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mercoledì 4 dicembre 2024

Andrea Tornielli - “Giochi” di guerra e business di morte

Le parole di Francesco e il rapporto Sipri sull’aumento del fatturato dell’industria delle armi
 
Andrea Tornielli
 
“Giochi” di guerra e business di morte


«Voglio evidenziare l’ipocrisia di parlare di pace e giocare alla guerra. In alcuni Paesi dove si parla molto di pace, gli investimenti che rendono di più sono sulle fabbriche di armi. Questa ipocrisia ci porta sempre a un fallimento. Il fallimento della fraternità, il fallimento della pace». Le parole pronunciate da Papa Francesco lo scorso 25 novembre per celebrare il 40° anniversario del trattato di pace tra Argentina e Cile che chiuse la contesa sul canale del Beagle trovano ulteriore tragica conferma nei dati diffusi in queste ore dal Sipri (Stockholm International Peace Research Institute): l’industria delle armi continua a crescere, i ricavi sono aumentati lo scorso anno del 4,2% arrivando a 632 miliardi di dollari (+ 19% dal 2015). È purtroppo ben noto a quali altri dati sia connessa questa crescita: il numero di morti e feriti militari e civili, le città distrutte, gli sfollati, il futuro rubato a generazioni di giovani, devastazioni ambientali.

Colpisce, nelle parole del Vescovo di Roma, quel riferimento: «giocare alla guerra». Se le guerre vengono affrontate, a livello mentale, come una specie di “gioco”, sia esso politico o militare, questo è segno che si è smarrita la volontà di andare alla radice dei conflitti. È venuta meno la volontà di comprenderne le cause per cercare di porvi rimedio. È segno che si sono smarriti il valore della pace, l’importanza del dialogo e del negoziato per comporre le controversie. Inoltre, il gioco comporta abitualmente una competizione, con un vincitore e un perdente, il che va benissimo se si tratta di una partita di tennis o di scacchi. Ma se a «giocare alla guerra» sono gli Stati, ad essere contraddetti sono l’idea stessa della fratellanza umana e il diritto internazionale.

Mettendo in luce l’ipocrisia di chi vuole trarre profitto dalla guerra, noncurante delle conseguenze catastrofiche, Papa Francesco rivolge un appello pressante alle coscienze dei leader politici e a quelle di tutti. Chiede di smettere di costruire il business alle spese degli altri, alle spese della pace, e quindi alle spese dei più deboli e dell’intera umanità.

È un appello profondamente spirituale, che ha bisogno dell’intensa preghiera di tutta la Chiesa, specie in questo tempo di Avvento, per chiedere al “Principe della Pace” di ispirare pensieri, parole e soprattutto azioni che permettano di vivere la vita politica internazionale in modo serio, sapendo guardare oltre, pensando al futuro, alle nuove generazioni. Nella consapevolezza che il nostro mondo ha estremo bisogno di “onorevoli compromessi” — come quello siglato tra Argentina e Cile con la mediazione vaticana quattro decenni fa — e non dei “giochi di guerra” dei prepotenti: «Dio voglia che la Comunità internazionale faccia prevalere la forza del diritto attraverso il dialogo, perché il dialogo dev’essere l’anima della Comunità internazionale».
(fonte: L'Osservatore Romano 03/12/2024)

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martedì 3 dicembre 2024

3 dicembre Giornata internazionale delle persone con disabilità - Famiglia Avesani: “Francesco ci ha donato un amore immenso. È stata una grazia servire in lui Gesù”

3 dicembre Giornata internazionale delle persone con disabilità. 
 
Famiglia Avesani: 
“Francesco ci ha donato un amore immenso.
È stata una grazia servire in lui Gesù”

Francesco, un bimbo di 8 mesi cerebroleso al 100%, era stato abbandonato dalla madre alla nascita e ricoverato in ospedale. “Ci mettemmo in preghiera per tre giorni e notti e il Signore ha sciolto ogni nodo e paura, così che contattammo gli assistenti sociali per prendere in affido Francesco. Ottenemmo quasi subito l’autorizzazione a conoscerlo in ospedale: fu amore a prima vista, era mio figlio!”, racconta Raffaella


Aprirsi alla vita, anche dei più fragili, a quella degli “scartati” molto spesso in una società sempre più egoista, edonista e individualista. E ricevere, in cambio di un po’ d’amore, un amore a dismisura. Nella Giornata internazionale delle persone con disabilità abbiamo raccolto la testimonianza della famiglia Avesani di Verona. Il papà, Giovanni, oggi ha 72 anni ed è avvocato. Nel 1979 si è sposato con Leila e hanno avuto 5 figli: Lorenzo (1980), Zeno (1981), Maria (1984), Enrica (1987), Elena (1989), tutti sposati, che hanno portato in famiglia 15 nipoti. Nel 1993 Leila si è ammalata di tumore ed è salita in cielo nell’aprile del 1995. 
Nel 1996 Giovanni si è sposato con Raffaella, che ha ora 69 anni ed è casalinga, e sono nati 3 figli: Filippo (1997), Eleonora (1998) e Pietro (2000). 
Poi nel 2006 è arrivato Francesco, un bambino cerebroleso al 100%, abbandonato in ospedale perché nessuno lo voleva prendere né in affido, né in adozione. “La disabilità, anche la più grave, è una grazia per chi, come noi, la accoglie. Certo c’è la fatica, i ricoveri, la paura di perderli, ma c’è molto di più che si riceve in momenti bellissimi, indimenticabili”, ci dice Raffaella. “Se il mondo sapesse quanta ricchezza e felicità danno la cura di un disabile… Noi non lo sapevamo e quindi siamo stati grati a Dio per averci fatto vivere questa esperienza, che è alla portata di tutti”, commenta Giovanni.

La vostra famiglia, già benedetta dal Signore con 8 figli, ha avuto un’ulteriore svolta grazie all’Anfn, di cui fate parte. Cosa è successo nel settembre 2006? Avevate mai pensato all’affido prima?

Giovanni: Nel settembre del 2006 alla festa Anfn di Ferrara abbiamo visto Andrea Botti con in braccio un bambino di qualche mese che lui e la moglie avevano in affido. Ricordo che la cosa mi colpì, perché non avevamo mai preso in considerazione l’opportunità di prendere in affido qualche bambino. Ma non ci pensammo poi più, ritenendo di aver già dato abbastanza quanto all’apertura alla vita.

Cosa vi ha spinto a prendere in affido Francesco? Non avevate paura a prendere con voi un bimbo con queste gravissime difficoltà?

