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sabato 31 luglio 2021

FAME E PAURA - Gesù interroga la mia fede illusoria: io amo Dio o i favori di Dio? E cosa dobbiamo fare per avere questo pane? - XVIII Domenica T. O. / B - Commento al Vangelo a cura di P. Ermes Ronchi

FAME E PAURA
 

Gesù interroga la mia fede illusoria: io amo Dio o i favori di Dio?
E cosa dobbiamo fare per avere questo pane?
 

I commenti di p. Ermes al Vangelo della domenica sono due:
  • il primo per gli amici dei social
  • il secondo pubblicato su Avvenire
In quel tempo, quando la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafarnao alla ricerca di Gesù. Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?». Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell'uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo». (...) Gv 6,24-35

per i social

Gesù interroga la mia fede illusoria: io amo Dio o i favori di Dio? E cosa dobbiamo fare per avere questo pane? Dovete credere che solo io porto senso, profondità, forza e canto alla vita.

FAME E PAURA

Il lago si è riempito di barche e di speranze. Lago che germoglia di domande.

Rabbi, perché ti nascondi? Quando sei venuto qua? E la folla pone la terza domanda: quale segno fai perché possiamo crederti? Mosè ci ha dato la manna, ma tu che cosa ci dai?

Gesù interroga la mia fede illusoria: io amo Dio o i favori di Dio? Abramo, padre dei credenti, i profeti, credono nella Parola più che nella sua realizzazione. E io? Amo i doni che attendo o amo il Donatore?

E Gesù svela la sua distanza: molto più di un lago c’è di mezzo tra me e voi... Incompreso, è sempre sull’altra riva.

Ma lui, che ha sfamato la folla, vuole svegliare in loro un’altra fame, per un pane diverso; e risponde con due parole semplicissime, che sono la chiave di volta del Vangelo: Dio dà.

Dio non chiede, Dio dà. Non pretende, non esige, Dio dà. Non pane in cambio di potere, neppure del potere sulle anime. Dio dà vita al mondo.

Ma Rabbi, cosa dobbiamo fare per avere questo pane?

Dovete credere che io porto senso, profondità, forza e canto alla vita. Credere, ma con fede pura, che va oltre. Non cercandomi solo perché avete mangiato!

Le cose, lo sappiamo, non bastano mai. E le persone? Quando ci hanno dato tutto ciò che potevano, affetti, stima, amore, capiamo «di conclamarci a vicenda immortali, con la morte fra le braccia» (Turoldo).

Neanche le persone ci colmano la vita. E se ne vanno. E ci limitano. Ma Dio ha fatto il cuore più profondo di tutte le creature della terra messe insieme.

L'uomo nasce affamato. Ed è la sua fortuna. Il bambino ha fame di sua madre, gli amanti hanno fame l'uno dell'altro, e poi di un figlio che incarni il loro amore, dove vedere affacciarsi il futuro per sempre. E quando una famiglia è completa, dovrebbe sentirsi appagata. E invece l'uomo sente una felicità sempre minacciata. Ed ha fame e paura, desidera amici e teme tradimenti. Ha fame di corpi e poi di infinito.

La risposta a questa fame non è nel creato, è fuori. E’ un pane dal cielo.

Pane è parola piena di significati. Non è solo un pugno di farina passato nel fuoco, ma tutto ciò che serve a mantenere la vita. Amore. Essenzialità. Pace. Dignità. Energia. Libertà. Il miracolo che tracima dal vangelo dice che non tutto si risolve nelle tue leggi, o nelle regole che sai: «Dio offre i suoi doni su piatti di luce, avvolti in bende di luce» (Rab'ia).

Il cristianesimo non è un corpo dottrinale cui aggiungere nuove definizioni dogmatiche, ma una calda corrente che ci inonda affinché giunga a maturazione l'uomo celeste che è in noi, sbocciando nel tempo e nell'eterno.

Io ho saziato per un giorno la tua fame, ma posso colmare tutta la tua vita, e riempire tutte le profondità insoddisfatte della tua esistenza.

L’uomo non può vivere senza mistero, e la sua sete di cielo non si placherà mai solo con larghe sorsate di terra.

per Avvenire

Gesù ha appena compiuto il “segno” al quale tiene di più, il pane condiviso, ed è poi quello più frainteso, il meno capito. La gente infatti lo cerca, lo raggiunge e vorrebbe accaparrarselo come garanzia contro ogni fame futura. Ma il Vangelo di Gesù non fornisce pane, bensì lievito mite e possente al cuore della storia, per farla scorrere verso l'alto, verso la vita indistruttibile. (...)

Leggi su Avvenire

"Spero che il Sinodo non sia…" di Vinicio Albanesi

SINODO DELLA CHIESA ITALIANA
"Spero che il Sinodo non sia…" 
di Vinicio  Albanesi



L’Assemblea generale della Conferenza episcopale italiana del 21-27 maggio di quest’anno ha deciso di avviare ciò che è stato chiamato il “Cammino sinodale della Chiesa italiana”.

Era da anni che il papa aveva invocato un Sinodo. Già ne aveva parlato intervenendo al Convegno ecclesiale di Firenze (In Gesù Cristo il nuovo umanesimo) il 10 novembre 2015. «Mi piace una Chiesa italiana inquieta – aveva detto papa Bergoglio – sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti. Desidero una Chiesa lieta col volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza».

Sono stati necessari sei anni prima che i vescovi italiani abbiano accettato l’idea. Il titolo scelto non coglie nessuna novità, è anonimo: Annunciare il Vangelo in un tempo che cambia.

Sintetizzando molto, il percorso prevede l’ascolto, la ricerca e la proposta. Sono stati chiariti anche i tempi della celebrazione del Sinodo. Il papa aveva raccomandato «dal basso, dal basso, dal basso», attenti alla fede del popolo. Una partecipazione dunque autentica.

I partecipanti e il loro linguaggio

La consultazione del popolo è in realtà mediata da una serie di responsabili nominati, di volta in volta, da vescovi, dalle Conferenze episcopali, dalla Segreteria del Sinodo con un doppio Istrumentum laboris, con tanto di questionario e vademecum.

Con questi meccanismi difficilmente si riuscirà a far emergere la fede del popolo. Saranno, ancora una volta, i chierici e qualche pio-pia battezzato-a a raccontare le vicende del mondo e della Chiesa. Rimarranno esclusi tutti quei battezzati (la grande maggioranza dei credenti) che oramai vivono la religione come opzionale: un ricordo/presenza che si utilizza e si dimentica con criteri personali e senza mediazioni.

Si userà un linguaggio clericalese, incomprensibile e inadatto al dialogare dei popoli, oramai orientato non solo alle parole, ma a concezioni nuove con le quali la realtà si interpreta. Un grave problema che i teologi, i moralisti, i liturgisti, i giuristi non si sono posti, fermi ancora agli schemi dottrinali di qualche decennio oramai tramontato.

I continui riferimenti letterali alla Scrittura, ai riti, alla tradizione non sono compresi, prima che rifiutati. La parola di Dio è efficace sempre se è reinterpretata, resa fruibile, ripresa nella sua essenzialità. È stata scritta in luoghi e tempi precisi: è indispensabile rileggerla con le categorie adeguate al mondo cambiato.

Il pastore e il gregge, immagine del popolo con la sua guida, così come l’uomo nuovo e il corpo mistico di Cristo hanno necessità di essere ricollocati. L’accanirsi nei riferimenti all’interno del mondo di origine del cristianesimo è sbagliato: i Padri della Chiesa erano molto più fantasiosi e creativi commentando le Scritture. Avevano coraggio, intuizioni e fede, meno preoccupati dell’omologazione di concetti e relative sistematizzazioni.

