La storia di accoglienza della famiglia Mottola:
“Ousmane e Dembele, i nostri figli maggiori”
Sono migliaia in Italia le famiglie che hanno scelto di accogliere in casa dei rifugiati. Una esperienza in controtendenza che dimostra la possibilità di vivere insieme nell'arricchimento e nel rispetto reciproco. La famiglia Mottola, di Casal di principe, ha aperto le porte a due ragazzi del Mali.
Hanno una chat familiare che si chiama “Omegad”, acronimo che racchiude tutti i nomi di una famiglia allargata molto speciale: Ousmane, Maria Grazia, Ester, Giuseppe, Antonio e Dembele. Ousmane e Dembele vengono dal Mali e sono stati accolti in casa per due anni e mezzo dalla famiglia Mottola, a Casal di Principe (Napoli), nell’ambito del progetto di Caritas italiana “Protetto. Rifugiato a casa mia”. Il progetto si è concluso nel 2017, e in un anno ha permesso a 500 famiglie di aprire le porte della propria casa ai rifugiati e sensibilizzare almeno 1.500 persone nei territori dove hanno avuto luogo le accoglienze. Qualcosa di simile al progetto “Refugees welcome Italia”, parte del network europeo Refugees Welcome International, fondato a Berlino nel 2014 e ora attivo in 15 Paesi. Anche in questo caso i numeri sono significativi. Negli ultimi sei mesi circa 600 famiglie italiane hanno dato la disponibilità ad ospitare un rifugiato. Lo scorso anno è stato registrato boom di richieste dell’80%, in contemporanea con l’annunciata chiusura dei porti alle Ong. Esperienze in controtendenza che dimostrano l’esistenza di un’altra Italia, più nascosta, convinta delle possibilità di arricchimento reciproco tra culture e nazionalità diverse. Un modo per aiutare con gesti concreti chi è stato costretto a lasciare la propria casa a causa di conflitti, persecuzioni e povertà. E resistere al clima imperante di ostilità, diffidenza e chiusura fomentato dalla politica.
Figli grandi che spiccano il volo. Come succede in tutte le famiglie, ora Ousmane e Dembele, hanno lasciato casa per spiccare il volo da soli. Arrivati nel 2016 a casa Mottola che avevano rispettivamente 18 e 20 anni, hanno subito familiarizzato con i genitori Antonio e Maria Grazia. Imprenditore edile lui, casalinga lei. Due figli, Ester e Giuseppe, di 14 e 12 anni.
“Ousmane e Dembele ci chiamano mamma e papà”
racconta al Sir Antonio Mottola: “Si è subito instaurato un clima molto bello, un affetto profondo che ancora rimane”.
“Per noi sono i figli maggiori, che continuiamo a seguire e consigliare quando vogliono sfogarsi, quando sono in difficoltà”.
Oggi Dembele vive da solo in un appartamento in affitto ad Aversa e svolge il servizio civile all’ufficio immigrazione di Caritas Aversa. Si mantiene con piccoli lavori stagionali. Ousmane, che sognava di diventare calciatore, ha giocato per un anno con la squadra Albanova Calcio, poi ha raggiunto per alcuni mesi i parenti in Francia. Da poco è tornato a Casal di Principe, abita presso amici e ha un lavoro temporaneo presso una azienda. Nel frattempo sta prendendo la patente. “E’ come se i figli grandi, usciti di casa, avessero preso la loro strada – dice Antonio -. Siamo stati fortunati perché, grazie alla rete che si è creata intorno alla parrocchia di San Nicola di Bari, siamo riusciti ad inserirli in un contesto sociale. Loro sono bravi perché desiderano camminare con le proprie gambe. Vogliono essere autonomi, hanno una grande dignità” .
Dietro alle spalle Ousmane e Dembele hanno storie drammatiche come tanti altri rifugiati: la fuga da casa, il deserto, l’orrore dei centri libici, la traversata. Aver trovato una famiglia tutor che li ha accolti e supportati, insieme alla mobilitazione di tutta la comunità e della Caritas di Aversa, li ha aiutati ad apprendere bene l’italiano ed integrarsi nel territorio.
“Ci siamo arricchiti tantissimo con questa esperienza. Come genitori abbiamo scoperto che l’amore va al di là dei figli naturali. I nostri figli hanno acquisito una grande apertura mentale”.
Il rapporto è ancora “stupendo”, precisa papà Mottola, tant’è che nella chat familiare si scambiano affettuosità, si chiedono consigli in caso di necessità. E per le feste si riuniscono ancora insieme. Certo, il clima sociale intorno è cambiato, ammette, “ma noi cerchiamo di combattere a tutti i costi questa ondata razzista, facendo capire che siamo tutti uguali, tutti fratelli, e che vivere insieme è possibile”.
(fonte: SIR, articolo di Patrizia Caiffa del 20/06/2019)