Raffaella: Con amici che avevano già adottato 2 bambini con seri problemi, oltre ai 6 figli naturali, e altri fratelli della nostra comunità parrocchiale, ci siamo uniti nella preghiera perché si trovasse una famiglia disposta ad accogliere Francesco, un bimbo di 8 mesi cerebroleso al 100% abbandonato dalla madre alla nascita e ricoverato in ospedale. Una sorella della comunità (madre adottiva di 2 bambini russi con problemi), che si era detta disposto ad accoglierlo, ci telefonò una sera dicendo di non poterlo fare perché aveva saputo quel giorno che sua madre aveva un tumore che avrebbe richiesto continua assistenza e ci chiese perché non lo prendevamo noi. Io ho avuto tardi i miei 3 figli naturali (l’ultimo Pietro a 45 anni) e avevo il terrore che mi nascesse un figlio disabile. Ma ci ritornò l’immagine di Andrea Botti. Ci mettemmo in preghiera per tre giorni e notti e il Signore ha sciolto ogni nodo e paura, così che contattammo gli assistenti sociali per prendere in affido Francesco. Ottenemmo quasi subito l’autorizzazione a conoscerlo in ospedale: fu amore a prima vista, era mio figlio!

Che possibilità aveva di vivere?

Raffaella: Francesco aveva nove mesi, era cresciuto poco, ma era bellissimo. I medici dicevano che era un “vegetale” e che sarebbe vissuto solo qualche mese.

Com’è cambiata la vita familiare con la presenza di Francesco? La vostra di genitori e quella dei vostri figli?

Giovanni: Francesco non ha portato grandi cambiamenti, se non la precarietà di non poter mai fare programmi a media o lunga scadenza per le sue precarie condizioni di salute e per i suoi improvvisi e frequenti ricoveri ospedalieri. Per noi genitori (soprattutto per Raffaella) la fatica di accudirlo e assisterlo nei molteplici ricoveri ospedalieri. Per i figli più grandi poco è cambiato perché nel giro di qualche anno si sono tutti sposati. Per i più piccoli è stato un fratellino amato e da coccolare; si sono sentiti importanti perché con loro Francesco era felice.
Si sono volentieri adattati a dover spesso rinunciare a svaghi o vacanze, perché capivano che Francesco era più importante.

Come avete accolto questo fratellino speciale?

Eleonora: Io personalmente l’ho accolto con immensa gioia! Quando mamma e papà ci hanno detto che sarebbe arrivato un altro fratellino, io ero al settimo cielo. Ricordo ancora la prima volta che siamo andati a vederlo per conoscerlo, me ne sono innamorata al primo sguardo. Dentro di me è nato un legame profondo che mi lega tuttora a lui. Era un fratellino, non importava se non era stata mamma a portarlo in grembo e non vedevo l’ora di prendermene cura, di essere la sorella maggiore. Lo sono stata per i successivi 11 anni e ho avuto l’onore di stargli accanto sino al suo ultimo respiro. 

L’amore che Francesco mi ha donato è incredibile. In poche parole, è stato tanto e ringrazio ogni giorno il Signore di aver ispirato i miei genitori ad accoglierlo in famiglia perché se non lo avessero fatto mi avrebbero privato del rapporto d’amore più speciale che io abbia mai avuto.

Avete anche adottato Francesco? Quanto è vissuto?

Raffaella: Abbiamo adottato Francesco poco prima che salisse in cielo ed è vissuto 11 anni e 5 mesi. È salito in cielo il 27 giugno del 2017, un mese dopo aver ricevuto la prima comunione. Per l’adozione, abbiamo atteso che i figli più grandi fossero usciti di casa per non sembrare di dover dare a loro un peso. Abbiamo voluto adottarlo perché era ed è nostro figlio e quando il Signore l’avesse chiamato doveva avere il cognome della famiglia alla quale apparteneva.

Come vi ha cambiati la storia con Francesco? Cosa ha lasciato alla vostra famiglia? E anche all’Anfn?

Raffaella: Come ci ha cambiato? Ci ha arricchiti. Francesco ci ha inondato d’amore.
Lui per noi era Gesù Cristo (il “Gesù portatile” come diceva Giovanni) ed era una grazia poter servire in lui Gesù.
Cosa ci ha lasciato? Subito un grande vuoto e dolore: i figli, come dicono al Sud, son pezzi di cuore. Ma poi è subentrata la certezza che, come mi disse con fermezza un sacerdote, Francesco è già tra i santi.

Questi bambini quando nascono hanno una missione importante prima di tornare al Padre: quella di convertire il cuore di coloro che li incontrano.

Credo che anche nella “vecchia guardia” (le prime famiglie iscritte) di Anfn Francesco abbia lasciato un segno forte perché ci accompagnava sempre, a parte gli ultimi anni, agli incontri, tanto che era diventata la “mascotte” dell’Associazione.

Don Filippo, l’esperienza accanto a Francesco ha inciso nella sua vocazione sacerdotale?

Don Filippo: Mi appare indubitabile il ruolo prezioso di mio fratello nella strutturazione della mia identità, poiché attraverso di lui, negli anni delicati dell’adolescenza, ho appreso profondamente il significato di donare la vita. L’essere chiamato a servirlo e accudirlo mi ha permesso, in un’ottica di fede, di contemplare in lui la presenza di Cristo Crocifisso. Non so dire se e come il nostro legame sia stato alla base della mia chiamata al sacerdozio, certamente vedo ora come la memoria della vita trascorsa assieme e la consapevolezza della sua presenza nella Chiesa Celeste siano per me un sostegno attivo e vitale nel mio ministero appena cominciato.

Mi piace pensare che, dopo averlo tenuto spesso in braccio per 11 anni, ora sia lui a portare in braccio me quando la strada si fa più faticosa.

(Foto famiglia Avesani)
(fonte: Sir, articolo di Gigliola Alfaro 03/12/2024)

Il papa e la speranza

Il papa e la speranza


Ho desiderato acquistare il volume che papa Francesco ha scritto per il Giubileo e curato da Hernàn Reyes Alcalde, per via del titolo: La speranza non delude mai. Davvero oggi l’idea di sperare può ispirare questa certezza? Il punto è stato da subito coinvolgente, e non certo perché non sappia che per la Chiesa e quindi certamente per Francesco, fede, speranza e carità siano le tre virtù teologali.

Ma allora il titolo poteva essere «la fede non delude mai», oppure «la carità non delude mai». E questi due titoli mi sarebbero apparsi più semplici, più logici, più grammaticalmente vicini al mio modo di sentire di cittadino dell’oggi. Basta guardarsi intorno, basta avvicinarsi a un qualsiasi argomento per poter sentire o temere che sperare deluderà: non altrettanto potrei immaginare della fede, o della carità.

