventiamo rami secchi, che non portano frutto. Il Beato Giovanni Paolo I, quando era Patriarca di questa città, disse una volta che Gesù «è venuto a portare agli uomini la vita eterna […]». E continuava: «Quella vita sta in lui e da lui passa ai suoi discepoli, come la linfa sale dal tronco ai tralci della vite. Essa è un’acqua fresca, che egli dà, una fonte sempre zampillante» (A. Luciani, Venezia 1975-1976. Opera Omnia. Discorsi, scritti, articoli, vol. VII, Padova 2011, 158).

Fratelli e sorelle, questo è ciò che conta: rimanere nel Signore, dimorare in Lui. Pensiamo a questo, un minuto: rimanere nel Signore, dimorare in Lui. E questo verbo – rimanere – non va interpretato come qualcosa di statico, come se volesse dirci di stare fermi, parcheggiati nella passività; in realtà, ci invita a metterci in movimento, perché rimanere nel Signore significa crescere; sempre rimanere nel Signore significa crescere, crescere nella relazione con Lui, dialogare con Lui, accogliere la sua Parola, seguirlo sulla strada del Regno di Dio. Perciò si tratta di metterci in cammino dietro a Lui: rimanere nel Signore e camminare, metterci in cammino dietro a Lui, lasciarci provocare dal suo Vangelo e diventare testimoni del suo amore.

Per questo Gesù dice che chi rimane in Lui porta frutto. E non si tratta di un frutto qualsiasi! Il frutto dei tralci in cui scorre la linfa è l’uva, e dall’uva proviene il vino, che è un segno messianico per eccellenza. Gesù, infatti, il Messia inviato dal Padre, porta il vino dell’amore di Dio nel cuore dell’uomo e lo riempie di gioia, lo riempie di speranza.

Cari fratelli e sorelle, questo è il frutto che siamo chiamati a portare nella nostra vita, nelle nostre relazioni, nei luoghi che frequentiamo ogni giorno, nella nostra società, nel nostro lavoro. Se oggi guardiamo a questa città di Venezia, ammiriamo la sua incantevole bellezza, ma siamo anche preoccupati per le tante problematiche che la minacciano: i cambiamenti climatici, che hanno un impatto sulle acque della Laguna e sul territorio; la fragilità delle costruzioni, dei beni culturali, ma anche quella delle persone; la difficoltà di creare un ambiente che sia a misura d’uomo attraverso un’adeguata gestione del turismo; e inoltre tutto ciò che queste realtà rischiano di generare in termini di relazioni sociali sfilacciate, di individualismo e solitudine.

E noi cristiani, che siamo tralci uniti alla vite, vigna del Dio che ha cura dell’umanità e ha creato il mondo come un giardino perché noi possiamo fiorirvi e farlo fiorire, noi cristiani, come rispondiamo? Restando uniti a Cristo potremo portare i frutti del Vangelo dentro la realtà che abitiamo: frutti di giustizia e di pace, frutti di solidarietà e di cura vicendevole; scelte di attenzione per la salvaguardia del patrimonio ambientale ma anche di quello umano: non dimentichiamo il patrimonio umano, la grande umanità nostra, quella che ha preso Dio per camminare con noi; abbiamo bisogno che le nostre comunità cristiane, i nostri quartieri, le città, diventino luoghi ospitali, accoglienti, inclusivi. E Venezia, che da sempre è luogo di incontro e di scambio culturale, è chiamata ad essere segno di bellezza accessibile a tutti, a partire dagli ultimi, segno di fraternità e di cura per la nostra casa comune. Venezia, terra che fa fratelli. Grazie.

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Al termine della celebrazione eucaristica in Piazza San Marco il Patriarca di Venezia Francesco Moraglia ha rivolto queste parole di ringraziamento al Santo Padre nel momento finale della sua visita alla Città e alla Chiesa di Venezia.
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Il Pontefice ha concluso guidando la recita del Regina Caeli per poi venerare in privato nella basilica di San Marco le reliquie del santo evangelista. Quindi, in motovedetta è tornato nella Casa di reclusione femminile della Giudecca da dove, dopo essersi congedato dalle autorità civili e religiose che lo avevano accolto all’arrivo, è partito in elicottero alla volta del Vaticano, dove è atterrato alle ore 14.40.









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REGINA CAELI


Cari fratelli e sorelle!

Prima di concludere la nostra celebrazione, desidero salutare tutti voi che avete partecipato. Ringrazio di cuore il Patriarca, Francesco Moraglia, e con lui i collaboratori e i volontari. Sono grato alle Autorità civili e alle Forze dell’ordine che hanno facilitato lo svolgimento di questa visita. Grazie a tutti!

Anche da qui, come ogni domenica, vogliamo invocare l’intercessione della Vergine Maria per le tante situazioni di sofferenza nel mondo.

Penso ad Haiti, dove è in vigore lo stato di emergenza e la popolazione è disperata per il collasso del sistema sanitario, la scarsità di cibo e le violenze che spingono alla fuga. Affidiamo al Signore i lavori e le decisioni del nuovo Consiglio Presidenziale di Transizione, insediatosi giovedì scorso a Port-au-Prince, affinché, con il rinnovato sostegno della Comunità internazionale, possa condurre il Paese a raggiungere la pace e la stabilità di cui tanto ha bisogno.

Penso alla martoriata Ucraina, alla Palestina e a Israele, ai Rohingya e a tante popolazioni che soffrono a causa di guerre e violenze. Il Dio della pace illumini i cuori perché cresca in tutti la volontà di dialogo e di riconciliazione.

Cari fratelli e sorelle, grazie ancora per la vostra accoglienza! Grazie al Patriarca. Vi porto con me nella preghiera; e anche voi, per favore, non dimenticatevi di pregare per me, perché questo lavoro non è facile!

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