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lunedì 30 novembre 2020

«Il nostro Dio è un Dio-che-viene - non dimenticatevi questo: Dio è un Dio che viene, continuamente viene - : Egli non delude la nostra attesa! Mai delude il Signore.» Papa Francesco Angelus 29/11/2020 (testo e video)

ANGELUS

Piazza San Pietro
Domenica, 29 novembre 2020


Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi, prima domenica di Avvento, comincia un nuovo anno liturgico. In esso la Chiesa scandisce il corso del tempo con la celebrazione dei principali eventi della vita di Gesù e della storia della salvezza. Così facendo, come Madre, illumina il cammino della nostra esistenza, ci sostiene nelle occupazioni quotidiane e ci orienta verso l’incontro finale con Cristo. L’odierna liturgia ci invita a vivere il primo “tempo forte” che è questo dell’Avvento, il primo dell’anno liturgico, l’Avvento, che ci prepara al Natale, e per questa preparazione è un tempo di attesa, è un tempo di speranza. Attesa e speranza.

San Paolo (cfr 1 Cor 1,3-9) indica l’oggetto dell’attesa. Qual è? La «manifestazione del Signore» (v. 7). L’Apostolo invita i cristiani di Corinto, e anche noi, a concentrare l’attenzione sull’incontro con la persona di Gesù. Per un cristiano la cosa più importante è l’incontro continuo con il Signore, stare con il Signore. E così, abituati a stare con il Signore della vita, ci prepariamo all’incontro, a stare con il Signore nell’eternità. E questo incontro definitivo verrà alla fine del mondo. Ma il Signore viene ogni giorno, perché, con la sua grazia, possiamo compiere il bene nella nostra vita e in quella degli altri. Il nostro Dio è un Dio-che-viene - non dimenticatevi questo: Dio è un Dio che viene, continuamente viene - : Egli non delude la nostra attesa! Mai delude il Signore. Ci farà aspettare forse, ci farà aspettare qualche momento nel buio per far maturare la nostra speranza, ma mai delude. Il Signore sempre viene, sempre è accanto a noi. Alle volte non si fa vedere, ma sempre viene. È venuto in un preciso momento storico e si è fatto uomo per prendere su di sé i nostri peccati – la festività del Natale commemora questa prima venuta di Gesù nel momento storico - ; verrà alla fine dei tempi come giudice universale; e viene anche una terza volta, in una terza modalità: viene ogni giorno a visitare il suo popolo, a visitare ogni uomo e donna che lo accoglie nella Parola, nei Sacramenti, nei fratelli e nelle sorelle. Gesù, ci dice la Bibbia, è alla porta e bussa. Ogni giorno. È alla porta del nostro cuore. Bussa. Tu sai ascoltare il Signore che bussa, che è venuto oggi per visitarti, che bussa al tuo cuore con una inquietudine, con un’idea, con un’ispirazione? È venuto a Betlemme, verrà alla fine del mondo, ma ogni giorno viene da noi. State attenti, guardate cosa sentite nel cuore quando il Signore bussa.

Sappiamo bene che la vita è fatta di alti e bassi, di luci e ombre. Ognuno di noi sperimenta momenti di delusione, di insuccesso e di smarrimento. Inoltre, la situazione che stiamo vivendo, segnata dalla pandemia, genera in molti preoccupazione, paura e sconforto; si corre il rischio di cadere nel pessimismo, il rischio di cadere in quella chiusura e nell’apatia. Come dobbiamo reagire di fronte a tutto ciò? Ce lo suggerisce il Salmo di oggi: «L’anima nostra attende il Signore: egli è nostro aiuto e nostro scudo. È in lui che gioisce il nostro cuore» (Sal 32,20-21). Cioè l’anima in attesa, un’attesa fiduciosa del Signore fa trovare conforto e coraggio nei momenti bui dell’esistenza. E da cosa nasce questo coraggio e questa scommessa fiduciosa? Da dove nasce? Nasce dalla speranza. E la speranza non delude, quella virtù che ci porta avanti guardando all’incontro con il Signore.

L’Avvento è un incessante richiamo alla speranza: ci ricorda che Dio è presente nella storia per condurla al suo fine ultimo per condurla alla sua pienezza, che è il Signore, il Signore Gesù Cristo. Dio è presente nella storia dell’umanità, è il «Dio con noi», Dio non è lontano, sempre è con noi, al punto che tante volte bussa alle porte del nostro cuore. Dio cammina al nostro fianco per sostenerci. Il Signore non ci abbandona; ci accompagna nelle nostre vicende esistenziali per aiutarci a scoprire il senso del cammino, il significato del quotidiano, per infonderci coraggio nelle prove e nel dolore. In mezzo alle tempeste della vita, Dio ci tende sempre la mano e ci libera dalle minacce. Questo è bello! Nel libro del Deuteronomio c’è un passo molto bello, che il profeta dice al popolo: “Pensate, quale popolo ha i suoi dèi vicini a sé come tu hai vicino me?”. Nessuno, soltanto noi abbiamo questa grazia di avere Dio vicino a noi. Noi attendiamo Dio, speriamo che si manifesti, ma anche Lui spera che noi ci manifestiamo a Lui!

Maria Santissima, donna dell’attesa, accompagni i nostri passi in questo nuovo anno liturgico che iniziamo, e ci aiuti a realizzare il compito dei discepoli di Gesù, indicato dall’apostolo Pietro. E qual è questo compito? Rendere ragione della speranza che è in noi (cfr1 Pt 3,15).


Dopo l'Angelus

Cari fratelli e sorelle!

Desidero esprimere nuovamente la mia vicinanza alle popolazioni dell’America Centrale colpite da forti uragani, in particolare ricordo le Isole di San Andrés, Providencia e Santa Catalina, come pure la costa pacifica del nord della Colombia. Prego per tutti i Paesi che soffrono a causa di queste calamità.

