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sabato 8 febbraio 2025

LUI SULLA MIA BARCA Gesù non giudica, non condanna, ma neppure assolve ... il futuro conta più del presente, più del passato ... il bene possibile domani vale più del male di ieri e di oggi. - V DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO C - Commento al Vangelo a cura di P. Ermes Maria Ronchi

LUI SULLA MIA BARCA



Gesù non giudica, non condanna, ma neppure assolve ... 
il futuro conta più del presente, più del passato ... 
il bene possibile domani vale più del male di ieri e di oggi.


In quel tempo, mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca.
Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare.
Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini».
E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono. Lc 5,1-10
 
LUI SULLA MIA BARCA
 
Gesù non giudica, non condanna, ma neppure assolve ... il futuro conta più del presente, più del passato ... il bene possibile domani vale più del male di ieri e di oggi.

Tirate le barche a terra lasciarono tutto e lo seguirono.
Senza neppure chiedersi dove Gesù li avrebbe condotti. Lo seguono in piena incoscienza.
Perché il motivo di tutto è solo lui, quel Rabbi dalle parole folgoranti. Allontanati da me, aveva detto Pietro; e alla fine si allontanano ma insieme, verso un altro mare, lasciando sulla riva le barche riempite fino all’orlo dal miracolo. Sono i ‘futuri di cuore’.

Tutto è cominciato con una notte buttata, le reti vuote, la fatica inutile. E Gesù in piedi vede. Vede ‘due barche’, dice il vangelo, ma io credo che veda tutta la delusione e la tristezza del mondo sui volti dei pescatori, che in disparte lavano le reti vuote.

Il maestro parla con linguaggio universale e immagini semplicissime, non dal pinnacolo del tempio ma dalla barca di un pescatore di Cafarnao. Non da luoghi sacri, ma da un angolo umanissimo e laico, in mezzo alle attività umane, non padrone, ma ospite dello spazio umano, delle periferie, delle attese, delle delusioni.

Gesù di fronte a uomini in crisi, per un pescatore non pescare è la crisi d’identità, usa tutta la sua sapienza e delicatezza: prega Simone di staccarsi un po’ dalla riva.
Sale sulla barca di Simone e lo prega: notiamo la finezza del verbo scelto da Luca. Così il maestro sale sulla barca della mia vita e mi prega di ripartire con quel poco che ho, con quel poco che so fare, per affidarmi un nuovo mare.

Prendi il largo e getta le tue reti.
Sulla tua parola le getterò. Simone si fida e si avvia il miracolo. Una quantità enorme di pesci, una quantità di giorni pieni di pane e di luce per lui e per tutti coloro che sulla sua parola getteranno le reti.
Un prodigio. Un segno. Simone ha paura: Allontanati da me, perché sono un peccatore. ​Gesù sull’acqua del lago ha una reazione bellissima. Lui, il grande pescatore di uomini, alle parole di Simone non risponde “non sei peggio degli altri”, non giudica, non condanna, ma neppure assolve.
A lui non interessa giudicare neppure in vista di una assoluzione, a lui interessa il frutto, la pesca abbondante, la fecondità della vita e non la purezza fondamentalista. Mette oro nelle ferite.
Gesù pronuncia una parola solenne e inattesa: non temere, d’ora in avanti tu sarai... e il futuro conta più del presente, più del passato, d’ora in avanti cercherai uomini, raccoglierai vite per la vita.
E il bene possibile domani vale più del male di ieri e di oggi.

Io non sono che un perdonato, uno che non ha preso niente, ma che ora sulla tua parola getterà le reti ancora. Sono il primo dei paurosi, l’ultimo dei coraggiosi, ma d’ora in avanti qualcosa sarò, Signore, se la tua grazia farà del mio nulla qualcosa che serva a qualcuno.


Enzo Bianchi - Il dialogo non sia l’ultima spiaggia di una Chiesa umiliata dagli scandali

Enzo Bianchi 

Il dialogo non sia l’ultima spiaggia 
di una Chiesa umiliata dagli scandali 

La Stampa - Tuttolibri - 01/02/2025

Il teologo Aveline affronta con radicalità
 il senso della missione del cattolicesimo:
 no relativismo


Chi non si è mai chiesto come percorrere i cammini dell’incontro, del dialogo, della relazione con l’altro, con ogni altro, con ogni volto umano? In primo luogo, occorre riconoscere l’altro nella sua singolarità specifica, riconoscere la sua dignità di essere umano, il valore unico e irripetibile della sua vita, la sua libertà, la sua differenza: è uomo, donna, bambino, vecchio, credente, non credente, diversamente credente. È un essere umano come me, eppure diverso da me, nella sua irriducibile alterità! Teoricamente questo riconoscimento è facile, ma in realtà proprio perché la differenza desta paura, si deve mettere in conto l’esistenza di sentimenti ostili da vincere: in particolare, c’è in noi un’attitudine che ripudia tutto ciò che è lontano da noi per cultura, morale, religione, estetica o costumi. Quando si guarda l’altro solo attraverso il prisma della propria cultura, allora si è facilmente soggetti all’incomprensione e all’intolleranza.

Bisogna dunque esercitarsi a desiderare di ricevere dall’altro, considerando che i propri modi di essere e di pensare non sono i soli esistenti ma si può accettare di imparare, relativizzando i propri comportamenti. C’è un sano relativismo culturale e religioso che significa imparare la cultura e la religione degli altri senza misurarla sulla propria: questo atteggiamento è necessario in una relazione di alterità in cui si deve prendere il rischio di esporre la propria identità a ciò che non si è ancora… Se ci sono questi atteggiamenti preliminari, allora diventa possibile mettersi in ascolto: ascolto arduo ma essenziale di una presenza, di una chiamata che esige da ciascuno di noi una risposta, dunque sollecita la nostra responsabilità.

L’ascolto è la condizione essenziale per dialogo. Dia-lógos: parola che si lascia attraversare da una parola altra; intrecciarsi di linguaggi, di sensi, di culture, di etiche; cammino di conversione e di comunione; via efficace contro il pregiudizio e, di conseguenza, contro la violenza che nasce da un’aggressività non parlata… È il dialogo che consente di passare non solo attraverso l’espressione di identità e differenze, ma anche attraverso una condivisione dei valori dell’altro, non per farli propri bensì per comprenderli. Dialogare non è annullare le differenze e accettare le convergenze, ma è far vivere le differenze allo stesso titolo delle convergenze: il dialogo non ha come fine il consenso ma un reciproco progresso, un avanzare insieme. Così nel dialogo avviene la contaminazione dei confini, avvengono le traversate nei territori sconosciuti, si aprono strade inesplorate. Sono le strade che ha percorso Gesù di Nazareth e che ha lasciato ai suoi discepoli come tracce da seguire, facendosi maestro con la sua arte della relazione, la sua volontà di ascoltare e accogliere quanti incontrava sul suo cammino, fino a lasciarsi costruire, edificare da questi rapporti.

