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martedì 31 maggio 2022

Diana Papa - Maria ed Elisabetta, la bellezza dell’incontro

Diana Papa
Maria ed Elisabetta, la bellezza dell’incontro

Il 31 maggio la Chiesa festeggia la visita di Maria a S. Elisabetta. Maria, dopo aver ricevuto dall’angelo l’annuncio della sua maternità, si affida a Dio, pronunciando il suo “eccomi”, perché lo Spirito potesse compiere in lei l’evento secondo la sua parola. Poi in fretta va verso una città della Giudea situata in montagna, per andare a trovare la cugina Elisabetta, una donna sterile, che grazie all’azione dello Spirito di Dio è al sesto mese di gravidanza, come le aveva detto l’angelo Gabriele

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

Il 31 maggio la Chiesa festeggia la visita di Maria a S. Elisabetta. Siamo a conclusione di maggio, mese dedicato a Maria, e attraverso questo brano vogliamo cogliere alcuni aspetti della sua vita.

Maria, dopo aver ricevuto dall’angelo l’annuncio della sua maternità, si affida a Dio, pronunciando il suo “eccomi”, perché lo Spirito potesse compiere in lei l’evento secondo la sua parola. 

Poi in fretta va verso una città della Giudea situata in montagna, per andare a trovare la cugina Elisabetta, una donna sterile, che grazie all’azione dello Spirito di Dio è al sesto mese di gravidanza, come le aveva detto l’angelo Gabriele.

Il passo del Vangelo è narrato dall’evangelista Luca al cap.1, 39-56.

Maria è una donna di fede che accoglie anche ciò che sembra impossibile nella sua vita, per lasciare spazio a Dio a cui consegna la sua esistenza.

Sceglie di vivere sotto lo sguardo di Dio che l’ha pensata e l’ha creata per realizzare il suo progetto d’amore per l’umanità. Riconosce che Egli compie grandi cose in lei, negli altri e nella storia. Piena di gioia per l’accadimento così importante, condivide subito con Giuseppe, con Elisabetta e Zaccaria ciò che lo Spirito ha operato in lei.

Maria non usa tante parole, non convoca una conferenza stampa, non si esalta, non si svaluta,

non si sente arbitro delle sorti del mondo, non dimostra di vivere il delirio di onnipotenza. Ella custodisce nel silenzio dell’intimità ciò che è accaduto per opera di Dio, anche attraverso la condivisione con le persone più care.

Oggi assistiamo ad una spettacolarità verbale, attraverso cui tutto è messo in piazza. Se ci raggiungono le parole di chi, lungo la strada, parla al cellulare ad alta voce, si colgono nella comunicazione messaggi che mettono in luce l’esaltazione delle opere di chi parla oppure l’attacco verso l’ascoltatore, per evidenziare che l’altro sbaglia sempre.

Quando impariamo a definire i confini della nostra e altrui intimità, scopriamo in noi e negli altri la soglia del Mistero.

Quale contatto con la profondità della nostra esistenza coltiviamo nel quotidiano?

È importante oggi apprendere una modalità comunicativa che sia autentica, che ci metta in ascolto dell’altro senza pregiudizi, in atteggiamento di silenzio quasi adorante, per scoprire la bellezza profonda delle tonalità dell’esserci dell’altro abitato dallo Spirito di Dio. Nessuno può oltrepassare la soglia del Mistero, neanche la stessa persona che la comprende. Solo l’esperienza relazionale fondata sull’amore, sull’esempio di Gesù, permette di venire in contatto con l’inesprimibile, senza violarlo.

La stessa esperienza ci conduce a sperimentare la sacralità di ogni persona che incontriamo, a sentire la gioia per l’altro che esiste, e a sussultare insieme nella comunione.

Maria si reca da Elisabetta e, prevenendo il suo bisogno, si mette a disposizione dell’anziana parente per tre mesi, portando con sé il Figlio di Dio.

È un incontro carico di umanità tra le due donne che si accolgono reciprocamente, rendendo visibile la gratuità. Maria consapevole della presenza di Dio nella sua vita si fa dono senza riserve.

Che cosa ci permette di fare memoria della presenza di Dio nella nostra vita e come chiamiamo per nome le opere che il Signore compie in noi e negli altri?

In che modo andiamo incontro all’altro senza pregiudizi in uno stile di accoglienza, di dono, di perdono e di riconciliazione?

Maria ed Elisabetta ci testimoniano con la loro esperienza che nulla è impossibile a Dio e che la loro vita si colora di fede nel quotidiano.

In questo tempo forse facciamo delle cose per Gesù, ma a volte nei nostri ambienti il grande assente sembra proprio lui. Manca talvolta il riferimento costante al Signore, al Vangelo. É la relazione fondante con lui che ci spinge a tradurre in atti concreti la sua Parola, a far vedere la presenza di Dio nella vita e nella storia.

Maria, donna dell’incontro, ci interpella:

oggi con chi voglio condividere la bellezza della mia umanità, per sussultare insieme nella profondità del nostro essere e ringraziare il Signore per le opere che compie? Su quale fondamento intesso le mie relazioni?

Dio chiede la nostra collaborazione per una società fondata sull’amore a partire dalle piccole cose.
(fonte: Sir 31/05/2022)

Omelia p. Alberto Neglia (VIDEO) - ASCENSIONE DEL SIGNORE anno C - 29/05/2022


Omelia p. Alberto Neglia



- ASCENSIONE DEL SIGNORE anno C - 

29/05/2022

Fraternità Carmelitana
di Barcellona Pozzo di Gotto

... Ed è bello come si chiude il Vangelo, che gli Apostoli, che prima erano angosciati, preoccupati e non riuscivano a capire il mistero di Gesù, poi si prostrano davanti a Lui e lo adorano... e tornano a Gerusalemme con grande gioia. Non c'è più nostalgia, ma c'è la grande gioia di Gesù nel loro cuore e la speranza di Gesù nel loro cuore. 
Allora chiediamo a Gesù che questa speranza e questa gioia la metta nel nostro cuore e ci dia la gioia donando anche a noi, pur nella fragilità della carne umana, di essere testimoni, questo ci chiede Gesù, testimoni della sua bontà, della sua misericordia, della sua fedeltà ad ogni credente ...

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Enzo Bianchi Il cammino della Chiesa

Enzo Bianchi
Il cammino della Chiesa 



La Repubblica - 30 maggio 2022

Soffro un crescente e profondo disagio ogni volta che verifico come assodato l’attuale rapporto tra chiesa e media: anche in occasione dell’elezione del presidente della conferenza episcopale italiana, il card. Matteo Zuppi, un vescovo capace di aprire cammini ecclesiali nuovi, è molto significativo che quasi tutte le domande poste nella conferenza stampa riguardassero il problema degli abusi sessuali sui minori. Ormai, sembra che la chiesa non desti più alcun interesse e non richiami l’attenzione se non sugli scandali o sulle pressioni che tenta di esercitare su percorsi legislativi che riguardano temi etici. I credenti sono consapevoli di questa marginalità che diventa a volte estromissione delle voci della chiesa dal dibattito culturale, pubblico, sociale?

I delitti degli abusi sui minori sono gravissimi, e giustamente hanno destato scandalo nella chiesa e nella società, ma in realtà riguardano una percentuale minima di appartenenti al clero, inferiore peraltro rispetto alla frequenza con la quale si riscontrano negli ambienti laici familiari, sportivi, educativi della società. Certo, occorre che la chiesa si scuota da torpori e s’interroghi su cammini aperti senza discernimento e senza attenzione per i candidati al ministero, occorre una vigilante prevenzione che permetta il cambiamento di strutture e di stile, occorre l’assunzione di responsabilità riparative verso le vittime. Ma, come ho sempre detto essendo ancora un cristiano che tenta di riconoscere un primato al Vangelo, bisognerà anche avere compassione e misericordia per i colpevoli, che sono in questi casi sempre dei malati gravi, e comminare pene redentive più che punitive, che abbiano un termine e contengano la possibilità del perdono.

