Enzo Bianchi
Cosa ricordo della Resistenza
La Repubblica - 22 Aprile 2024
Inequivocabili segnali d’allarme non sono mancati in questi ultimi decenni: abbiamo denunciato la barbarie incalzante, vera minaccia alla convivenza democratica, l’involgarimento dei modi e del gusto e il dilagare della mediocrità e della rozzezza che secondo Robert Musil inducono a una prassi della stupidità. Queste situazioni non sono malesseri delle persone, sono patologie della vita sociale che rappresentano un attentato alla democrazia e innanzitutto all’esercizio della libertà. Domina ormai una cultura della forza, dell’autoritarismo, l’ostentazione della prepotenza che dilaga “tra la gente”, “nel popolo”, l’autorizzazione all’odio a tal punto da impedire che questo sia il soggetto della responsabilità, capace di condurre una vita democratica. Di fatto “il popolo” viene usato e degradato a “massa di manovra” e la volontà popolare della maggioranza può propendere per un regime che fa sognare architetture politiche di forza in cui le prime ad essere offese sono le libertà.
Appartengo all’ultima generazione vivente nata durante la Resistenza e della Resistenza abbiamo solo sbiaditi ricordi, ma è viva in noi la memoria che durante la nostra crescita ci veniva ripetuto: “Prima della caduta del Fascismo non potevamo parlare, avevamo paura... Eravamo testimoni di una violenza legalizzata... C’era la censura ovunque e ora invece abbiamo la libertà!”. Non erano i racconti delle battaglie che venivano tramandati, ma questa coscienza della decisiva importanza della libertà. E come un lascito ho ricevuto l’affermazione: “La libertà non devi mai mendicarla, ma esercitarla e basta!”.
Ma ora ci domandiamo perché è avvenuta la perdita di questa memoria morale, perché non c’è stata una trasmissione di questo messaggio della libertà che è sempre apertura a cammini di liberazione, perché da sempre nella società compaiono forze che innanzitutto contrastano la libertà? Certamente la libertà richiede responsabilità da parte degli uomini e delle donne che la sentono come il primo riconoscimento della propria dignità: responsabilità del soggetto che sa affermare l’“io” per poter affermare il “noi”, contro ogni appiattimento acritico e contro ogni tentativo di manovrare le masse; responsabilità della propria unicità e irripetibilità che rifugge il conformismo e non si lascia abbagliare dal fascismo che sotto diverse forme pretende che il potere sia imposto e non riceva critiche e opposizioni.
Fuori di questa responsabilità, che non è altro che assunzione dell’umanità e della storia come “nostro compito”, c’è la demissione di fatto che o apre al regime autoritario o lascia solo spazio alla stupidità del populismo.
Dietrich Bonhoeffer, teologo luterano impiccato dai nazisti nel 1945, aveva scritto: “Per il bene la stupidità è un nemico più pericoloso della malvagità ... In determinate circostanze gli uomini vengono resi stupidi, ovvero si lasciano rendere tali ... Sì, qualsiasi ostentazione esteriore di potenza, politica o religiosa che sia, provoca l’istupidimento di una gran parte degli uomini ... La potenza dell’uno richiede la stupidità degli altri”.
All’orizzonte della nostra polis il cielo è oscuro soprattutto in Europa e non solo per le guerre in territorio europeo e attorno al Mediterraneo, ma per gli orientamenti delle masse, talmente accecate da promesse di potenza e di forza da non saper più discernere la democrazia che si nutre di libertà.
(fonte: blog dell'autore)