Che il dialogo sia l’atteggiamento che deve animare la missione della chiesa è il cuore del prezioso saggio di Jean-Marc Aveline, Il dialogo della salvezza, Piccola teologia della missione, Libreria Editrice Vaticana 2024. Per il grande pubblico italiano Jean-Marc Aveline è una persona poco conosciuta, eppure è tra gli uomini più significativi, intelligenti e lucidi che il cattolicesimo europeo esprime in questo momento. Lo conosco da quando sostava spesso a Bose negli anni in cui sono stato priore; una conoscenza e un’amicizia che mi ha permesso di apprezzarne la brillante intelligenza e la profonda umanità segnata da quella genuina bontà e simpatica affabilità tipica dell’uomo del Sud. Aveline è arcivescovo di Marsiglia e da alcuni anni papa Francesco lo ha fatto cardinale mostrando pubblicamente verso di lui una stima personale. È un bravo teologo, munito di una fede salda ma non militante, capace di dialogo senza cedere a sincretismi. Un ecclesiastico semplice nello stile, eppure molto avvertito e sapiente. A chi, come capita sempre più spesso, mi chiede chi a mio giudizio sarebbe il prossimo successore di Pietro, rispondo senza esitazione: l’arcivescovo di Marsiglia che con il suo sorriso ricorda papa Giovanni.

Nato nel 1958 in Algeria da una famiglia che da quattro generazioni era giunta in quelle terre dall’Andalusia ma anche dall’Alsazia e dalla Vandea, Aveline ha iscritto nella storia personale quello che definisce “la memoria felice, discreta e tuttavia profonda, di una convivialità vissuta nella semplicità al di là delle differenze di culture e di credenze”. Un’esperienza vissuta in prima persona che dimostra “che è possibile una fraternità tra ebrei, cristiani e mussulmani, come quando vivevamo sotto il sole di Costantina, Orano o Algeri”. Costretto con la famiglia a “rimpatriare” nel 1962 in Francia conosce in giovane età sulla sua pelle le ostilità, i pregiudizi e il disprezzo vissuti dai cosiddetti pied-noir, cioè i figli di genitori francesi nati e vissuti in Algeria prima che la colonia conquistasse l'indipendenza.

Il dialogo della salvezza è così la sintesi al tempo stesso dell’esperienza personale e del pensiero sulla missione della chiesa che Aveline ha maturato per decenni come teologo esperto di teologia delle religioni e da qualche anno esperimenta concretamente come pastore di una grande città multietnica come Marsiglia. In questo saggio l’autore fa del dialogo, la cifra, il cardine dell’attitudine che la chiesa è chiamata ad assumere nella società attuale: dialogo con le culture, con le religioni, con le etiche. L’incontro con l’altro non è per l’autore l’inevitabile scelta strategica di una chiesa ormai minoranza che ha perso ogni rilevanza sociale. Il dialogo non è l’ultima spiaggia di una chiesa umiliata dagli scandali, marginalizzata dai poteri di questo mondo perché ormai privata di ogni potere mondano, alla quale non resta che rivolgersi ai poveri e agli ultimi. Al contrario, “quando è in mezzo ai poveri la Chiesa è più pienamente cattolica, perché è lì che apprende dal suo Signore tutta la grandezza, l’ampiezza e la profondità della compassione di Dio per il mondo”.

Imbevuto dalla radicalità della testimonianza di Charles de Foucauld e del suo stile di missione tra i fedeli dell’islam a Tamanrasset, ma anche del pensiero del grande islamologo Louis Massignon, come della visione della “conversione del missionario” del teologo gesuita Michel De Certeau, Aveline prende le distanze da una errata comprensione della scelta del dialogo da parte della chiesa come stile della missione, specie quando il dialogo diventa un paravento per nascondere il desiderio di seppellire la missione sotto gli artifici del dilagante relativismo. Per questo precisa: “Ma se l’evangelizzazione, mal intesa, diventasse per la Chiesa la bandiera di una volontà di conquista per imporre improbabili ‘valori cristiani’ ripiegandosi sull’identitarismo dominante, dovremmo ugualmente prenderne le distanze!”.

Per noi cristiani d’occidente oggi angosciati solo della massiccia e pervasiva scristianizzazione delle nostre terre, la visione di missione della chiesa indicata da Jean-Marc Aveline è una boccata d’aria fresca.
(fonte: Blog dell'autore)

8 Febbraio 2025 XI GIORNATA MONDIALE DI PREGHIERA E RIFLESSIONE CONTRO LA TRATTA DI PERSONE - Violazione gravissima dei diritti umani fondamentali - Messaggio di Papa Francesco "Ambasciatori di speranza: insieme contro la tratta di persone"

8 Febbraio 2025 XI GIORNATA MONDIALE DI PREGHIERA E RIFLESSIONE CONTRO LA TRATTA DI PERSONE 
Violazione gravissima dei diritti umani fondamentali - 
Messaggio di Papa Francesco 
"Ambasciatori di speranza: insieme contro la tratta di persone"

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La denuncia del Papa alla vigilia dell’XI Giornata mondiale di preghiera e riflessione contro la tratta di persone

Violazione gravissima dei diritti umani fondamentali


Una «terribile piaga sociale» che «miete milioni di vittime», soprattutto donne e bambini, e «trova sempre nuovi modi per insinuarsi nelle nostre società»; un «dramma» che non può lasciare indifferenti; una «forma di criminalità che guadagna sulla pelle delle persone più vulnerabili» e, soprattutto, «una violazione gravissima dei diritti umani fondamentali». Senza mezzi termini Papa Francesco torna a denunciare la tratta di esseri umani alla vigilia dell’XI Giornata mondiale di preghiera e riflessione contro il turpe fenomeno. Lo fa attraverso due interventi: nel discorso ai membri della rete “Talitha Kum”, ricevuti in udienza venerdì 7 febbraio, a Casa Santa Marta, e in un messaggio diffuso in tarda mattinata, in concomitanza con diverse iniziative aventi l’hashtag #PrayAgainstTrafficking, come il Pellegrinaggio online attraverso i cinque continenti in diretta streaming in altrettante lingue.

Particolarmente forti i contenuti del testo nel corso dell’udienza che — come comunicato ai giornalisti giovedì pomeriggio dalla Sala stampa della Santa Sede «a causa di una bronchite da cui è affetto in questi giorni» il Pontefice «e al fine di continuare la sua attività» —, si è svolta a Casa Santa Marta. Così come era accaduto giovedì 6, e sabato 8.

Rivolgendosi alla rete internazionale della vita consacrata “Talitha Kum” durante l’incontro in Vaticano, il vescovo di Roma esorta a «unire le forze» e «le voci» e a «richiamare tutti alle proprie responsabilità». Perché, spiega, «il commercio dei corpi, lo sfruttamento sessuale, anche di bambini e bambine, il lavoro forzato sono una vergogna».

Nel messaggio scritto, il Papa si rivolge invece in particolare ai «giovani che in tutto il mondo lottano contro la tratta», i quali «ci dicono che bisogna diventare ambasciatori di speranza» — chiarisce con un evidente riferimento al tema generale del Giubileo in corso —, ponendosi «a fianco delle vittime e dei sopravvissuti».
(fonte: L'Osservatore Romano 07/02/2025)

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MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
PER L'XI GIORNATA MONDIALE DI PREGHIERA
E RIFLESSIONE CONTRO LA TRATTA DI PERSONE


Ambasciatori di speranza:
insieme contro la tratta di persone

Cari fratelli e sorelle!

Con gioia mi unisco a voi nell’undicesima Giornata mondiale di preghiera e riflessione contro la tratta di persone. Questo evento ricorre nella memoria liturgica di Santa Giuseppina Bakhita, donna e religiosa sudanese, sin da bambina vittima di tratta, divenuta simbolo del nostro impegno contro questo terribile fenomeno. In questo anno giubilare camminiamo insieme, come “pellegrini di speranza”, anche sulla strada del contrasto alla tratta.

