Entrare in un carcere e non vedere l’ora di uscirne è un tutt’uno. Dietro quelle mura grigie, dietro il clangore di quei cancelli, perfino l’aria che si respira sembra più pesante. Un senso di oppressione invincibile, che le chiacchiere facilone, più da bar che politiche, sul 'buttar via le chiavi', ignorano. Il mondo diviso in chi ha sbagliato e chi no (o l’ha fatta franca). Punto. La sesta opera di misericordia corporale, «Visitare i carcerati», quasi scomparsa dall’orizzonte cristiano benpensante (si può definire così?), e lasciata ai parenti dei detenuti. A quelli, ancora, che lo fanno. In un carcere, per la seconda volta in sei anni, Benedetto XVI c’è entrato. E mentre attraversava il corridoio centrale della cappella intitolata al «Padre nostro», quello spazio riempito di applausi e mani tese, di grida di «viva il Papa» e di gente che si accalcava verso il centro, per farglisi più vicino, non sembrava tanto diverso dall’aula delle udienze, in Vaticano.
Detenuti, invece di pellegrini.
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"E' importante che le istituzioni promuovano un'attenta analisi della situazione carceraria", caratterizzata da sovraffollamento e da degrado, "in modo che i detenuti non scontino mai una 'doppia pena'; ed è importante promuovere uno sviluppo del sistema carcerario, che pur nel rispetto della giustizia, sia sempre più adeguato alle esigenze della persona umana". Così oggi Benedetto XVI, durante la visita pastorale al carcere di Rebibbia. Il Papa ha auspicato che presto possa colmarsi quell'abisso tra la realtà carceraria reale e quella pensata dalla legge, che deve "da un lato tutelare la società da eventuali minacce" e dall'altro "reintegrare chi ha sbagliato"; e ha chiarito quanto la logica di Dio ...
Proclamare la giustizia con forza, ma nel contempo curare le ferite con il balsamo della misericordia. Alla luce del Vangelo, Benedetto XVI ha riassunto in questo binomio l’appello lanciato durante la visita nel penitenziario romano di Rebibbia, per chiedere maggiore attenzione verso il mondo carcerario affinché «sia sempre più adeguato alle esigenze della persona umana, con il ricorso anche alle pene non detentive o a modalità diverse di detenzione». La «realizzazione di un sogno» ha definito questa circostanza il cappellano don Sandro Spriano, che due anni fa aveva scritto una lettera pubblica nella quale esprimeva la speranza che un giorno il Pontefice potesse recarsi a Rebibbia per rendersi personalmente conto della situazione e per offrire una parola di incoraggiamento e di speranza.
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Il Papa in visita al carcere di Rebibbia:
Accoglienza
Accoglienza
Le parole del Pontefice
Il Papa risponde alle domande dei detenuti. 1a parte
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