La liturgia è stata in continua evoluzione, con nuove preghiere, riti, simboli. Sedici anni per cambiare l’espressione del Padre nostro «non abbandonarci alla tentazione». Sono troppi.

L’introduzione dell’incomprensibile santificazione dei doni «con la rugiada del tuo spirito» (2ª Preghiera eucaristica) è più vicina ai ricordi della Scrittura e dei Padri della Chiesa, ma non ai nostri fedeli che hanno già difficoltà a pensare allo spirito, figurarsi alla sua rugiada. Leccornia di estetisti, aristocratica e inutile.

I contenuti
Anche in rapporto ai contenuti non è più possibile utilizzare gli schemi dei manuali di teologia e di catechesi. Gli stessi sforzi della pastorale risentono inesorabilmente delle trascorse impostazioni. Nemmeno i più attenti hanno oggi interiorizzato quegli schemi. Non si tratta di negare nulla, ma di adeguarsi a ciò che si vive per dare senso all’esistenza del nostro popolo.

Volendo riassumere lo status odierno, la categoria più adeguata è la fragilità. Una fragilità antropologica e sociale. L’identità della propria storia è incerta: poche idee fluttuanti e contraddittorie, in ricerca di beni e consumi nemmeno appaganti: un fumetto che varia da pagina a pagina. Il risultato è il soggetto adulto incerto, supponente, infantile, alla fin fine vuoto. Sono saltati i riferimenti civici, relazionali, politici e religiosi. Il vuoto si riverbera nelle istituzioni e nella vita sociale. L’economia produce sempre più disuguaglianze e intolleranze, dettate da paure, senza proposte.

Lo specchio di tale condizione è dato dai minorenni: li chiamano millennials, potrebbe essere chiamati, in italiano, cuccioli: giocano e giocano su tutto con tutti. Senza logica e senza continuità; teneri e aggressivi, solitari e compagnoni, con una scarsa tenuta all’attenzione. In compenso frequentano la rete. Nessuno sa, eccetto il piccolo gruppo a cui appartengono, che cosa cercano e con chi trascorrono il tempo.

La fragilità è evidente in economia: ognuno è alla ricerca della propria stabilità. Superata la fase ideologica del collettivismo, è ritornato il ristoro: dovuto ed esigito, nonostante gli scambi irregolari in nero e l’evasione fiscale insopportabili. Invocano il debito pubblico, non volendo capire che la semplice immissione di carta moneta non è saggia gestione del bene pubblico. In compenso, i grandi trust raddoppiano i propri utili.

La politica è molto attenta agli umori che vengono e vanno. Poca razionalità, molta emozione, nessun progetto: slogan, frasi mozzicate, giorno dopo giorno, costretta a stare insieme perché non esiste un orientamento forte e sicuro.

Le relazioni sono sbrindellate: famiglie compromesse, relazioni affrettate, scarsa stabilità. La religione è opzionale; rimangono saldi solo l’inizio e la fine della vita; il miracolo delle nascita e il dolore della morte.

Le paure del diverso, dello straniero sono esaltate, eccetto le diversità dei potenti fatte passare per rispetto dei diritti.

Il numero delle nascite è diminuito pericolosamente; la strage degli anziani è stata digerita senza battere ciglio.

Di fronte a una civiltà in evidente degrado, le guide religiose sono come inebetite: non parlano o, al massimo, farfugliano. Invocano riti e messaggi come se nulla fosse cambiato, con linguaggi desueti e incomprensibili.

Chi aiuterà a superare la fragilità? Penserà la natura. Essa ha memoria e non ha misericordia. Come per l’inquinamento, costringerà le coscienze a correggere gli approcci e i comportamenti. In attesa, il coraggio e la fantasia invocheranno una nuova fase.

La fede cristiana ha i suoi capisaldi chiari e pertinenti. Può avere forza se affronta il mondo così come si presenta.

Le attenzioni vanno rivolte a precisi nodi epocali: le disuguaglianze e le solitudini.

I soggetti più fragili sono le famiglie giovani con i loro figli adolescenti. Hanno capacità di riflessione e di “conversione”. Possono fermare il declino della civiltà opulenta dell’occidente, affrontando i temi caldi della vita collettiva: l’inquinamento dell’ambiente, i meccanismi dell’arricchimento, i valori della vita nelle sue fasi, la cultura dei diversi, l’invecchiamento e la morte.

La catechesi diventa vicinanza amicale e operosa. Vengono in mente le parole e le azioni narrate dal Vangelo. Con il linguaggio parabolico, il Maestro ha raccolto il vivere quotidiano dei suoi ascoltatori. In quel linguaggio quotidiano ha inserito la realtà spirituale del regno di Dio, senza paura che i mondi umani e divini venissero confusi. Non era rabbino, non era fariseo; era un figlio del popolo, lavoratore, devoto, in dialogo con Dio. Ha vissuto interamente la vita umana, che san Paolo sintetizzerà nella lettera agli Efesini, parlando di “uomo nuovo” per ricevere pace dai vicini e dai lontani. A chi era malato offriva salute, liberando da mali fisici e morali. Non ha respinto nessuno, avendo ricomposto, in un unico comandamento, l’amore di Dio e l’amore del prossimo.

La catechesi diventa così l’accompagnamento nella vita, senza distinzioni tra problemi umani e spirituali. Più semplice applicarla in piccole comunità nelle quali la conoscenza è profonda e affettiva, più difficoltosa nei grandi agglomerati.

La comunità cristiana, con le sue guide, ridiventerà riferimento per la vita, dolorosa e gioiosa del popolo. Gli addetti al culto, i sacerdoti del tempio non sono attrattivi. Il Sinodo – è la speranza – sia immersione totale e autentica della vita del mondo, dimenticando, per ora, i piccoli e grandi problemi della dottrina e dell’organizzazione ecclesiastica.

È la risposta della presenza cristiana, nonostante gli scandali e i cattivi esempi di questi ultimi tempi.

La sinodalità non può essere riservata al gruppo gerarchico della Chiesa

(Fonte: SettimanaNews - 24 luglio 2021)


venerdì 30 luglio 2021

Raniero La Valle: Abolire il nemico

Raniero La Valle 
Abolire il nemico

 
Carissimi, 

Paulo maiora canamus, intoniamo un canto più alto. 

Nell’aspro dibattito innescato in Italia dalla contestata riforma della ministra Cartabia, si discute di procedure e tempi del processo penale, mentre non si ricorda la natura drammatica della giustizia penale. Il potere giudiziario è “un potere terribile”, diceva Montesquieu: l’ha ricordato Luigi Ferrajoli nel recente congresso di Magistratura Democratica proponendo un ripensamento profondo della giurisdizione penale: perché sia conforme ai due principi imprescindibili dell’indipendenza e dell’imparzialità, ci sono due riforme da fare. La prima è quella di sottrarla al condizionamento della carriera, che secondo la proposta radicale di Ferrajoli va addirittura soppressa, rendendo tutti i giudici eguali nella diversità delle funzioni, come vuole la Costituzione. La seconda è di liberarla dall’idea del Nemico. 