I tempi di Dio

Dunque questo titolo mi ha obbligato a cercare di capire cosa voglia dirci Francesco alla vigilia di un Giubileo, che è messo alla prova nel suo senso profondo e nelle sue intenzioni da un paradigma vessatorio; il meccanismo economico-finanziario che nessuno oggi vuole scalfire potrebbe rendere questo tempo doloroso proprio per i poveri a Roma. Affitti brevi, ma cifre molto lunghe per ottenerli, per un tempo sempre più breve, affitto mordi e fuggi, quindi sempre più caro ma in piccole dosi, quindi per chi le paga pesanti ma possibili.

È solo un esempio molto banale che indica però l’enormità di un titolo che dovevo indagare, comprendere. Di certo infatti il papa ha scritto una potentissima lettera agli istituti religiosi romani chiedendo loro di offrire abitazioni ai poveri, dimostrando probabilmente che lo scetticismo serve a poco o niente. E come questa lettera, convince anche il suo libro sulla speranza, soprattutto in un tempo in cui il manicheismo sta sfidando ogni possibilità di reciproca comprensione. Provo a dire dal mio punto di vista perché.

Il libro di Francesco rende viva la speranza e non tanto perché lui parte ovviamente dalla speranza cristiana: «È la sicurezza di qualcosa che già esiste, cioè la nostra salvezza». Questo affascina, ma non può riguardare chi si trovi in una diversa condizione umana data. Ma Francesco sa immaginare anche questo e avverte i poco avvertiti che la speranza non va confusa con l’ottimismo, quello che ci vendono a ogni angolo di strada, con una pillola che ci farà certamente smettere di ingrassare o un sistema per diventare ricchi, di sicuro.

L’ottimismo è una cosa, la speranza è un’altra. E quale? Francesco dice che «è la certezza che andremo avanti». Perché certezza? Scrive: «speriamo in qualcosa che ci è già stato dato, non in qualcosa che vorremmo che accadesse». Citando i vescovi europei ci ricorda che dissero che “condannata all’insignificanza”, la vita senza speranza “diventerebbe insopportabile”. È così. E non può che essere così se pensiamo a chi sta sotto le bombe, o in un campo profughi, o in carcere, o su un barcone in fuga da ciò che nessuno sull’altra sponda può immaginare.

La forza del discorso però non passa solo da idee, parole, immagini, in Francesco c’è sempre l’esempio, la realtà. E lui ci dice di aver avuto momenti bui, «in cui ho dovuto fare sforzi per confidare in Dio. In momenti cupi di quel genere si è tentati di “aggrapparsi” a ciò che è a portata di mano, ma bisogna stare attenti. Se ci si attacca male, ci si attacca a cose che non aiutano, che tolgono la grandezza dello sperare». La speranza, sottolinea citando San Pietro, «sostiene il cammino della nostra vita anche quando si presenta tortuoso e faticoso: apre davanti a noi strade di futuro quando la rassegnazione e il pessimismo vorrebbero tenerci prigionieri».

Più avanti questo testo di San Pietro afferma una cosa decisiva per capire: la speranza «ci fa sognare una nuova umanità e ci rende coraggiosi» … Francesco così ci esorta ad aspettare i tempi di Dio. Si può capire che non sono questi, ma il papa soggiunge: «la speranza si dà nel tempo». Non c’è dunque nessuna rassegnazione, al contrario, c’è la … «speranza», che allora non tradirebbe mai.

Respiro di fraternità

Ma noi abbiamo fretta, tutti abbiamo fretta. Si può capire la fretta di chi vive sotto le bombe, che molto spesso ne ha meno di noi, si può capire la fretta di chi è incarcerato, che molto spesso ne ha meno di noi, si può capire la fretta di chi è internato, o “interrato” direi, in un campo profughi, e che anche lui molto spesso ne ha meno di noi. Ma noi abbiamo fretta, una fretta tremenda: «La pazienza è messa in fuga dalla fretta, recando un grave danno alle persone. La pazienza, che proviene dallo Spirito Santo, tiene viva la speranza e la consolida come virtù e stile di vita. La pazienza non è sopportare, ma saper soffrire bene».

Questo è enorme. Dunque non è che «finché c’è vita c’è speranza», il papa mi appare più dirci che «la speranza protegge, custodisce e fa crescere la vita». Questa è la tesi che ogni credente come chiunque altro, secondo me, può capire e condividere, ma ogni credente, come chiunque altro, può fallire la sfida e non sperare, per fretta, o angustia del proprio orizzonte.

Leggere sveglia da una rinuncia a sperare per l’enormità di ciò che leggiamo, vediamo, sentiamo. Poco più avanti conclude così il Prologo: «Perché la speranza “non delude”, penso ai nostri giovani, ai tanti migranti costretti ad abbandonare le loro terre, alle persone private della libertà, a quanti soffrono le conseguenze delle guerre, ai milioni di poveri in tutto il mondo che faticano a sopravvivere, alle donne che ancora lottano dappertutto per la vera uguaglianza. A tutte le persone che, lungi dall’essere statistiche, sono per noi volti reali su cui irradiare la speranza. Sono loro che mi hanno ispirato».

Può non riguardarci in un tempo che vuole archiviare ogni universalismo? Mi è parso di no e così dal Prologo passo all’Introduzione dove papa Francesco fissa questa scaletta impressionante:

«A volte è difficile che nel popolo di Dio possa esserci speranza, quando così spesso siamo stati proprio noi nella Chiesa a cospirare contro la crescita di quel lievito. Con i nostri peccati abbiamo negato semi che, come i granelli di senape di cui parla la Bibbia, erano destinati a far germogliare un nuovo orizzonte per i nostri fratelli e sorelle. Ma possiamo ancora ricorrere al perdono per tornare a dare speranza. Poiché abbiamo bisogno di speranza, voglio ribadire che provo ancora dolore e vergogna per i danni irreparabili causati ai bambini, alle bambine e agli adulti che sono stati vittime di abusi sessuali, di coscienza e di potere da parte del clero in tutto il mondo. Poiché abbiamo bisogno di speranza voglio chiedere perdono per i peccati commessi da migliaia di cristiani in tutto il mondo contro i popoli indigeni. Poiché abbiamo bisogno di speranza voglio chiedere perdono a tutti i poveri e gli indifesi del mondo per ogni volta che un cristiano ha voltato lo sguardo dall’altra parte. Poiché abbiamo bisogno di speranza voglio chiedere perdono per ogni volta che un membro della Chiesa è caduto nella corruzione e ha tradito la fiducia dei nostri fratelli e sorelle. Poiché abbiamo bisogno di speranza voglio chiedere perdono per le persecuzioni che in ogni epoca sono state compiute nel nome di Dio. Chiedere perdono è necessario, ma non basta».