Ma come è possibile continuare a nutrire speranza davanti ai milioni di persone, soprattutto donne e bambini, giovani, migranti e rifugiati, intrappolate in questa schiavitù moderna? Dove attingere sempre nuovo slancio per contrastare il commercio di organi e tessuti umani, lo sfruttamento sessuale di bambini e bambine, il lavoro forzato, compresa la prostituzione, il traffico di droghe e di armi? Come facciamo a registrare nel mondo tutto questo e a non perdere la speranza? Solo sollevando lo sguardo a Cristo, nostra speranza, possiamo trovare la forza di un rinnovato impegno che non si lascia vincere dalla dimensione dei problemi e dei drammi, ma nel buio si adopera per accendere fiammelle di luce, che unite possono rischiarare la notte finché non spunti l’aurora.

Ci offrono un esempio i giovani che in tutto il mondo lottano contro la tratta: ci dicono che bisogna diventare ambasciatori di speranza e agire insieme, con tenacia e amore; che occorre mettersi a fianco delle vittime e dei sopravvissuti.

Con l’aiuto di Dio possiamo evitare di assuefarci all’ingiustizia, allontanare la tentazione di pensare che certi fenomeni non possano essere debellati. Lo Spirito del Signore risorto ci sostiene nel promuovere, con coraggio ed efficacia, iniziative mirate per indebolire e contrastare i meccanismi economici e criminali che traggono profitti dalla tratta e dallo sfruttamento. Ci insegna anzitutto a metterci in ascolto, con vicinanza e compassione, delle persone che hanno fatto esperienza della tratta, per aiutarle a rimettersi in piedi e insieme con loro individuare le vie migliori per liberare altri e fare prevenzione.

La tratta è un fenomeno complesso, in continua evoluzione, e trae alimento da guerre, conflitti, carestie e conseguenze dei cambiamenti climatici. Pertanto richiede risposte globali e un sforzo comune, a tutti i livelli, per contrastarlo.

Invito dunque tutti voi, in modo particolare i rappresentanti dei governi e delle organizzazioni che condividono questo impegno, a unirsi a noi, animati dalla preghiera, per promuovere le iniziative in difesa della dignità umana, per l’eliminazione della tratta di persone in tutte le sue forme e per la promozione della pace nel mondo.

Insieme – confidando nell’intercessione di Santa Bakhita – possiamo mettere in opera un grande sforzo e creare le condizioni affinché la tratta e lo sfruttamento vengano banditi e prevalga sempre il rispetto dei diritti umani fondamentali, nel riconoscimento fraterno della comune umanità.

Sorelle e fratelli, vi ringrazio per il coraggio e la tenacia con cui portate avanti quest’opera, coinvolgendo tante persone di buona volontà. Andate avanti con la speranza nel Signore, che cammina con voi! Vi benedico di cuore. Prego per voi, e voi pregate per me.

Dal Vaticano, 4 febbraio 2025

Francesco

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venerdì 7 febbraio 2025

«Bambini, non vi scoraggiate!»

«Bambini, non vi scoraggiate!»

L’invito del piccolo ucraino Roman Oleksiv
nel racconto della sua vita tra musica e sogni


La pizza e il gelato sono le cose di Roma che più gli sono piaciute, ma soprattutto l’incontro con Papa Francesco. Il terzo incontro con Papa Francesco, dopo quelli del 2023 e del 2024, anche questa volta caratterizzato da un lungo abbraccio. Roman Oleksiv, 10 anni, è un bambino sereno nonostante quello che ha vissuto: un terribile attacco missilistico russo a Vinnytsia (Ucraina), nell’estate del 2022, che ha colpito lui e la sua mamma, uccidendola. Roman è sopravvissuto ma ha riportato ustioni di terzo grado sul 45% del corpo. Da allora è stato un susseguirsi di operazioni, cure, interventi tra Ucraina e Germania. Per tanto tempo ha dovuto indossare maschera, tuta e guanti compressori per le cicatrici e il dolore. Ora non più e, così, con il volto e le mani libere, lunedì 3 febbraio è venuto a Roma insieme ai rappresentanti di “Alliance Unbroken Kids”, iniziativa nata in occasione del Summit sui diritti dei bambini per mettere in campo progetti di sostegno per quanti sono colpiti dai conflitti. Dopo l’incontro, Roman e suo papà Yaroslav sono stati ospiti dei media vaticani.

Roman, cosa ti piace di Roma?

La cosa che più mi piace di Roma è che ho incontrato il Papa. Poi mi piacciono questi bellissimi piccoli bar qui. È molto carino vederli tutti di sera.

E qual è il cibo che ti piace di più?

Mi piace soprattutto la pizza. Anche il gelato è buono.

È la quarta volta che incontri Papa Francesco. Ti ha riconosciuto?

Sì, mi ha riconosciuto come le altre volte.

Che impressione hai avuto dell’incontro di ieri? Cosa vi siete detti?

Gli ho detto «Buongiorno» in inglese e l’ho abbracciato. Gli ho anche dato un regalo.

Raccontaci che classe stai frequentando e quale materia ti piace di più, oltre ai tuoi hobby.

Sono già in quarta elementare. Mi piacciono soprattutto la matematica e il disegno. Amo disegnare, disegno sempre molte macchine, suono la fisarmonica, a volte anche l’armonica a bocca e il pianoforte.

L’insegnante di fisarmonica è tuo papà…

Sì! Sono quattro anni che mi fa da insegnante. All’inizio mi sembrava un po’ strano, ma ora mi sono abituato.

Ultimamente hai viaggiato molto. Sei stato in Italia e in Germania, dove hai incontrato anche dei bambini. Cosa ti chiedono dell’Ucraina e cosa dici loro?

All’inizio, quando sono venuto in Germania, tutti mi chiedevano: «Perché indossi una maschera? Cos’è successo? Perché hai un aspetto così strano?». E io rispondevo tranquillamente. Poi non me l’hanno più chiesto, perché già sapevano e capivano.

Ti hanno sostenuto, hai sentito il loro appoggio?

Sì, c’è stato molto sostegno.

Per molti bambini, anche se non te lo dicono, sei probabilmente un esempio. La tua esperienza mostra che sei forte e coraggioso. Chi è, invece, il tuo esempio? Forse gli eroi dei libri o dei film o qualcuno nella vita reale? Chi è, insomma, il tuo superman?

Mio papà è un esempio per me perché mi mostra come lottare e come fare cose diverse. Imparo dai suoi esempi, la cosa più importante che mi dice sempre è di non arrendersi.

Quando parli dell’Ucraina ad altri bambini o ad altre persone, cosa dici del tuo Paese? Perché ti piace? Cosa c’è di speciale?

La particolarità dell’Ucraina è che lì mi sento tranquillo perché parlo la mia lingua madre. In altri posti devo imparare una lingua e poi parlarla, e mi sento a disagio. In Ucraina, invece, posso parlare liberamente e tranquillamente.

Signor Yaroslav, grazie per aver portato qui Roman. Suo figlio dice che lei è il suo eroe. Da dove trae forza e ispirazione?

Traiamo forza l’uno dall’altro. Per me è Roman l’esempio: il modo in cui combatte, il modo in cui organizza, il modo in cui guarisce con la sua energia… La mia missione è di dare anche a lui forza. Cerchiamo entrambi di pianificare le cose insieme, di realizzare un sogno. Questo è importante perché ci dà la voglia di vivere, di creare, di andare avanti.