Rivolgo il mio cordiale saluto a voi, fedeli di Roma e pellegrini di diversi Paesi. Saluto in particolare quanti – purtroppo in numero assai limitato – sono venuti in occasione della creazione dei nuovi Cardinali, avvenuta ieri pomeriggio. Preghiamo per i tredici nuovi membri del Collegio Cardinalizio.

Auguro a tutti voi una buona domenica e un buon cammino di Avvento. Cerchiamo di ricavare del bene anche dalla situazione difficile che la pandemia ci impone: maggiore sobrietà, attenzione discreta e rispettosa ai vicini che possono avere bisogno, qualche momento di preghiera fatto in famiglia con semplicità. Queste tre cose ci aiuteranno tanto: maggiore sobrietà, attenzione discreta e rispettosa ai vicini che possono avere bisogno e poi, tanto importante, qualche momento di preghiera fatto in famiglia con semplicità. Per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci.

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29/11/2020 S. Messa con i nuovi cardinali - «Vieni, Signore Gesù, abbiamo bisogno di te... svegliaci dal sonno della mediocrità, destaci dalle tenebre dell’indifferenza... facci sentire il desiderio di pregare e il bisogno di amare.» Omelia di Papa Francesco (foto, testo e video)

SANTA MESSA CON I NUOVI CARDINALI

Basilica di San Pietro, Altare della Cattedra
Domenica, 29 novembre 2020


All’altare della Cattedra delle Basilica di San Pietro, com'è consuetudine per le celebrazioni in tempo di pandemia, papa Francesco presiede l'Eucarestia della prima domenica di Avvento insieme ai cardinali creati nel Concistoro del giorno precedente. Sono presenti undici neo-porporati, in quanto quelli asiatici, Cornelius Sim, primo cardinale del Brunei, e Josè F. Advincula, arcivescovo di Capiz (Filippine), non hanno potuto raggiungere Roma per il Concistoro a causa della pandemia. Sempre per le restrizioni dell'emergenza Covid, partecipano alla cerimonia, oltre ai cardinali di nuova e antica creazione, solo i dodici parroci/rettori dei Titoli cardinalizi e circa cento fedeli, accompagnatori dei nuovi porporati.
Vicinanza e vigilanza, sono le due parole chiave per il tempo di Avvento che vengono suggerite dalle Letture tratte dal Libro del profeta Isaia e dal Vangelo di Marco. Sono le due parole attorno a cui ruota l’omelia di Papa Francesco




OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Le Letture di oggi suggeriscono due parole-chiave per il tempo di Avvento: vicinanza e vigilanza. Vicinanza di Dio e vigilanza nostra: mentre il profeta Isaia dice che Dio è vicino a noi, Gesù nel Vangelo ci esorta a vigilare in attesa di Lui.

Vicinanza. Isaia inizia dando del tu a Dio: «Tu, Signore, sei nostro padre» (63,16). E continua: «Mai si udì […] che un Dio, fuori di te, abbia fatto tanto per chi confida in lui» (64,3). Vengono alla mente le parole del Deuteronomio: chi, «come il Signore, nostro Dio, è vicino a noi ogni volta che lo invochiamo?» (4,7). L’Avvento è il tempo in cui fare memoria della vicinanza di Dio, che è sceso verso di noi. Ma il profeta va oltre e chiede a Dio di avvicinarsi ancora: «Se tu squarciassi i cieli e scendessi!» (Is 63,19). L’abbiamo chiesto anche noi nel Salmo: “Ritorna, visitaci, vieni a salvarci” (cfr Sal 79,15.3). «O Dio, vieni a salvarmi» è spesso l’inizio della nostra preghiera: il primo passo della fede è dire al Signore che abbiamo bisogno di Lui, della sua vicinanza.

È anche il primo messaggio dell’Avvento e dell’Anno liturgico, riconoscere Dio vicino e dirgli: “Avvicinati ancora!”. Egli vuole venire vicino a noi, ma si propone, non si impone; sta a noi non stancarci di dirgli: “Vieni!”. Sta a noi, è la preghiera dell’Avvento: “Vieni!”. Gesù – ci ricorda l’Avvento – è venuto tra noi e verrà di nuovo alla fine dei tempi. Ma, ci chiediamo, a che cosa servono queste venute se non viene oggi nella nostra vita? Invitiamolo. Facciamo nostra l’invocazione tipica dell’Avvento: «Vieni, Signore Gesù» (Ap 22,20). Con questa invocazione finisce l’Apocalisse: «Vieni, Signore Gesù». Possiamo dirla all’inizio di ogni giornata e ripeterla spesso, prima degli incontri, dello studio, del lavoro e delle decisioni da prendere, nei momenti più importanti e in quelli di prova: Vieni, Signore Gesù. Una piccola preghiera, ma nasce dal cuore. Diciamola in questo tempo di Avvento, ripetiamola: «Vieni, Signore Gesù».

Così, invocando la sua vicinanza, alleneremo la nostra vigilanza. Il Vangelo di Marco oggi ci ha proposto la parte finale dell’ultimo discorso di Gesù, che si condensa in una sola parola: «Vegliate!». Il Signore la ripete quattro volte in cinque versetti (cfr Mc 13,33-35.37). È importante rimanere vigili, perché uno sbaglio della vita è perdersi in mille cose e non accorgersi di Dio. Sant’Agostino diceva: «Timeo Iesum transeuntem» (Sermones, 88,14,13), “ho paura che Gesù passi e io non me ne accorga”. Attratti dai nostri interessi – tutti i giorni noi questo lo sentiamo – e distratti da tante vanità, rischiamo di smarrire l’essenziale. Perciò oggi il Signore ripete «a tutti: vegliate!» (Mc 13,37). Vegliate, state attenti.