Chiedere perdono non è sempre la stessa cosa. In questo tempo di manicheismo è un’azione autenticamente rivoluzionaria. E infatti a mio avviso non lo si capisce se non si tiene conto del punto di arrivo che chiude l’Introduzione: «La speranza cristiana non ha respiro solo personale o individuale, ma anche comunitario o ecclesiale. Tutti noi speriamo: tutti abbiamo speranza, per questo un cammino di speranza esige una cultura dell’incontro, del dialogo, che superi i contrasti e il confronto sterile».

Organizzare la speranza

Le donne, gli anziani, i poveri, le guerre e i migranti sono gli argomenti attorno ai quali il papa si sofferma in questo libro, ripercorrendo le tappe dei pronunciamenti suoi e della Chiesa al riguardo. Non ci entreremo qui, perché è la conclusione quella che porta a compimento questo tentativo di lettura solo del titolo del volume: «La speranza ha sempre un volto umano».

Vi si parla di «crisi integrale», nell’interconnessione dei fattori economici, sociali, politici e migratori. È la denuncia del «paradigma socioeconomico costruito sull’avidità e la cupidigia», che ha anche depredato la Terra per sostenere consumi e sprechi. I mutamenti sono irreversibili, per la «pretesa di esercitare un dominio incondizionato», come si scriveva nel Compendio della Dottrina Sociale già nel 2004. È il paradigma tecnocratico.

Giovanni Paolo II lo coglieva nel 1997. Dunque? Dunque per Francesco servono pellegrini di speranza decisi a costruire un’alternativa alla mentalità «utilitaristica, immediatista e manipolatoria», e più avanti ci avverte che già si parla di pensiero ibrido, fusione delle capacità cognitive dell’uomo e della macchina. È l’idea di un essere umano senza limiti. Ma il progresso non doveva essere al servizio dell’essere umano? Dunque le novità hanno o certamente avrebbero il potenziale per creare un enorme sviluppo, o una tragedia senza limiti. Per questo il Giubileo viene presentato per quello che era all’origine della sua storia, anno di riposo dal lavoro abituale.

Riscoperta del limite? A me sembra che sia questa l’indicazione: «Siamo chiamati a adottare stili di vita equi e sostenibili». Rendere allora le nuove tecnologie non incompatibili con un mondo di fraternità e di speranza, è questo il pellegrinaggio giubilare? Lo capisco così e me lo conferma come Giubileo della fratellanza la scelta che chiude il volume, la citazione di Martin Luther King: «Noi esseri umani siamo riusciti a volare come uccelli, a nuotare come pesci, ma non a vivere come fratelli». Questa è la speranza per la quale è inevitabile sentir risuonare la richiesta, citata, di don Tonino Bello: «Non possiamo limitarci ad aspettare, dobbiamo organizzare la speranza». Un dovere che riguarda tutti e che allora si scopre che non può deludere.

Che lo si accetti o no, è questa, cioè la fratellanza, la forza profondamente evangelica, di questo pontificato, che poi ha tanti risvolti che possono piacere o non piacere, ma è qui l’impossibilità di resistergli. La forza del primo papa che si è chiamato Francesco, in fin dei conti, è nel titolo della sua enciclica, nello stile con cui pone la necessità di questa imprescindibile speranza: «Fratelli tutti».
(fonte: Settimana News, articolo di Riccardo Cristiano 24/11/2024)

Lavorare nei campi a 6mila euro l’anno. La realtà del lavoro povero nel VII Rapporto Agromafie e Caporalato


Lavorare nei campi a 6mila euro l’anno.
La realtà del lavoro povero nel VII Rapporto Agromafie e Caporalato

I reati e gli illeciti in crescita nell’agroalimentare, il legame tra sfruttamento e violenza di genere, l’emergenza del lavoro malpagato. Sono alcuni dei temi che affronta la nuova edizione della ricerca dell’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai Cgil, che sarà presentata il 4 dicembre a Roma


Sono 200mila i lavoratori e le lavoratrici irregolari nell’agricoltura italiana. Un settore che vale 73,5 miliardi di euro, dove sfruttamento e lavoro nero sono all’ordine del giorno. Nel complesso dell’agroalimentare italiano, reati e illeciti amministrativi sono cresciuti del 9,1%. E poi c’è il dramma del lavoro povero, di chi lavora per vivere, ma ha paghe da fame. È di 6mila euro la retribuzione mediana lorda annuale dei dipendenti agricoli in Italia.

Queste cifre, assieme ad analisi, riflessioni e testimonianze sul campo sull’irregolarità lavorativa in agricoltura, sono il cuore del nuovo Rapporto Agromafie e Caporalato dell’Osservatorio Placido Rizzotto, giunto quest’anno alla VII edizione. Un volume che si è fatto ormai strumento fondamentale per il sindacato, la politica, le istituzioni, la comunità scientifica, i media, per tutti coloro che quotidianamente analizzano, denunciano e si impegnano nel contrasto dei fenomeni di sfruttamento, caporalato, illegalità nel mondo dell’agricoltura e dell’industria alimentare.

Il VII Rapporto Agromafie e Caporalato sarà presentato mercoledì 4 dicembre alle ore 10.30 a Roma, al Centro Congressi Frentani, in via dei Frentani 4. Interverranno, tra gli altri: Giovanni Mininni, segretario generale Flai Cgil; Jean René Bilongo, presidente Osservatorio Placido Rizzotto; Francesca Re David, segretaria nazionale Cgil; Sergio Costa, vicepresidente Camera dei deputati; Camilla Laureti, europarlamentare Pd; Laura Marmorale, presidente Mediterranea saving humans, Fabio Ciconte, direttore associazione Terra!.

Il VII Rapporto dedica particolare attenzione all’emergenza del lavoro povero nel settore e al collegamento fra precarietà e lavoro nero, fornendo uno spaccato dei numerosi problemi che affliggono il settore primario. Così come affronta il tema, quantomai delicato, della vulnerabilità delle lavoratrici agricole e il legame tra sfruttamento e violenza di genere, con focus complessivi riguardanti il Piemonte, la Basilicata, la Calabria e il Trentino. Lo studio dell’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai Cgil disvela la strutturalità dei fenomeni di sfruttamento che non investono solo il Meridione del Paese, ma anche le regioni del Centro e del Nord, fenomeni che non di rado si intrecciano con l’inquinamento del settore da parte della criminalità organizzata.
(fonte: Redattore Sociale 02/12/2024)

lunedì 2 dicembre 2024

Tonio dell'Olio La rivolta sociale

Tonio dell'Olio
 

La rivolta sociale 

PUBBLICATO IN MOSAICO DEI GIORNI  IL 2 DICEMBRE 2024

La rivolta sociale è uno strumento povero nelle mani dei poveri. Nemmeno i regimi totalitari più ottusi, chiusi e violenti sono mai riusciti a scongiurare il moto della rivolta che, prima che nelle strade, nasce nelle coscienze.