Oggi prevale la concezione della giustizia penale come lotta contro il crimine, e di fatto contro i loro autori. Al contrario, ha detto Ferrajoli, la giurisdizione non conosce – non deve conoscere - nemici, neppure se terroristi o mafiosi o corrotti, ma solo cittadini. Per andare alle fonti della nostra cultura penalistica, si può citare Cesare Beccaria che chiamò “processo offensivo” quello nel quale “il giudice diviene nemico del reo” e “non cerca la verità del fatto, ma cerca nel prigioniero il delitto, e lo insidia, e crede di perdere se non vi riesce, e di far torto a quell’infallibilità che l’uomo s’arroga in tutte le cose”. Secondo Beccaria, il processo deve consistere invece nell’“indifferente ricerca del vero”. Perciò si deve escludere ogni atteggiamento partigiano o settario, non solo da parte dei giudici ma anche dei pubblici ministeri. E’ chiaro che questa concezione del processo, ha aggiunto Ferrajoli, esclude anche l’idea, frequente nei pubblici ministeri, che il processo sia un’arena nella quale si vince o si perde. Il Pubblico Ministero non è un avvocato, e il processo non è una partita nella quale, l’inquirente perde se non riesce a far prevalere le proprie tesi. 

Qui siamo oltre il tema dell’efficienza. Rifiutare l’idea del Nemico significa infatti anche escludere il carattere vendicativo della giustizia penale, che intende la pena come un risarcimento del male compiuto mediante l’inflizione di una sofferenza al colpevole. In effetti nella percezione comune giustizia non è fatta se il reo non soffre; nel patimento la società troverebbe il suo compenso e l’offeso si appaga: la sofferenza diventa in tal modo un fine dell’ordinamento. Male per male: è una morale da divina commedia, anche se Dio non è così, la Commedia non doveva chiamarsi divina e la Costituzione ha tutt’altra idea della pena come rieducazione del condannato, anche se si tratta di un’idea spesso illusoria. 

Ma ciò riguarda solo la giustizia penale? Ben oltre questa, l’abbandono della logica del Nemico avrebbe una portata epocale, Fin dal principio la società si è conformata a una lotta degli uni contro gli altri, un antico frammento di Eraclito faceva della guerra l’origine di tutte le cose, di tutti re, e nella modernità è stato Carl Schmitt a sostenere che il confronto amico-nemico è il criterio e la sostanza stessa del politico. La competizione selvaggia dell’età della globalizzazione e il precipizio della politica nelle spire del bipolarismo, del maggioritario, della lotta al proporzionale, del populismo carismatico e dell’esclusione dei perdenti ne sono il prezzo. Gli sconfitti sono scartati, papa Francesco la chiama società dello scarto, perché i soccombenti, i poveri, non solo vi sono sfruttati ma sono esclusi, non possono lottare, di fatto non ci sono: ai naufraghi e ai migranti sono negati i porti e la terra della loro salvezza, sono restituiti al mare o alle torture dei lager libici. 

Il problema è però che l’ideologia del Nemico non è più compatibile con la conservazione della società umana. Nella condizione della lotta degli uni contro gli altri né la pandemia può essere fermata nelle sue estrose varianti, né il clima può essere governato in modo da preservare la vita sulla terra, né la guerra può essere ripudiata nella sua inesauribile proliferazione; e a questo punto l’uscita dalla sindrome del Nemico non è solo una questione di etica pubblica, è una questione di sopravvivenza e ci sfida a passare a un’altra antropologia. Mai nella storia si era dato quest’obbligo. 

Ma questo è il tempo che ci è toccato in sorte. Sta a noi prenderne atto. 

Una tale conversione chiama in causa la Chiesa italiana e il suo prossimo Sinodo, di cui finalmente si è avviato il cammino. il cui Manifesto recita: “Annunciare il Vangelo in un tempo di rinascita”.
“Koinonia”, la rivista di padre Alberto Simoni, lo interpreta come l’atteso kairós o momento di grazia, nel quale il Vangelo sia riproposto come vino nuovo in otri nuovi. La vera novità starebbe proprio nell’annuncio dell’amore dei nemici. Il Vangelo è l’unico codice che lo prescrive. Non potrebbe esserci oggi, per la vita delle persone e per la società tutta, un carisma più grande di questo. Se questa rivoluzione avvenisse, sarebbe stabilita la condizione dell’unità umana per salvare la terra, i populismi cadrebbero, nessuno sarebbe scartato. Sarebbe il dono fatto al mondo dalla Chiesa di papa Francesco.

Con i più cordiali saluti
Raniero La Valle
(fonte: https://www.chiesadituttichiesadeipoveri.it del 28 luglio 2021)


giovedì 29 luglio 2021

Il Presidente Mattarella: "La pandemia non è ancora alle nostre spalle... la vaccinazione è un dovere morale e civico... chi limita oggi la nostra libertà è il virus non gli strumenti e le regole per sconfiggerlo."

Il Presidente Mattarella: 
"La pandemia non è ancora alle nostre spalle... 
la vaccinazione è un dovere morale e civico... 
chi limita oggi la nostra libertà è il virus 
non gli strumenti e le regole per sconfiggerlo."


Si è svolta nel pomeriggio di mercoledì 28 luglio, al Palazzo del Quirinale, la tradizionale cerimonia di consegna del "Ventaglio" al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, da parte del Presidente dell'Associazione Stampa Parlamentare, Marco Di Fonzo, alla presenza dei componenti del Consiglio direttivo, degli aderenti all'Associazione e di personalità del mondo del giornalismo.
Dopo l'intervento del Presidente Di Fonzo, il Presidente Mattarella ha pronunciato un discorso.
Successivamente gli è stato consegnato il Ventaglio realizzato da Virginia Lorenzetti, dell'Accademia di Belle Arti di Roma.

Per il Presidente è stata l'occasione per fare il punto su vaccini e riforme. Sergio Mattarella ha ricordato i mesi drammatici che hanno segnato il Paese a causa della pandemia ed anche come mese dopo mese però abbiamo assistito a una reazione che ha portato a ricostruire speranza e fiducia, attraverso quelle che ha individuato come "due strade", ovvero 

"La vaccinazione e gli interventi di rilancio economico continuano a essere gli indispensabili strumenti per assicurare sicurezza e serenità.

La pandemia non è ancora alle nostre spalle. Il virus è mutato e si sta rivelando ancora più contagioso. Più si prolunga il tempo della sua ampia circolazione e più frequenti e pericolose possono essere le sue mutazioni. Soltanto grazie ai vaccini siamo in grado di contenerlo.

Il vaccino non ci rende invulnerabili ma riduce grandemente la possibilità di contrarre il virus, la sua circolazione e la sua pericolosità.

Per queste ragioni la vaccinazione è un dovere morale e civico.
...

La pandemia ha imposto grandi sacrifici in tanti ambiti. Ovunque gravi. Sottolineo quelli della scuola. Ne abbiamo registrato danni culturali e umani, sofferenze psicologiche diffuse che impongono di reagire con prontezza e con determinazione. Occorre tornare a una vita scolastica ordinata e colmare le lacune che si sono formate. Il regolare andamento del prossimo anno scolastico deve essere una priorità assoluta.

Gli insegnanti, le famiglie, tutti devono avvertire questa responsabilità, questo dovere, e corrispondervi con i loro comportamenti.

Auspico fortemente che prevalga il senso di comunità, un senso di responsabilità collettiva.

La libertà è condizione irrinunziabile ma chi limita oggi la nostra libertà è il virus non gli strumenti e le regole per sconfiggerlo.

...

Conto che non si smarrisca la consapevolezza della emergenza che tuttora l’Italia sta attraversando, dei gravi pericoli sui versanti sanitario, economico e sociale. Che non si pensi di averli alle spalle. Che non si rivolga attenzione prevalente a questioni non altrettanto pressanti.

