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mercoledì 30 luglio 2025

Giubileo missionari digitali e influencer cattolici - Leone XIV: «Non rincorrete numeri, ma custodite nomi» (sintesi/commento, testo integrale)

Il Papa ai missionari digitali:
«Non rincorrete numeri, ma custodite nomi»

 Il web è una realtà da abitare, da custodire, da redimere, da riparare, spiega Leone XIV agli influencer cattolici arrivati a Roma per celebrare il Giubileo. Una realtà dalla quale la Chiesa non può rimanere fuori 
(foto @vaticanmedia)

Ha voluto incontrarli anche se all'inizio non era in programma. Papa Leone, al termine della messa per il Giubileo dei missionari digitali dice, agli influencer cattolici: «Cercate la carne sofferente di Cristo». E consegna loro una bussola nuova, e insieme antica, per una Chiesa che ha deciso di non lasciarsi spiazzare dal digitale, ma di abitarlo. 

Il discorso del Pontefice pronunciato dopo la messa a San Pietro, davanti a centinaia di missionari digitali e influencer cattolici, ha evitato la via facile dell’entusiasmo mediatico per andare diritto al cuore della questione: se la rete è un ambiente da evangelizzare, allora non può essere solo un canale da usare; deve diventare un luogo da redimere. C'è una forza disarmante nel secondo passaggio del suo discorso, dove invita a «nutrire una cultura di umanesimo cristiano» nel mondo digitale. Il Papa non si limita a chiedere buoni contenuti: chiede incontri veri, non invoca una strategia, ma uno stile: esorta a cercare le persone, non le performance. E lo fa con un linguaggio che sa essere pastorale e radicale al tempo stesso: non si tratta di “generare contenuti”, ma di “incontrare cuori”: questa è la sfida che ribalta ogni logica algoritmica, è il contrario del culto dell’engagement, è l’ingaggio dell’umanità ferita.

Papa Leone sa che nei feed si consuma molta solitudine e che, dietro ogni nickname, può nascondersi un’agonia silenziosa. Per questo richiama i missionari digitali a scendere nella profondità di quelle ferite, a riconoscere le crepe nel vetro dello schermo come luoghi teologici, a riscoprire nella rete un prolungamento della via di Emmaus, dove il Cristo risorto continua a camminare accanto a chi non lo riconosce. E chiede loro coerenza, autenticità, coraggio: perché solo un cuore toccato può toccare altri cuori, e solo chi si lascia guarire può guarire.

Il terzo spunto del discorso non è meno denso, anzi, nel suo appello a “riparare le reti”, Papa Leone offre l’immagine più evocativa del suo intervento. È una metafora che scardina il senso comune: il web infatti, non è un trofeo della scienza e della tecnologia da esibire, ma una trama fragile da curare. È proprio qui che si gioca la vera sfida ecclesiale della presenza online: non nella viralità di un post, ma nella fedeltà a un incontro. «Reti dove si possa guarire dalla solitudine, non contando i follower ma sperimentando la grandezza infinita dell’Amore»: è il monito di Prevost contro ogni forma di narcisismo spirituale che potrebbe mimetizzarsi dietro i pixel della missione. La rete, per il Papa, è chiamata a diventare rete di Dio, un intreccio di relazioni che non si autocelebra, ma ospita l’altro, dove non si gareggia per emergere, ma si scommette sulla profondità, dove non si costruiscono bolle, ma si moltiplicano ponti. E l’unico modo per non rendere sterile il messaggio è questo: farsi agenti di comunione, non di consenso.

Quello che è avvenuto in questi giorni con il primo Giubileo degli influencer cattolici e dei missionari digitali non è un raduno per addetti ai lavori, ma un atto ecclesiale di portata profetica. La consacrazione della missione digitale a Maria, prevista oggi pomeriggio nei Giardini Vaticani, sarà una dichiarazione d’intenti. Questa nuova forma di annuncio è una vocazione condivisa, e come ogni vera vocazione, chiede di camminare insieme, di lasciarsi accompagnare, di farsi Chiesa. Il digitale non è più un’estensione, diventa così una realtà da abitare…e se è vero che ogni clic può essere un incontro, ogni scroll un passaggio verso l’altro, allora la sfida non è aggiornare i linguaggi, ma trasfigurare le relazioni. Papa Leone ha dato il mandato: non solo costruire contenuti, ma ricucire legami, non rincorrere numeri, ma custodire nomi. Perché in fondo – ce lo ha ricordato con forza – ogni follower è una storia che merita di essere ascoltata, curata, guarita.
(fonte: Famiglia Cristiana, articolo di Don Davide Imeneo 29/07/2025)


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SALUTO DEL SANTO PADRE LEONE XIV
AGLI INFLUENCER E MISSIONARI DIGITALI

Basilica di San Pietro
Martedì, 29 luglio 2025


Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo,
la pace sia con voi!