Roman qual è il tuo sogno invece?

È che da grande vorrei progettare la mia auto e imparare a guidare.

E il suo, Yaroslav?

Il mio sogno è un po’ diverso. Vorrei che Roman diventasse una persona vera, e voglio che questa bontà, questa energia che ha ora, duri per tutta la vita. Dico sempre che non importa chi diventi, ma la cosa principale è che sia un vero essere umano. Questo è molto importante.

Cosa hanno significato per lei questi incontri con Papa Francesco in Vaticano?

L’incontro di ieri è stato speciale perché il Papa ha detto cose che non mi aspettavo di sentire. Mi ha detto che ho il dovere di trasmettere a Roman la forza d’animo che ho, perché non si fermi, perché vada avanti. Mi ha fatto bene sentirlo dire. Ha pure detto: «Stai facendo molto per tuo figlio ed è importante che tu mantenga vivi questi valori familiari anche in futuro». Mi sembra che la cosa più importante sia che una famiglia abbia questi valori, che ci si sostenga a vicenda, senza arrendersi.

Ci sono molte famiglie in Ucraina che, purtroppo, stanno attraversando momenti difficili. E non solo in Ucraina, ma anche in altre parti del mondo. In base alla sua esperienza, cosa vorrebbe dire loro?

Come ha detto Roman, non bisogna mai arrendersi. Ma anche che bisogna comunicare, sia che si parli a un bambino che a un adulto, e porsi un obiettivo. L’importante è avere sempre un sogno che si vorrebbe realizzare e che incoraggia ad andare avanti. Bisogna sempre continuare a muoversi. Perché se ci si arrende, è molto difficile uscire da quello stato.

Quanto è difficile o facile per lei chiedere aiuto agli altri. Immagino che sia difficile affrontare tutto questo da soli. Come riesce a farlo?

Negli ultimi due anni e mezzo, da quando è accaduta la tragedia, ho sempre incontrato persone a cui non dovevo chiedere aiuto: sono loro che ce lo offrono. E questo è molto bello. Sento anche una sorta di pace interiore e vedo che le persone si aprono e si mostrano pronte ad aiutare in qualsiasi situazione. Anche questo è fonte di ispirazione. La vita in qualche modo ti solleva, è molto più facile vivere se si sente il sostegno degli altri.

Tornando a te Roman, tuo papà ha detto che vuole che tu diventi un uomo buono, un uomo con la “U” maiuscola. Come dovrebbe essere, secondo te, una brava persona, una persona vera?

Una persona pronta ad aiutare, gentile, che capisce quando qualcuno ha bisogno di aiuto.

Signor Yaroslav, vuole aggiungere qualcosa?

Grazie a tutti voi per il vostro sostegno e per il modo in cui ci trattate. È molto bello e ci dà le ali per andare avanti e crescere. Sono molto felice che abbiamo avuto l’opportunità di venire in Vaticano e incontrare il Papa. Anche questo è di grande aiuto per noi. Quando torneremo a casa, sentiremo questa grazia, e dopo diventa più facile affrontare la vita. Uno dei compiti che ci siamo prefissati è proprio quello di informare le altre persone su ciò che sta accadendo in Ucraina e, per quanto possibile, mostrare con l’esempio che non dobbiamo arrenderci, che dobbiamo andare avanti e che con l’aiuto di Dio supereremo tutto.

Roman, oggi in Vaticano, non so se l’hai visto, c’erano molti bambini. Cosa vorresti dire loro?

Direi loro che non importa quanto sia difficile, non importa quello che succede, ma non bisogna scoraggiarsi, bisogna andare avanti e poi si raggiungerà il risultato che si voleva.
(fonte: L'Osservatore Romano, articolo di Svitlana Dukhovych 06/02/2025)

Pasqua, c’è ancora molto da discutere prima di una data comune


Pasqua, c’è ancora molto da discutere prima di una data comune

Papa Francesco ha di nuovo aperto all’idea di stabilire una data comune per celebrare la Pasqua. Nel mondo ortodosso, però, c’è ancora dibattito

 Papa Francesco con il Patriarca Bartolomeo durante un in contro ecumenico | DPUC

Nell’omelia dei Vespri che hanno concluso la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani lo scorso 25 gennaio, Papa Francesco ha ribadito la sua volontà di aprire un percorso per stabilire una data comune della Pasqua tra cattolici e ortodossi. Le reazioni sul lato ortodosso lasciano pensare che un dialogo può essere aperto, ma non sarà facile.

Quest’anno, 1700esimo anniversario del Concilio di Nicea, per un disegno della Provvidenza cattolici e ortodossi (o comunque Chiese cattoliche di rito orientale) celebrano la Pasqua nella stessa data. Ma non è sempre così. La Pasqua, infatti, si celebra nella prima domenica di luna piena dall’equinozio di Primavera, come fu stabilito proprio a Nicea. Ed è la Pasqua che funge da “bussola” per tutte le altre feste, dall’inizio della Quaresima, a Pentecoste ed Ascensione.

E però i cattolici di rito latino utilizzano il calendario gregoriano, mentre ad Oriente si è mantenuta la tradizione di calcolare i tempi secondo il calendario giuliano. E questo è un calendario “sfalsato”, tanto è vero che quando si adottò il gregoriano, nel 1582 secolo, si saltarono direttamente dieci giorni nel calendario per allineare la data all’orbita terrestre.

Per questo motivo, i cattolici di rito latino celebrano la Pasqua in giornate differenti. Poi, per le feste, ci sono altre differenze. Ci sono orientali che hanno deciso di celebrare insieme al rito latino le feste a calendario fisso, come il Natale, e altri che hanno mantenuto anche per il Natale la datazione giuliana – e infatti Natale cade il 7 gennaio in alcune Chiese ortodosse orientali.

A lungo, nell’ambito del processo di dialogo ecumenico, si è parlato di allineare le festività, in modo che rito latino e orientale potessero celebrare insieme. Papa Francesco ha dato nuovo impulso al movimento.

Sul versante opposto, Papa Francesco trova una sponda nel Patriarca Ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo. Questi, parlando al Palazzo d’Europa a Strasburgo in occasione dell’apertura dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa, ha sottolineato: “I recenti scambi tra le Chiese di Roma e Costantinopoli hanno portato a relazioni ecclesiastiche più strette. Il Patriarcato Ecumenico è ugualmente impegnato a promuovere l’unità dei cristiani non solo attraverso il dialogo teologico, ma anche attraverso vivaci discussioni su una data comune per la Pasqua”.

Bartolomeo ha aggiunto che “la celebrazione congiunta dello storico anniversario di Nicea dovrebbe ispirare a un nuovo dialogo teologico, nonché al rinnovamento nella cooperazione cristiana”.

Bartolomeo si riferisce alla celebrazione che dovrebbe aver luogo a Nicea, e che vedrà Papa Francesco in pellegrinaggio verso la città turca. Dovrebbe trattarsi di un viaggio breve, intorno al 24 maggio, e Papa Francesco dovrebbe andare senza fermarsi prima ad Ankara, concentrando tutto il viaggio sulla cittadina del Concilio.

Bartolomeo ha anche affermato che “le Chiese e le comunità religiose non solo svolgono un ruolo fondamentale nella vita personale e spirituale delle persone, ma hanno anche un ruolo cruciale nella mobilitazione delle istituzioni e della società a vari livelli”, e ha auspicato la costruzione d “un mondo in cui la preghiera di Cristo per l’Unità possa finalmente realizzarsi”.