Abbiamo iniziato un cammino per uscire dalla crisi, ma siamo soltanto all’inizio. Ci siamo dati obiettivi ambiziosi e impegnativi, di medio e lungo periodo. Perseguirli con serietà e con responsabilità significa anzitutto guardare con il realismo necessario all’orizzonte che abbiamo davanti. ..."


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Siria: 8 anni fa la scomparsa di Paolo Dall’Oglio, monaco odiato dal regime e dall’Isis


Siria: 8 anni fa la scomparsa di Paolo Dall’Oglio,
monaco odiato dal regime e dall’Isis

* Padre Paolo Dall’Oglio in una foto [ritagliata del 2012] di Fritzbokern 
tratta da wikimedia commons, licenza Creative Commons

Il 29 luglio del 2013 veniva sequestrato a Raqqa, in Siria, p. Paolo Dall’Oglio. Gesuita, espulso nell’anno precedente dalla Siria del regime di Bashar al-Assad, Dall’Oglio è stato sequestrato dai terroristi dell’Isis, presso i quali si era recato per tentare di ottenere il rilascio di alcuni ostaggi. La sua storia così è diventata una tragica ma perfetta sintesi della storia del popolo siriano: espulso dal regime, sequestrato dall’Isis. L’espulsione di massa, una vera e propria deportazione di milioni di persone all’estero o ai lembi estremi del Paese, è stata reale. Il sequestro da parte dell’ISIS è stato «politico»: da dieci anni sono spariti in rappresentazioni manichee: terrorismo/anti-terrorismo, antagonismo/ imperialismo, pan-arabismo/pan-islamismo. Così la storia del monaco italiano trasferitosi in Siria circa quarant’anni dopo aver scoperto l’antico monastero, Deir Mar Musa, che ha restaurato fondandovi una comunità monastica dedita al dialogo islamo-cristiano per avviare dal basso la ricostruzione di una vera fratellanza abramitica è stata inghiottita da un racconto che col passare del tempo non poteva che estinguersi: è vivo? È morto? E se è morto chi l’ha ucciso? Otto anni dopo queste domande rimangono intatte, gravi e quasi nulla si è fatto da parte di chi poteva per cercare una risposta.

Le vittime dell’Isis non hanno diritto neanche all’identificazione nelle fosse comuni rinvenute: troppo costoso. E così anche il mistero sul destino di Dall’Oglio, come di tantissimi altri, permane e ognuno si è accontentato della risposta che sente vera dentro di sé. Ma il dramma di quel 29 luglio 2013 non si risolve soltanto in queste domande: c’è un’altra domanda importante: «Perché solo lui è andato lì?». Dall’Oglio è stato espulso da Assad perché la sua è stata la sola voce levatasi in favore di tutti i siriani dalle Chiese locali. La voce di un monaco che prese sul serio l’accordo raggiunto dall’inviato dell’ONU, Kofi Annan, per il riconoscimento della libertà di espressione fece infuriare il regime. Ma a Dall’Oglio criticare il regime non bastava. Sapeva benissimo che era pronto l’assalto jihadista per dirottare il treno della rivoluzione.

Tra nichilismo religioso e Islam popolare

Raqqa nel luglio del 2013 non era caduta in mano all’Isis: la città era ancora in mano a quegli insorti che volevano una Siria diversa, una Siria per tutti. Ma l’Isis era lì, la sua penetrazione sembrava destinata a prevalere, tanto è vero che aveva già stabilito il suo quartier generale nell’enorme palazzo dell’ex governatorato, dove lui andò a chiedere di rilasciare quegli ostaggi. I rapporti tra Isis e insorti erano pessimi, la tensione nota: di lì a breve sarebbe sfociata nella battaglia campale, mai vista tra Isis e regime, tra Isis ed Esercito Libero Siriano. Chi poteva già allora fuggiva da Raqqa. Posso dire non di presumere ma di sapere che lo sapeva anche lui. Nei giorni precedenti la sua partenza per Raqqa lo chiamai nel Kurdistan iracheno, dove lavorava con la sua comunità per i tantissimi profughi su incarico del patriarca caldeo, Louis Sako. Mi fece capire che era evidente che l’Isis avrebbe fatto da detonatore del conflitto: «Esplode tutto». E Raqqa, che di lì a qualche mese sarebbe diventata la capitale dell’Isis, era una parola che da sola incuteva timore. Dunque c’è andato perché aveva deciso di essere accanto all’umanità di Raqqa. Erano uomini e donne abbandonati al loro destino, quello che avrebbe tradito una rivoluzione libertaria e segnato il nostro futuro. Dopo Raqqa sarebbero rimasti solo i dualismi manichei: terrorismo/anti-terrorismo, antagonismo/ imperialismo, pan-arabismo/pan-islamismo. L’idea di abbandono delle persone normali dall’islam, da parte della comunità internazionale, avrebbe creato un nichilismo islamico capace di travolgere l’islam popolare, che è sempre stato amico del mondo, mai suo nemico, come i regimi paranoici e gli araldi invasati dell’islam apocalittico, che si sarebbe- ro nutriti proprio di quel nichilismo per usarne la sete di violenza ai propri fini.

Fratelli e cittadini

Già prima dell’inizio della rivoluzione siriana Dall’Oglio spiegava che il fondamentalista è colui che crede che al di fuori della propria verità ci sono solo false credenze e quindi una falsa umanità. Era il suo modo di presentare, a tutti i credenti e non credenti, una certezza che oggi troviamo affermata in un’enciclica, Fratelli tutti. O siamo fratelli, e quindi cittadini con pari diritti dello stesso Stato sovrano per via della nostra sovranità, o c’è qualcuno che è più uguale degli altri, perché possiede l’unica e assoluta verità. Non so se Francesco sapesse che proprio in Siria un primo ministro cristiano, Faris Khoury, aveva fatto sua la massima che ha citato al Cairo, quando ha incontrato le autorità egiziane: «La fede è per Dio, la Patria è per tutti». Anche Paolo disse che questa idea si poteva accettare, ma chiarendo di volere un Paese nel quale tutti ci si ama come ci ama Dio. Sapeva che un certo statalismo arabo divinizza il “Presidente”, il raìss, e questo rischio può essere scongiurato solo con la teologia del buon vicinato, il vero antidoto all’odio comunitario. Il dialogo tra persone, non tra raìss e patriarchi e muftì, è sempre stato il suo intento. Se non fosse andato a Raqqa, io ne sono sicuro, avrebbe sentito di aver tradito la sua visione per cui uno Stato supera la dimensione di apparato e diviene davvero un Paese se ci si ama come ci ama Dio. Ed è entrato nel quartier generale dell’Isis. Non è andato da turista, portava il peso di una visione, quella che lo ha sempre separato da ogni identitarismo.

(fonte: articolo di Riccardo Cristiano 23/07/2021 tratto da: Adista Notizie n° 29 del 31/07/2021)

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Riproponiamo anche questi tre tra i numerosi nostri post a lui dedicati:

mercoledì 28 luglio 2021

"Disarmo integrale" di mons. Giovanni Ricchiuti

"Disarmo integrale". 
Il richiamo del presidente di Pax Christi su "Vita pastorale"


«Il problema delle armi nucleari è di vitale importanza. Non è solo un problema etico, ma anche una questione da affrontare dal punto di vista legale. Il Trattato, approvato il 7 luglio 2017, sottoscritto da oltre 50 Paesi ed entrato il vigore il 22 gennaio 2021, rende non solo immorale, ma illegale il possesso, prima ancora che l’uso di armi atomiche». Da questa constatazione parte mons. Giovanni Ricchiuti, presidente di Pax Christi, nell’articolo pubblicato sul numero di agosto-settembre di Vita Pastorale (Gruppo Editoriale San Paolo), diretto da don Antonio Sciortino.