Cari fratelli e sorelle, abbiamo cominciato con questo saluto: la pace sia con voi!

E quanto abbiamo bisogno di pace in questo nostro tempo dilaniato dall’inimicizia e dalle guerre. E quanto ci chiama alla testimonianza, oggi, il saluto del Risorto: «Pace a voi!» (Gv 20,19). La pace sia con tutti noi. Nei nostri cuori e nel nostro agire.

Questa è la missione della Chiesa: annunciare al mondo la pace! La pace che viene dal Signore, che ha vinto la morte, che ci porta il perdono di Dio, che ci dona la vita del Padre, che ci indica la via dell’Amore!

1. È la missione che la Chiesa oggi affida anche a voi; che siete qui a Roma per il vostro Giubileo; venuti a rinnovare l'impegno a nutrire di speranza cristiana le reti sociali e gli ambienti digitali. La pace ha bisogno di essere cercata, annunciata, condivisa in ogni luogo; sia nei drammatici luoghi di guerra, sia nei cuori svuotati di chi ha perso il senso dell'esistenza e il gusto dell'interiorità, il gusto della vita spirituale. E oggi, forse più che mai, abbiamo bisogno di discepoli missionari che portino nel mondo il dono del Risorto; che diano voce alla speranza che ci dà Gesù Vivo, fino agli estremi confini della terra (cfr At 1,3-8); che arrivino dovunque ci sia un cuore che aspetta, un cuore che cerca, un cuore che ha bisogno. Sì, fino ai confini della terra, ai confini esistenziali dove non c'è speranza.

2. There is a second challenge in this mission: always look for the “suffering flesh of Christ” in every brother and sister you encounter online. Today we find ourselves in a new culture, deeply characterized and formed by technology. It is up to us – it is up to each one of you – to ensure that this culture remains human.

Science and technology influence the way we live in the world, even affecting how we understand ourselves and how we relate to God, how we relate to one another. But nothing that comes from man and his creativity should be used to undermine the dignity of others. Our mission – your mission – is to nurture a culture of Christian humanism, and to do so together. This is the beauty of the “network” for all of us.

Faced with cultural changes throughout history, the Church has never remained passive; she has always sought to illuminate every age with the light and hope of Christ by discerning good from evil and what was good from what needed to be changed, transformed, and purified.

Today we are in a culture where the technological dimension is present in almost everything, especially as the widespread adoption of artificial intelligence will mark a new era in the lives of individuals and society as a whole. This is a challenge that we must face: reflecting on the authenticity of our witness, on our ability to listen and speak, and on our capacity to understand and to be understood. We have a duty to work together to develop a way of thinking, to develop a language, of our time, that gives voice to Love.

It is not simply a matter of generating content, but of creating an encounter of hearts. This will entail seeking out those who suffer, those who need to know the Lord, so that they may heal their wounds, get back on their feet and find meaning in their lives. Above all, this process begins with accepting our own poverty, letting go of all pretense and recognizing our own inherent need for the Gospel. And this process is a communal endeavor.

[2. In questa missione c'è una seconda sfida: negli spazi digitali, cercate sempre la “carne sofferente di Cristo” in ogni fratello e sorella. Oggi ci troviamo in una cultura nuova, profondamente segnata e costruita con e dalla tecnologia. Sta a noi – sta a voi – far sì che questa cultura rimanga umana.

La scienza e la tecnica influenzano il nostro modo di essere e di stare nel mondo, fino a coinvolgere persino la comprensione di noi stessi, il nostro rapporto con gli altri e il nostro rapporto con Dio. Ma niente che viene dall’uomo e dal suo ingegno deve essere piegato sino a mortificare la dignità dell'altro. La nostra, la vostra missione, è nutrire una cultura di umanesimo cristiano, e di farlo insieme. Questa è per tutti noi la bellezza della "rete".

