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venerdì 16 febbraio 2024

Festival di Sanremo: solo canzonette?

Festival di Sanremo: solo canzonette?


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Il Sanremo della noia e della playlist

Il panorama musicale della 74ª edizione del Festival della canzone italiana ha rivelato una netta preferenza per brani leggeri, con scarse incursioni nel territorio dell’impegno sociale. Spiccano pochi accenni di neo-femminismo e qualche menzione sull’immigrazione e la pace, mentre il rock si percepisce solo marginalmente. Non si può negare una certa di delusione. L'energia e l’innovazione che ci si sarebbe potuti aspettare non emergono, anzi sono confluite in un livello di proposta che è apparsa abbastanza convenzionale e uniforme

(Foto ANSA/SIR)

Non è affatto veritiero affermare che il Festival di Sanremo rifletta fedelmente la realtà del Paese, poiché, come accade spesso agli specchi, l’immagine che restituisce risulta sempre distorta almeno in parte. Eppure, nonostante ciò, da questo evento tanto seguito e simbolicamente rilevante, giungono importanti segnali per interpretare lo stato d’animo e la situazione della nostra società. Questi segnali non provengono solo dalle singole esibizioni, ma anche, e forse soprattutto, dall’insieme dell’evento di Sanremo, per ciò che comunica esplicitamente e per ciò che, invece, rimane implicito o non viene detto. In tal senso, il panorama musicale della 74ª edizione del Festival della canzone italiana ha rivelato una netta preferenza per brani leggeri, con scarse incursioni nel territorio dell’impegno sociale.Spiccano pochi accenni di neo-femminismo e qualche menzione sull’immigrazione e la pace, mentre il rock si percepisce solo marginalmente.La vittoria dei Maneskin sembra già un ricordo lontano, mentre a trionfare sono le sonorità urban, pop, trap e rap, accompagnate dalle trame sempre affascinanti delle storie d’amore, ma il più delle volte dai contorni tragici. Non si può negare una sensazione di delusione. L’energia e l’innovazione che ci si sarebbe potuti aspettare non emergono, anzi sono confluite in un livello di proposta che è apparsa abbastanza convenzionale e uniforme.

Non è mancata, poi, l’annosa questione sul sistema del voto con il suo carico di polemiche. Sanremo vive inevitabilmente di una doppia natura: democratica e demagogica. La natura democratica risiede nell’ampio coinvolgimento del pubblico e nell’opportunità offerta a numerosi artisti di esibirsi su un palcoscenico di grande risonanza internazionale (la playlist dell’Ariston su Spotify è la più ascoltata al mondo).
D’altra parte, la natura demagogica del festival emerge dal suo utilizzo spesso mirato a fini di intrattenimento di massa e di manipolazione emotiva del pubblico, privilegiando l’aspetto commerciale e promozionale rispetto a quello artistico e culturale. Inoltre, il potere delle case discografiche e dei media nell’influenzare il risultato finale del concorso può essere interpretato come un elemento che condiziona il processo decisionale a vantaggio di interessi economici piuttosto che artistici.

E qui arriviamo al nocciolo della questione: le scelte musicali. Esaminandole da vicino, si rivelano discutibili sia in termini di quantità che di qualità. Ci si chiede quale sia il senso di allargare la competizione a 30 canzoni se poi non si ha la volontà di diversificare i generi musicali, con un’offerta dominata quasi esclusivamente da sonorità urban, ritmi in quattro, ballate, rap.

Inoltre, è preoccupante notare che almeno un terzo delle 30 canzoni in gara presenta somiglianze evidenti con brani preesistenti, sollevando dubbi sulla creatività e l’originalità delle proposte presentate. Ultimo, ma non ultimo, un gruppo ristretto di 13 autori consolidati ha messo nero su bianco da due a quattro canzoni ciascuno, risultando in ben 16 delle 30 tracce in competizione con la loro firma. Un’oligarchia compositiva che solleva interrogativi sulla diversità e la genuinità delle proposte musicali presentate al festival.

Cosa non resta, dunque, di questo Festival? Indubbiamente i fischi a Geolier. Fischiare un vincitore (serata cover) è sempre deprecabile, ma diventa ancor più triste quando il bersaglio è un giovane di 23 anni che, al di fuori dell’Ariston, gode di grande popolarità e successo nelle classifiche musicali. Questi fischi, poi, sono stati accompagnati da un’ondata di commenti e sentimenti negativi sui social media, con sfumature anti-meridionali, un aspetto della vicenda che avremmo preferito non vedere.

