L’infinita pietà:
dalle Marie di Gesù all’infermiera di Cremona
di Rosanna Virgili*
Esce domani il numero di aprile di Donne Chiesa Mondo, mensile dell’Osservatore Romano: anticipiamo uno dei contributi a firma della biblista Virgili
Infermiere dell'Ospedale di Bergamo
Tutti in Italia ricordano la foto-simbolo di quell’infermiera col capo riversato su una scrivania di una corsia dell’ospedale di Cremona, spossata dalla fatica del suo servizio. L’immagine di un abbandono che fa sentire il sapore di quel “sonno del giusto” di cui canta il Salterio. Ma anche di quel “torpore” divino che il Creatore fece cadere su adam quando con esso “fabbricò” il femminile, “costruì” la donna (cf Gen 2,22). Colei cui Adamo diede il nome di Eva, perché “ella fu la madre di tutti i viventi” (Gen 3,20). La spossatezza di chi vive costantemente il travaglio dell’ineluttabilità della vita, della caparbietà di continuare a salvare i getti di primavera nei deserti degli inverni della storia. Tomba e grembo, resilienza e rinascita, ferita e finestra, dolore e resurrezione sono un tutt’uno col corpo della donna, quando la vita è minacciata. Abbiamo visto operatrici sanitarie trovare il tempo per dare tenerezze agli affamati d’aria e d’amore, nelle terapie intensive; abbiamo visto lucide scienziate a Roma isolare per prime il virus del Covid 19; abbiamo visto ragazze in prima linea farsi iniettare il vaccino come un esempio per invogliare la gente a fare altrettanto e, soprattutto, come una volontà di cominciare a combattere efficacemente un nemico della salute di tutti. Abbiamo visto e vediamo ancora sorelle, figlie, madri, amiche coll’anima smarrita e il cuore a pezzi per la distanza dai loro cari, nei momenti in cui indispensabile sarebbe l’abbraccio, il calore della vicinanza. Di essere con loro nell’atto supremo del morire che si può celebrare, soltanto, stringendo la mano a chi resterà a noi unito per sempre, legato dall’Amore, filo dorato dell’eternità.
Anche Gesù dovette morire per fame d’aria. Terribile era, infatti, la morte dei crocifissi. Spesso esposti come un deterrente agli incroci delle strade più frequentate, al tempo dei Romani, i crocifissi erano schiavi o delinquenti di grossa taglia. La loro pena doveva consistere nel massimo supplizio per un essere umano. Siccome il corpo tendeva a cedere il suo peso sui piedi, il dolore diventava insopportabile per le ferite procurate dai chiodi. Per questo il crocifisso istintivamente tendeva a sollevarsi e, dunque, a premere sui polmoni, quanto gli procurava l’asfissia. Per asfissia, per mancanza d’ossigeno morivano, per lo più, gli appesi al legno. Tanto doveva essere il tormento che i pietosi soldati provavano a sedarlo con l’aceto, vale a dire con una sorta di bevanda anestetica — quella che venne offerta anche a Gesù — o procedevano spezzando loro le gambe per favorire una morte più veloce. Alzato verso il cielo, lontano dalla terra, Gesù ebbe come compagni due malfattori, trovò calore nel ladrone buono. Sotto la Croce c’era una pietà di donne a braccia aperte per raccogliere il corpo arreso di un condannato a morte. E per restituirlo a una vita più piena, nel giorno dopo il Sabato. «Dio mio perché mi hai abbandonato?» gridò Gesù verso un Cielo supplicato e muto (Mc 15,34). Finché la fede si fece abbandono e Gesù si assopì come il bambino vinto dalla notte quando avvertì quel Dio distante come un Padre vicino: «Padre nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23,46). Nel torpore del morire è la Speranza.
E le donne? Ascoltano giù in basso, sotto la Croce, piangono, aspettano, restano e resistono, dicono “eccomi” ad abbracciare quel corpo inerme. Come il corpo del neonato e dell’amante è il corpo del morente, dato in consegna, ceduto per amore. Perduto in Amore. Le donne sanno che quel cadavere nasconde una miccia di vita, che loro stesse accenderanno. Lo farà Maria di Magdala, la mattina di Pasqua: dal suo travaglio di sgomento e di lacrime, scaverà dalla tomba vuota il Corpo del Signore Risorto. Un corpo che è nome e voce, che non si potrebbe, neppure volendo, più toccare perché forma un tutt’uno col suo! Un Corpo risorto cioè di Comunione, unito a quello della Maddalena “già e non ancora”. «Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo? (…) Chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito» (1Cor 6,15.17). Un’altra Maria lo aveva fatto prima della Maddalena, la sorella di Marta di Betania. Ella aveva consolato la solitudine di Gesù la cui morte era annunciata e prossima soltanto di una settimana. Durante la cena Maria sciupò un vaso di nardo sui piedi di Gesù, spalmandolo con una tempesta di carezze. L’economo Giuda se ne scandalizzò e fece i conti di un cinico su quel gesto: il corpo di Gesù non valeva, ormai, che il prezzo del riscatto del cadavere di uno schiavo. Trenta denari soltanto. Maria ne aveva spesi, invece, trecento, dieci volte tanto. «Perché non si è venduto questo profumo per trecento denari e non si sono dati ai poveri?» protestò il ragioniere (Gv 12,5). Non poteva capire che quell’olio non serviva a ungere un cadavere, ma consacrava il corpo di Gesù per il giorno della sua Resurrezione.
* Biblista, docente presso l’Istituto Teologico Marchigiano
(fonte: Vatican News 02/04/2021)