Di fronte ai cambiamenti culturali, nel corso della storia, la Chiesa non è mai rimasta passiva; ha sempre cercato di illuminare ogni tempo con la luce e la speranza di Cristo, di discernere il bene dal male, quanto di buono nasceva da quanto aveva bisogno di essere cambiato, trasformato, purificato.

Oggi, in una cultura dove la dimensione digitale è presente quasi in ogni cosa, in un tempo in cui la nascita dell'intelligenza artificiale segna una nuova geografia nel vissuto delle persone e per l'intera società, questa è la sfida che dobbiamo raccogliere, riflettendo sulla coerenza della nostra testimonianza, sulla capacità di ascoltare e di parlare; di capire e di essere capiti. Abbiamo il dovere di elaborare insieme un pensiero, di elaborare un linguaggio che, nell’essere figli del nostro tempo, diano voce all’Amore.

Non si tratta semplicemente di generare contenuti, ma di incontrare cuori, di cercare chi soffre e ha bisogno di conoscere il Signore per guarire le proprie ferite, per rialzarsi e trovare un senso, partendo prima di tutto da noi stessi e dalle nostre povertà, lasciando cadere ogni maschera e riconoscendoci per primi bisognosi di Vangelo. E si tratta di farlo insieme.]

3. Y esto nos lleva a un tercer llamado y por eso les hago un llamado a todos ustedes : “que vayan a reparar las redes”. Jesús llamó a sus primeros apóstoles mientras reparaban sus redes de pescadores (cf. Mt 4,21-22). También lo pide a nosotros, es más, nos pide hoy construir otras redes: redes de relaciones, redes de amor, redes de intercambio gratuito, en las que la amistad sea auténtica y sea profunda. Redes donde se pueda reparar lo que ha sido roto, donde se pueda poner remedio a la soledad, sin importar el número de los seguidores [los follower], sino experimentando en cada encuentro la grandeza infinita del Amor. Redes que abran espacio al otro, más que a sí mismos, donde ninguna “burbuja de filtros” pueda apagar la voz de los más débiles. Redes que liberen, redes que salven. Redes que nos hagan redescubrir la belleza de mirarnos a los ojos. Redes de verdad. De este modo, cada historia de bien compartido será el nudo de una única e inmensa red: la red de redes, la red de Dios.

Sean entonces ustedes agentes de comunión, capaces de romper la lógica de la división y de la polarización; del individualismo y del egocentrismo. Céntrense en Cristo, para vencer la lógica del mundo, de las fake news y de la frivolidad, con la belleza y la luz de la verdad (cf. Jn 8,31-32).

[3. E questo ci porta ad un terzo appello, in virtù del quale rivolgo una chiamata a tutti voi: "andate a riparare le reti”. Gesù ha chiamato i suoi primi apostoli mentre erano intenti a riparare le loro reti da pescatori (cfr Mt 4,21-22). Lo chiede anche a noi, anzi ci chiede, oggi, di costruire altre reti: reti di relazioni, reti d'amore, reti di condivisione gratuita, dove l'amicizia sia autentica e profonda. Reti dove si possa ricucire ciò che si è spezzato, dove si possa guarire dalla solitudine, non contando il numero dei follower, ma sperimentando in ogni incontro la grandezza infinita dell’Amore. Reti che danno spazio all’altro più che a sé stessi, dove nessuna "bolla" possa coprire le voci dei più deboli. Reti che liberano, reti che salvano. Reti che ci fanno riscoprire la bellezza di guardarci negli occhi. Reti di verità. Così, ogni storia di bene condiviso sarà il nodo di un'unica, immensa rete: la rete delle reti, la rete di Dio.

Siate allora agenti di comunione, capaci di rompere le logiche della divisione e della polarizzazione; dell’individualismo e dell’egocentrismo. Siate centrati su Cristo, per vincere le logiche del mondo, delle fake news, della frivolezza, con la bellezza e la luce della Verità (cfr Gv 8,31-32).]

E ora, prima di salutarvi con la Benedizione, affidando al Signore la vostra testimonianza, voglio ringraziarvi per quanto di bene avete fatto e fate nelle vostre vite, per i sogni che portate avanti, per il vostro amore al Signore Gesù, per il vostro amore alla Chiesa, per l'aiuto che date a chi soffre, per il vostro cammino nelle strade digitali.