Oltre agli abusi sessuali andrebbero più monitorati e denunciati tanti abusi che nella chiesa si consumano nel silenzio: abusi che offendono la giustizia, che impediscono la difesa, che vivono di chiacchiere e di calunnie con le quali si arriva a uccidere moralmente le persone nella vita ecclesiale quotidiana, abusi di autorità nel rapporto tra superiori e inferiori in nome dell’ubbidienza. Una cultura dei diritti, della dignità e della libertà della persona non è ancora pienamente attestata nella chiesa.

Sta di fatto che nella conferenza stampa finale il principale tema di discussione tra i vescovi non è stato evocato: il sinodo in atto! Questo cammino voluto da papa Francesco per tutta la chiesa potrà rappresentare, se realizzato, una novità assoluta, sconosciuta anche dalle altre chiese cristiane: un sinodo inteso come un camminare insieme del popolo di Dio, dei pastori, del Papa, in una piramide rovesciata dove l’autorità sta in basso, al servizio del popolo di Dio che occupa una posizione più alta, secondo l’adagio forgiato dai cristiani del medioevo: “Ciò che riguarda tutti da tutti deve essere discusso e deliberato”. L’assunzione di questo principio è davvero ciò che può cambiare il volto della chiesa, eliminare ogni forma di clericalismo e carrierismo, creare nel mondo una realtà nuova di fratelli e sorelle con la stessa dignità, in solidarietà, in plurale comunione. Papa Francesco continua a ribadire che questo è l’orizzonte della chiesa del terzo millennio! Se lo sarà, questo significherà anche un accrescimento di umanesimo per tutti.


lunedì 30 maggio 2022

Papa Francesco a sorpresa annuncia la nomina di 21 nuovi cardinali - Un concistoro di fine estate che guarda al mondo - Il nuovo conclave

Papa Francesco a sorpresa annuncia la nomina  di 21 nuovi cardinali 

Vedi il post 

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Un concistoro di fine estate che guarda al mondo
Andrea Tornielli

Le scelte e i numeri dell’ottava creazione cardinalizia di Papa Francesco

Il Papa e i cardinali in preghiera all'altare della Cattedra, in San Pietro, per il Concistoro 2020

Con un annuncio a sorpresa e con un anticipo di quasi tre mesi rispetto alla data, Papa Francesco ha convocato per il prossimo 27 agosto un concistoro per la creazione di 21 nuovi cardinali, 16 dei quali con meno di ottant’anni e dunque elettori in un eventuale conclave, più cinque che hanno già raggiunto quell’età o vi arriveranno prima di ricevere la berretta rossa.

Fine agosto non è data tradizionale per i concistori (che solitamente si sono tenuti in febbraio, in giugno o in novembre), ma la lista dei nuovi porporati è stata preceduta dall’annuncio di un incontro che riunirà attorno al Papa tutti i cardinali del mondo e sarà dedicato alla nuova Costituzione Apostolica sulla Curia romana, “Praedicate Evangelium”, promulgata lo scorso 19 marzo, che sarà in vigore da domenica 5 giugno, festa di Pentecoste. Il concistoro per i nuovi cardinali di sabato 27 agosto precederà l’incontro, previsto lunedì 29 e martedì 30 agosto.

Uno sguardo alla lista conferma la linea seguita da Francesco durante tutto il suo pontificato: molti dei 16 nomi dei nuovi cardinali elettori - al di là dei primi tre curiali, abbastanza prevedibili e cioè i prefetti dei dicasteri del Culto divino e del Clero, insieme al presidente del Governatorato) – rappresentano una sorpresa. Ancora una volta il Papa sceglie di associare al collegio dei porporati vescovi di ogni parte del mondo, prediligendo le periferie e senza tener conto di quelle sedi che un tempo venivano considerate tradizionalmente “cardinalizie”.

I tre nuovi porporati di Curia provengono dall’Europa (Arthur Roche, inglese; Fernando Vergez, spagnolo) e dall’Asia (Lazzaro You, Corea).

Due nuovi cardinali elettori guidano diocesi in Europa (l’arcivescovo di Marsiglia e il vescovo di Como); cinque sono impegnati nelle frontiere dell’Asia (uno di questi, l’italiano Giorgio Marengo, prefetto apostolico in Mongolia, con i suoi 48 anni diventerà il più giovane del collegio). Due sono i vescovi in Africa, e quattro nelle Americhe (uno negli Stati Uniti, tre in America Latina, con due diocesi del Brasile il cui titolare ottiene la berretta). Significative le porpore all’arcivescovo di Marsiglia, nato ad Algeri, e al vescovo di Como, che diventa l’unico cardinale alla guida di una diocesi tra il Nord Ovest e Nord Est italiano.

Anche questa volta, Francesco ha associato al collegio cinque prelati, due dei quali non vescovi, che hanno già superato o stanno per superare la soglia di età che esclude dall’elettorato attivo in caso di conclave. In questa mini-lista, la maggioranza è italiana (tre su cinque), con un riconoscimento, tra gli altri, al padre gesuita Gianfranco Ghirlanda, già rettore della Gregoriana, apprezzato canonista e collaboratore della Santa Sede.

Il collegio dei porporati elettori si allarga dunque di numero rispetto al tetto di 120 fissato da Paolo VI, come già più volte accaduto. Attualmente il collegio è composto da 208 porporati, di cui 117 elettori e 91 non elettori. Il 27 agosto salirà a 229 cardinali dei quali 132 sono elettori. Guardando agli ultimi tre pontificati, il collegio sarà costituito da 52 cardinali creati da Giovanni Paolo II (11 dei quali elettori); 64 creati da Benedetto XVI (38 dei quali elettori) e 113 creati da Francesco (83 dei quali elettori).

Dal punto di vista geografico i cardinali saranno distribuiti in questo modo: Europa, 107 cardinali, di cui 54 elettori; le Americhe, 60 cardinali, di cui 38 elettori; l’Asia, 30 cardinali, di cui 20 elettori; l’Africa, 27 cardinali, di cui 17 elettori; l’Oceania, 5 cardinali di cui 3 elettori.
(fonte: Vatican News, articolo di Andrea Tornielli 29/05/2022)

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Il nuovo conclave

Dal Brasile alla Nigeria, il Papa nomina altri 21 cardinali un’assemblea sempre più globale eleggerà il successore

Il futuro cardinale italiano Giorgio Marengo, prefetto apostolico di Ulaanbaatar in Mongolia. 
Diventerà il porporato più giovane del Collegio (ansa)

Papa Francesco estende e rende sempre più globale la geografia del conclave che eleggerà il suo successore. Ieri al Regina Coeli ha annunciato 21 nuovi cardinali, di cui sedici elettori, che provengono da ogni parte del pianeta, a cominciare dalle «periferie». Verranno creati in un Concistoro di fine estate (27 agosto) con cui la Chiesa guarderà al mondo intero.

Saranno cinque gli italiani, due dei quali, avendo meno di 80 anni, potranno eleggere il prossimo Pontefice. Riceveranno la porpora Oscar Cantoni, vescovo di Como; e Giorgio Marengo, prefetto apostolico di Ulaanbaatar (Mongolia), che diventerà il più giovane del Collegio cardinalizio (quando sarà proclamato avrà 48 anni). Gli over 80 sono l’arcivescovo emerito di Cagliari (dopo essere stato successore di monsignor Luigi Bettazzi come pastore di Ivrea) Arrigo Miglio; il professore di Teologia Gianfranco Ghirlanda; il canonico di San Pietro Fortunato Frezza.