Cosa rimane, invece?
Resta una vasta gamma di canzoni da metabolizzare, un podio giovane e variegato (Geolier secondo e Annalisa terza), Mahmood che nell’insieme resta il più international pop degli artisti italiani, il coraggio di Dargen D’Amico, l’”italiano vero” di Gahli e l’istantanea di Angelina Mango che, con un sorriso aperto, inciampa nel vestito sul finale della sua esibizione, scivola dalle scale e chiede scusa a noi (“Sono un po’ stanca”), che di questa settimana ci portiamo dietro solo il fatto di aver tirato un po’ più tardi del solito. E lei, nata per essere esattamente dov’è.
(fonte: SIR, articolo di Doriano Vincenzo De Luca 12/02/2024)

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Sanremo. Quelli che hanno avuto il coraggio di schierarsi 
contro la coalizione destra-sinistra-armaioli 


Non è agevole per un artista che, pur affermato, ha bisogno di sostegno per andare in TV, e anche per fare spettacoli e tournée spesso finanziati almeno in parte da enti pubblici, prendere una posizione chiara sui due temi di maggiore contraddizione nella politica del governo Meloni sui quali l’opposizione del PD, peraltro, ben poco si distingue: l’acritico appoggio alle due guerre in corso, Ucraina e Gaza, che l’Italia, come altri paesi NATO, alimenta con invio di armi e munizioni, e la lotta alle ONG che salvano i migranti in mare.

RaiUno non affronta volentieri questi temi, neppure nella trasmissione A Sua Immagine curata dalla Cei, figurarsi in prima serata o a Porta a Porta. Ma sul palco di Sanremo alcuni artisti hanno osato farlo.

“In questo momento dall’altra pare del Mediterraneo ci sono bambini buttati sul pavimento, perché negli ospedali non ci sono più barelle, bambini mutilati, operati a luce dei cellulari senza anestesia. Se abbiamo il coraggio di voltarci dall’altra parte usiamo quel coraggio per imporre un cessate il fuoco. Cessate il fuoco, per favore. Cessate il fuoco”, è stato l’appello di Dargen D’Amico dal palco dell’Ariston al termine della sua esibizione nella serata dei cover.

Venerdì Dargen e la BabelNova Orchestra si sono esibiti in un omaggio a Ennio Morricone con un medley, ma il cantautore ha davvero sfidato il sistema con le sue parole, che hanno raggiunto almeno 10 milioni di persone. E lo ha fatto anche con il testo della canzone in gara, dedicata ai bambini che affogano o rischiano di affogare nel Mediterraneo mentre gli organi dello stato italiano impedendo di fatto i soccorsi da parte delle ONG danno una mano alle onde che li sommergono, come è accaduto a Cutro.

“Ci sono quasi 500 milioni di bambini che vivono in zone di conflitto, altri milioni che non vedranno mai la “terra promessa”: basta sangue, basta guerre. Pace! I nostri pensieri forever”, ha detto coraggiosamente anche Eros Ramazzotti al termine della sua esibizione di mercoledì, reinterpretando il titolo di una sua famosa canzone.

Il tema del lavoro e delle morti dei lavoratori ha avuto spazio con gli artisti Stefano Massini e Paolo Jannacci, che hanno portato a Sanremo il brano intitolato “L’uomo nel lampo”. “Questo è il festival della canzone italiana e l’amore è stato declinato in tutte le sue forme possibili, ma c’è un amore di cui non si parla mai: l’amore per i diritti che ci spettano chiunque tu sia. All’Ariston voglio far risuonare davanti a tutte queste persone una parola che è dignità: viva la dignità”, ha detto Massini.

Il suo appello è stato colto anche da Amadeus, conduttore del festival: “Il lavoro è un diritto che non prevede la morte e proteggere i lavoratori è un dovere”.

Dagli artisti in gara non pochi hanno solidarizzato con Dargen D’Amico riguardo al dovere di non assistere in silenzio a tali brutalità ai danni dei bambini, e per primo lo ha fatto pubblicamente Diodato, che ha condiviso apertamente le parole espresse da Dargen.
E Ghali, nella sua canzone ha parlato della situazione in Palestina.

Un appello a fare prevalere il valore della pace su altre considerazioni è arrivato anche dal superlativo Riccardo Cocciante e anche la Bertè ha fatto un accenno se non proprio un appello per Gaza.

Il mondo degli artisti si è dimostrato insomma piuttosto umano a differenza del sistema mediatico che appare invece incline a prostrarsi al potere.
(fonte: Faro di Roma, articolo di Irina Smirnova 11/02/2024)