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Vedi anche:

lunedì 28 luglio 2025

Giubileo missionari digitali e influencer cattolici. Ruffini: “L’ambiente social sia sempre più umano, riportiamo la bellezza delle relazioni”

Giubileo missionari digitali e influencer cattolici.

Ruffini: “L’ambiente social sia sempre più umano, riportiamo la bellezza delle relazioni”

Per il prefetto del Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede, la Chiesa deve “vivere il proprio tempo senza né abdicazione né paura. Impegnandosi per una testimonianza che non è misurata con il numero dei follower o dei click, ma con la verità della condivisione piena”

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

“Giungerà a Roma una piccola rappresentanza del mondo dei cosiddetti ‘influencer’. Perché in realtà tutti ci influenziamo gli uni gli altri. La bellezza dell’incontro in occasione del Giubileo è testimoniare che il cristianesimo non è al di fuori del tempo, ma è nel tempo, e che l’evangelizzazione non esclude alcun luogo, anche i meta-luoghi digitali”. Così Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede, presenta al Sir il Giubileo dei missionari digitali e degli influencer cattolici del 28 e 29 luglio.

Che appuntamento sarà quello che, per la prima volta nel contesto dell’Anno Santo, vede coinvolta la “categoria” dei missionari digitali e degli influencer cattolici?

(Foto Siciliani – Gennari/SIR)
Non parlerei di “categoria” perché le categorie dividono ciò che invece ci unisce, che è l’essere – come ha scritto Papa Francesco nell’Evangelii Gaudium – tutti discepoli missionari, ovviamente, nel tempo che ci è dato e che, oggi, è quello della civiltà digitale.

L’aver inserito questi incontri nell’ambito del Giubileo è il segnale della volontà della Chiesa di vivere nel proprio tempo e di porsi la sfida di essere sale e lievito, testimoniando la propria fede anche nel cosiddetto ambiente digitale, che in realtà non è separato dagli altri ma è già il mondo in cui viviamo.

La metafora del “continente digitale” va interpretata, perché è il mondo ad essere anche digitale. Il tema è quello di superare il “digital divide” e

fare in modo che l’ambiente digitale sia sempre più umano

e, per la parte nostra di credenti, sia arricchito dalla testimonianza di chi considera la relazione un dono e non uno strumento di possesso, di dominio o di sovrastazione.

È nostro compito riportare nell’ambiente digitale la bellezza delle relazioni.

La Chiesa con che occhi guarda questo mondo?

Dobbiamo uscire da questo paradigma della divisione. Noi siamo in questo mondo. E anche la Chiesa lo è; il punto è che, nell’esserci,

la Chiesa non deve perdere la propria anima e la bellezza della comunione che ci unisce, che non è meramente una connessione digitale. La comunione che ci unisce è molto diversa dalla pura connessione; è ciò che ci fa membra gli uni degli altri.

La Chiesa vive nel mondo, ma non è del mondo. Torna il tema che hanno posto Papa Leone, Papa Francesco e Papa Benedetto: come si fa a vivere da cristiani l’era digitale? Bisogna accettare la sfida del tempo senza perdere il senso dell’insegnamento evangelico.

La Chiesa può e deve usare gli strumenti digitali con la consapevolezza che il nostro tempo dev’essere riscattato da una visione puramente commerciale, di connessione o di dominio, riportando la bellezza della relazione, della gratuità e della condivisione.

Significa porsi una serie infinita di questioni che però sono le sfide del nostro tempo come altri tempi hanno avuto altre sfide. Oggi c’è una sfida matematica: cosa sono gli algoritmi e come vengono elaborati? C’è un modo cristiano di pensare alla matematica così come c’è un modo cristiano di pensare alla condivisione sui social, alla ricerca della verità o alla misericordia… Nella misura in cui il digitale è polarizzante lo dobbiamo fare diventare qualcosa che unisce; nella misura in cui il digitale ci porta a cercare un protagonismo in cui sono io l’influencer, dobbiamo pensare che noi siamo tutti parte di una comunione che è più forte del protagonismo del singolo perché prevale il protagonismo dello Spirito Santo di cui noi siamo strumenti…

Oggi però la logica prevalente sembra essere quella del “like” e della contrapposizione. Come abitare queste agorà in modo costruttivo?