Di seguito l’articolo.

Disarmo integrale
di Giovanni Ricchiuti

«Non solo l’uso, ma anche il possesso delle armi nucleari è immorale». Questo ci ha detto Francesco nell’incontro con il Consiglio nazionale di Pax Christi, il 12 gennaio 2019. È un cammino lungo quello per la messa al bando delle armi nucleari. Già nel novembre 2017, Francesco aveva convocato in Vaticano un convegno sul tema Prospettive per un mondo libero dalle armi nucleari e per un disarmo integrale, organizzato dal Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale. Era il primo incontro sul disarmo atomico dopo l’approvazione del Trattato sul bando delle armi nucleari, firmato a New York il 7 luglio 2017. In quell’anno, anche il Nobel per la pace fu assegnato a Ican (International campaign to abolish nuclear weapons), la Campagna per l’abolizione delle armi nucleari.

Il problema delle armi nucleari è di vitale importanza. Non è solo un problema etico, ma anche una questione da affrontare dal punto di vista legale. Il Trattato, approvato il 7 luglio 2017, sottoscritto da oltre 50 Paesi ed entrato il vigore il 22 gennaio 2021, rende non solo immorale, ma illegale il possesso, prima ancora che l’uso di armi atomiche. Significativo, a tale proposito, è il titolo di Avvenire del 22 gennaio scorso: “Bomba fuorilegge”. Nel mondo, oggi, ci sono oltre 13 mila bombe nucleari. Alcune sono presenti anche sul suolo italiano – basi di Aviano (Pn) e Ghedi (Bs) –, anche se la proprietà e ogni decisione relativa è degli Usa. Quante sono non ci è dato saperlo. Si pensa a qualche decina. Ma è previsto l’arrivo di altre bombe più micidiali, le B61-12 che, per essere “trasportate”, avranno bisogno dei nuovi aerei F-35, i micidiali caccia assemblati a Cameri (No), il progetto di aereo più costoso della storia dell’umanità. Con investimenti di miliardi, poiché un solo aereo costa circa 150 milioni di euro. Da anni Pax Christi si batte per la messa al bando.

Già nel marzo 2017, in qualità di presidente di Pax Christi, sottoscrivevo un appello insieme al cardinale Montenegro, allora presidente di Caritas italiana: «Il rischio nucleare che l’umanità intera oggi corre è altissimo. Le armi nucleari provocano danni irreversibili, hanno conseguenze umanitarie catastrofiche per l’ambiente e per tutta l’umanità e il loro uso, in qualsiasi circostanza, è ingiustificabile. Una via senza ritorno. Già il concilio Vaticano II si è espresso in modo chiaro, nella Gaudium et spes (n. 80): “Ogni atto di guerra, che mira indiscriminatamente alla distruzione di intere città o di vaste regioni e dei loro abitanti, è delitto contro Dio e contro la stessa umanità e va condannato con fermezza e senza esitazione”. Pax Christi international scrive a tal proposito: “Facciamo appello a tutti i governi perché si assumano le proprie responsabilità e partecipino ai negoziati per il trattato sulla messa al bando delle armi nucleari nel marzo e nel giugno/luglio 2017”. Per questo, chiediamo che anche l’Italia partecipi in modo attivo e costruttivo agli appuntamenti all’Assemblea generale Onu. Invitiamo tutti i gruppi, le associazioni, le singole persone, i movimenti, le parrocchie, le istituzioni... a prendere coscienza della grave situazione che il mondo vive oggi e a far pressione perché il nostro Governo si impegni direttamente e attivamente a favore del disarmo nucleare».

In Italia è attiva la campagna Italia, ripensaci, promossa da Rete italiana pace e disarmo (di cui anche Pax Christi fa parte), e da Senzatomica. Tantissime le realtà che, nel solco di questa Campagna, tentano di “smuovere” il Governo italiano, perché ci... ripensi! Il 7 luglio 2017, mentre si approvava il Trattato contro le armi nucleari, la sedia dell’Italia all’Onu era vuota. L’Italia non ha partecipato al voto. A sostegno di Italia, ripensaci e di Ican sì è mobilitata la società civile, le associazioni di vario genere e numerosi enti locali.

Oltre al lavoro di base dei gruppi di Pax Christi alla fine di maggio, poco prima dell’Assemblea generale della Cei, è stato diffuso un appello firmato da oltre 40 associazioni di ispirazione cattolica. Il documento, promosso da Acli, Comunità Papa Giovanni XXIII, Azione cattolica, Movimento dei focolari e Pax Christi, è sicuramente una tappa importante nell’impegno comune di una presa di coscienza della gravità della situazione e dell’invito al nostro Governo, perché si muova nella direzione dell’adesione al Trattato. Lo vogliamo sperare con tutte le nostre forze. Non demorderemo. Ascoltino o non ascoltino, noi continueremo a chiederlo. Sono intervenuto personalmente su questo tema anche nell’incontro con papa Francesco durante i lavori dell’Assemblea generale della Cei, il 24 maggio scorso. L’ho ringraziato per i suoi coraggiosi interventi sui temi della pace e del disarmo, nucleare soprattutto. Gli ho parlato dell’appello delle associazioni e dei movimenti, e ho detto che ci sono state dichiarazioni di Conferenze episcopali regionali e di tanti altri singoli vescovi.

I vescovi della Campania hanno scritto: «Chiediamo con forza al Governo e al Parlamento che l’Italia ratifichi subito il Trattato di proibizione delle armi nucleari, receda dall’acquisto di nuove armi e impieghi diversamente le energie che ora investe nella loro fabbricazione. Alla fine dei giorni il Signore sarà giudice fra le genti e arbitro fra molti popoli. Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra».

*Foto di dominio pubblico tratta da openclipart.org, immagine originale e licenza
(fonte: Adista 27/07/2021)


martedì 27 luglio 2021

Il Papa: fame nel mondo, scandalo e crimine contro i diritti umani

Il Papa: fame nel mondo,
scandalo e crimine contro i diritti umani

L'impatto della siccità sulle coltivazioni nei Paesi in via di sviluppo

Sfida, scandalo, crimine, ingiustizia: sono parole ben chiare quelle con cui il Papa definisce la fame, l’insicurezza alimentare e la malnutrizione nell’era del Covid-19. E lo fa con un messaggio indirizzato ad António Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, in occasione del pre-vertice Onu sui sistemi alimentari, in programma da lunedì 26 a mercoledì 28 luglio a Roma. L’evento si tiene in vista del Summit conclusivo globale che si svolgerà a settembre prossimo a New York, negli Stati Uniti. Si tratta di “un incontro importante”, scrive Francesco, soprattutto perché “questa pandemia ci ha messo di fronte alle ingiustizie sistemiche che minano la nostra unità come famiglia umana”. tra queste ci sono la povertà e i danni inflitti alla Terra, “nostra casa comune”, attraverso “l’uso irresponsabile e l’abuso dei beni che Dio ha posto in essa".

Serve cambiamento radicale

Di qui, il forte appello del Papa ad “un cambiamento radicale”: non basta, infatti, puntare sulla tecnologia per aumentare la produzione del pianeta, se poi il risultato è quello della “sterilizzare la natura”, “ampliando i deserti sia esteriori che interiori, spirituali”; non basta produrre “abbastanza cibo” se poi “molti rimangono senza il pane quotidiano”. Non basta, ribadisce Francesco, perché “questo costituisce un vero scandalo, un crimine che viola i diritti umani fondamentali” e “un’ingiustizia” che tutti “hanno il dovere di estirpare attraverso azioni concrete, buone pratiche, e politiche locali e internazionali coraggiose”.