Poi ci sono tre capi di dicasteri vaticani: Arthur Roche, prefetto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti; Lazzaro You Heung-sik, prefetto della Congregazione per il clero; Fernando Vérgez Alzaga, presidente della Pontificia commissione per lo Stato della Città del Vaticano e del Governatorato Vaticano.


Gli altri sono: Jean Marc Avelin, arcivescovo di Marsiglia (Francia); Peter Okpaleke, vescovo di Ekwulobia (Nigeria); Leonardo Ulrich Steiner, arcivescovo di Manaus (Brasile); Filipe Neri António Sebastião do Rosário Ferrão, arcivescovo di Goa e Damao (India); Robert Walter McElroy, vescovo di San Diego (Usa); Virgilio do Carmo da Silva, arcivescovo di Dili (Timor Orientale); Anthony Poola, arcivescovo di Hyderabad (India); Paulo Cezar Costa, arcivescovo di Brasilia; Richard Kuuia Baawobr, arcivescovo di Wa (Ghana); William Seng Chye Goh, arcivescovo di Singapore; Adalberto Martínez Flores, arcivescovo di Asuncion (Paraguay).

Infine altri due ultraottantenni: Jorge Enrique Jiménez Carvajal, arcivescovo emerito di Cartagena (Colombia); Lucas Van Looy, vescovo emerito di Gent (Belgio).

La lista dei nomi conferma le intenzioni del Papa argentino manifestate fin dall’inizio del pontificato: al di là dei tre nomi curiali, i 16 nuovi alti prelati che entreranno nella Cappella sistina sono una sorpresa. Ancora una volta Francesco sceglie presuli di ogni latitudine, comprese le più remote e dimenticate, scardinando così gradualmente l’Italia-centrismo e l’euro-centrismo del conclave. E continuando a non tenere conto di quelle sedi che un tempo venivano ritenute tradizionalmente a automaticamente «cardinalizie» (in Italia Milano, Venezia, Torino, Napoli, Palermo, Genova).

Evidenzia su Vatican News Andrea Tornielli, direttore editoriale dei Media d’Oltretevere: cinque dei nuovi porporati «sono impegnati nelle frontiere dell’Asia (compreso Marengo). Due sono i vescovi in Africa, e quattro nelle Americhe (uno negli Usa, tre in America Latina)». E poi, «significative sono le porpore all’arcivescovo di Marsiglia, nato ad Algeri, e al vescovo di Como, che diventa l’unico cardinale alla guida di una diocesi tra il Nord Ovest e Nord Est italiano».

Il Collegio salirà a 229 cardinali, di cui 131 elettori.

Saranno distribuiti «in questo modo: Europa, 107 cardinali, di cui 54 elettori (erano 60 nel 2013, ndr); le Americhe, 60, di cui 38 elettori; l’Asia, 30, di cui 20 elettori; l’Africa, 27, di cui 17 elettori; l’Oceania, 5 di cui 3 elettori».

Oggi sono soprattutto cinque i cardinali favoriti per raccogliere l’eredità di Jorge Mario Bergoglio: gli italiani Pietro Parolin e Matteo Maria Zuppi; il filippino Luis Antonio Tagle; il canadese Marc Ouellet; e lo statunitense Sean Patrick O’Malley.
(fonte: Vatican Insider, articolo di Domenico Agasso 30/05/2022)



«Il vero amore genera sempre una vicinanza che non schiaccia, non è possessivo, anzi ci rende protagonisti.» Papa Francesco Regina Coeli 29/05/2022 (testo e video)

REGINA CAELI

Piazza San Pietro
Domenica, 29 maggio 2022


Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi in Italia e in molti Paesi si celebra l’Ascensione del Signore, cioè il suo ritorno al Padre. Nella Liturgia, il Vangelo secondo Luca narra l’ultima apparizione del Risorto ai discepoli (cfr 24,46-53). La vita terrena di Gesù culmina proprio con l’Ascensione, che professiamo anche nel Credo: «È salito al cielo, siede alla destra del Padre». Che cosa significa questo avvenimento? Come dobbiamo intenderlo? Per rispondere a questa domanda, soffermiamoci su due azioni che Gesù compie prima di salire al Cielo: Egli anzitutto annuncia il dono dello Spirito e poi benedice i discepoli. Annuncia il dono dello Spirito e benedice.

Per prima cosa Gesù dice ai suoi amici: «Io mando su di voi Colui che il Padre mio ha promesso» (v. 49). Sta parlando dello Spirito Santo, del Consolatore, di Colui che li accompagnerà, li guiderà, li sosterrà nella missione, li difenderà nelle battaglie spirituali. Comprendiamo allora una cosa importante: Gesù non sta abbandonando i discepoli. Ascende al Cielo, ma non ci lascia soli. Anzi, proprio salendo verso il Padre assicura l’effusione dello Spirito Santo, del suo Spirito. In un’altra occasione aveva detto: «È bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Paraclito» (Gv 16,7), cioè lo Spirito. Anche in questo si vede l’amore di Gesù per noi: la sua è una presenza che non vuole limitare la nostra libertà. Al contrario, fa spazio a noi, perché il vero amore genera sempre una vicinanza che non schiaccia, non è possessivo, è vicino ma non possessivo; anzi, il vero amore ci rende protagonisti. E così Cristo rassicura: “Vado al Padre, e voi sarete rivestiti di potenza dall’alto: vi manderò il mio stesso Spirito e con la sua forza continuerete la mia opera nel mondo!” (cfr Lc 24,49). Dunque, salendo al Cielo Gesù, anziché rimanere accanto a pochi con il corpo, si fa vicino a tutti con il suo Spirito. Lo Spirito Santo rende presente Gesù in noi, oltre le barriere del tempo e dello spazio, per farci suoi testimoni nel mondo.

Subito dopo – è la seconda azione – Cristo alza le mani e benedice gli apostoli (cfr v. 50). È un gesto sacerdotale. Dio, fin dai tempi di Aronne, aveva affidato ai sacerdoti il compito di benedire il popolo (cfr Nm 6,26). Il Vangelo vuole dirci che Gesù è il grande sacerdote della nostra vita. Gesù sale al Padre per intercedere a nostro favore, per presentargli la nostra umanità. Così, davanti agli occhi del Padre, ci sono e ci saranno sempre, con l’umanità di Gesù, le nostre vite, le nostre speranze, le nostre ferite. Dunque, mentre compie il suo “esodo” verso il Cielo, Cristo “ci fa strada”, va a prepararci un posto e, fin da ora, intercede per noi, perché possiamo essere sempre accompagnati e benedetti dal Padre.

Fratelli e sorelle, pensiamo oggi al dono dello Spirito che abbiamo ricevuto da Gesù per essere testimoni del Vangelo. Chiediamoci se lo siamo davvero; e anche se siamo capaci di amare gli altri lasciandoli liberi e facendo loro spazio. E poi: sappiamo farci intercessori per gli altri, cioè sappiamo pregare per loro e benedire le loro vite? Oppure ci serviamo degli altri per i nostri interessi? Impariamo questo: la preghiera di intercessione, intercedere per le speranze e per le sofferenze del mondo, intercedere per la pace. E benediciamo con lo sguardo e con le parole chi incontriamo ogni giorno!

Ora preghiamo la Madonna, la benedetta tra le donne che, ricolma di Spirito Santo, prega e intercede sempre per noi.

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Dopo il Regina Caeli

Ieri, a Modena, è stato beatificato Don Luigi Lenzini, martire della fede, ucciso nel 1945 perché colpevole di additare i valori cristiani come strada maestra della vita, in un clima di odio e di conflitto in quel tempo. Questo sacerdote, pastore secondo il cuore di Cristo e messaggero della verità e della giustizia, ci aiuti dal Cielo a testimoniare il Vangelo con carità e franchezza. Un applauso al nuovo Beato!