C’è stata anche una reazione formale e diretta alle parole di Papa Francesco, ed è venuta dal Patriarcato Ortodosso di Romania. C’è da ricordare che il Patriarca ortodosso di Romania è l’unico, nella sinassi dei patriarchi, il cui abito è bianco, a testimonianza della vicinanza che sentono nei confronti della Chiesa Latina.

Il 28 gennaio, tre giorni dopo le dichiarazioni di Papa Francesco, l’ufficio stampa del Patriarcato ha inviato una comunicazione ufficiale in cui veniva chiarita che “ogni consultazione sulla data della Pasqua e una possibile decisione in merito possono avere luogo nel contesto di un futuro concilio pan-ortodosso, con la partecipazione di tutte le Chiese ortodosse sorelle”.

L’ultimo concilio pan-ortodosso si è tenuto nel 2016, ma ha visto la mancata partecipazione del Patriarcato di Mosca, che pure aveva partecipato al processo di preparazione.

Tra il 21 e 28 gennaio 2016, la Sinassi dei Primati e dei Rappresentanti delle Chiese Ortodosse si era riunita al Centro del Patriarcato Ecumenico a Chambesy in Svizzera, parlando anche della data della Pasqua. Una raccomandazione, molto significativa, sottolineava che “è appropriato che ciascuna Chiesa implementi liberamente (il calendario) laddove lo consideri benefico per la formazione spirituale dei suoi fedeli, ma senza alterare la data comune della celebrazione della Pasqua da parte di tutti gli ortodossi”.

Sono parole che dimostrano, in fondo, che un accordo su una comune data della Pasqua non avrà luogo quest’anno, specialmente alla luce delle tensioni in corso tra il Patriarcato di Mosca e quello Ecumenico di Costantinopoli.

Tensioni iniziate con la decisione di Bartolomeo di concedere l’autocefalia alla Chiesa ortodossa ucraina che ha portato Mosca a uscire da tutti i tavoli ecumenici co-presieduti da Costantinopoli. A Strasburgo, tra l’altro, il Patriarca Bartolomeo ha parlato apertamente di un sostegno all’Ucraina, e lodato lo spirito di resistenza del popolo ucraino. Insomma, le possibilità di un Concilio Pan-Ortodosso, in questa situazione, è pari a zero.

Inoltre, non c’è stata nessuna indicazione della volontà delle Chiese Ortodosse di abbandonare il calendario giuliano nel calcolo della Pasqua.

L’ultima volta che Costantinopoli ne ha parlato, è stato all’incontro della Sinassi dei Gerarchi del Trono Ecumenico, il 3 settembre 2024.
 (fonte: ACI Stampa, articolo di Andrea Gagliarducci 04/02/2025).

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Vedi anche il post precedente:


giovedì 6 febbraio 2025

"Missionari di speranza tra le genti" Messaggio di Papa Francesco per la 99ª Giornata missionaria mondiale (sintesi e testo integrale)

Messaggio del Santo Padre per la 99ª Giornata missionaria mondiale 
(19 ottobre 2025)

Missionari di speranza tra le genti


Mettersi «in cammino sulle orme del Signore Gesù per diventare... segni e messaggeri di speranza per tutti, in ogni luogo e circostanza che Dio ci dona di vivere» affinché «tutti i battezzati, discepoli-missionari di Cristo, facciano risplendere la sua speranza in ogni angolo della terra!». È l’invito di Papa Francesco contenuto nel messaggio per la 99ª Giornata missionaria mondiale, che sarà celebrata il prossimo 19 ottobre, XXIX domenica del Tempo ordinario.

«Missionari di speranza tra le genti» è il titolo del testo pontificio diffuso oggi, 6 febbraio, che si riallaccia al tema generale dell’Anno Santo e ha una struttura tripartita. Nella prima, il focus è sulla natura della Chiesa: «non statica» ma in cammino «con il Signore lungo le strade del mondo»: pur dovendo affrontare da un lato «persecuzioni, tribolazioni e difficoltà» e dall’altro «imperfezioni e cadute a causa delle debolezze dei singoli membri», essa è «costantemente spinta dall’amore di Cristo a procedere unita» nel «cammino missionario» per «raccogliere... il grido dell’umanità».

Così, i cristiani sono chiamati a «trasmettere la Buona Notizia condividendo le concrete condizioni di vita di coloro che incontrano» e diventando «portatori e costruttori di speranza». Infine, il Santo Padre esorta a «formarsi per diventare “artigiani” di speranza e restauratori di un’umanità spesso distratta e infelice», grazie a quello sguardo «sempre pieno di speranza da condividere con tutti» che rende i cristiani «gente di primavera». E in proposito cita «il venerabile cardinale Van Thuan, che ha mantenuto viva la speranza nella lunga tribolazione del carcere grazie alla preghiera perseverante e all’Eucaristia».
(fonte: L'Osservatore Romano 06/02/2025)


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MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
PER LA XCIX GIORNATA MISSIONARIA MONDIALE 2025

[19 ottobre 2025]


Missionari di speranza tra le genti

Cari fratelli e sorelle!

Per la Giornata Missionaria Mondiale dell’anno giubilare 2025, il cui messaggio centrale è la speranza (cfr Bolla Spes non confundit, 1), ho scelto questo motto: “Missionari di speranza tra le genti”. Esso richiama ai singoli cristiani e alla Chiesa, comunità dei battezzati, la vocazione fondamentale di essere, sulle orme di Cristo, messaggeri e costruttori della speranza. Auguro a tutti un tempo di grazia con il Dio fedele che ci ha rigenerato in Cristo risorto «per una speranza viva» (cfr 1Pt 1,3-4); e desidero ricordare alcuni aspetti rilevanti dell’identità missionaria cristiana, affinché possiamo lasciarci guidare dallo Spirito di Dio e ardere di santo zelo per una nuova stagione evangelizzatrice della Chiesa, inviata a rianimare la speranza in un mondo su cui gravano ombre oscure (cfr Lett. enc. Fratelli tutti, 9-55).

1. Sulle orme di Cristo nostra speranza

Celebrando il primo Giubileo ordinario del Terzo Millennio dopo quello del Duemila, teniamo lo sguardo rivolto a Cristo che è il centro della storia, «lo stesso ieri e oggi e per sempre» (Eb 13,8). Egli, nella sinagoga di Nazaret, dichiarò il compiersi della Scrittura nell’“oggi” della sua presenza storica. Si rivelò così come l’Inviato dal Padre con l’unzione dello Spirito Santo per portare la Buona Notizia del Regno di Dio e inaugurare «l’anno di grazia del Signore» per tutta l’umanità (cfr Lc 4,16-21).

In questo mistico “oggi” che perdura sino alla fine del mondo, Cristo è il compimento della salvezza per tutti, particolarmente per coloro la cui unica speranza è Dio. Egli, nella su vita terrena, «passò beneficando e risanando tutti» dal male e dal Maligno (cfr At 10,38), ridonando ai bisognosi e al popolo la speranza in Dio. Inoltre, sperimentò tutte le fragilità umane, tranne quella del peccato, attraversando pure momenti critici, che potevano indurre a disperare, come nell’agonia del Getsemani e sulla croce. Gesù però affidava tutto a Dio Padre, obbedendo con fiducia totale al suo progetto salvifico per l’umanità, progetto di pace per un futuro pieno di speranza (cfr Ger 29,11). Così è diventato il divino Missionario della speranza, modello supremo di quanti lungo i secoli portano avanti la missione ricevuta da Dio anche nelle prove estreme.