Ma, se dobbiamo vegliare, vuol dire che siamo nella notte. Sì, ora non viviamo nel giorno, ma nell’attesa del giorno, tra oscurità e fatiche. Il giorno arriverà quando saremo con il Signore. Arriverà, non perdiamoci d’animo: la notte passerà, sorgerà il Signore, ci giudicherà Lui che è morto in croce per noi. Vigilare è attendere questo, è non lasciarsi sopraffare dallo scoraggiamento, e questo si chiama vivere nella speranza. Come prima di nascere siamo stati attesi da chi ci amava, ora siamo attesi dall’Amore in persona. E se siamo attesi in Cielo, perché vivere di pretese terrene? Perché affannarci per un po’ di soldi, di fama, di successo, tutte cose che passano? Perché perdere tempo a lamentarci della notte, mentre ci aspetta la luce del giorno? Perché cercare dei “padrini” per avere una promozione e andare su, promuoverci nella carriera? Tutto passa. Vegliate, dice il Signore.

Stare svegli non è facile, anzi è una cosa molto difficile: di notte viene naturale dormire. Non ci riuscirono i discepoli di Gesù, ai quali Lui aveva detto di vegliare “alla sera, a mezzanotte, al canto del gallo, al mattino” (cfr v. 35). Proprio a quelle ore non furono vigilanti: di sera, durante l’ultima cena, tradirono Gesù; di notte si assopirono; al canto del gallo lo rinnegarono; al mattino lo lasciarono condannare a morte. Non avevano vegliato. Si erano assopiti. Ma anche su di noi può scendere lo stesso torpore. C’è un sonno pericoloso: il sonno della mediocrità. Viene quando dimentichiamo il primo amore e andiamo avanti per inerzia, badando solo al quieto vivere. Ma senza slanci d’amore per Dio, senza attendere la sua novità, si diventa mediocri, tiepidi, mondani. E questo corrode la fede, perché la fede è il contrario della mediocrità: è desiderio ardente di Dio, è audacia continua di convertirsi, è coraggio di amare, è andare sempre avanti. La fede non è acqua che spegne, è fuoco che brucia; non è un calmante per chi è stressato, è una storia d’amore per chi è innamorato! Per questo Gesù detesta più di ogni cosa la tiepidezza (cfr Ap 3,16). Si vede il disprezzo di Dio per i tiepidi.

E dunque, come possiamo svegliarci dal sonno della mediocrità? Con la vigilanza della preghiera. Pregare è accendere una luce nella notte. La preghiera ridesta dalla tiepidezza di una vita orizzontale, innalza lo sguardo verso l’alto, ci sintonizza con il Signore. La preghiera permette a Dio di starci vicino; perciò libera dalla solitudine e dà speranza. La preghiera ossigena la vita: come non si può vivere senza respirare, così non si può essere cristiani senza pregare. E c’è tanto bisogno di cristiani che veglino per chi dorme, di adoratori, di intercessori, che giorno e notte portino davanti a Gesù, luce del mondo, le tenebre della storia. C’è bisogno di adoratori. Noi abbiamo perso un po’ il senso dell’adorazione, di stare in silenzio davanti al Signore, adorando. Questa è la mediocrità, la tiepidezza.

C’è poi un secondo sonno interiore: il sonno dell’indifferenza. Chi è indifferente vede tutto uguale, come di notte, e non s’interessa di chi gli sta vicino. Quando orbitiamo solo attorno a noi stessi e ai nostri bisogni, indifferenti a quelli degli altri, la notte scende nel cuore. Il cuore diventa oscuro. Presto si comincia a lamentarsi di tutto, poi ci si sente vittime di tutti e infine si fanno complotti su tutto. Lamentele, senso di vittima e complotti. È una catena. Oggi questa notte sembra calata su tanti, che reclamano per sé e si disinteressano degli altri.

Come ridestarci da questo sonno dell’indifferenza? Con la vigilanza della carità. Per portare luce a quel sonno della mediocrità, della tiepidezza, c’è la vigilanza della preghiera. Per ridestarci da questo sonno dell’indifferenza c’è la vigilanza della carità. La carità è il cuore pulsante del cristiano: come non si può vivere senza battito, così non si può essere cristiani senza carità. A qualcuno sembra che provare compassione, aiutare, servire sia cosa da perdenti! In realtà è l’unica cosa vincente, perché è già proiettata al futuro, al giorno del Signore, quando tutto passerà e rimarrà solo l’amore. È con le opere di misericordia che ci avviciniamo al Signore. Lo abbiamo chiesto oggi nell’orazione Colletta: «Suscita in noi la volontà di andare incontro con le buone opere al tuo Cristo che viene». La volontà di andare incontro a Cristo con le buone opere. Gesù viene e la strada per andargli incontro è segnata: sono le opere di carità.

Cari fratelli e sorelle, pregare e amare, ecco la vigilanza. Quando la Chiesa adora Dio e serve il prossimo, non vive nella notte. Anche se stanca e provata, cammina verso il Signore. Invochiamolo: Vieni, Signore Gesù, abbiamo bisogno di te. Vieni vicino a noi. Tu sei la luce: svegliaci dal sonno della mediocrità, destaci dalle tenebre dell’indifferenza. Vieni, Signore Gesù, rendi vigili i nostri cuori che adesso sono distratti: facci sentire il desiderio di pregare e il bisogno di amare.

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domenica 29 novembre 2020

28/11/2020 Concistoro per la creazione di 13 cardinali - «Il rosso porpora dell’abito cardinalizio, che è il colore del sangue, può diventare, per lo spirito mondano, quello di una eminente distinzione. E tu non sarai più il pastore vicino al popolo, sentirai di essere soltanto “l’eminenza”. Quando tu sentirai questo, sarai fuori strada.» Omelia di Papa Francesco (cronaca, foto, testo e video)

CONCISTORO ORDINARIO PUBBLICO PER LA CREAZIONE DI 13 NUOVI CARDINALI

Basilica Vaticana
Sabato, 28 novembre 2020




Settimo Concistoro ordinario pubblico per Papa Francesco, il primo caratterizzato da severe misure di precauzione a causa della pandemia. Un centinaio le persone nella Basilica vaticana e due dei novelli porporati assenti per l'impossibilità di arrivare a Roma: Jose Fuerte Advincula e Cornelius Sim, vicario apostolico del Brunei, che saranno ugualmente creati cardinali. 

