Prolusione all'Istituto Superiore di Scienze Religiose
L’Aquila, 5 Dicembre 2011
di + Bruno Forte Arcivescovo di Chieti-Vasto
Il cuore dell’uomo ha bisogno di amare e di essere amato per vivere e per imparare a morire: è un bisogno incancellabile, tanto personale, quanto collettivo. Dagli scenari del tempo, come da quelli del cuore, si leva un’attesa di amore: ad essa ha inteso corrispondere la prima Enciclica di Benedetto XVI, intitolata Deus caritas est. Si tratta di un’attesa così grande, che tutte le esperienze che le corrispondono restano prima o poi incompiute, segnate dalla fragilità della vita, dalla caducità delle opere, dalla brevità dei giorni. Ecco perché il bisogno di un amore grande, vittorioso di ogni battaglia, si lega indissolubilmente alla speranza: in questo senso, la penuria più grande del tempo che viviamo è quella di speranza, proprio perché è quella di un amore che vinca la morte, che non risulti svenduto o effimero, come avviene nelle tante forme in cui spesso è esibito ed offerto l’amore. La penuria che ci unisce è quella di sperare in un possibile, impossibile amore, che vinca l’ingiustizia, la solitudine, l’infedeltà e la morte e risani le ferite dell’anima.
È per questo che la tentazione più forte che potrebbe proporsi di fronte agli scenari del cuore e a quelli del tempo in cui viviamo, segnato dall’angoscia dei conflitti e delle prove della natura e della storia, oltre che dall’insicurezza economica e sociale, è la disperazione: “Pensare con chiarezza e non sperare più” (Albert Camus). Se il rischio dei tempi di tranquillità e di relativa sicurezza è la presunzione - l’illusione di poter cambiare facilmente il mondo e la vita -, il rischio opposto - proprio dei tempi di prova - è di vivere la paura del domani in maniera più forte della volontà e dell’impegno di prepararlo e di plasmarlo...
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