Si celebra oggi la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, sul tema Ascoltare con l’orecchio del cuore. Saper ascoltare, oltre che il primo gesto di carità, è anche il primo indispensabile ingrediente del dialogo e della buona comunicazione. Saper ascoltare, lasciare che gli altri dicano tutto, non tagliare a metà, saper ascoltare con gli orecchi e con il cuore. Auguro a tutti di crescere in questa capacità di ascoltare con il cuore.

Oggi in Italia ricorre la Giornata Nazionale del Sollievo. Ricordiamoci che «il malato è sempre più importante della sua malattia» e che «anche quando non è possibile guarire, sempre è possibile curare, sempre è possibile consolare, sempre è possibile far sentire una vicinanza» (Messaggio per la Giornata Mondiale del Malato 2022).

Dopodomani, ultimo giorno del mese di maggio, festa liturgica della Visitazione di Maria Santissima, alle ore 18, nella Basilica di Santa Maria Maggiore pregheremo il Rosario per la pace, in collegamento con numerosi Santuari di tanti Paesi. Invito i fedeli, le famiglie e le comunità ad unirsi a questa invocazione, per ottenere da Dio, con l’intercessione della Regina della Pace, il dono che il mondo attende.

Saluto tutti voi, romani e pellegrini. In particolare, saluto i fedeli venuti dall’Olanda, dalla Spagna e dall’Australia. Saluto la parrocchia di San Roberto Bellarmino in Roma, che conclude l’anno giubilare per i 400 anni della morte di San Roberto Bellarmino. Saluto i polacchi – sempre tanti polacchi! – con una benedizione per quanti in patria partecipano al grande pellegrinaggio al Santuario mariano di Piekary Śląskie. Saluto gli alunni della scuola San Vincenzo di Olbia e i ragazzi della Cresima di Luras.

Lunedì e martedì 29 e 30 agosto si terrà una riunione di tutti i Cardinali per riflettere sulla nuova Costituzione apostolica Praedicate Evangelium; e sabato 27 agosto terrò un Concistoro per la creazione di nuovi Cardinali. Ecco i nomi dei nuovi Cardinali:

1. S.E.R. Mons. Arthur Roche - Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti.

2. S.E.R. Mons. Lazzaro You Heung sik – Prefetto della Congregazione per il Clero.

3. S.E.R. Mons. Fernando Vérgez Alzaga L.C. – Presidente della Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano e Presidente del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano.

4. S.E.R. Mons. Jean-Marc Aveline - Arcivescovo Metropolita di Marseille (Francia).

5. S.E.R. Mons. Peter Okpaleke - Vescovo di Ekwulobia (Nigeria).

6. S.E.R. Mons. Leonardo Ulrich Steiner, O.F.M. - Arcivescovo Metropolita di Manaus (Brasile).

7. S.E.R. Mons. Filipe Neri António Sebastião di Rosário Ferrão - Arcivescovo di Goa e Damão (India).

8. S.E.R. Mons. Robert Walter McElroy – Vescovo di San Diego (U.S.A)

9. S.E.R. Mons. Virgilio Do Carmo Da Silva, S.D.B. – Arcivescovo di Dili (Timor Orientale).

10. S.E.R. Mons. Oscar Cantoni - Vescovo di Como (Italia).

11. S.E.R. Mons. Anthony Poola - Arcivescovo di Hyderabad (India).

12. S.E.R. Mons. Paulo Cezar Costa - Arcivescovo Metropolita dell’Arcidiocesi di Brasília (Brasile).

13. S.E.R. Mons. Richard Kuuia Baawobr M. Afr. - Vescovo di Wa (Ghana).

14. S.E.R. Mons. William Goh Seng Chye - Arcivescovo di Singapore (Singapore).

15. S.E.R. Mons. Adalberto Martínez Flores - Arcivescovo Metropolita di Asunción (Paraguay).

16. S.E.R. Mons. Giorgio Marengo, I.M.C. – Prefetto Apostolico di Ulaanbaatar (Mongolia).


Insieme ad essi unirò ai membri del Collegio Cardinalizio:

1. S.E.R. Mons. Jorge Enrique Jiménez Carvajal - Arcivescovo Emerito di Cartagena (Colombia).

2. S.E.R. Mons. Lucas Van Looy sdb - Arcivescovo Emerito di Gent (Belgio).

3. S.E.R. Mons. Arrigo Miglio - Arcivescovo Emerito di Cagliari (Italia).

4. R.P. Gianfranco Ghirlanda SJ – Professore di Teologia.

5. Mons. Fortunato Frezza – Canonico di San Pietro.

Preghiamo per i nuovi Cardinali, affinché, confermando la loro adesione a Cristo, mi aiutino nel mio ministero di Vescovo di Roma per il bene di tutto il Santo Popolo fedele di Dio.

Vi auguro una buona domenica! Per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci.

Guarda il video


domenica 29 maggio 2022

Preghiera dei Fedeli - Fraternità Carmelitana di Pozzo di Gotto (ME) - ASCENSIONE DEL SIGNORE - Anno C


Fraternità Carmelitana 
di Pozzo di Gotto (ME)

Preghiera dei Fedeli

  ASCENSIONE DEL SIGNORE Anno C
29 maggio 2022 


Per chi presiede

Il Signore Gesù è il Crocifisso Risorto, è il Vivente presente in mezzo a noi. Egli, che ci ha amato sino alla fine, ora siede con la sua carne alla destra del Padre per intercedere per noi e per far scendere su tutto il mondo la sua benedizione. Con piena libertà accostiamoci al trono della sua grazia ed esprimiamo le nostre preghiere dicendo:

          R/ Ascoltaci, Signore

 Lettore

- Porta in alto, Signore, la tua Chiesa, perché essa possa accogliere solo Te come suo Signore. Apri l’orecchio del suo cuore, perché possa comprendere attraverso l’ascolto delle Scritture Sante il mistero del tuo dono di amore, vittorioso sul male e sulla morte. Fa’ che essa possa essere con il suo stile di vita testimonianza credibile della tua benedizione sul mondo. Preghiamo.

- Tu, Signore, che sei il Re dei re, disperdi con la forza del tuo Santo Spirito i pensieri ed i progetti dei potenti di questo mondo, che, incuranti del dolore dei piccoli e dei poveri, guardano unicamente ai loro interessi ed al loro accrescimento. Fa’ che ai pensieri di guerra e di dominio possano subentrare in loro pensieri di pace e cura verso tutta l’umanità e verso il nostro pianeta. Preghiamo.

- Ti affidiamo, Signore, il nostro Paese e quanti sono stati chiamati ad esercitare una responsabilità di governo. Dona a loro, ma anche agli imprenditori, a quanti operano nel mondo della finanza e ai sindacalisti uno sguardo alto, che sia capace di andare oltre il loro egoistico interesse e che, invece, sia in grado di farsi carico delle crescenti sperequazioni, che pesano sulla vita di tante famiglie. Preghiamo.

- Ricordati anche di noi, Signore. La tua Parola e la tua presenza interiore ci aiutino a diventare cristiani adulti nella fede, pronti a testimoniare la verità dell’amore. La forza del tuo Spirito ci renda meno devoti, ma più credenti, più capaci di scommettere la nostra vita sulle tue parole, che sono vita e vita in pienezza. Preghiamo.

- Davanti a te, Signore del tempo e della storia, ricordiamo i nostri parenti e amici defunti e le vittime del corona-virus [pausa di silenzio]; ricordiamo tutte le vittime dell’indifferenza, dell’omofobia e della misoginia. Dona a tutti la luce della tua risurrezione. Preghiamo.