Sono nove i cardinali elettori in Conclave nominati da papa Francesco: il maltese Mario Grech, segretario generale del Sinodo dei vescovi; Marcello Semeraro, prefetto della Congregazione delle Cause dei santi; Antoine Kambanda, arcivescovo di Kigali, primo cardinale del Ruanda; Wilton Daniel Gregory, arcivescovo di Washington, primo cardinale afroamericano; Celestino Aós Braco, arcivescovo di Santiago del Cile; Augusto Paolo Lojudice, arcivescovo di Siena-Colle di Val d'Elsa-Montalcino; Mauro Gambetti, già custode generale del Sacro Convento di San Francesco in Assisi; Cornelius Sim, primo cardinale del Brunei; Jose F. Advincula, arcivescovo di Capiz (Filippine). 

A essi si aggiungono i quattro ultra-ottantenni (dunque non elettori)Felipe Arizmendi Esquivel, vescovo emerito di San Cristóbal de Las Casas (Messico); Silvano Maria Tomasi, nunzio apostolico emerito, delegato speciale presso il Sovrano militare Ordine di Malta; Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa pontificia; Enrico Feroci, parroco di Santa Maria del Divino Amore ed ex direttore della Caritas di Roma. 

Il Santo Padre entra in processione nella basilica di San Pietro dove, all’«Altare della Cattedra», presiede il Concistoro. Solo un centinaio le persone nella Basilica vaticana perché la cerimonia si svolge con restrizioni e limitazioni dovute all’emergenza Covid. Due dei nuovi porporati - Sim e Advincula sono assenti perché impossibilitati a raggiungere Roma e riceveranno la berretta cardinalizia e l'anello in seguito. Assenti anche molti membri del Sacro Collegio impossibilitati a intervenire partecipano alla celebrazione da remoto tramite una piattaforma digitale. 


 
Il primo dei nuovi cardinali, Grech, rivolge al Pontefice, a nome di tutti, un indirizzo di omaggio e di ringraziamento. 



Dopo l'orazione e la lettura di un passo del Vangelo secondo Marco (10,32-45), il Vescovo di Roma pronuncia l’omelia. 

OMELIA

Gesù e i discepoli erano in strada, per la strada. La strada è l’ambiente in cui si svolge la scena descritta dall’evangelista Marco (cfr 10,32-45). Ed è l’ambiente in cui sempre si svolge il cammino della Chiesa: la strada della vita, della storia, che è storia di salvezza nella misura in cui è fatta con Cristo, orientata al suo Mistero pasquale. Gerusalemme è sempre davanti a noi. La Croce e la Risurrezione appartengono alla nostra storia, sono il nostro oggi, ma sono sempre anche la meta del nostro cammino.

Questa Parola evangelica ha accompagnato spesso i Concistori per la creazione di nuovi Cardinali. Non è solo uno “sfondo”, è una “indicazione di percorso” per noi che, oggi, siamo in cammino insieme con Gesù, che procede sulla strada davanti a noi. Lui è la forza e il senso della nostra vita e del nostro ministero.

Dunque, cari Fratelli, oggi tocca a noi misurarci con questa Parola.

Marco mette in risalto che, lungo la strada, i discepoli «erano sgomenti […] erano impauriti» (v. 32). Ma perché? Perché sapevano quello che li attendeva a Gerusalemme; lo intuivano, anzi, lo sapevano, perché Gesù ne aveva già parlato a loro più volte apertamente. Il Signore conosce lo stato d’animo di quelli che lo seguono, e questo non lo lascia indifferente. Gesù non abbandona mai i suoi amici; non li trascura mai. Anche quando sembra che vada dritto per la sua strada, Lui sempre lo fa per noi. E tutto quello che fa, lo fa per noi, per la nostra salvezza. E, nel caso specifico dei Dodici, lo fa per prepararli alla prova, perché possano essere con Lui, adesso, e soprattutto dopo, quando Lui non sarà più in mezzo a loro. Perché siano sempre con Lui sulla sua strada.

Sapendo che il cuore dei discepoli è turbato, Gesù chiama i Dodici in disparte e, «di nuovo», dice loro «quello che stava per accadergli» (v. 32). Lo abbiamo ascoltato: è il terzo annuncio della sua passione, morte e risurrezione. Questa è la strada del Figlio di Dio. La strada del Servo del Signore. Gesù si identifica con questa strada, al punto che Lui stesso è questa strada. «Io sono la via» (Gv 14,6). Questa via, e non un’altra.

E a questo punto succede il “colpo di scena”, che smuove la situazione e consentirà a Gesù di rivelare a Giacomo e a Giovanni – ma in realtà a tutti gli Apostoli e a tutti noi – il destino che li attende. Immaginiamo la scena: Gesù, dopo aver nuovamente spiegato ciò che gli deve accadere a Gerusalemme, guarda bene in faccia i Dodici, li fissa negli occhi, come a dire: “È chiaro?”. Poi riprende il cammino, in testa al gruppo. E dal gruppo si staccano due, Giacomo e Giovanni. Si avvicinano a Gesù e gli esprimono il loro desiderio: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra» (v. 37). E questa è un’altra strada. Non è la strada di Gesù, è un’altra. È la strada di chi, magari senza nemmeno rendersene conto, “usa” il Signore per promuovere se stesso; di chi – come dice San Paolo – cerca i propri interessi e non quelli di Cristo (cfr Fil 2,21). Su questo Sant’Agostino ha quel Discorso stupendo sui pastori (n. 46), che sempre ci fa bene rileggere nell’Ufficio delle Letture.

Gesù, dopo aver ascoltato Giacomo e Giovanni, non si altera, non si arrabbia. La sua pazienza è davvero infinita. Anche con noi, c’è stata, c’è pazienza, e ci sarà. E risponde: «Voi non sapete quello che chiedete» (v. 38). Li scusa, in un certo senso, ma contemporaneamente li accusa: “Voi non vi rendete conto che siete fuori strada”. In effetti, subito dopo saranno gli altri dieci apostoli a dimostrare, con la loro reazione sdegnata verso i figli di Zebedeo, quanto tutti fossero tentati di andare fuori strada.