Sistemi alimentari siano sostenibili e rispettosi dell’ambiente

Cosa fare, dunque? Il Pontefice offre alcuni suggerimenti specifici: in primo luogo, i sistemi alimentari devono essere trasformati in modo “attento e corretto”, così da poter essere “sostenibili dal punto di vista ambientale e rispettosi delle culture locali”. Il loro obiettivo, in sostanza, dovrà essere quello di “aumentare la resilienza, rafforzare le economie locali, migliorare la nutrizione, ridurre gli sprechi alimentari e fornire diete sane e accessibili a tutti”. Ma il cambiamento deve partire dall’interno, mette in guardia Francesco, perché l’obiettivo “fame zero” non si raggiunge con la mera produzione del cibo, bensì “con una nuova mentalità, un approccio olistico e la progettazione di sistemi alimentari che proteggano la Terra e mantengano, al centro, la dignità della persona umana”.

Ripristinare centralità del settore agricolo e rurale

In secondo luogo, prosegue il messaggio pontificio, il cibo deve essere assicurato in modo bastevole “a livello globale e il lavoro dignitoso deve essere promosso a livello locale”, affinché il mondo di oggi si possa nutrire “senza compromettere il futuro”. Altri punti essenziali indicati dal Papa riguardano il ripristino della centralità del settore rurale e l’urgenza che “il settore agricolo riacquisti un ruolo prioritario nel processo decisionale politico ed economico”, soprattutto nella fase post-pandemica. In particolare, Francesco esorta a considerare “i piccoli agricoltori e le famiglie contadine come attori privilegiati”, le cui conoscenze tradizionali non vanno “trascurate o ignorate”, così da comprenderne meglio i bisogni reali.

Famiglia, componente essenziale dei sistemi alimentari

Anzi: il Papa sottolinea che “la famiglia è una componente essenziale dei sistemi alimentari” perché è qui che “si impara a godere dei frutti della Terra senza abusarne” ed è qui che si scoprono “stili di vita che rispettano il bene personale e comune”. I bisogni delle donne rurali, dei giovani e degli agricoltori nelle zone “più povere e remote” vanno quindi soddisfatti pienamente grazie a politiche efficaci. Al contempo, il Papa si dice consapevole del fatto che ci sono “interessi economici potenti che impediscono di progettare un sistema alimentare che risponda ai valori del bene comune, della solidarietà e della cultura dell’incontro”; tuttavia, per mantenere “un multilateralismo fruttuoso” e un sistema alimentare responsabile, sono fondamentali “la giustizia, la pace e l’unità della famiglia umana”.

Il sogno di Francesco: nessuno venga lasciato indietro

Del resto, il sogno che tutti hanno “la responsabilità di realizzare”, scrive ancora Francesco, è quello di “un mondo in cui il pane, l’acqua, le medicine e il lavoro fluiscano in abbondanza e raggiungano prima i più poveri”. Si tratta di “un nobile obiettivo” al servizio del quale la Santa Sede e la Chiesa cattolica si pongono, offrendo il loro contributo “ed unendo forze e volontà, azioni e decisioni sagge”. “Nessuno venga lasciato indietro – conclude il messaggio pontificio – ed ogni persona sia in grado di soddisfare le sue necessità di base”, così da “costruire una società pacifica, prospera”, e davvero fraterna.
(fonte: Vatican News, articolo di Isabella Piro 26/07/2021)

Condivisione del cibo



Lettera a Benedetta Pilato - Le brutte figure non imbruttiscono la preziosità e la bellezza di ciò che siamo!

Lettera a Benedetta Pilato

(Foto ANSA/SIR)

Carissima Benedetta,
ti chiedo subito scusa se mi ci metto pure io a sottolineare la tua gara di ieri, quella segnata dalla stanchezza e che ti ha portato a finire prima del tempo la tua partecipazione ai Giochi! Ma, se lo faccio, non è per infierire ma perché voglio dire a tutti chiaramente che le brutte figure non imbruttiscono la preziosità e la bellezza di ciò che siamo!

Benedetta, diventa testimone di riscatto!
Aiutaci a scoprire il senso dei fallimenti!

Sono come i fertilizzanti naturali che vengono gettati nel terreno per renderlo fecondo! Tutti i nostri fallimenti sono questo se li cogliamo nella verità! Non ci rendono dei falliti! Anzi, ci rendono fecondi! Fecondi di nuove possibilità da costruire imbastendo la ferita provocata con la voglia di riprovarci! Fecondi di energia estroversa che ci porta a investire in modo sempre creativo i nostri talenti!
Benedetta, diventa testimone di rinascita! Una sconfitta non fa morire una campionessa! Mai! Anzi, da ogni sconfitta la campionessa sa tirar fuori nuovi motivi per rimettersi in gioco, per far rigermogliare l’impegno e il coraggio, la forza e l’entusiasmo… ingredienti per far rinascere la voglia di metterci la faccia nelle sfide di ogni giorno, in quelle piccole e in quelle che capitano una volta sola nella vita!

Benedetta, diventa testimone di risurrezione! 
Hai provato la tua prima esperienza olimpica a soli quindici anni! Hai affrontato questa prima prova tutta da sola, senza l’incoraggiamento di chi ogni giorno ti guida nella vasca! Hai sperimentato la pressione di misurarsi con qualcosa di grande! E ora viene il bello, Benedetta! Parigi2024 è vicina! E poi ci sarà Los Angeles2028! E poi, ancora, Brisbane2032! Tutti appuntamenti con la vittoria!

Tutti appuntamenti già segnati sul calendario della storia in cui tu, Benedetta, avrai la possibilità di mostrare al mondo la tua preziosità e la tua bellezza! Avrai la possibilità di mostrarti campionessa, che da una sconfitta ha saputo generare risurrezione, voglia e capacità di ridare vita ai propri talenti e alla propria voglia di lasciare un segno di luce sul tracciato dell’elettrocardiogramma dello sport italiano!

Cara Benedetta, torna a casa col sorriso! E torna a casa con la consapevolezza che tutti i grandi campioni e le grandi campionesse della storia hanno gettato il seme della vittoria nel fertilizzante naturale di un fallimento! Torna a casa con l’entusiasmo di ricominciare subito a dare il massimo! E, soprattutto, a dare il meglio!
Gionatan De Marco

(*) Don Gionatan De Marco è direttore dell’Ufficio nazionale Cei per la pastorale del tempo libero, turismo e sport
(fonte: Sir 26/07/2021)

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La giovane campionessa di Taranto ha chiuso al quinto posto la sua batteria dei 100 rana, ma è stata squalificata per irregolarità nella gambata


lunedì 26 luglio 2021

TONIO DELL'OLIO: Il partito del no


Il partito del no
 
SCRITTO DA TONIO DELL'OLIO 
 Mosaico dei Giorni  26/07/2021

Dire No è normalmente più semplice che dire Si. Il sì è sempre più impegnativo e ti vincola a una sorta di promessa.

Il no è uno scrollare di spalle senza nemmeno pagare pegno di troppe spiegazioni: "È no e basta!". Per questo i negativismi che attraversano i nostri giorni, pur meritando il rispetto che si deve a chi la pensa diversamente, rappresentano spesso la scorciatoia semplificante di fronte alla proprie responsabilità.