 

Per chi presiede


Signore Gesù, innalzato alla destra Padre, ascolta le preghiere della tua Chiesa: donaci il rispetto della dignità di ogni persona umana, che tu hai elevato accanto a te, e insegnaci a vivere con sapienza e discernimento questi nostri tempi incerti e difficili. Te lo chiediamo perché sei il nostro Sacerdote e Intercessore presso il Padre, nei secoli dei secoli. AMEN.



"Un cuore che ascolta lev shomea" - n. 30/2021-2022 anno C

"Un cuore che ascolta - lev shomea"

"Concedi al tuo servo un cuore docile,
perché sappia rendere giustizia al tuo popolo
e sappia distinguere il bene dal male" (1Re 3,9)



Traccia di riflessione sul Vangelo
a cura di Santino Coppolino

 ASCENSIONE DEL SIGNORE  (ANNO C)

Vangelo:



Sintesi di tutte le scritture e chiave di lettura della storia dell'uomo è il Crocifisso Risorto. Nell'infamia della croce il Padre ci offre tutta la sua solidarietà con il male e con la morte, e la resurrezione è il suo sigillo di gradimento sulla vita di suo Figlio Gesù. Ai piedi della croce crolla finalmente l'idolo dai piedi d'argilla, il Molok mai sazio di sacrifici e di sangue, la terrificante e diabolica immagine di quella divinità che abbiamo costruito con le nostre stesse mani. Terminano così le nostre paure: la salvezza di Dio è rivolta a tutti i popoli e ad ogni figlio, e nessuno mai potrà essere escluso dal suo amore. Quanti si chiudono ed emarginano, escludono ed erigono muri di divisione non hanno certamente conosciuto il Padre e nemmeno il Figlio. Il Regno di Dio annunciato e vissuto da Gesù altro non è che la testimonianza vivente del volto d'amore di un Dio che da sempre e per sempre è rivolto a noi. L'Ascensione di Gesù al Cielo, che l'evangelista Luca racconta per ben due volte, (Lc 24,50-51; At 1,9-11), è il compimento del giorno di Pasqua, la cerniera tra la vita di Gesù e quella della Chiesa che è chiamata a testimoniare, a immagine del suo Maestro e Signore, l'amore del Padre per tutti gli uomini. E' il frutto dolcissimo, arrivato ormai a maturazione, della prima benedizione del Creatore pronunciata ed effusa «in principio» sui nostri progenitori (Gen 1,28), la pienezza della comunione con il Padre che, per le mani del Figlio, nello Spirito Santo, diviene per noi salvezza e benedizione attesa e sperata.


sabato 28 maggio 2022

SANDALI DI GIOIA - Ascensione, alla ricerca con Cristo di un crocevia tra terra e cielo, di una fessura aperta sull'oltre, su ciò che dura al di là del tramonto: sapere che il nostro amare non è inutile, ma sarà raccolto goccia a goccia. - ASCENSIONE DEL SIGNORE / C - Commento al Vangelo a cura di P. Ermes Ronchi

SANDALI DI GIOIA
 


Ascensione, alla ricerca con Cristo di un crocevia tra terra e cielo, di una fessura aperta sull'oltre, su ciò che dura al di là del tramonto: sapere che il nostro amare non è inutile, ma sarà raccolto goccia a goccia.  

  


I commenti di p. Ermes al Vangelo della domenica sono due:
  • il primo per gli amici dei social
  • il secondo pubblicato su Avvenire

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto».
Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio.
 Luca 24,46-53


per i social

SANDALI DI GIOIA

Ascensione, alla ricerca con Cristo di un crocevia tra terra e cielo, di una fessura aperta sull'oltre, su ciò che dura al di là del tramonto: sapere che il nostro amare non è inutile, ma sarà raccolto goccia a goccia.

Ascensione è l’atto di enorme fiducia di Gesù in quelli che lo hanno seguito per tre anni, che non hanno capito molto, ma che molto lo hanno amato: affida alla loro fragilità se stesso e il vangelo, e li benedice.
Il distacco di Gesù dai suoi, in Luca, è di una sobrietà incantevole. «Gesù li condusse fuori verso Betania»: è colui che precede, che indica la via, che avanza sicuro anche quando la meta è il Calvario.
Inizia su quell'altura la "Chiesa in uscita" (papa Francesco). Inizia con l'invio che chiede agli apostoli un cambio di sguardo. Devono passare da una Chiesa che mette se stessa al centro, ad una Chiesa al servizio dell'uomo, della vita, della cultura, della casa comune, delle nuove generazioni.

Convertiteli: coltivate e custodite i semi divini di ciascuno.
 Come Gesù che in Galilea andava alla ricerca delle faglie, delle fenditure nelle persone, là dove scorrevano acque sepolte, come con la samaritana al pozzo.
Così la Chiesa è inviata al servizio dei germi santi che sono in ciascuno.
Per ridestarli. Una Chiesa rabdomante del buono, per captare e far emergere le forze più belle che nemmeno sappiamo di avere, camminiamo su gioielli e non lo sappiamo.

E condotti fuori, li benedisse. Una lunga benedizione sospesa tra cielo e terra, veglia sul mondo.
Il mondo lo ha rifiutato e ucciso, e lui lo benedice. Benedice me, così come sono, nelle mie amarezze e povertà. Nei miei dubbi benedetto, nelle mie fatiche benedetto.

Nella sua ascensione, Gesù non è salito verso l'alto, è andato oltre, verso le cose a venire. Non al di là delle nubi, ma al di là delle forme. Siede alla destra di ciascuno di noi, è nel profondo del creato, nel rigore della pietra, nella musica delle costellazioni, «nell'abbraccio degli amanti, in ogni rinuncia per un più grande amore» (G. Vannucci).

Luca conclude il suo vangelo a sorpresa: i discepoli tornarono a Gerusalemme con grande gioia.
Invece d’essere tristi perché se ne andava il loro amico, da quel momento sentono dentro un amore che abbraccia l'universo, e ne sono felici. “Ho amato ogni cosa con l'addio” (Marina Cvetaeva).

Una benedizione ci ha lasciato il Signore!
Non un giudizio o una condanna, ma una parola bella su noi. 
Perché si benedice chi ci ha fatto del bene.
Ma io quale bene ho fatto a Dio? Nessuno. Eppure egli benedice i miei sandali rotti, e i miei percorsi malandati.

Tornarono con gioia grande.
Non sono degno di Lui, ma mi prendo lo stesso la sua fiducia, mi tengo stretta la sua speranza in me, in noi, che stiamo ancora imparando, che stiamo sempre camminando.
Su sandali di gioia.

per Avvenire

L'ultimo gesto di Gesù è benedire (...)

Leggi su Avvenire


«MA PERCHÉ SE CERCO CASA, DEVO SPECIFICARE CHE SONO NERA?»

«MA PERCHÉ SE CERCO CASA,
DEVO SPECIFICARE CHE SONO NERA?»

La testimonianza di vittima dell'intolleranza strisciante in Italia di Clementine Pacmogda, originaria del Burkina Faso, dottoressa in linguistica, arrivata in Italia grazie a una borsa di studio alla Normale di Pisa. «Capii che la differenza di colore mi avrebbe obbligata a esibire solo i miei documenti per essere tranquilla»



Quando chiami per affittare casa devi dire che sei nera? «Sì, devo specificare che sono nera o che sono straniera. Altrimenti si rischia di avere brutte sorprese». Lo confessa Clementine Pacmogda, nata 44 anni fa in Burkina Faso, arrivata in Italia grazie a una borsa di studio alla Normale di Pisa. Dottoressa in Linguistica, è insegnante di sostegno, sempre positiva, nonostante le non poche difficoltà sperimentate. Sulla sua storia, di bimba africana senza genitori che sognava di studiare, ha scritto un romanzo. «L’unica parola nella mia lingua usata in tutto il libro, è Wendyam. Significa ‘La volontà di Dio», spiega. «È la storia di vita e di fede di una donna e del suo viaggio dall’Africa all’Italia».