Cari Fratelli, tutti noi vogliamo bene a Gesù, tutti vogliamo seguirlo, ma dobbiamo essere sempre vigilanti per rimanere sulla sua strada. Perché con i piedi, con il corpo possiamo essere con Lui, ma il nostro cuore può essere lontano, e portarci fuori strada. Pensiamo a tanti generi di corruzione nella vita sacerdotale. Così, ad esempio, il rosso porpora dell’abito cardinalizio, che è il colore del sangue, può diventare, per lo spirito mondano, quello di una eminente distinzione. E tu non sarai più il pastore vicino al popolo, sentirai di essere soltanto “l’eminenza”. Quando tu sentirai questo, sarai fuori strada.

In questo racconto evangelico, ciò che sempre colpisce è il netto contrasto tra Gesù e i discepoli. Gesù lo sa, lo conosce, e lo sopporta. Ma il contrasto rimane: Lui sulla strada, loro fuori strada. Due percorsi inconciliabili. Solo il Signore, in realtà, può salvare i suoi amici sbandati e a rischio di perdersi, solo la sua Croce e la sua Risurrezione. Per loro, oltre che per tutti, Lui sale a Gerusalemme. Per loro, e per tutti, spezzerà il suo corpo e verserà il suo sangue. Per loro, e per tutti, risorgerà dai morti, e col dono dello Spirito li perdonerà e li trasformerà. Li metterà finalmente in cammino sulla sua strada.

San Marco – come pure Matteo e Luca – ha inserito questo racconto nel suo Vangelo perché è una Parola che salva, una Parola necessaria alla Chiesa di tutti i tempi. Anche se i Dodici vi fanno una brutta figura, questo testo è entrato nel Canone perché mostra la verità su Gesù e su di noi. È una Parola salutare anche per noi oggi. Anche noi, Papa e Cardinali, dobbiamo sempre rispecchiarci in questa Parola di verità. È una spada affilata, ci taglia, è dolorosa, ma nello stesso tempo ci guarisce, ci libera, ci converte. Conversione è proprio questo: da fuori strada, andare sulla strada di Dio.

Che lo Spirito Santo ci doni, oggi e sempre, questa grazia.

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Durante la cerimonia viene omesso il tradizionale «abbraccio di pace» fra i cardinali, e sono ugualmente cancellate le usuali visite di cortesia alle nuove porpore, mentre i riti di imposizione della berretta, la consegna dell’anello e l'assegnazione del titolo si sono svolti secondo il rito consueto.





Il rito si conclude con la recita del Padre nostro la benedizione del Santo Padre all'assemblea e l'omaggio alla Madonna con il canto della Salve Regina.



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Dopo il rito, non si sono svolte, nel rispetto delle norme sanitarie per evitare il contagio, le consuete visite di cortesia, dette “di calore”, di amici e conoscenti, che avvenivano in alcune sale del Palazzo apostolico e nell’Aula Paolo VI. Tuttavia, il covid-19 non ha impedito che Papa Francesco e i nuovi cardinali andassero a far visita a Benedetto XVI nella cappella del monastero vaticano Mater Ecclesiae. In un clima di affetto, i porporati sono stati presentati individualmente al Papa emerito, il quale ha espresso la propria gioia per la visita e, dopo il canto del Salve Regina, ha impartito loro la benedizione. La visita si è conclusa poco dopo le 17.

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Preghiera dei Fedeli - Fraternità Carmelitana di Pozzo di Gotto (ME) - I Domenica di Avvento – Anno B




Fraternità Carmelitana 
di Pozzo di Gotto (ME)






Preghiera dei Fedeli

  I Domenica di Avvento – Anno B


29 novembre 2020  



Colui che presiede

Fratelli e sorelle, Dio è nostro Padre, dice il profeta e noi siamo opera sua, ricreati in Cristo Gesù. Chiamati a vivere in comunione con Lui, presentiamo con fiducia al Padre le nostre preghiere ed insieme diciamo: 

R. Marana tha, vieni Signore Gesù 


Lettore 

- Dona, o Padre, alla tua Chiesa sapienza e discernimento, perché non si lasci ipnotizzare e sedurre dalla mentalità mondana, che nel potere e del denaro ha i suoi idoli preferiti. Fa’ che questa tua Chiesa resti in ascolto della tua Parola per essere nel mondo di oggi sacramento di fraternità e di sororità. Preghiamo. 

- Infondi, o Padre, nell’umanità un’ardente attesa di un mondo nuovo, capace di accogliere e valorizzare ogni diversità. Tu che abbatti i potenti nei pensieri dei loro cuori, fa’ che l’umanità abbandoni la via della menzogna e della malvagità, per abbracciare quella della cooperazione e della solidarietà. Preghiamo. 

- Assisti e rafforza, o Padre, la volontà di tutti coloro che sono impegnati nella difesa degli ultimi. Dona luce e coraggio a tutti i movimenti che lottano per la difesa dell’ambiente, contro il commercio e la fabbricazione di armi, contro la violenza e l’abbandono dei migranti. Dona tanta perseveranza a quanti sono impegnati nel difficile campo della pace. Preghiamo. 

- Ti affidiamo, o Padre, il nostro Paese e questa non facile convivenza con questo “virus”. Il tuo sguardo si posi su tutte le famiglie, ma soprattutto su quelle famiglie che non sanno più dialogare. Sii vicino a quelle donne e a quei bambini, che sono costretti a subire il linguaggio della violenza e dell’arroganza. Preghiamo

- Dinnanzi al tuo Volto del tuo Figlio, che attendiamo di contemplare nella sua Venuta, ti affidiamo, o Padre, i nostri parenti e amici defunti e le vittime del coronavirus [pausa di silenzio]; ti affidiamo anche tutte le vittime del genocidio e tutti i migranti in Libia che sono torturati, venduti come schiavi e uccisi senza pietà. Tu, o Padre, che non rifiuti nessuno, accogli tutti nel tuo Regno di pace. Preghiamo. 