E nasce anche dalle pentole vuote o dai diritti fondamentali negati e repressi. La rivolta sociale è umana. Non è un'esagerazione. Quelle indotte o eteroprodotte hanno sempre il respiro corto e mentono di fronte alla storia. E persino quelle che non riescono ad avere esito e alla fine sembrano contare soltanto i martiri, sono destinate ad adagiarsi sotto la brace per risvegliarsi al momento opportuno. Per questa ragione, qualsiasi regime, anche solo per garantirsi, dovrebbe essere in grado di ascoltare il crepitio dell'acqua sociale prima del bollore. Negarlo, condannarlo o reprimerlo è la risposta peggiore di fronte alla storia. Dopo aver ascoltato dovrebbe essere in grado di varare riforme e misure per rispondere alla giusta rivendicazione di vita degna. Ma se lo facesse non sarebbe più un regime.


“Un paese di resistenza”, arriva in sala il documentario su Mimmo Lucano

“Un paese di resistenza”, 
arriva in sala il documentario su Mimmo Lucano

Dopo la partecipazione a numerosi festival, italiani e francesi, il film arriva per la prima volta a Firenze. Da esempio a criminale, la storia di un sindaco che ha fatto di Riace un modello dell’accoglienza dei migranti


La storia di Riace, paese di Calabria, si intreccia con quella di Domenico Lucano, per tutti Mimmo, oggi di nuovo sindaco. È la storia umana e politica, esemplare e dolorosa, di un paese e di un uomo che negli ultimi anni ha subito un ribaltamento del proprio racconto: da modello di accoglienza ad accuse di disegno criminale. Il film “Un paese di resistenza” di Shu Aiello e Catherine Catella spiega che non è così, che Riace porta con sé una storia di coraggio, scritta da chi ha perseguito l'utopia anche quando sembrava impossibile. Dopo la partecipazione a numerosi festival, italiani e francesi, il documentario arriva ora per la prima volta a Firenze, in sala al Cinema Astra (Piazza Cesare Beccaria, 9) nei giorni di lunedì 2, martedì 3, martedì 10 e mercoledì 18 dicembre alle 21. Il film è prodotto da Bo Film (Italia), Les Films du Tambour de Soie (Francia), Dancing Dog Productions (Belgio), ed è distribuito in Italia da OpenDDB - Distribuzioni dal basso.

Riace, dunque, Calabria. Come molti villaggi dell'Italia meridionale ha sofferto a lungo di un massiccio processo di emigrazione. Nel 1998 un evento cambia per sempre la vita di questo borgo: una barca con 200 curdi si arena sulla spiaggia e gli abitanti accorrono spontaneamente in loro aiuto. Da quel momento inizierà un'avventura straordinaria. Il paese torna a vivere, le case da tempo abbandonate vengono riaperte, nei vicoli si sentono di nuovo le risate dei bambini, Riace diventa il paese dell'accoglienza, il suo sindaco Mimmo Lucano un esempio da seguire. Fino a quando, nell'ottobre 2018, Lucano viene arrestato e allontanato dal suo paese. La vita di Riace cambia, è terreno elettorale simbolico, eppure il paese resiste, i suoi vecchi e nuovi abitanti non perdono la fiducia nel loro sindaco.

Alla dura condanna di primo grado per Domenico Lucano – che menziona l’accusa di associazione a delinquere e reati tra cui falso e truffa – è seguito un netto alleggerimento nella sentenza di appello (che riduce a 1 anno e 6 mesi la condanna, dai 13 anni e 2 mesi chiesti inizialmente), ma ancora oggi la sua vicenda giudiziaria si intreccia con quella politica istituzionale e governativa. Solo ultimo in ordine di tempo, la Corte dei Conti ha contestato a Lucano un danno erariale di oltre 530 mila euro, per fatti del 2011-12 (in un sistema di gestione di centri di accoglienza ideato e attuato dall’allora dirigente della Protezione civile della Regione Calabria), in quanto sindaco dell’epoca, pur senza prove di intese “truffaldine”. Il modello Riace, però, è valso a Lucano elogi e meriti internazionali, e una nuova carica, eletto di nuovo sindaco nel 2024 (come lo è stato ininterrottamente dal 2004 al 2018) dai cittadini di Riace e deputato nel Parlamento Europeo da quelli italiani della circoscrizione sud.

In tutte le proiezioni del tour, il film documentario sarà in sala con sottotitoli adatti a spettatori non udenti, realizzati dall’associazione Fiadda Emilia-Romagna, coordinamento di persone sorde e loro famiglie, che ha selezionato il film in occasione della partecipazione in concorso e in prima italiana al Biografilm Festival, grazie al contributo della Presidenza del Consiglio dei ministri – Ministro per le disabilità.
(fonte: Redattore sociale 27/11/2024)

Papa Francesco: «Questo tempo di Avvento sia un’occasione preziosa per alzare lo sguardo verso Gesù, che alleggerisce il cuore e ci sostiene nel cammino.» Angelus 01/12/2024 (testo e video)

ANGELUS

Piazza San Pietro
Domenica, 1° dicembre 2024


Cari fratelli e sorelle, buona domenica!

Il Vangelo della liturgia di oggi (Lc 21,25-28.34-36), prima domenica di Avvento, ci parla di sconvolgimenti cosmici e di ansia e paura nell’umanità. In questo contesto Gesù rivolge ai suoi discepoli una parola di speranza: «Risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina» (v. 28). La preoccupazione del Maestro è che non si appesantiscano i loro cuori (cfr v. 34) e che attendano con vigilanza la venuta del Figlio dell’uomo.

L’invito di Gesù è questo: alzare il capo verso l’alto e tenere il cuore leggero e sveglio.

In effetti, molti contemporanei di Gesù, di fronte agli eventi catastrofici che vedono accadere attorno a sé – persecuzioni, conflitti, calamità naturali –, sono presi dall’angoscia e pensano che stia per arrivare la fine del mondo. Hanno il cuore appesantito dalla paura. Gesù, però, vuole liberarli dalle angustie presenti e dalle false convinzioni, indicando come stare svegli nel cuore, come leggere gli eventi a partire dal progetto di Dio, che opera la salvezza anche dentro le vicende più drammatiche della storia. Per questo suggerisce loro di volgere lo sguardo verso il Cielo per comprendere le cose della terra: «Risollevatevi e alzate il capo» (v. 28). È bello: «Risollevatevi e alzate il capo».