Com’è stato cercare casa in Italia?

«A Pisa avevo conosciuto una ragazza nigeriana che studiava anche lei alla Normale. Io avevo già finito e stavo portando avanti un assegno di ricerca. Lei era al primo anno in Italia e parlava solo inglese. Per tre mesi è stata in collegio, poi dovette cercare una camera perché volevano ristrutturare l’edificio. Mi chiese di aiutarla. Trovammo qualche annuncio. Provai a chiamare, ma quando venivano a sapere che si trattava di una nera, dicevano che non affittavano a stranieri. Una volta sembrava tutto a posto e abbiamo preso un appuntamento per visitare il posto. Appena ci videro, cambierono idea, decisero che non affittavano più. Alla fine ha trovato una camera in un appartamento, una signora con la mente aperta aveva deciso di affittare alla mia amica africana».

Quando ha capito che non era semplice essere afrodiscendente qui?

«Tutto dipende da come arrivi e da chi è con te. Io sono venuta per studiare, in un ambiente universitario dove di solito trovi persone accoglienti. Quando sono arrivata il personale e gli utenti del Laboratorio di Linguistica si sono resi disponibili ad aiutarmi. Il problema è quando vai in un ambiente dove nessuno ti conosce. Sei subito considerato lo straniero, il nero o l’africano. Poveri, cattivi da scartare. Sembra che siamo in una categoria di umani a parte. A volte saluti perché vuoi chiedere informazioni ma non ti rispondono, continuano per la loro strada. Ti avvicini a un gruppo di persone che stava parlando e appena apri bocca, vedi che le espressioni del viso sono cambiate. Senti di non essere gradito. Non puoi spiegarlo, sono cose che osservi e capisci solo tu».

Com'è vivere in Italia per una persona non bianca?

«Quando viaggi hai paura del minimo errore sul documento o di incontrare qualcuno che vuole categorizzarti. Negli aeroporti gli afrodiscendenti sono sempre i più controllati mentre tutti gli altri fanno se ne vanno tranquillamente agli imbarchi. L’unica cosa che ti salva è avere un passaporto italiano. Sei legato al documento che hai, altrimenti non conti nulla. Ho scritto qualche episodio vissuto nel mio primo libro. Hai l’impressione che molti aspettano un tuo minimo errore per confermare il loro pregiudizio sulla tua persona e su tutti quelli come te. Un errore di un nero è considerato un errore di tutti i neri. Quando siamo venuti ad abitare in provincia di Parma, a Borgotaro e dovevamo cambiare appartamento, andavo in giro a cercare una casa e facevo qualche chiamata. Dovevo sempre precisare che mio marito era italiano e medico, per farmi ascoltare. Però esiste anche l’altra faccia della medaglia. Essere nero può anche attirare delle persone «curiose» di conoscerti meglio, pronti ad aiutare perché immaginano non sia facile vivere in un paese nuovo».

Dove ha percepito che c'era qualcosa di diverso?

«Quando sono arrivata per la prima volta all’aeroporto di Pisa sotto una pioggia incessante, ero stanca perché avevo aspettato 24 ore all’aeroporto di Roma. Arrivai con 44 persone, tutte bianche. Gli altri passeggeri potevano prendere i loro bagagli e uscire senza problemi, io invece sono stata bloccata per la verifica dei documenti. Presero il passaporto e lo sfogliarono, videro il visto che mi autorizzava ad entrare in Italia, ma non bastava. Dovetti frugare in borsa e tirare fuori tutti i documenti per passare. Quando finii tutto, ero rimasta la sola a non essere ancora uscita. Capii che la differenza di colore mi avrebbe obbligata a vivere solo pensando ai documenti per essere tranquilla».
(fonte: Famiglia Cristiana, articolo di Nicola Nicoletti 27/05/2022)



P. Alex Zanotelli: Basta con le politiche criminali e discriminatorie nei confronti dei profughi provenienti dall’Asia e dall’Africa

P. Alex Zanotelli:
Basta con le politiche criminali e discriminatorie nei confronti dei profughi provenienti dall’Asia e dall’Africa


Non si può restare in silenzio davanti alle “politiche criminali e discriminatorie nei confronti dei profughi provenienti dall’Asia e dall’Africa, profughi che fuggono da guerre spaventose come in Iraq, Siria, Afghanistan, Yemen, ma anche da tante nazioni africane come Etiopia, Sud Sudan, Sudan…” Lo afferma padre Alex Zanotelli a nome del Digiuno di giustizia in solidarietà con i migranti.

“Mentre la UE e l’Italia hanno subito aperto i confini per chi fugge dalla guerra in Ucraina”, il nostro paese e l’UE continuano a respingere brutalmente donne e uomini provenienti dal Sud del mondo, in fuga anch’essi da guerre e violenze.

“Alla fine di dicembre dello scorso anno – denuncia Zanotelli citando Avvenire – una donna irachena ha partorito in mezzo alle barbe del filo spinato che separa i due paesi. Lei e il bambino sono stati lasciati morire per assideramento: nessuno è intervenuto. Questi sono crimini che gridano vendetta al cospetto di Dio tanto quanto i crimini commessi dai russi in Ucraina. Ai profughi ucraini la UE e l’Italia, giustamente, hanno subito applicata la protezione temporanea regolata dalla direttiva 55/2001”.

Perché non applichiamo le stesse categorie giuridiche, politiche e sociali anche ai rifugiati africani o asiatici?”, si chiede padre Zanotelli sottolineando che “nel primo mese di guerra in Ucraina sono arrivati in Italia circa 80.000 rifugiati, un numero che corrisponde ai rifugiati africani e asiatici che sono stati catturati in mare e riportati in Libia dalla guardia costiera libica in questi cinque anni dalla firma del Memorandum Italia-Libia”.

“Per fermare quelle persone – sottolinea il missionario comboniano – il governo italiano ha ritirato le navi salva-vite delle ONG e ha finanziato le criminali milizie libiche con quasi un miliardo di euro”.
“Questa – rileva Zanotelli – è la cosiddetta politica dell’ esternalizzazione delle frontiere, pagata quest’anno da oltre 2.000 rifugiati morti e sepolti nel Mediterraneo”.

“Questo ha costretto tanti profughi a tentare la via ancora più pericolosa dell’Atlantico per arrivare nelle Canarie e poi in Europa. Lo scorso anno ben 4.000 rifugiati sono periti nell’Atlantico. Ben 83 imbarcazioni sono scomparse”, documenta padre Zanotelli che annuncia la convocazione di un nuovo appuntamento.

Il 1° giugno, primo mercoledì del mese, il Digiuno di giustizia si terrà nella piazza Rotonda, davanti al Pantheon, dalle ore 16 alle ore 18”. “Non è giusto – annota in proposito – che la Questura di Roma continui a negarci il diritto costituzionale di digiunare, in nome di quanti in Italia digiunano quel giorno, davanti al Parlamento italiano, contro le criminali politiche migratorie del nostro governo e della UE. Questo digiuno è un atto di protesta E protestiamo anche contro le politiche della ministra degli Interni, Luciana Lamorgese, che continua a far aspettare le navi con i naufraghi a bordo senza assegnare loro il porto. E’ successo di nuovo ora alla Geo Barents, con 471 naufraghi a bordo, che ha dovuto aspettare undici giorni prima di avere il porto di Augusta. Per disperazione ben 6 migranti si sono gettati in mare”. “Stiamo ripetendo le politiche di Salvini?”, si domanda padre Alex, che ribadisce: “siamo contro la criminalizzazione dell’accoglienza”.

Infine Zanotelli ricorda: “il 25 maggio è iniziato il processo d’appello contro Mimmo Lucano, già sindaco di Riace, colpevole del reato di Umanità. Ha profondamente ragione Papa Francesco a ricordarci: ‘Quando le vite umane sono in pericolo, i confini nazionali diventano irrilevanti’”.