No vax, no green-pass, no regolamentazione di discoteche, è più semplice che articolare un discorso che argomenti il senso di provvedimenti, misure, obblighi e, talvolta, restrizioni. Al punto che seppure i negativisti della pandemia e delle cure costituissero contabilmente la maggioranza schiacciante della popolazione, la cosa non mi meraviglierebbe per le ovvie ragioni che sinteticamente ho detto, ma nemmeno mi convincerebbe ad abbandonare le convinzioni che mi fanno dire si. Peraltro ho ragione di ritenere che siano più credibili quelle forze politiche che si schierano per il sì, rispetto a chi sostiene i no perché è molto più probabile raccogliere popolarità, appoggio e consensi con un semplice no che con qualche sì. E pensare che molti di quelli che oggi sostengono il no, nel passato hanno contestato e deriso il movimento ecologista tacciandolo come "il partito del no".



Last 20: Gli ultimi 20 contano! “Salviamoci insieme”

Last 20: Gli ultimi 20 contano! 
“Salviamoci insieme”


 
In risposta al G20, il forum internazionale dei Paesi più ricchi del mondo, è nato The Last 20, il primo summit “dal basso” dei Paesi considerati gli “ultimi 20” del Pianeta per reddito, qualità della vita, condizioni socio-sanitarie.


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Mentre in Italia andavano avanti gli incontri dei G20, dei venti Grandi della terra, dal mese di febbraio si è costituito un comitato denominato “Last Twenty”, che ha tentato di riunire gli “L20”, i venti Paesi più “impoveriti” del nostro pianeta, in base alle statistiche internazionali sui principali indicatori socio-economici e ambientali. Sono i Paesi che più soffrono della iniqua distribuzione delle risorse, dell’impatto del mutamento climatico, delle guerre intestine, spesso alimentate dai G20.

Guardare il mondo con gli occhi degli “Ultimi” ci permette di andare alla radice dei problemi che deve affrontare la nostra società in questa fase, di misurare la temperatura sociale e ambientale del nostro pianeta partendo dai punti più sensibili.

L’evento “The Last 20” è partito da Reggio Calabria il 22 luglio, con l’intitolazione di un ponte, che unisce la città al suo porto, all’Ambasciatore Luca Attanasio e alla sua scorta, morti in un agguato in Repubblica Democratica del Congo il 22 febbraio 2021. Un ponte che ha un valore simbolico perché unisce l’ultimo lembo della penisola italiana con il mare che ci porta nel Continente africano. Un legame che vogliamo riprendere e rilanciare. Alla cerimonia erano presenti i familiari dell’Ambasciatore e del carabiniere Iacovacci, nonché le massime autorità locali.
...

I Paesi L20
Non si tratta di Paesi “poveri” ma piuttosto “impoveriti” da sfruttamento coloniale, guerre e conflitti etnici, catastrofi climatiche. Sono Afghanistan, Burkina Faso, Burundi, Repubblica Centrafricana, Ciad, Repubblica Democratica del Congo, Eritrea, Etiopia, Gambia, Guinea Bissau, Libano, Liberia, Malawi, Mali, Mozambico, Niger, Sierra Leone, Somalia, Sud Sudan e Yemen.

Leggi tutto: The Last Twenty

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La prima tappa del Last 20 si è svolta a Reggio Calabria dal 22 al 25 luglio

Dichiarazione dei rappresentanti dei Last 20: “Salviamoci insieme”

Noi, rappresentanti dei Last 20 [The Last Twenty], i paesi più impoveriti del pianeta, riuniti a Reggio Calabria dal 22 al 25 luglio, di fronte al gravissimo stato d’allarme di Madre Terra, sentiamo il dovere di far fronte alle sfide planetarie sul clima partendo dalla prospettiva dei nostri popoli, le prime vittime dei cambiamenti climatici.

In questi giorni, non lontano da qui, a Napoli, i G20, i venti paesi più industrializzati che producono il 90% del Pil mondiale e sono responsabili dell’emissione dell’85% dei gas serra, si sono riuniti per cercare un accordo sul clima. Ma sui 60 articoli dell’accordo sono rimasti bloccati sui due più importanti e fondamentali per contrarrestare la deriva della crisi socio-ambientale: l’accelerazione dei tagli alle emissioni di CO2 e lo stop al “pensionamento del carbone”.

Per dare un presente e un futuro al pianeta vogliamo ricordare ai grandi della terra che siamo soggetti della storia e soltanto riducendo consumi e sprechi nei paesi più ricchi e fermando la rapina delle risorse naturali nei nostri paesi possiamo uscire dalla crisi socioambientale e dalla spirale del debito per abbracciare un nuovo modello di sviluppo che dia protagonismo ai nostri comuni sogni e speranze.

Solo così, tutti sulla stessa barca, possiamo salvarci insieme!

Reggio Calabria, sabato 24 luglio 2021

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«La Vergine Maria ci aiuti ad aprire il cuore agli inviti del Signore e ai bisogni degli altri.» Papa Francesco Angelus 25/07/2021 (testo e video)

ANGELUS

Piazza San Pietro
Domenica, 25 luglio 2021


Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Il Vangelo della Liturgia di questa domenica narra il celebre episodio della moltiplicazione dei pani e dei pesci, con cui Gesù sfama circa cinquemila persone venute ad ascoltarlo (cfr Gv 6,1-15). È interessante vedere come avviene questo prodigio: Gesù non crea i pani e i pesci dal nulla, no, ma opera a partire da quello che gli portano i discepoli. Uno di loro dice: «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?» (v. 9). È poco, è niente, ma a Gesù basta.

Proviamo ora a metterci al posto di quel ragazzo. I discepoli gli chiedono di condividere tutto quello che ha da mangiare. Sembra una proposta insensata, anzi, ingiusta. Perché privare una persona, per lo più un ragazzo, di quello che si è portato da casa e ha il diritto di tenere per sé? Perché togliere a uno ciò che comunque non basta a sfamare tutti? Umanamente è illogico. Ma per Dio no. Anzi, proprio grazie a quel piccolo dono gratuito, e perciò eroico, Gesù può sfamare tutti. È un grande insegnamento per noi. Ci dice che il Signore può fare molto con il poco che gli mettiamo a disposizione. Sarebbe bello chiederci ogni giorno: “Oggi che cosa porto a Gesù?”. Lui può fare molto con una nostra preghiera, con un nostro gesto di carità per gli altri, persino con una nostra miseria consegnata alla sua misericordia. Le nostre piccolezze a Gesù, e Lui fa dei miracoli. Dio ama agire così: fa cose grandi a partire da quelle piccole, da quelle gratuite.

Tutti i grandi protagonisti della Bibbia – da Abramo a Maria fino al ragazzo di oggi – mostrano questa logica della piccolezza e del dono. La logica del dono è tanto diversa dalla nostra. Noi cerchiamo di accumulare e di aumentare quel che abbiamo; Gesù invece chiede di donare, di diminuire. Noi amiamo aggiungere, ci piacciono le addizioni; a Gesù piacciono le sottrazioni, il togliere qualcosa per darlo agli altri. Noi vogliamo moltiplicare per noi; Gesù apprezza quando dividiamo con gli altri, quando condividiamo. È curioso che nei racconti della moltiplicazione dei pani presenti nei Vangeli non compare mai il verbo “moltiplicare”. Anzi, i verbi utilizzati sono di segno opposto: “spezzare”, “dare”, “distribuire” (cfr v. 11; Mt 14,19; Mc 6,41; Lc 9,16). Ma non si usa il verbo “moltiplicare”. Il vero miracolo, dice Gesù, non è la moltiplicazione che produce vanto e potere, ma la divisione, la condivisione, che accresce l’amore e permette a Dio di compiere prodigi. Proviamo a condividere di più, proviamo questa strada che Gesù ci insegna.