Fratelli e sorelle, anche per noi è importante la raccomandazione di Gesù: «Che i vostri cuori non si appesantiscano» (v. 34). Tutti noi, in tanti momenti della vita, ci chiediamo: come fare per avere un cuore “leggero”, un cuore sveglio, un cuore libero? Un cuore che non si lascia schiacciare dalla tristezza? E la tristezza è brutta, è brutta! Può succedere, infatti, che le ansie, le paure e gli affanni per la nostra vita personale o per quanto accade anche oggi nel mondo, gravino come macigni su di noi e ci gettino nello scoraggiamento. Se le preoccupazioni appesantiscono il cuore e ci inducono a chiuderci in noi stessi, Gesù, al contrario, ci invita ad alzare il capo, a confidare nel suo amore che ci vuole salvare e che si fa vicino in ogni situazione della nostra esistenza, ci chiede di fare spazio a Lui per ritrovare la speranza.

E, allora, chiediamoci: il mio cuore è appesantito dalla paura, dalle preoccupazioni, dalle ansie per il futuro? Io so guardare agli eventi quotidiani e alle vicende della storia con gli occhi di Dio, nella preghiera, con un orizzonte più ampio? Oppure mi lascio prendere dallo sconforto? Questo tempo di Avvento sia un’occasione preziosa per alzare lo sguardo verso di Lui, che alleggerisce il cuore e ci sostiene nel cammino.

Invochiamo ora la Vergine Maria, che anche nei momenti di prova è stata pronta ad accogliere il progetto di Dio.

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Dopo l'Angelus

Cari fratelli e sorelle!

Nei giorni scorsi è stato commemorato il 40° anniversario del Trattato di Pace e di Amicizia tra Argentina e Cile. Con la mediazione della Santa Sede, esso pose fine a una disputa territoriale che aveva portato l’Argentina e il Cile sull’orlo della guerra. Questo dimostra che, quando si rinuncia all’uso delle armi e si fa il dialogo, si fa un buon cammino.

Mi rallegro per il cessate-il-fuoco che è stato raggiunto nei giorni scorsi in Libano e auspico che esso possa essere rispettato da tutte le parti, permettendo così alla popolazione delle regioni interessate dal conflitto – sia libanese sia israeliana – di tornare presto e in sicurezza a casa, anche con l’aiuto prezioso dell’esercito libanese e delle forze di pace delle Nazioni Unite. In questa situazione, rivolgo un pressante invito a tutti i politici libanesi, affinché venga eletto subito il Presidente della Repubblica e le istituzioni ritrovino il loro normale funzionamento, per procedere alle necessarie riforme e assicurare al Paese il suo ruolo di esempio di convivenza pacifica tra le differenti religioni. È mia speranza che lo spiraglio di pace che si è aperto possa portare al cessate-il-fuoco su tutti gli altri fronti, soprattutto a Gaza. Ho molto a cuore la liberazione degli israeliani che ancora sono tenuti in ostaggio e l’accesso degli aiuti umanitari alla popolazione palestinese stremata. E preghiamo per la Siria, dove purtroppo la guerra si è riaccesa causando molte vittime. Sono molto vicino alla Chiesa in Siria. Preghiamo!

Esprimo la mia preoccupazione, il mio dolore, per il conflitto che continua a insanguinare la martoriata Ucraina. Assistiamo da quasi tre anni a una tremenda sequenza di morti, di feriti, di violenze, di distruzioni. I bambini, le donne, gli anziani, le persone deboli, ne sono le prime vittime. La guerra è un orrore, la guerra offende Dio e l’umanità, la guerra non risparmia nessuno, la guerra è sempre una sconfitta, una sconfitta per l’umanità intera! Pensiamo che l’inverno è alle porte, e rischia di esacerbare le condizioni di milioni di sfollati. Saranno mesi difficilissimi per loro. La concomitanza di guerra e freddo è tragica. Rivolgo ancora una volta il mio appello alla comunità internazionale e ad ogni uomo e donna di buona volontà, affinché si adoperino in ogni modo per fermare questa guerra e per far prevalere dialogo, fraternità, riconciliazione. Si moltiplichi, ad ogni livello, un rinnovato impegno. E mentre ci prepariamo al Natale, mentre attendiamo la nascita del Re della pace, si dia a queste popolazioni una speranza concreta. La ricerca della pace è una responsabilità non di pochi, ma di tutti. Se prevalgono l’assuefazione e l’indifferenza agli orrori della guerra, tutta, tutta la famiglia umana è sconfitta. Tutta la famiglia umana è sconfitta! Cari fratelli e sorelle, non stanchiamoci di pregare per quella popolazione così duramente provata e di implorare da Dio il dono della pace.

Saluto con affetto tutti voi, fedeli di Roma e pellegrini venuti dall’Italia e da vari Paesi. In particolare, saluto i gruppi provenienti da Barcellona, Murcia e Valencia – pensiamo a Valencia, come sta soffrendo! –, e da Gerovo in Croazia. Saluto i fedeli di Arco di Trento e quelli di Sciacca, e il gruppo romano della Gioventù Ardente Mariana. E saluto i ragazzi dell’Immacolata.

A tutti auguro buona domenica e buon inizio di Avvento. Per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!

Guarda il video


domenica 1 dicembre 2024

Preghiera dei Fedeli - Fraternità Carmelitana di Pozzo di Gotto (ME) - I DOMENICA DI I DOMENICA DI AVVENTO ANNO C

Fraternità Carmelitana 
di Pozzo di Gotto (ME)

Preghiera dei Fedeli



I DOMENICA DI AVVENTO ANNO C

1 dicembre 2024 

Per chi presiede

Fratelli e sorelle, Dio ha visitato la nostra storia umana in Gesù, suo Figlio. Nel prepararci a celebrare la memoria della sua venuta tra noi nella debolezza della carne, vogliamo guardare in avanti per poter cogliere, nella confusione degli eventi, i segni della sua venuta nella Gloria della sua Resurrezione. Con questo atteggiamento, sostenuto dalla vigilanza e dalla preghiera, innalziamo al Signore le nostre intenzioni ed insieme diciamo:

R/   Marana Tha, vieni Signore Gesù 

  

Lettore


- Ti affidiamo, Signore, la tua Chiesa dispersa in mezzo ai popoli della terra. Donale il tuo Santo Spirito, perché possa restare vigilante e attenta ai segni del tuo venire nella storia dei nostri giorni. Aiutala a prendere le distanze da privilegi, potere e denaro che l’addormentano e la rendono incapace dell’annuncio profetico del tuo Regno. Preghiamo.