Lo si può fare senza dichiararlo e senza tanti proclami, perché la testimonianza è fatta di comportamenti. Due anni fa, come Dicastero per la Comunicazione, abbiamo pubblicato il documento “Verso una piena presenza”, una riflessione pastorale sul coinvolgimento con i social media; la “piena presenza” è digitale ma anche fisica.

Se i social diventano una fuga allora noi dobbiamo farli diventare invece un pezzo della Chiesa in uscita che poi si incontra e agisce nei luoghi e non solo nei meta-luoghi. Se l’oltre che noi cerchiamo è un meta-luogo, allora la nostra diventa una fuga dalla realtà. Il cristiano è obbligato a stare nella realtà e la realtà che noi viviamo è digitale e fisica allo stesso tempo.

Noi dobbiamo riunire questa divisione, altrimenti rischiamo di non vedere più l’interezza della questione.

Il “mondo digitale” in che modo sfida la comunicazione istituzionale e “tradizionale” della Chiesa?

Non si può pensare al digitale come ad un mero delivery, perché non basta aver fatto sui social un post… Così come non bastava anni fa fare un semplice comunicato stampa per essere a posto. La comunicazione della Chiesa non può limitarsi a questo. Cosa cercano di fare le aziende per comunicare? Provano a farti capire un legame, un’appartenenza, una relazione, una fede… La comunicazione è fatta di questo ed è

una comunicazione che è interpersonale. E che oggi passa anche attraverso i social. 
Dobbiamo spaventarci? No, dobbiamo esserci come cristiani. 
Ma non possiamo essere solo lì, perché altrimenti sarebbe una fuga.

Bisogna assumere i paradigmi dell’era digitale per com’è; paradigmi che, certo, non tengono conto del digital divide, che tengono troppo in conto lo sfruttamento del clickbait al di là della verità… Conta ancora la verità sul digitale? Dovrebbe ancora contare; e che ci sia qualcuno che la testimonia è importante. Così com’è importante pensare che non tutto è binario: o sei amico o sei nemico… Per il cristiano c’è che si può amare il nemico, no? Anzi, si dovrebbe amare il nemico. Tutto questo ha a che fare con la testimonianza che un ragazzo o un anziano che ha anche la sua vita nell’ecosistema social e digitale può rendere per far capire che tutto questo non è un altrove, ma è qui ed ora.

Secondo Lei c’è la diffusa consapevolezza di essere inseriti in questo mondo in cui vivere non dimenticando o tradendo ciò che si è o prevale ancora un preoccupato distacco?

Secondo me non dev’esserci né resistenza né abdicazione. Siamo di fronte ad un bivio: da una parte c’è chi ha paura, dall’altra parte c’è chi acriticamente pensa che questo sia il compimento dei tempi, la ricetta perfetta per evangelizzare… Non è vera né l’una né l’altra cosa. Questo è un tempo che ha una sua sfida e che va vissuto per quello che è.

Il digitale non è la soluzione dei problemi di una Chiesa che non comunica, perché la Chiesa per comunicare deve essere vera, credibile nel camminare fisicamente nei luoghi del mondo e nel testimoniare anche attraverso una piattaforma social come poteva essere in passato attraverso una telefonata, l’andare in un bar o in un campo di calcio. Il tema è la pienezza della presenza e della fede.

Non va bene né l’arroccarsi né l’assumere qualsiasi paradigma dell’era digitale. Lo scriveva benissimo il card. Carlo Maria Martini ne “Il lembo del mantello”: ogni cosa ha una possibilità di essere utilizzata nel bene e nel male. Gli strumenti di comunicazione – dalla stampa alla radio, dalla televisione ai social – non sono strumenti né solo di bene o solo di male; la questione sta nel come ogni tempo viene vissuto e ogni strumento utilizzato.

Per la Chiesa non si tratta di vincere la resistenza di alcuni o abbandonarsi ad una corrente come suggeriscono altri; no, si tratta di vivere il proprio tempo senza né abdicazione né paura, essendo nel mondo e non del mondo. Impegnandosi per una testimonianza che non è misurata con il numero dei follower o dei click, ma con la verità della condivisione piena.
(fonte: Sir, articolo di Alberto Baviera 28/07/2025)