Anche oggi il moltiplicarsi dei beni non risolve i problemi senza una giusta condivisione. Viene alla mente la tragedia della fame, che riguarda in particolare i più piccoli. È stato calcolato – ufficialmente – che ogni giorno nel mondo circa settemila bambini sotto i cinque anni muoiono per motivi legati alla malnutrizione, perché non hanno il necessario per vivere. Di fronte a scandali come questi Gesù rivolge anche a noi un invito, un invito simile a quello che probabilmente ricevette il ragazzo del Vangelo, che non ha nome e nel quale possiamo vederci tutti noi: “Coraggio, dona il poco che hai, i tuoi talenti, e i tuoi beni, mettili a disposizione di Gesù e dei fratelli. Non temere, nulla andrà perso, perché, se condividi, Dio moltiplica. Scaccia la falsa modestia di sentirti inadeguato, fidati. Credi nell’amore, credi nel potere del servizio, credi nella forza della gratuità”.

La Vergine Maria, che ha risposto “sì” all’inaudita proposta di Dio, ci aiuti ad aprire il cuore agli inviti del Signore e ai bisogni degli altri.


Dopo l'Angelus

Cari fratelli e sorelle,

abbiamo appena celebrato la Liturgia in occasione della Prima Giornata Mondiale dei Nonni e degli Anziani. Un applauso a tutti i nonni, a tutti! Nonni e nipoti, giovani e anziani insieme hanno manifestato uno dei volti belli della Chiesa e hanno mostrato l’alleanza tra le generazioni. Invito a celebrare questa Giornata in ogni comunità e ad andare a trovare i nonni e gli anziani, quelli che sono più soli, per consegnare loro il mio messaggio, ispirato alla promessa di Gesù: “Io sono con te tutti i giorni”. Chiedo al Signore che questa festa aiuti noi che siamo più avanti negli anni a rispondere alla sua chiamata in questa stagione della vita, e mostri alla società il valore della presenza dei nonni e degli anziani, soprattutto in questa cultura dello scarto. I nonni hanno bisogno dei giovani e i giovani hanno bisogno dei nonni: devono colloquiare, devono incontrarsi! I nonni hanno la linfa della storia che sale e dà forza all’albero che cresce. Mi viene in mente – credo che l’ho citato una volta – quel passo di un poeta: “Tutto quello che l’albero ha di fiorito viene da quello che è sotterrato”. Senza il dialogo tra i giovani e i nonni, la storia non va avanti, la vita non va avanti: c’è bisogno di riprendere questo, è una sfida per la nostra cultura. I nonni hanno diritto a sognare guardando i giovani, e i giovani hanno diritto al coraggio della profezia prendendo la linfa dai nonni. Per favore, fate questo: incontrare nonni e giovani e parlare, colloquiare. E farà felici tutti.


Nei giorni scorsi, piogge torrenziali hanno colpito la città di Zhengzhou e la provincia dell’Henan in Cina, causando devastanti inondazioni. Prego per le vittime e le loro famiglie, ed esprimo la mia vicinanza e solidarietà a tutti coloro che soffrono per questa calamità.

Venerdì scorso si sono aperte a Tokyo le trentaduesime Olimpiadi. In questo tempo di pandemia, questi Giochi siano un segno di speranza, un segno di fratellanza universale all’insegna del sano agonismo. Dio benedica gli organizzatori, gli atleti e tutti coloro che collaborano per questa grande festa dello sport!


Rivolgo di cuore il mio saluto a voi, romani e pellegrini. In particolare, saluto il gruppo di nonni di Rovigo – grazie di essere venuti! –; i giovani di Albinea che hanno camminato sulla Via Francigena dall’Emilia a Roma; e i partecipanti al “Rally di Roma Capitale”. Saluto anche la comunità del Cenacolo. Auguro a tutti una buona domenica. Per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci! Complimenti per l’approvazione definitiva, a voi, ragazzi dell’Immacolata!

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domenica 25 luglio 2021

Preghiera dei Fedeli - Fraternità Carmelitana di Pozzo di Gotto (ME) - XVII Domenica T.O. - B




Fraternità Carmelitana 
di Pozzo di Gotto (ME)



Preghiera dei Fedeli

  XVII Domenica T.O. Anno B

25 luglio 2021  



Colui che presiede

Fratelli e sorelle, il Dio nostro, il Dio di Gesù si è rivelato come il difensore dei poveri, dei forestieri, dei derelitti. Nessuno è escluso dalla sua misericordia e dalla sua provvidenza. E nel suo Figlio Gesù ci ha dato un pane, che ci sostiene nel cammino della vita. A Lui, con umile fiducia innalziamo, le nostre preghiere ed insieme diciamo:

R/  Ascoltaci, Signore


Lettore 

- Signore Gesù, Tu hai voluto consegnare alla tua Chiesa in memoria perenne il gesto dello spezzare il pane. Esso racchiude tutto il senso della tua vita donata e condivisa. Fa’ che tale gesto non sia una semplice ripetizione rituale, ma segni profondamente la nostra esistenza cristiana e caratterizzi il nostro modo di abitare in mezzo alla comunità degli uomini. Preghiamo.

- Sii vicino, Signore Gesù, a tutte le comunità ecclesiali, che ogni domenica si radunano nel tuo Nome per celebrare l’Eucarestia. Fa’ che – sull’esempio di Maria, nostra Madre e Sorella – la loro vita si traduca in un vero rendimento di lode e di ringraziamento. E dona a tutti e a ciascun battezzato la coscienza del mistero che celebra, perché il tuo pane spezzato e condiviso faccia crescere la comunione fraterna tra i partecipanti e il senso di vera fraternità umana nel territorio in cui essi vivono. Preghiamo.

- Ti affidiamo, Signore Gesù, i progetti e gli impegni di tante associazioni, che hanno a cuore la fame e la miseria degli altri. Sostieni con la tua grazia tutte quelle organizzazioni non governative che sono presenti in varie parti del mondo per affrontare il dramma provocato dalle guerre, dalla fame e dalle malattie. Dona a tutti loro uno sguardo di vera compassione. Preghiamo.

- Ti affidiamo ancora, Signore Gesù, le nostre vite, le nostre case, i nostri familiari, i nostri amici e i nostri vicini. Ti vogliamo affidare anche tutte quelle persone che non riusciamo ad amare o con le quali siamo in conflitto. Ispiraci pensieri di pace, di mitezza e di grande comprensione verso gli altri. Preghiamo.

- Davanti a Te, Gesù Pane di vita, ci ricordiamo dei nostri parenti e amici defunti e delle vittime del coronavirus [pausa di silenzio]; ci ricordiamo anche di tutti coloro che muoiono a causa della fame, dell’inquinamento e di malasanità. Dona a tutti di contemplare il tuo Volto di luce e di pace. Preghiamo.


Colui che presiede 

Signore Gesù, aiutaci a dare alla nostra vita il volto di una esistenza eucaristica: la compassione, il dono di sé, la condivisione e la solidarietà contribuiscano a superare ogni forma di mercificazione e di egoismo, e a rendere più umano e fraterno il nostro mondo. Te lo chiediamo perché tu sei nostro Signore e Fratello, vivente nei secoli dei secoli.  AMEN.