Tramite i suoi discepoli, inviati a tutti i popoli e accompagnati misticamente da Lui, il Signore Gesù continua il suo ministero di speranza per l’umanità. Egli si china ancora oggi su ogni persona povera, afflitta, disperata e oppressa dal male, per versare «sulle sue ferite l’olio della consolazione e il vino della speranza» (Prefazio “Gesù buon samaritano”). Obbediente al suo Signore e Maestro e con il suo stesso spirito di servizio, la Chiesa, comunità dei discepoli-missionari di Cristo, prolunga tale missione, offrendo la vita per tutti in mezzo alle genti. Pur dovendo affrontare, da un lato, persecuzioni, tribolazioni e difficoltà e, dall’altro, le proprie imperfezioni e cadute a causa delle debolezze dei singoli membri, essa è costantemente spinta dall’amore di Cristo a procedere unita a Lui in questo cammino missionario e a raccogliere, come Lui e con Lui, il grido dell’umanità, anzi, il gemito di ogni creatura in attesa della redenzione definitiva. Ecco la Chiesa che il Signore chiama da sempre e per sempre a seguire le sue orme: «non una Chiesa statica, [ma] una Chiesa missionaria, che cammina con il Signore lungo le strade del mondo» (Omelia nella Messa conclusiva dell’Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi, 27 ottobre 2024).

Sentiamoci perciò ispirati anche noi a metterci in cammino sulle orme del Signore Gesù per diventare, con Lui e in Lui, segni e messaggeri di speranza per tutti, in ogni luogo e circostanza che Dio ci dona di vivere. Che tutti i battezzati, discepoli-missionari di Cristo, facciano risplendere la sua speranza in ogni angolo della terra!

2. I cristiani, portatori e costruttori di speranza tra le genti

Seguendo Cristo Signore, i cristiani sono chiamati a trasmettere la Buona Notizia condividendo le concrete condizioni di vita di coloro che incontrano e diventando così portatori e costruttori di speranza. Infatti, «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore» (Gaudium et spes, 1).

Questa celebre affermazione del Concilio Vaticano II, che esprime il sentire e lo stile delle comunità cristiane in ogni epoca, continua a ispirarne i membri e li aiuta a camminare con i loro fratelli e sorelle nel mondo. Penso in particolare a voi, missionari e missionarie ad gentes, che, seguendo la chiamata divina, siete andati in altre nazioni per far conoscere l’amore di Dio in Cristo. Grazie di cuore! La vostra vita è una risposta concreta al mandato di Cristo Risorto, che ha inviato i discepoli ad evangelizzare tutti i popoli (cfr Mt 28,18-20). Così voi richiamate la vocazione universale dei battezzati a diventare, con la forza dello Spirito e l’impegno quotidiano, missionari tra le genti della grande speranza donataci dal Signore Gesù.

L’orizzonte di questa speranza supera le realtà mondane passeggere e si apre a quelle divine, che già pregustiamo nel presente. Infatti, come ricordava San Paolo VI, la salvezza in Cristo, che la Chiesa offre a tutti come dono della misericordia di Dio, non è solo «immanente, a misura dei bisogni materiali o anche spirituali che […] si identificano totalmente con i desideri, le speranze, le occupazioni, le lotte temporali, ma altresì una salvezza che oltrepassa tutti questi limiti per attuarsi in una comunione con l’unico Assoluto, quello di Dio: salvezza trascendente, escatologica, che ha certamente il suo inizio in questa vita, ma che si compie nell’eternità» (Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 27).

Animate da una speranza così grande, le comunità cristiane possono essere segni di nuova umanità in un mondo che, nelle aree più “sviluppate”, mostra sintomi gravi di crisi dell’umano: diffuso senso di smarrimento, solitudine e abbandono degli anziani, difficoltà di trovare la disponibilità al soccorso di chi ci vive accanto. Sta venendo meno, nelle nazioni più avanzate tecnologicamente, la prossimità: siamo tutti interconnessi, ma non siamo in relazione. L’efficientismo e l’attaccamento alle cose e alle ambizioni ci inducono ad essere centrati su noi stessi e incapaci di altruismo. Il Vangelo, vissuto nella comunità, può restituirci un’umanità integra, sana, redenta.

Rinnovo pertanto l’invito a compiere le azioni indicate nella Bolla di indizione del Giubileo (nn. 7-15), con particolare attenzione ai più poveri e deboli, ai malati, agli anziani, agli esclusi dalla società materialista e consumistica. E a farlo con lo stile di Dio: con vicinanza, compassione e tenerezza, curando la relazione personale con i fratelli e le sorelle nella loro concreta situazione (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 127-128). Spesso, allora, saranno loro a insegnarci a vivere con speranza. E attraverso il contatto personale potremo trasmettere l’amore del Cuore compassionevole del Signore. Sperimenteremo che «il Cuore di Cristo […] è il nucleo vivo del primo annuncio» (Lett. enc. Dilexit nos, 32). Attingendo da questa fonte, infatti, si può offrire con semplicità la speranza ricevuta da Dio (cfr 1Pt 1,21), portando agli altri la stessa consolazione con cui siamo consolati da Dio (cfr 2Cor 1,3-4). Nel Cuore umano e divino di Gesù Dio vuole parlare al cuore di ogni persona, attirando tutti al suo Amore. «Noi siamo stati inviati a continuare questa missione: essere segno del Cuore di Cristo e dell’amore del Padre, abbracciando il mondo intero» (Discorso ai partecipanti all’Assemblea generale delle Pontificie Opere Missionarie, 3 giugno 2023).

3. Rinnovare la missione della speranza

Davanti all’urgenza della missione della speranza oggi, i discepoli di Cristo sono chiamati per primi a formarsi per diventare “artigiani” di speranza e restauratori di un’umanità spesso distratta e infelice.

A tal fine, occorre rinnovare in noi la spiritualità pasquale, che viviamo in ogni celebrazione eucaristica e soprattutto nel Triduo Pasquale, centro e culmine dell’anno liturgico. Siamo battezzati nella morte e risurrezione redentrice di Cristo, nella Pasqua del Signore che segna l’eterna primavera della storia. Siamo allora “gente di primavera”, con uno sguardo sempre pieno di speranza da condividere con tutti, perché in Cristo «crediamo e sappiamo che la morte e l’odio non sono le ultime parole» sull’esistenza umana (cfr Catechesi, 23 agosto 2017). Perciò, dai misteri pasquali, che si attuano nelle celebrazioni liturgiche e nei sacramenti, attingiamo continuamente la forza dello Spirito Santo con lo zelo, la determinazione e la pazienza per lavorare nel vasto campo dell’evangelizzazione del mondo. «Cristo risorto e glorioso è la sorgente profonda della nostra speranza, e non ci mancherà il suo aiuto per compiere la missione che Egli ci affida» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 275). In Lui viviamo e testimoniamo quella santa speranza che è «un dono e un compito per ogni cristiano» (La speranza è una luce nella notte, Città del Vaticano 2024, 7).