- Il vento del tuo Santo Spirito, Signore, sospinga questo mondo globalizzato, ma profondamente ingiusto, verso quei sentieri che portano alla pace e alla cooperazione. Fa’ che crolli ogni progetto di egemonia e di predomino di un popolo sugli altri, e inspira nei governanti un rispetto profondo della grande dignità di ogni persona umana. Preghiamo.

- Ti preghiamo, Signore, per il nostro Paese e per tutta l’Europa, che continuano a dirsi cristiani e che si preparano a celebrare la tua venuta in mezzo a noi. Fa’ che tutti noi, cristiani di Europa, comprendiamo che il modo vero di celebrare il tuo Natale è di operare per la pace e non per la guerra, di accogliere con sapienza e intelligenza e non di costruire costosi centri di detenzione e di emarginazione. Preghiamo.

- Sii vicino, Signore, a tutte quelle famiglie che non riescono più a dialogare, a provare tenerezza l’uno per l’altro. Dona forza e coraggio a tutte le donne che subiscono violenza all’interno delle loro case. Sostieni tutte quelle iniziative volte a trarre fuori dalla schiavitù le donne, per lo più nigeriane, costrette a prostituirsi. Preghiamo.

- Ti affidiamo, o Signore, i nostri parenti e amici defunti [pausa di silenzio]; ti affidiamo anche tutti coloro che sono morti nella solitudine e nella disperazione, nell’angoscia e nella paura. Tutti accogli, o Signore, nel tuo Regno di pace e di fraternità. Preghiamo.


Per chi presiede

Vieni, Signore Gesù, e volgi il tuo sguardo di misericordia alla tua Chiesa che ti attende come Crocifisso Risorto con i segni del costato trafitto e dei chiodi che parlano del tuo amore appassionato per questo mondo. Sostieni con amore la tua Chiesa che è in cammino verso di Te, ed esaudisci le nostre preghiere, se le trovi conformi alla tua volontà. Te lo chiediamo perché sei il Signore Veniente, Benedetto nei secoli dei secoli. AMEN.



AVVENTO - Don Tonino Bello e il Vangelo dell’antipaura. (testo integrale e video)

AVVENTO
Don Tonino Bello e il Vangelo dell’antipaura.

Pubblichiamo il video e il testo integrale di questa bellissima omelia pronunciata da Don Tonino Bello nella basilica della Madonna dei Martiri a Molfetta nella prima domenica d'Avvento il 27 Novembre 1988.  Nonostante sia passato tanto tempo e il contesto sia ovviamente cambiato, le parole di don Tonino risultano davvero profetiche, infatti sono in ogni tempo di estrema attualità quindi valide anche in questi nostri tempi dominati dalle sempre più numerose paure che ci assillano ...

Guarda il video dell'omelia di Don Tonino Bello

Carissimi fedeli,
potrebbe sembrare a prima vista che il Vangelo faccia da cassa di risonanza per le nostre paure. Per cui ci vien quasi la voglia di dire: «Basta, Signore! Adesso ti ci metti anche tu. Perché mai aumenti la nostra angoscia parlandoci di stelle che precipitano, di soli che si spengono, di lune che non danno più luce? Perché mai amplifichi i nostri incubi collettivi, dal momento che oggi ci dici testualmente nel Vangelo che gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra?» (cfr. Lc 21,25-26).

Gli uomini moriranno per la paura!
Come se già non bastassero le nostre paure. Ma ne abbiamo già tante, per conto nostro! Oh, no! Non la paura del buio, del lampo, del tuono, dei terremoti, delle tempeste. Lo sappiamo, oggi le paure hanno traslocato. Si sono cioè trasferite dalla fascia cosmica, per così dire, alla fascia antropologica. Non si articolano più attorno al cuore della natura: si articolano attorno al cuore dell’uomo. Oggi, cioè, non si ha più paura della carestia provocata dall’avarizia della terra, ma si ha paura, angoscia della carestia provocata dall’avarizia e dell'egoismo dell’uomo.

È dal cuore umano che nasce e si sviluppa la nube tossica delle paure contemporanee.
Paura dell’AIDS. Paura della droga. Paura di Cernobil. Paura dell’Enichem. Paura del grano radioattivo. Paura delle scorie tossiche. Paura dello squilibrio dell’ecosistema. Paura delle manipolazioni genetiche.

Paura del proprio simile. Paura del vicino di casa. Paura di chi mette in crisi le nostre polizze di assicurazione. Di chi mette in discussione, cioè, i nostri consolidati sistemi di tranquillità, se non di egemonia. Paura dello zingaro. Paura dell’altro. Paura del diverso. Paura dei Marocchini. Paura dei Terzomondiali. Paura di questi protagonisti delle invasioni moderne, che se non chiamiamo barbariche è soltanto perché ci coglie il sospetto che questo aggettivo debba spettare a noi cosiddetti popoli civili, che, dopo duemila anni di cristianesimo, siamo ancora veramente incapaci di accoglienze evangeliche.

Paura di uscire di casa. Paura della violenza. Paura del terrorismo. Paura della guerra. Paura dell’olocausto nucleare. Paura di questa apocalisse a rate che ci viene somministrata dalla produzione crescente delle armi e dal loro squallido commercio, clandestino e palese.

Paura di non farcela. Paura di non essere accettati. Paura di non essere più capaci di uscire da certi pantani nei quali ci siamo infognati. Paura che sia inutile impegnarsi. Paura che, tanto, il mondo non possiamo cambiarlo noi. Paura che ormai i giochi siano fatti. Paura di non trovare lavoro.

Quante paure!

Ebbene, di fronte a questo quadro così allucinante di paure umane, che cosa ci dice oggi il Signore? Intinge anche Lui il pennello nel barattolo nero dello scoraggiamento per aiutarci a dipingere questa nuova, tragica tela di Guernica?

Certamente no. No, non è così.

Anzi il Vangelo di oggi è proprio il Vangelo dell’antipaura. Sì, perché il Signore rivolge a noi lo stesso invito che l’angelo rivolse alla Vergine dell’attesa e dell'Avvento: «Non temere, Maria».

«Non temere, non aver paura Chiesa!»

Paura ha la stessa radice di pavimento. Viene dal latino pavére; significa: battere il terreno per allivellarlo. Anche terrore ha la stessa radice di terra.

Paura, quindi, è la conseguenza dell’essere battuto, calpestato, allivellato, appiattito.

