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lunedì 30 dicembre 2024

"Natale è la gloria di Dio che si fa piccolo e ci mostra che la vera gloria ... La gloria non è nel potere ma nel servire." Matteo Zuppi

"Natale è la gloria di Dio che si fa piccolo
e ci mostra che la vera gloria ...
La gloria non è nel potere ma nel servire."  
Matteo Zuppi

25.12.2024 - Bologna, Cattedrale

L’Arcivescovo nel pomeriggio del giorno di Natale ha celebrato la Messa in Cattedrale.

“Egli è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza, e tutto sostiene con la sua parola potente”, abbiamo ascoltato. Ecco il mistero del Natale, che mostra la sua gloria possibile, concreta, umana, che rivela quell’immagine di Dio che ogni persona porta dentro di sé. È vero anche per noi che abbiamo ricevuto “grazia su grazia”. Ce ne accorgiamo? Le sappiamo riconoscere o ne facciamo un diritto, un nostro possesso? Dovremmo ogni giorno ricordarci le grazie che continuiamo a ricevere di persone, opportunità, conferme. Farlo ci libererebbe dal sentirci protagonisti oppure dal lamentarci, come se non avessimo le opportunità per fare grandi cose.

Natale è la gloria di Dio che si fa piccolo e ci mostra che la vera gloria delle persone non è nel possesso, nell’umiliare il prossimo, nell’autosufficienza, nel penoso esibizionismo, così volgare e diffuso, umiliante per il proprio io. La gloria non è nel potere ma nel servire. Questo non è solo quello che ci insegna Gesù, ma è la sapienza umana che ci aiuta a capire qual è la vera grandezza delle persone. La gloria si rivela nella relazione con il prossimo, nel voler bene.

E Dio insegna da subito che il voler bene non ha confini, è possibile a tutti, tanto che si lascia avvicinare dai pastori. Ecco l’impronta della sua sostanza, perché lo spirituale e il materiale non si oppongono, anzi! Non dobbiamo cercare una dimensione spirituale cancellando l’umanità concreta, fuori da noi e dalla storia, o quegli angelismi di cui parla spesso Papa Francesco. Non sono la nostra umanità concreta, il nostro limite, l’inadeguatezza ad essere pericolosi per lo spirito!

Quelli che non accolgono Gesù sono proprio i suoi, chi pensa di aver già capito tutto. L’impronta della sua sostanza è molto concreta, come ho visto oggi alla Dozza, dove ho contemplato tanta speranza che conforta nella disperazione e scioglie l’inevitabile durezza provocata da molti fallimenti e delusioni date, ma anche dalla disumanità del sovraffollamento, dell’inedia, della mancanza di speranza per la loro vita, tradendo il fine stesso del carcere che è quello della rieducazione.

Nell’Eucarestia, oggi con i carcerati, quanta consolazione, quanta commozione per un amore immeritato, tanto più grande del nostro cuore e del nostro peccato! L’impronta della sua sostanza l’ho incontrata al pranzo con tanto prossimo, un vero pranzo di prossimità, nella Chiesa dell’Annunziata, dove si è condiviso il pane del cielo sulla tavola dell’altare e quello della terra, dove lo spirituale si trasforma e genera quello materiale. Ho visto realizzata quell’alleanza sociale per la speranza, inclusiva e non ideologica, indicata dalla Bolla di indizione del Giubileo, per iniziative in carcere “volte ad aiutare le persone a recuperare fiducia in se stesse e nella società; percorsi di reinserimento nella comunità a cui corrisponda un concreto impegno nell’osservanza delle leggi. È un richiamo antico, che proviene dalla Parola di Dio e permane con tutto il suo valore sapienziale nell’invocare atti di clemenza e di liberazione che permettano di ricominciare”. Ecco la forza del Natale, che permette a tutti noi di ricominciare sia in termini personali sia come Chiesa e anche come città degli uomini. Certo, ci interroga che il mistero della “vita”, che è “luce degli uomini”, “venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto”. Come è possibile? Come avviene che lo lasciamo fuori dalla porta del nostro cuore a bussare e non gli apriamo? Perché siamo storditi e ingannati dal materialismo pratico che ci fa credere onnipotenti e autosufficienti. Pensiamo che trovare noi stessi significhi chiudersi e non aprirsi, che l’altro, ad iniziare da Gesù, sia un fastidio, un limite e non amore. Finiamo per essere prigionieri della paura e dell’orgoglio tanto da voler possedere la vita e nutrirla possedendo il prossimo.

Anche la Chiesa stessa può essere condizionata dalla paura che provoca l’irrigidimento di alcuni sul passato, disordinate fughe in avanti, facili dilazioni, prudenze, il continuare a fare quello che “si è sempre fatto in quel modo”, vista corta in molti. Ripartire semplicemente da questo bambino, dal verbo che si fa carne anche con la nostra carne, rimetterlo al centro con tutto il suo amore disarmato e il sorprendente affidarsi a noi. Gesù non smette di avere speranza. Il primo perseverante è proprio Lui. A quanti lo hanno accolto ha dato “il potere di diventare figli di Dio”.

L’accoglienza vuol dire sia ascolto sia fraternità per tutti, servizio ai più piccoli. Se noi non amiamo con il nostro amore, la speranza di Dio ci sfugge e si perde e Natale non genera qualcosa di nuovo. La speranza richiede la nostra partecipazione, quella personale, la nostra intima decisione che però ci unisce alla comunione dei fratelli e delle sorelle. Ricordiamoci il monito a non farci chiamare maestri, perché «voi tutti siete fratelli». Ringraziamo la luce del Natale, perché è amore più forte delle tenebre dell’indifferenza, «dell’occhio per occhio, dente per dente» che genera altro sangue, con rappresaglie e rovine che discendono collegate a catena, come un “perpetuo obbligo d’ignobile onore”. La sua luce diventa nostra e chiede di incarnarsi in noi. È affidata a noi.

Deve essere custodita. Domenica inizia per noi il Giubileo. Parleremo di speranza, di essere pellegrini di speranza in un mondo fatalista, rinunciatario tanto da avere paura della vita. Questa luce, umana e divina, nostra e sua, mia e nostra, non viene per benedire felicità individuali drammaticamente esposte alle pandemie, alle tenebre che spengono tutta la vita.

Faccio mia la preghiera di Grandmaison che contiene concrete indicazioni per conservare la luce del Natale e nascere a figli, e quindi a fratelli suoi e tra di noi, e vedere e far vedere la gloria umana e divina di Dio. La speranza va difesa contro il male che cerca di confonderci, di renderci fatalisti, fragili, come persone che con facilità smettono di cercare quello che non c’è.

“Santa Maria, madre di Dio, conservammo un cuore di fanciullo, puro e limpido come acqua di sorgente. Ottienimi un cuore semplice che non si ripieghi ad assaporare le proprie tristezze; un cuore magnanimo nel donarsi, facile alla compassione; un cuore fedele e generoso, che non dimentichi alcun bene e non serbi rancore di alcun male. Formami un cuore dolce e umile, che ami senza esigere di essere riamato, contento di scomparire in altri cuori sacrificandosi davanti al tuo figlio divino; un cuore grande e indomabile, che nessuna ingratitudine lo possa chiudere e nessuna indifferenza lo possa stancare; un cuore tormentato dalla gloria di Gesù Cristo, ferito dal suo amore con una ferita che non rimargini se non in cielo”. 
Sia così.



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