I missionari di speranza sono uomini e donne di preghiera, perché «la persona che spera è una persona che prega», come sottolineava il Venerabile Cardinale Van Thuan, che ha mantenuto viva la speranza nella lunga tribolazione del carcere grazie alla forza che riceveva dalla preghiera perseverante e dall’Eucaristia (cfr F.X. Nguyen Van Thuan, Il cammino della speranza, Roma 2001, n. 963). Non dimentichiamo che pregare è la prima azione missionaria e al contempo «la prima forza della speranza» (Catechesi, 20 maggio 2020).

Rinnoviamo perciò la missione della speranza a partire dalla preghiera, soprattutto quella fatta con la Parola di Dio e particolarmente con i Salmi, che sono una grande sinfonia di preghiera il cui compositore è lo Spirito Santo (cfr Catechesi, 19 giugno 2024). I Salmi ci educano a sperare nelle avversità, a discernere i segni di speranza e ad avere il costante desiderio “missionario” che Dio sia lodato da tutti i popoli (cfr Sal 41,12; 67,4). Pregando teniamo accesa la scintilla della speranza, accesa da Dio in noi, perché diventi un grande fuoco, che illumina e riscalda tutti attorno, anche con azioni e gesti concreti ispirati dalla preghiera stessa.

Infine, l’evangelizzazione è sempre un processo comunitario, come il carattere della speranza cristiana (cfr Benedetto XVI, Lett. enc. Spe Salvi, 14). Tale processo non finisce con il primo annuncio e con il battesimo, bensì continua con la costruzione delle comunità cristiane attraverso l’accompagnamento di ogni battezzato nel cammino sulla via del Vangelo. Nella società moderna, l’appartenenza alla Chiesa non è mai una realtà acquisita una volta per tutte. Perciò l’azione missionaria di trasmettere e formare la fede matura in Cristo è «il paradigma di ogni opera della Chiesa» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 15), un’opera che richiede comunione di preghiera e di azione. Insisto ancora su questa sinodalità missionaria della Chiesa, come pure sul servizio delle Pontificie Opere Missionarie nel promuovere la responsabilità missionaria dei battezzati e sostenere le nuove Chiese particolari. Ed esorto tutti voi, bambini, giovani, adulti, anziani, a partecipare attivamente alla comune missione evangelizzatrice con la testimonianza della vostra vita e con la preghiera, con i vostri sacrifici e la vostra generosità. Grazie di cuore di questo!

Care sorelle e cari fratelli, rivolgiamoci a Maria, Madre di Gesù Cristo nostra speranza. A Lei affidiamo l’auspicio per questo Giubileo e per gli anni futuri: «Possa la luce della speranza cristiana raggiungere ogni persona, come messaggio dell’amore di Dio rivolto a tutti! E possa la Chiesa essere testimone fedele di questo annuncio in ogni parte del mondo!» (Bolla Spes non confundit, 6).

Roma, San Giovanni in Laterano, 25 gennaio 2025, festa della Conversione di San Paolo, Apostolo.

FRANCESCO


Schiavitù, una piaga contemporanea - 8 febbraio Memoria liturgica di santa Giuseppina Bakhita e Giornata Mondiale di Preghiera e Riflessione contro la Tratta di Persone

- Schiavitù, una piaga contemporanea -
8 febbraio Memoria liturgica di santa Giuseppina Bakhita e Giornata Mondiale di Preghiera e Riflessione 
contro la Tratta di Persone

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Giornata Mondiale di Preghiera e Riflessione contro la Tratta di Persone



Dal 2015, ogni 08 febbraio – memoria di santa Giuseppina Bakhita - si celebra la Giornata Mondiale di Preghiera e Riflessione contro la Tratta di Persone.

L’8 febbraio 2025 – a dieci anni dall’istituzione di questo evento – si terrà l’XI edizione di questa particolare giornata: è occasione per pregare e approfondire insieme sui temi della tratta e della schiavitù moderna.

È necessario conoscere per poter aiutare e sostenere concretamente tutte le vittime, in particolare donne, bambini, migranti e rifugiati.

Il tema scelto per quest’anno è: Ambasciatori di speranza: insieme contro la tratta di persone.

Il titolo è in tema anche con il Giubileo e ci invita a rimanere saldi nella speranza di possibilità di vita vera per ogni persona.

Dal 04 al 10 febbraio 2025, oltre 100 rappresentanti di organizzazioni locali e internazionali, tra cui giovani, attivisti, sopravvissuti e personalità del mondo dell'arte e del cinema, si riuniranno a Roma per promuovere un messaggio di speranza, pace e unità. L'iniziativa mira a sensibilizzare e a creare un cambiamento sistemico per combattere la tratta e altre forme di schiavitù moderna.

Per approfondire:

- L'undicesima edizione ha i seguenti obiettivi: 
  • Pregare insieme come fratelli e sorelle ogni età, cultura e fede per porre fine alla tratta di persone e ad altre forme di schiavitù moderna; 
  • Aumentare la consapevolezza della necessità di una risposta globale più decisa alla tratta di persone a tutti i livelli: chiese locali, altre tradizioni spirituali e comunità laiche;
  • Condividere il ruolo cruciale svolto dai gruppi interreligiosi nel supporto e nella protezione per sopravvissuti, bambini e persone vulnerabili;
  • Riunirsi e costruire percorsi per un cambiamento sistemico affrontando le cause profonde della tratta di persone e di altre forme di schiavitù moderna.

- XI Giornata Mondiale di Preghiera e Riflessione 
  Veglia contro la Tratta di persone 
  • Data: 8 febbraio 2025 
  • Tema: Ambasciatori di speranza: insieme contro la tratta di persone

(fonte: USMI 30/01/2025)

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Schiavitù, una piaga contemporanea

L’EDITORIALE di Gianni Criveller. Lo sfruttamento e la violenza sul lavoro e sul corpo delle persone, in particolare delle donne, sono purtroppo pratiche non solo del passato ma anche del nostro presente; non accadono esclusivamente all’estero ma anche in Italia. Ascolta l’editoriale anche in PODCAST


Negli anni di vita a Hong Kong ho spesso celebrato la Messa per la comunità italiana presso la cappella dell’ospedale Canossa. Ricordo al centro di essa una grande immagine di Bakhita, una donna nata nel Darfur (Sudan) nel 1869. Non ne conoscevo bene la storia e chiesi alle suore canossiane un libro che ne raccontasse la vita. Mi impressionò la lettura del doloroso calvario della bambina, che visse poi la sua vita adulta di emancipazione e dedizione nella terra veneta da cui provengo.

Rapita a sette anni e ridotta in schiavitù, Bakhita fu riscattata nel 1884, a 15 anni, dal console italiano in Sudan. Condotta in Italia, dopo vicissitudini piuttosto incredibili, fu dichiarata libera, aderì alla fede cattolica e divenne suora canossiana. Morì a Schio nel 1947 e venne proclamata santa da Giovanni Paolo II il primo ottobre del 2000 (insieme ai 120 martiri di Cina).

L’8 febbraio 2014 Papa Francesco, insieme all’Unione internazionale delle superiore e dei superiori degli Istituti religiosi, promosse, proprio nel giorno della memoria liturgica di santa Bakhita, la Giornata di preghiera e riflessione contro la tratta di persone.

Siamo nel secondo mese del Giubileo, che è una profezia biblica che include, tra gli obiettivi, la liberazione degli schiavi. La nostra rivista ripropone questo tema affrontando due questioni: il grave sfruttamento lavorativo presente anche in numerose aree dell’Italia e la violenza sul corpo delle donne, inflitta con la pratica dell’infibulazione. La stessa bambina Bakhita subì sul suo corpo orribili torture: numerose marchiature furono poi incise e coperte di sale e produssero, oltre al dolore lancinante, cicatrici indelebili.