Ora, che cosa mi dice il Signore di fronte a queste paure? Rimani lì steso sul pavimento? Rimani atterrito, atterrato? No! Mi dice la stessa cosa che ha detto a Maria: «Non aver paura, non temere!». 

E adopera due verbi bellissimi: Alzatevi e Levàte il capo.

Sono i due verbi dell’antipaura. Sono i due verbi dell’Avvento. Sono le due luci che ci devono accompagnare nel nostro cammino che ci prepara al Natale. Alzatevi e Levàte il capo.

Àlzarsi significa credere che il Signore è venuto già duemila anni fa, proprio per aiutarci a vincere la rassegnazione.

Alzarsi significa riconoscere che se le nostre braccia si sono fatte troppo corte per abbracciare tutta intera la speranza del mondo, il Signore ci presta le sue.

Alzarsi significa abbandonare il pavimento della cattiveria, della violenza, dell’ambiguità, perché il peccato invecchia la terra, significa, insomma, allargare lo spessore della propria fede.

Ma alzarsi significa anche allargare lo spessore della speranza, puntando lo sguardo verso il futuro, da dove Egli un giorno verrà nella gloria per portare a compimento la sua opera di salvezza.

E allora non ci sarà più pianto, né lutto, e tutte le lacrime saranno asciugate dal volto degli uomini. Tanto Cristo un giorno tornerà, festa per tutti gli amici, che paura dobbiamo avere? 

Questo significa "alzarsi", e che significa "levare il capo"?

Levare il capo significa fare un colpo di testa. Reagire, muoversi. Essere convinti che il Signore viene ogni giorno, ogni momento nel qui e nell’ora della storia, viene come ospite velato. Quindi saperlo riconoscere: nei poveri, negli umili, nei sofferenti.

Significa in definitiva: allargare lo spessore della carità. 


Ecco il senso di questo Avvento che ci viene espresso dall’augurio fortissimo che san Paolo ci ha rivolto: «Il Signore vi faccia crescere nell’amore vicendevole e verso tutti» (1 Ts 3,12). 

Verso tutti, senza esclusione di nessuno! Bellissimo quello che sta facendo la Caritas romana, che, sfidando tante paure e tante preoccupazioni, tanti luoghi comuni, ha aperto delle case di accoglienza per i malati di aids .... 

Verso tutti. Magnifico il lavoro di tanti gruppi e associazioni che si mettono accanto ai malati cronici, agli handicappati, agli anziani, ai malati terminali, ai dimessi dagli ospedali psichiatrici, dalle carceri.

Verso tutti. Splendido ciò che fanno tante comunità cristiane a favore dei Terzomondiali, che offrono loro non soltanto un letto ma anche la buona notte, e soprattutto incalzano le autorità perché i provvedimenti di legge siano meno disumani ed ambigui delle norme vigenti.

Verso tutti. Incredibile quello che oggi stanno facendo tanti movimenti di volontariato per promuovere una maggiore giustizia sulla terra, per combattere quelle che il Papa ha chiamato coraggiosamente le strutture di peccato, per difendere i diritti umani dei popoli palestinesi che vivono in situazioni subumane nei campi di concentramento, per difendere i diritti umani di tanti popoli segregati dalle leggi di segregazione razziale nel Sudafrica, per aiutare i popoli che soffrono la fame nell'Eritrea, nel Sudan in questi giorni, che devastazioni, per diffondere una nuova coscienza di pace, per smilitarizzare non solo le coscienze, ma anche i territori.

Coraggio. Alzatevi e levate il capo. Muovetevi. Fate qualcosa, il mondo cambierà. Anzi, sta cambiando. Non li vedete i segni dei tempi? Gli alberi mettono già le prime foglie. E sul nostro cielo il rosso di sera non si è ancora scolorito.

Mi viene da pensare che anche il cielo oggi cominci l’Avvento, il periodo dell’attesa.

Qui sulla terra è l’uomo che attende il ritorno del Signore. Lassù nel cielo è il Signore che attende il ritorno dell’uomo. Ritorno che si potrà realizzare con la preghiera, con la vita di povertà, di giustizia, di limpidezza, di purezza, di amore, con la testimonianza evangelica e con una forte passione di solidarietà.

Mentre per questo cammino di ritorno ci affidiamo alla Madonna dei Martiri, alla Vergine dell’attesa, alla Madre della Speranza, cerchiamo di mettere in pratica quel che ci dice sant’Agostino: «Aiuta coloro con i quali cammini, per poter raggiungere Colui col quale desideri rimanere».

Se è così, già fin d’ora: Buon Natale!


"Un cuore che ascolta - lev shomea" n° 1 - 2024/2025 anno C

"Un cuore che ascolta - lev shomea"

"Concedi al tuo servo un cuore docile,
perché sappia rendere giustizia al tuo popolo
e sappia distinguere il bene dal male" (1Re 3,9)



Traccia di riflessione sul Vangelo
a cura di Santino Coppolino


I DOMENICA DI AVVENTO ANNO C

Cuore del Discorso Escatologico è la venuta del Figlio dell'Uomo, che non narra di eventi catastrofici, ma del compimento dell'anelito di ogni credente: l'incontro con il Signore. Sole, Luna e Stelle altro non sono che immagini, simboli di divinità pagane e dei potenti di questo mondo che aspirano alla divinità, idoli di morte attorno ai quali ruota la vita degli uomini. Tutti inesorabilmente destinati a crollare davanti alla manifestazione della Gloria del Figlio dell'Uomo, al suo amore crocifisso. Vuoti, come vasi d'argilla, si frantumeranno come la statua del dio Dagon davanti alla gloria dell'arca di Dio (1Sam 5). Se per coloro che non credono questi sconvolgimenti sono causa di terrore e angoscia, per coloro che appartengono al Signore tutto questo è Kairòs, il tempo propizio per rimettersi in piedi e sollevare lo sguardo, come figli liberi riscattati dal male e dalla morte. Attenti, perciò, a non farci irretire dalla menzogna dell'idolo, a non lasciarci anestetizzare dal suo mortale veleno che promette libertà e vita, ma che ci rende schiavi e ci conduce a morte certa. E' fondamentale, allora, conoscere non la fine, quanto piuttosto il fine della nostra storia, poiché «l'uomo non è ciò che è, ma ciò che diviene, e diviene ciò verso cui va, e va verso ciò che ama» (cit.). Egli è viator, ha il suo centro fuori di sé verso cui tende e alla fine sarà ciò che attende, perché attende ciò che ama. «Beati saranno quei servi che, venendo, il Signore troverà vigilanti» (Lc 12,37).