Colui che presiede 

Dio nostro Padre, che ti prendi cura di tutti i tuoi figli, esaudisci le nostre preghiere. Concedi che il corso degli eventi nel mondo sia guidato nella giustizia e nella pace, e che la Chiesa conosca la gioia di servirti nei fratelli del tuo Figlio Gesù, il Veniente, che vive e regna nei secoli dei secoli. AMEN.


"Un cuore che ascolta lev shomea" - n. 1/2020-2021 (B)

"Un cuore che ascolta - lev shomea"
"Concedi al tuo servo un cuore docile,
perché sappia rendere giustizia al tuo popolo
e sappia distinguere il bene dal male" (1Re 3,9)




Traccia di riflessione sul Vangelo della domenica
a cura di Santino Coppolino

I Domenica di Avvento (ANNO B)  

Vangelo:



Il brano di questa Domenica, che chiude il capitolo tredici del Vangelo di Marco, riprende l'intenzione del Discorso Escatologico che è quella di esortare la comunità dei credenti a "Vigilare e a Vegliare", a stare attenti nel considerare gli eventi, con quale atteggiamento attendere il "Signore che Viene" ogni momento a domandarci conto della nostra fedeltà. La sua venuta non è un avvenimento da attendere in maniera passiva «come accidiosi seduti in una sala d'attesa». Non possiamo e non dobbiamo stare oziosi con le mani in mano. La nostra vita deve essere caratterizzata da una tensione vigile, responsabile ed attiva fino alla piena realizzazione del Regno di Dio. «Il tempo dell'attesa diventa allora il tempo dell'azione, il tempo in cui, in assenza di Gesù, alla responsabilità del discepolo viene affidato lo stesso suo potere» (cit.). Questo potere si riassume nel comandamento dell'amore che diventa reale solo nel servizio ai fratelli facendosi servi di tutti, mettendosi all'ultimo posto come per primo il Signore Gesù ha fatto. E' l'unico potere che egli stesso ha esercitato quando è stato in mezzo agli uomini, il potere che solo è in grado di vincere il male, manifestando al mondo il vero volto del Padre. E allora ogni giorno sarà il giorno della sua venuta, allora il male sarà vinto e sconfitto sempre e «Dio sarà tutto in tutti»


sabato 28 novembre 2020

Dall'Avvento nella maggioranza delle Diocesi in uso il nuovo Messale Romano - Celebrare Dio paterno e amorevole - A Messa conta anche il corpo

Celebrare Dio
paterno e amorevole

Le novità della terza edizione del Messale Romano in lingua italiana in uso da domenica


Cambiano poche parole ma il loro impatto sulla partecipazione dei fedeli alla liturgia è notevole: le novità presenti nella nuova e terza edizione del Messale Romano in lingua italiana — che numerose diocesi hanno scelto di introdurre sin dal 29 novembre, prima domenica di Avvento — a cominciare dalla variazione della traduzione della Preghiera del Signore, segnano una vera svolta, anche per la preghiera personale. Il Padre nostro costituisce la «scelta più nota, anche attraverso le risonanze mediatiche, e più discussa, con l’introduzione del testo approvato a suo tempo per la Bibbia Cei 2008», osserva la Conferenza episcopale italiana nel sussidio che accompagna la presentazione del nuovo volume. La preghiera insegnata da Gesù prevede l’inserimento di un «anche» («come anche noi li rimettiamo»). Ma soprattutto, la frase «non ci indurre in tentazione» sarà sostituita da «non abbandonarci alla tentazione». Una decisione «giustificata dal fatto che la connotazione dell’italiano “indurre” esprime una volontà positiva mentre l’originale greco eisferein racchiude piuttosto una sfumatura concessiva (non lasciarci entrare)». Con la nuova traduzione, proseguono gli autori del sussidio, «si esprime nello stesso tempo la richiesta di essere preservati dalla tentazione e di essere soccorsi qualora la tentazione sopravvenga, evitando di attribuire la tentazione a Dio».

I ritocchi che dovranno essere memorizzati dall’intera assemblea — che mirano a presentare l’Eucaristia «come sacramento dell’amore sconfinato di Dio per il suo popolo», spiega monsignor Claudio Maniago, vescovo di Castellaneta e presidente della Commissione episcopale per la liturgia della Cei, in un colloquio con «L’Osservatore Romano» — riguardano anche il Gloria. Nell’inno si dirà «uomini, amati dal Signore» invece di «uomini di buona volontà»: una modifica che intende porre l’accento sulla «paternità» di Dio, indica il presule.

È stato rivisto inoltre l’atto penitenziale con un’aggiunta “inclusiva”: accanto al vocabolo «fratelli» ci sarà «sorelle». Reciteremo così: «confesso a Dio onnipotente e a voi, fratelli e sorelle», poi «e supplico la beata sempre Vergine Maria, gli angeli, i santi e voi, fratelli e sorelle». Un cambiamento ancor più rilevante che risponde all’appello di Papa Francesco per una maggiore apertura alle donne nella Chiesa. «Nelle nostre comunità la presenza femminile è sempre stata ben viva nella concretezza delle cose — commenta monsignor Maniago — ma in questo momento c’è bisogno di una sua manifestazione anche a livello verbale, per ribadire che il popolo di Dio naturalmente non fa distinzione nella dignità tra l’uomo e la donna».

Altre modifiche riguardano le parole del celebrante nei riti di comunione. Ad esempio, la nuova enunciazione «scambiatevi il dono della pace» subentra a «scambiatevi un segno di pace». Più rilevante è invece la variazione nell’invito del sacerdote alla comunione, che diventa: «ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che toglie i peccati del mondo. Beati gli invitati alla cena dell’Agnello». Per la conclusione della Messa è consigliato di privilegiare la frase «andate in pace» invece di «la messa è finita, andate in pace». È prevista anche la nuova formula: «andate e annunciate il Vangelo del Signore». Ma i vescovi danno la possibilità di congedare i fedeli con le tradizionali parole latine: Ite, missa est.