Lo sfruttamento e la violenza sul lavoro e sul corpo delle persone, in particolare delle donne, sono purtroppo pratiche non solo del passato ma anche del nostro presente; non accadono esclusivamente all’estero ma anche in Italia. Sono conseguenze di un sistema culturale, economico e politico disumano, invisibile ai più, e che balza timidamente agli onori della cronaca solo quando accadono episodi di violenza atroce, come la sconcertante morte del bracciante indiano Satnam Singh, avvenuta il 19 giugno dello scorso anno nella provincia di Latina.

Leggendo la narrazione di questa tragedia del nostro tempo mi rendo conto che essa non mette in discussione solo la scarsa capacità trasformativa di noi cristiani e di noi missionari, ma anche il deficit di umanità di una società che si è dichiarata o si dichiara ancora ispirata ai valori della Bibbia e del Vangelo. Quando invece il Vangelo continua a essere calpestato nelle campagne che producono, insieme alla morte degli schiavi, il cibo dei nostri mercati e delle nostre tavole.
(fonte: Mondo e Missione 04/02/2025)


Papa Francesco «Cari fratelli e sorelle, chiediamo oggi al Signore la grazia di saper attendere il compimento di ogni sua promessa; e di aiutarci ad accogliere nelle nostre vite la presenza di Maria.» Udienza 05/02/2025 (foto, testo e video)

UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 5 febbraio 2025


“Voglio chiedere scusa perché con questo forte raffreddore è difficile per me parlare. E per questo ho chiesto al mio fratello di leggere la catechesi. La leggerà meglio di me”. 
Lo ha detto, a braccio, Papa Francesco, all’inizio della catechesi in Aula Paolo VI; prosegue quindi la lettura del testo padre Pierluigi Giroli, officiale della Segreteria di Stato.
Solo alla fine, nei saluti in lingua italiana, Papa Francesco riprende la parola.


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Ciclo di Catechesi – Giubileo 2025. Gesù Cristo nostra speranza. I. L’infanzia di Gesù. 4. «E beata colei che ha creduto» (Lc 1,45). La Visitazione e il Magnificat

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!



Contempliamo oggi la bellezza di Gesù Cristo nostra speranza nel mistero della Visitazione. La Vergine Maria fa visita a Santa Elisabetta; ma è soprattutto Gesù, nel grembo della madre, a visitare il suo popolo (cfr Lc 1,68), come dice Zaccaria nel suo inno di lode.

Dopo lo stupore e la meraviglia per quanto le è stato annunciato dall’Angelo, Maria si alza e si mette in viaggio, come tutti i chiamati della Bibbia, perché «l’unico atto col quale l’uomo può corrispondere al Dio che si rivela è quello della disponibilità illimitata» (H.U. von Balthasar, Vocazione, Roma 2002, 29). Questa giovane figlia d’Israele non sceglie di proteggersi dal mondo, non teme i pericoli e i giudizi altrui, ma va incontro agli altri.

Quando ci si sente amati, si sperimenta una forza che mette in circolo l’amore; come dice l’apostolo Paolo, «l’amore del Cristo ci possiede» (2Cor 5,14), ci spinge, ci muove. Maria avverte la spinta dell’amore e va ad aiutare una donna che è sua parente, ma è anche un’anziana che accoglie, dopo lunga attesa, una gravidanza insperata, faticosa da affrontare alla sua età. Ma la Vergine va da Elisabetta anche per condividere la fede nel Dio dell’impossibile e la speranza nel compimento delle sue promesse.

L’incontro tra le due donne produce un impatto sorprendente: la voce della “piena di grazia” che saluta Elisabetta provoca la profezia nel bambino che l’anziana porta in grembo e suscita in lei una duplice benedizione: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!» (Lc 1,42). E anche una beatitudine: «Beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto» (v. 45).

Dinanzi al riconoscimento dell’identità messianica del suo Figlio e della sua missione di madre, Maria non parla di sé ma di Dio e innalza una lode piena di fede, di speranza e di gioia, un cantico che risuona ogni giorno nella Chiesa durante la preghiera dei Vespri: il Magnificat (Lc 1,46-55).

Questa lode al Dio salvatore, sgorgata dal cuore della sua umile serva, è un solenne memoriale che sintetizza e compie la preghiera d’Israele. È intessuta di risonanze bibliche, segno che Maria non vuole cantare “fuori dal coro” ma sintonizzarsi con i padri, esaltando la sua compassione verso gli umili, quei piccoli che Gesù nella sua predicazione dichiarerà «beati» (cfr Mt 5,1-12).

La massiccia presenza del motivo pasquale fa del Magnificat anche un canto di redenzione, che ha per sfondo la memoria della liberazione d’Israele dall’Egitto. I verbi sono tutti al passato, impregnati di una memoria d’amore che accende di fede il presente e illumina di speranza il futuro: Maria canta la grazia del passato ma è la donna del presente che porta in grembo il futuro.

La prima parte di questo cantico loda l’azione di Dio in Maria, microcosmo del popolo di Dio che aderisce pienamente all’alleanza (vv. 46-50); la seconda spazia sull’opera del Padre nel macrocosmo della storia dei suoi figli (vv. 51-55), attraverso tre parole-chiave: memoria – misericordia – promessa.

Il Signore, che si è chinato sulla piccola Maria per compiere in lei “grandi cose” e renderla madre del Signore, ha iniziato a salvare il suo popolo a partire dall’esodo, ricordandosi della benedizione universale promessa ad Abramo (cfr Gen 12,1-3). Il Signore, Dio fedele per sempre, ha fatto scorrere un flusso ininterrotto di amore misericordioso «di generazione in generazione» (v. 50) sul popolo fedele all’alleanza, e ora manifesta la pienezza della salvezza nel Figlio suo, inviato a salvare il popolo dai suoi peccati. Da Abramo a Gesù Cristo e alla comunità dei credenti, la Pasqua appare così come la categoria ermeneutica per comprendere ogni liberazione successiva, fino a quella realizzata dal Messia nella pienezza dei tempi.

Cari fratelli e sorelle, chiediamo oggi al Signore la grazia di saper attendere il compimento di ogni sua promessa; e di aiutarci ad accogliere nelle nostre vite la presenza di Maria. Mettendoci alla sua scuola, possiamo tutti scoprire che ogni anima che crede e spera «concepisce e genera il Verbo di Dio» (S. Ambrogio, Esposizione del Vangelo secondo Luca 2, 26).

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Saluti
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Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare ... Auspico che la visita alle tombe degli Apostoli susciti un rinnovato desiderio di adesione a Cristo e di testimonianza nelle vostre comunità.

E pensiamo ai Paesi che soffrono la guerra: la martoriata Ucraina, Israele, Palestina … Tanti Paesi che stanno soffrendo lì. Ricordiamo gli sfollati della Palestina e preghiamo per loro.

Il mio pensiero va infine ai giovani, agli ammalati, agli anziani e agli sposi novelli. Come esorta l'apostolo Paolo, vi incoraggio ad essere lieti nella speranza, forti nelle tribolazioni, perseveranti nella preghiera, solleciti per le necessità dei fratelli (cfr Rm 12, 12-13).

A tutti la mia benedizione!

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Foto e video integrale