(fonte: Faro di Roma, articolo di Sante Cavalleri 27/05/2022)


venerdì 27 maggio 2022

Giuseppe Savagnone - Dietro la tragedia di Uvalde c’è il problema della libertà

Giuseppe Savagnone
Dietro la tragedia di Uvalde
c’è il problema della libertà

Photo by Colin Lloyd on Unsplash

All’origine, un dramma umano

La spaventosa strage che, nella scuola elementare di Uvalde, in Texas, ha causato la morte di diciannove bambini fra i sette e dieci anni e due insegnanti, oltre a suscitare un moto di orrore, si presta a diversi ordini di considerazioni. La si può leggere come una tragedia causata dall’emarginazione e dalla solitudine.

Salvador Ramos aveva appena compiuto diciotto anni. La storia di questa terribile vicenda ce lo consegna come un mostro di cui è difficile avere pietà. Che sia stato abbattuto dalle forze dell’ordine, intervenute per bloccarlo, non fa pena a nessuno. Eppure la sua storia è un esempio di come mostri si possa diventare per una serie di circostanze negative che riempiono una persona di odio verso gli altri. Salvador Ramos era stato bullizzato da bambino per la sua balbuzie, deriso da adolescente per la sua povertà e per il suo modo di vestire, escluso dalla scuola per le sue continue assenze.

Un suo compagno ha raccontato che una volta si era presentato con la faccia piena di tagli ed all’inizio aveva detto che era stato un gatto. «Poi mi ha detto la verità, che era stato lui a tagliarsi con un coltello», ha spiegato ancora, dicendo che Ramos affermava che lo faceva per divertimento. In realtà, probabilmente, si odiava.

Quanto alla sua famiglia, del padre non si sa nulla. Aveva abitato con le madre, che aveva problemi di droga, finché non era stato cacciato da casa ed era andato a vivere con la nonna. Ma, a giudicare dal fatto che ha tentato di ucciderla prima di recarsi nella scuola dove ha fatto l’eccidio, neanche con lei il rapporto affettivo aveva funzionato.


Così Salvador Ramos ha vissuto nell’attesa spasmodica di avere l’età minima necessaria per acquistare i due fucili semiautomatici – armi da guerra! – con cui ha sparato, prima alla nonna, poi all’impazzata su dei poveri bambini, per vendicarsi. Di tutti. Forse della vita.

Le stragi ricorrenti e il problema delle armi

Ma la chiave di lettura più frequente della sparatoria di Uvalde, sui giornali, è quella che la colloca nella storia sanguinosa delle altre che l’hanno preceduta. Una lunga scia di sangue che parte da Columbine, nel Colorado, dove il 20 aprile 1999 due studenti della Columbine High School, di 17 e 18 anni, armati fino ai denti, uccisero 12 compagni di classe e un insegnante, prima di suicidarsi nella biblioteca.

Il più sanguinoso in assoluto, in questo arco di tempo, è stato il massacro nella scuola elementare di Sandy Hook, nel Connecticut, nel dicembre 2012, quando un uomo armato uccise 26 persone, di cui 20 bambini. A seguire, quello compiuto nel 2018, da un ex studente della Marjory Stoneman Douglas High School di Parkland, in Florida, dove restarono uccisi 17 studenti ed educatori. La strage di Uvalde si colloca, per gravità, tra queste due.

Ma sono solo i picchi di un fenomeno strisciante che si prolunga nel tempo. Secondo un’analisi del «Washington Post», dalla strage di Colombine oltre 200 mila studenti hanno vissuto in prima persona una sparatoria nella loro scuola. Negli ultimi venti anni ne sono avvenute più di duecento, con più di centocinquanta vittime.

Da una ricerca dell’Università del Michigan pubblicata sul New England Journal of Medicine il mese scorso, risulta che, a partire dal 2020, le armi da fuoco sono diventate la principale causa di morte per bambini e adolescenti statunitensi superando gli incidenti automobilistici. Gli Stati Uniti hanno 329 milioni di abitanti e 393 milioni di armi da fuoco: molto più di una per abitante!

Una causa è sicuramente la legislazione permissiva, che ne consente l’acquisto senza alcun controllo sulla idoneità degli acquirenti. «Sono stanco, dobbiamo agire sulle armi. Queste carneficine avvengono soltanto negli Usa», ha detto esasperato il presidente Joe Biden, commentando la tragedia di Uvalde. Il presidente ha comunicato che chiederà al Congresso di agire, e di mettere un freno alla circolazione delle armi. «Dobbiamo contrastare» – ha ribadito – «la lobby delle armi».

Si colloca su questo piano la polemica che la strage ha scatenato contro il governatore del Texas, Greg Abbott, che, facendo leva sul secondo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti, che garantisce il diritto all’autodifesa, ha recentemente fatto approvare una legge che facilita l’acquisto delle armi da fuoco, incoraggiando espressamente i cittadini ad approfittarne. «Sono imbarazzato», aveva scritto in un tweet. «Il Texas è solo al secondo posto per gli acquisti di nuove armi dietro alla California. Texani, aumentiamo la velocità».

In antitesi con questo atteggiamento l’addolorato commento di papa Francesco al tragico evento di Uvalde: «È tempo di dire basta al traffico indiscriminato delle armi. Impegniamoci tutti perché tragedie così non possano più accadere».

L’ambiguità della libertà

È possibile, però, una terza lettura, che, senza sottovalutare la questione del libero mercato delle armi, parte da essa per andare alle radici culturali del problema. La fornisce un giornalista che conosce bene la società americana: «Limitare per legge la possibilità di armarsi appare la soluzione logica. Il problema è che non succederà mai. Non succederà perché in America il diritto di portare armi è incardinato sul principio inviolabile della libertà individuale, poggia sulle idee dell’autopossesso e dell’autodeterminazione, dalle quali discende il diritto di proteggersi secondo modalità che non siano sottoposte a un’autorità» (Mattia Ferraresi, Perché gli Stati Uniti non faranno mai una legge contro le armi, su «Il Domani» del 25 maggio 2022)

C’è un modo di intendere la libertà, osserva Ferraresi , che la riduce a quella «puramente negativa, “libertà-da” – dallo Stato, dalla leggi, dagli altri» – e insiste quindi esclusivamente sull’autonomia dell’individuo, piuttosto che sulla sua responsabilità verso gli altri. «La stessa», scrive Ferraresi, «invocata per celebrare conquiste e progressi nell’ambito dei diritti individuali, il diritto di disporre di sé, del proprio corpo, della propria inclinazione, della propria sessualità, della propria sicurezza».

È questa libertà che, nella cultura americana, rende improbabile una legge contro le armi e che comunque, anche ove una simile legge finalmente vedesse la luce, ne neutralizzerebbe gli effetti nella pratica. Il problema, insomma, non è solo giuridico, ma prima di tutto culturale. Converge con questo giudizio ciò che scrive Maria Elisabetta Gramellini, dell’agenzia «Sir», quando, riassumendo il senso di una intervista a John Allen – vaticanista, scrittore statunitense e caporedattore dell’agenzia indipendente “Crux: Taking the Catholic Pulse” – , scrive: «Concentrare il dibattito solo sulla facilità con cui le armi vengono vendute e diffuse nel Paese sarebbe un errore».

È ciò che emerge dalle parole di Allen: «La disponibilità delle armi è un problema a cui serve una risposta politica, ma è solo un sintomo. La disponibilità dà ai giovani il modo di esprimersi nella maniera più violenta, ma le armi non sono la causa del malessere, che necessita invece di una risposta più convincente». Qui, però, si fa un passo avanti nella diagnosi: se la libertà è diventata un valore assoluto in se stessa, è perché non ci sono più fini ulteriori per cui investirla. A monte c’è un vuoto, di cui il malessere è un sintomo.