L’idea cardine della terza edizione, il cui utilizzo diventerà obbligatorio il 4 aprile 2021, solennità della Risurrezione, al posto della precedente versione che ha scandito la liturgia per quasi quarant’anni, dal 1983, è di fare in modo che «l’Eucaristia sia celebrata da una Chiesa radunata dal Signore e posta di fronte a un Dio che è Padre», insistendo «su questo amore gratuito e generoso di Dio verso ciascuno di noi» e «sulla misericordia divina, su cui con il magistero di Papa Francesco si è riflettuto molto», riassume monsignor Maniago.

Nella nuova edizione per la prima volta le partiture entrano a pieno titolo nel corpo del libro, accanto ai testi della liturgia, e non finiscono in appendice come era accaduto nel messale del 1983. Non solo. Aumentano i brani proposti e si torna a privilegiare le formule ispirate al gregoriano evitando che il libro dell’Eucaristia diventi un luogo di sperimentazione. Altre novità sono legate al formato del volume, alla veste grafica e all’apparato iconografico. Si intende infatti coniugare fedeltà all’edizione latina e comprensibilità per rendere il rito più accessibile possibile, in modo tale che le parrocchie tornino a riscoprire la bellezza della liturgia, i suoi gesti, i suoi linguaggi, e a coinvolgere il popolo di Dio in vista di una piena e attiva partecipazione. «Ribadiamo con forza che questo non è il libro del sacerdote, non è di sua esclusiva competenza; il protagonista della celebrazione dell’Eucaristia è tutta l’assemblea, chiamata a pregare, a compiere gesti e canti insieme, in modo armonico», osserva monsignor Maniago.

La revisione italiana del Messale scaturito dal Vaticano II arriva a diciotto anni dalla terza edizione tipica latina varata dalla Santa Sede nel 2002, alla quale si è cercato di mantenere «una fedeltà vera e profonda», sottolinea il vescovo di Castellaneta. La complessa operazione coordinata dalla Cei ha visto numerosi esperti collaborare con la Commissione episcopale per la liturgia fino a giungere nel novembre 2018 all’approvazione del testo definitivo da parte dell’Assemblea generale dei vescovi italiani. Poi, dopo il “via libera” di Papa Francesco il ı6 maggio 2019, il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, ha promulgato il libro l’8 settembre 2019.

La liturgia è «luogo privilegiato di trasmissione dell’autentica tradizione della Chiesa e di accesso ai misteri della fede, in un collegamento sempre più stretto con le diverse dimensioni della vita», indica il testo di presentazione elaborato dalla Cei. Quanto si celebra deve tradursi in vita, in «impegno quotidiano», chiarisce. Infatti nella Messa si «mette in gioco tutta la persona, corpo e spirito» e il Messale «indica anche gesti da porre in atto e valorizzare» con cui «si è coinvolti nel mistero celebrato», ricorda il sussidio della Conferenza episcopale. Del resto, il culto liturgico «non è anzitutto una dottrina» ma «sorgente di vita e di luce per il nostro cammino di fede».

Raccogliendo una raccomandazione del Consiglio permanente della Cei, l’Ufficio liturgico nazionale e l’Ufficio catechistico nazionale hanno quindi predisposto un sussidio che propone un percorso di accoglienza e valorizzazione della nuova edizione del Messale con dieci schede tematiche che affrontano da varie angolature la celebrazione di cui il Messale è norma, fornendo spunti di riflessione. L’auspicio, indica la Cei nel messaggio che accompagna la pubblicazione di questa nuova edizione, è che «riscopriamo insieme la bellezza e la forza del celebrare cristiano, impariamo il suo linguaggio — gesti e parole — senza appiattirlo importando con superficialità i linguaggi del mondo». Da qui questo invito finale: «Lasciamoci plasmare dai gesti e dai “santi segni” della celebrazione, e ci nutriamo con la lectio dei testi del Messale».

La prima copia del Messale Romano in lingua italiana era stata presentata al Papa lo scorso 28 agosto dal cardinale Bassetti, accompagnato da una delegazione di esperti in rappresentanza delle oltre cinquanta che hanno messo mano a quest’opera per diciotto anni: un momento «significativo e simbolico», aveva osservato alcuni giorni dopo monsignor Maniago, «perché in questa consegna al Santo Padre, Primate d’Italia, quella che nell’editio typica è ancora una liturgia per certi aspetti asettica e “disincarnata” che diventa, nel Messale tradotto, liturgia viva, pronta per essere celebrata dalle comunità del nostro Paese».
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Il nuovo Messale. Non soltanto parole o silenzi. 
A Messa conta anche il corpo


La Messa ha bisogno di «una complessiva e armonica attenzione verso tutte le forme di linguaggio previste dalla liturgia: parola e canto, gesti e silenzi, movimento del corpo, colori delle vesti liturgiche». E «possiede per sua natura una varietà di registri di comunicazione che le consentono di mirare al coinvolgimento di tutto l’essere umano», spiega la Cei nell’introduzione alla nuova edizione italiana del Messale Romano che dal 29 novembre, prima Domenica di Avvento, verrà adottato nella maggioranza delle diocesi della Penisola e che diventerà obbligatorio per tutte dalla domenica di Pasqua 2021.

Non solo l’ascolto e le preghiere, ma anche i gesti corporei entrano nei riti. L’Ordinamento generale del Messale Romano (Ogmr), collocato in apertura del volume, precisa che «l’atteggiamento comune del corpo, da osservarsi da tutti i partecipanti, è segno dell’unità dei membri della comunità cristiana riuniti per la sacra Liturgia: manifesta infatti e favorisce l’intenzione e i sentimenti dell’animo di coloro che partecipano». I gesti e gli atteggiamenti da seguire nella Messa sono quelli indicati al n. 43 dell’Ogmr, completato e dettagliato dalle Precisazioni indicate dalla Cei. La normativa liturgica infatti affida alle Conferenze episcopali nazionali la facoltà di introdurre «adattamenti» ritenuti necessari, secondo la cultura e le ragionevoli tradizioni dei vari popoli. ...


