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lunedì 20 ottobre 2025

Vito Mancuso - Sul Vuoto

Vito Mancuso
Sul Vuoto


La Stampa 15 ottobre 2025

Il primo istintivo orizzonte dentro cui la mente comincia a pensare non è quello cognitivo con le categorie di vero e di falso; non è neppure quello etico-giuridico con le categorie di giusto e di ingiusto; è piuttosto l’orizzonte naturale con le categorie di buono e di cattivo, il medesimo che applichiamo davanti a un cibo o a un odore. Noi, prima di essere una mente che pensa e ragiona, siamo un corpo che vuole vivere, siamo vita che desidera sussistere e che per questo ha nell’istinto di conservazione la propria logica primaria …

In questa prospettiva si tratta di chiedersi se il concetto di vuoto sia buono o cattivo; non giusto o sbagliato, non vero o falso, ma buono o cattivo per la vita di ognuno di noi. In altri termini, cosa devo fare di me stesso: mi devo riempire o mi devo svuotare? Devo rendere la mia vita sempre più colma di incontri, letture, partecipazioni, impegni, relazioni, oppure al contrario devo svuotarla di tutto inseguendo l’ideale del monaco zen che guarda fisso la parete e non pensa a nulla se non al suo stesso respiro?

La mia risposta è all’insegna della via di mezzo, il criterio più saggio che conosco per navigare nel mare dell’esistenza. Auspicata dal Buddha, da Confucio e da Aristotele, la via di mezzo consiste nel cogliere i due estremi con la loro positività e la loro negatività e nel trovare il punto di equilibrio tra loro. E in questa prospettiva sostengo che non si tratta né di svuotarsi del tutto né di riempirsi del tutto, ma ora di svuotarsi e ora di riempirsi, esattamente come i nostri polmoni che si riempiono di aria e subito dopo si svuotano, per poi di nuovo ripetere le due contrapposte operazioni. Lo fanno venti-venticinquemila volte al giorno a seconda del ritmo vitale di ognuno, hanno iniziato quando siamo nati, anzi prima ancora nel ventre materno, e cesseranno nell’ultimo istante della nostra vita con l’ultimo fatidico respiro. Non c’è solo il vuoto, non c’è solo il pieno: ci sono il vuoto che si riempie e il pieno che si svuota. E quello che vale per i polmoni, vale anche per il cuore che pompa il sangue, per lo stomaco e l’intestino che metabolizzano il cibo, e non può non valere anche per la mente.

Qui tocchiamo il centro della questione spirituale perché la spiritualità ha a che fare esattamente con l’aria, come indica il termine latino spiritus che, prima di rimandare alla spiritualità, rimanda alla respirazione, proprio come il greco pneuma, l’ebraico ruah, il sanscrito atman, tutte parole che, prima di significare spirito nel senso di intelligenza immateriale e libera, significano vento. E il vento da un lato riempie, dall’altro svuota, come capita ai sentieri in questa stagione autunnale, ora riempiti di foglie secche dalle folate di vento, ora invece spazzati. Dipende. Il vento porta, il vento toglie. Si comporta proprio come il tempo, che “tutto toglie e tutto dà”, per ricordare Giordano Bruno.

Sostengo quindi che noi non siamo fatti né per il vuoto né per la pienezza assoluta di chi, tenendo in mano la Bibbia o qualunque altro libro sacro, ritenga di aver trovato la verità. No, né il vuoto del nichilismo né la pienezza del dogmatismo. Noi siamo fatti per la ricerca. E per ricercare devi essere vuoto, altrimenti non ti metti in moto; e però devi altresì aspirare a trovare e a riempirti, altrimenti neppure ti metti in ricerca.

Il che significa che vi saranno momenti nella vita in cui dovremmo svuotarci liberandoci da tutte le idee inserite da altri dentro di noi e rimanere trasparenti come un vetro: vuoti, appunto, al fine di generare qualcosa di veramente nostro, secondo quanto insegna Cartesio nel Discorso sul metodo quando scrive che a un certo punto della vita, per giungere a costruire su un fondamento tutto nostro, occorre dubitare di tutto. Cartesio oggi non è più di moda a causa della sua visione dualista del rapporto mente-corpo, ma per questa sua volontà di autodeterminazione rimane il padre del pensiero moderno e io non smetterò mai di riservargli un posto d’onore nel senato della mia mente. Tornando alla questione, vi saranno momenti della vita in cui ci dobbiamo svuotare e altri in cui ci dobbiamo riempire, perché noi non siamo fatti né per il vuoto né per il pieno ma per la relazione: per il dinamismo, il flusso, il passaggio di calore, la termodinamica instabile in cui consiste la vita (specularmente Schrödinger definisce la morte “equilibrio termodinamico”). In questa prospettiva una relazione è vera e vitale se ci fa muovere e non ci immobilizza riempiendoci completamente. Al contempo però noi siamo fatti per assumere contenuti (sotto forma di persone, volti, musiche, storie) di cui riempire la nostra interiorità. Quindi il lavoro fondamentale a livello spirituale consiste nel capire se è il momento di svuotarsi e di che cosa, oppure se è il momento di riempirsi e di che cosa per contrastare il vuoto e il deserto delle nostre giornate.

Il criterio mediante cui comprendere se ci si deve svuotare o riempire è la letizia. Insegna Spinoza: “Quanto maggiore è la letizia di cui siamo affetti, tanto maggiore è la perfezione a cui perveniamo”. Capiamo se siamo sulla via giusta della vita se dentro di noi fiorisce la gioia di vivere e la corrispettiva potenza, non nel senso di imposizione ma di risveglio di tutte le nostre potenzialità. Se invece nella situazione in cui siamo percepiamo l’impotenza, vuol dire che siamo sulla strada sbagliata e dobbiamo cambiare. Il criterio rimane sempre l’operosa letizia. Il valore di un essere umano dipende dal metodo mediante cui procede nella vita, e il criterio in base a cui comprendere che il metodo con cui si procede è quello giusto è la gioia e la potenza di vivere.

Concludo con un detto da me molto amato che devo a Karl Jaspers che lo cita all’inizio e alla fine del suo libro “La fede filosofica di fronte alla rivelazione” del 1962 attribuendolo a un anonimo medievale. In realtà l’autore non è né anonimo né medievale, perché si tratta di un intellettuale di fine Quattrocento, Martinus von Biberach, le cui ossa sono custodite nel duomo di Heilbronn. Ed è proprio sulla sua pietra tombale che è scolpito il detto citato da Jaspers: “Vengo, non so da dove. Sono, non so chi. Muoio, non so quando. Vado, non so dove. Mi stupisco di essere lieto”.

Questa frase indica alla perfezione l’esito del cammino spirituale di un essere umano alle prese con il vuoto e con il pieno dell’essere, perché Martinus giunse ad avere la mente completamente vuota delle risposte (“non so”) ma piena delle domande di cui conosceva l’importanza e la natura (l’origine, l’identità, la fine, il destino). E questa sua ricerca che l’aveva condotto a eliminare le risposte altrui e però a mantenere l’inquietudine delle domande giunse a farlo essere lieto, di quella letizia unita allo stupore che è il sigillo della vita autentica.
(fonte: sito dell'autore)