E questo forse non è vero solo degli Stati Uniti, ma evidenzia la crisi dell’intero Occidente, dove il culto di diritti individuali ha sempre più corrisposto alla crisi delle “grandi narrazioni” religiose e filosofiche che davano senso alla vita e alla libertà stessa. Questa, perciò, invece di essere innanzi tutto “libertà-per” qualcos’altro, si è sempre più identificata con quella “da”. Col risultato di riguardare sempre di più l’individuo e di essere sempre più sganciata dai fini e dalla dimensione comunitaria in cui questi si incarnavano. Significativo il fatto che la società occidentale vede ormai il tramonto della famiglia e il trionfo della figura del single, che ha rapporti non vincolanti con partner che cambiano di volta in volta, o con cui comunque «si sta insieme finché si sta bene insieme», senza un impegno assoluto.

Che ci sia una versione “progressista” di questa visione – negli Stati Uniti come in Europa – , in contrasto e in polemica con quella del governatore repubblicano Abbott e ostile all’uso indiscriminato delle armi, non cambia la sostanza. «Il diritto di disporre di sé, del proprio corpo, della propria inclinazione, della propria sessualità, della propria sicurezza», di cui parlava Ferraresi, è il grande protagonista delle battaglie “di sinistra” (ma ha ancora senso questa parola, applicata una visione individualista?) che negli Stati Uniti e in tutto l’Occidente hanno ormai identificato la libertà con la legalizzazione dell’aborto senza vincoli di sorta, con il matrimonio tra persone dello stesso sesso e con il libero accesso all’eutanasia.

Ovviamente la comune radice culturale non può fare equiparare questi diverse fattispecie, come dimostra il fatto che i fautori del libero mercato delle armi sono spesso contrari alla libertà dell’aborto o al matrimonio gay e viceversa. Come spesso accade, da un’unica premessa si traggono conseguenze assai diverse e perfino opposte.

A chi ritiene rovinose per la vita umana sia le une che le altre non resta che evidenziarne, al di là delle immediate reazioni emotive, la logica interna – come qui si è cercato di fare – e rimettere in discussione il concetto di libertà che esse implicano.
(fonte: Tuttavia 26/05/2022)


Ernesto Olivero: «Dobbiamo educare i giovani alla pace»

Ernesto Olivero:
«Dobbiamo educare i giovani alla pace»

Dopo lo straordinario impegno del Sermig per l’Ucraina, il nuovo obiettivo: «Bisogna aiutare tutti a capire che il vero nemico è l’odio»


Cara amica, caro amico, nelle prime settimane di marzo 2022 l’Arsenale della Pace è stato «invaso» da un impressionante fiume di bene e generosità a cui tanti cittadini, famiglie, associazioni, scuole, parrocchie, aziende, istituzioni locali di tutta Italia hanno dato vita. L’indignazione e l’incredulità hanno scosso le coscienze, generando una meravigliosa reazione di solidarietà in risposta alla violenza di una sciagurata guerra. Le mani tese, disarmate, di tutte queste persone di buona volontà riconciliano con il senso di umanità, salvano l’anima al mondo. Oltre trecentomila persone hanno portato finora più di millecinquecento tonnellate di aiuti. Una grande conferma della denominazione che la Città di Torino si è data nel 2008: «Torino Città dell’Arsenale della Pace».

Questi gesti «dal basso» esprimono uno straordinario desiderio di pace che diventa anche un messaggio importante per i grandi della Terra. Questa è la pace in cui crediamo, la pace che ci ha fatto conoscere Giorgio La Pira, sindaco di Firenze e grande uomo di dialogo, citando il profeta Isaia: un tempo in cui le armi saranno trasformate in strumenti di lavoro e i popoli non si eserciteranno più nell’arte della guerra. È diventato il nostro sogno, la scelta concreta di noi tutti che abbiamo vissuto l’avventura di trasformare il vecchio arsenale militare di Torino in Arsenale della Pace.

La guerra non è mai la soluzione! Lo abbiamo capito aiutando tanti Paesi in guerra, ora l’Ucraina. Dico sovente che le armi uccidono sette volte.

La prima è quando sono progettate, perché sottraggono risorse alla ricerca, alla scuola, alla vita.

La seconda perché per costruirle si impegnano intelligenze che potrebbero dedicarsi allo sviluppo in campo scientifico, tecnologico, ambientale e medico.

La terza perché le armi uccidono senza guardare in faccia nessuno, distruggono e costringono milioni di persone a lasciare i loro cari, le loro case e i loro Paesi...

La quarta perché usate creano i presupposti per la vendetta.

La quinta è la più tragica perché in una guerra, militari e civili esaltati compiono qualsiasi nefandezza sulle loro vittime.

La sesta perché vittime e carnefici si portano addosso il ricordo insopportabile degli orrori subiti e commessi, fino ad arrivare anche a togliersi la vita.

La settima perché la guerra lascia una scia di risentimenti e spazi d’odio che ne prolunga gli effetti nefasti.

Non sono tutte qui le conseguenze negative della guerra: penso soprattutto ai bambini soldato, arruolati per combattere, costretti ad uccidere per dimostrare la loro forza, penso a intere generazioni di bambini e giovani che negli anni preziosi della loro crescita conoscono solo la guerra, ne porteranno per sempre le ferite profonde. Una di loro, che ha vissuto da bambina il dramma della guerra nella ex Iugoslavia, recentemente ha scritto: «La guerra porta solo vittime e la prima vittima è la verità».

Proprio per queste ragioni non ci abitueremo mai alla guerra e continueremo a lottare per contrastarla, continueremo a lavorare per la pace e a ricercarla con tutte le nostre forze.

La pace vera è un fatto che deriva dalle opere di giustizia. È un mondo che accoglie ogni uomo e donna di qualsiasi origine e religione perché tutti hanno diritto a cibo, casa, lavoro, cure, dignità, istruzione.

È un mondo in cui giovani e adulti sono pronti a fare della propria onestà la chiave per costruire il bene comune. È il comprendere che il bene che posso fare io non lo può fare nessun altro, perché è la parte di bene che tocca a me, è la mia responsabilità.

Questa mentalità è diventata la nostra bussola e, lentamente ma decisamente, ha abbracciato milioni di persone che hanno messo a disposizione tempo, denaro, professionalità per asciugare una lacrima, sostenere chi è debole, formare i più giovani senza chiedere nulla in cambio.

Ora chiediamo ai governi e alle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado che diventi anche una priorità educativa orientando la formazione scolastica, a partire dall’infanzia fino all’università. Formarsi e crescere nella pace significa diventare, sin da giovani, cittadini responsabili e custodi del dialogo e della dignità di ogni persona.

La nostra coscienza ci spinge a bussare alla porta delle organizzazioni internazionali nate dall’aspirazione alla pace dei popoli affinché garantiscano sempre più concretamente e senza riserve la dignità e i diritti fondamentali di ogni persona, rispettino e tutelino le minoranze e promuovano l’uguaglianza, bandiscano l’uso delle armi, abbiano l’autorità e il riconoscimento morale di fermare le guerre e di rimediare alle ingiustizie attraverso la diplomazia e dove necessario mediante missioni di pace.

Un impegno concreto che aiuti tutti a capire che il vero nemico è l’odio e che il nostro futuro si difende con la pace.

Se questa mentalità si fa strada nel cuore di tanti, il mondo può davvero cambiare. È la speranza che nasce anche di fronte alla tragedia più nera, la speranza che di fronte a persone in difficoltà ci porta a dire sempre: «Fratello, sorella cosa posso fare per te?».
(fonte: Corriere della Sera Torino, articolo di Ernesto Oliviero 24/05/2022)