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OLTRE LA PORTA - Entriamo nel tempo della speranza, disarmato stato di grazia che fa volare. Perché attendere è il futuro semplice del verbo amare. - Commento al Vangelo - I Domenica di Avvento (B) a cura di P. Ermes Ronchi

OLTRE LA PORTA
Entriamo nel tempo della speranza, disarmato stato di grazia che fa volare. Perché attendere è il futuro semplice del verbo amare..

I commenti di p. Ermes al Vangelo della domenica sono due:
  • il primo per gli amici dei social
  • il secondo pubblicato su Avvenire
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare. Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati. Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!». Marco 13, 33-37

per i social
 

Entriamo nel tempo della speranza, disarmato stato di grazia che fa volare. Perché attendere è il futuro semplice del verbo amare.

OLTRE LA PORTA

Prima domenica di avvento: ricomincia il ciclo dell’anno liturgico come una scossa, un bagliore di futuro dentro il giro lento dei giorni sempre uguali. A ricordarci che la realtà non è solo questa che si vede, ma che il suo segreto è oltre noi, oltre la nostra porta.

E’ Isaia ad aprire le pagine di questi giorni, come un maestro d’attesa e desiderio. E con lui, sono le madri ad essere le grandi esperte della trepidazione nell’attesa, nell’attesa disarmata. Disarmato stato di grazia che fa volare. Perché attendere è il futuro semplice del verbo amare.

Entriamo nel tempo della speranza, tempo in cui tutto si fa vicino: Dio a noi, noi agli altri, io a me stesso. Dove, oggi più che mai, sappiamo cosa sia davvero urgente: sentiamo forte il bisogno di abbreviare distanze, l’urgenza impellente di tracciare cammini di prossimità, la necessità imperante di vicinanza e relazione. Sono realtà che davamo per scontate, sparite come un furto nella notte, che ci mancano con una fame che non si placa.
Nel Vangelo il padrone se ne va e lascia tutto in mano ai servi. Come custodire fra le mie povere mani i beni di Dio? Il testo propone due atteggiamenti: fate attenzione e vegliate, due parole che spingono forte verso qualcosa e Qualcuno, che è già in viaggio verso me.

Io voglio una vita attenta a tutto ciò che sale dalla terra, e a tutti gli avventi del mondo. Attenta alle parole e ai silenzi degli altri, alle lacrime, alla profezia; alle domande mute e alla ricchezza dei loro doni. In ascolto dei minimi movimenti nella porzione di realtà in cui vivo, e dei grandi sommovimenti della storia. Attenta al dolore sacro di questo pianeta barbaro e magnifico, alla sua bellezza, all’acqua, all’aria, ai germogli piccoli.

Il secondo verbo: vegliate. E’ un dovere vegliare sui nostri ragazzi puliti, contro una vita sonnolenta, contro l’ottundimento del pensare e del sentire, contro il lasciarsi andare alla mentalità corrente.
Vegliare perché non è tutto qui, perché viene una pienezza che è ancora embrione, piccolo seme dal volto incerto. Vegliare perché c’è una prospettiva, una direzione, e oltre, un approdo. Spiare il lento emergere dell’alba sul muro della notte, perché il presente non basta a nessuno.
Vegliare su tutto ciò che nasce, sui primi passi della pace, sul respiro della luce, sui vagiti della vita.

Allora è sempre tempo d’Avvento, e ogni distanza si accorcia solo se vivo con attenzione, in vigile ascolto.

Ma tu ritorna, Signore. Per amore! Se tu squarci i cieli e scendi su noi, non ci troverai addormentati, non finiremo come foglie avvizzite portate dal vento!
E’ sempre tempo di risvegliare mente e cuore, così da non arrendersi al preteso primato della notte, così da non dissipare bellezza, e non peccare mai contro la speranza.

per Avvenire

L’Avvento è come una porta che si apre (…)


LITURGIA DOMESTICA I DOMENICA DI AVVENTO - B Vegliate! - Fraternità Carmelitana di Barcellona Pozzo di Gotto

LITURGIA DOMESTICA 
I DOMENICA DI AVVENTO - B 
Vegliate! 

Fraternità Carmelitana 
di Barcellona Pozzo di Gotto
a cura di fr. Egidio Palumbo




Preparare in casa
 l’“angolo della preghiera” 

Entriamo nel tempo liturgico dell’Avvento, tempo di attesa vigilante e operosa del Signore che viene. Egli è già venuto nell’umiltà facendosi uomo, ed è morto, è risorto e vive in mezzo a noi. Eppure egli ha promesso di venire ancora in un giorno che non ci è dato di sapere: verrà come Risorto, nel segno del dono di sé, per portare a compimento l’opera che ha iniziato realizzando il suo regno di amore, di giustizia e di pace. 

Noi dobbiamo soltanto attenderlo con operosa vigilanza. Perciò ad ogni celebrazione eucaristica diciamo: «Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta». E anche per questo nel Padre Nostro invochiamo: «venga il tuo regno». 

Ebbene, siamo chiamati a vivere l’Avvento con attesa vigilante, pronti, cioè, a cogliere i segni della sua venuta. E così saremo preparati a celebrare il Natale del Signore, dove faremo memoria-attualizzazione della sua prima venuta nella piccolezza, nell’umiltà e nel dono di sé; e, nel contempo, faremo memoria-attualizzazione della sua seconda venuta che attendiamo come Risorto, il quale verrà sempre nel segno della piccolezza, dell’umiltà e del dono di sé. 

Un modo per attenderlo nella vigilanza è quello di perseverare nella preghiera in famiglia. Non esiste solo la chiesa parrocchiale o la chiesa santuario per pregare. Per i cristiani ognuno – a motivo del battesimo e della cresima – è sacerdote in Cristo e quindi chiamato a pregare per sé e per gli altri, e ogni famiglia cristiana è chiamata per vocazione ad essere chiesa domestica

Per cui ogni famiglia può approntare in casa l’“angolo della preghiera”, quello che i nostri fratelli cristiani della chiesa orientale chiamano “l’angolo della bellezza”

In un luogo della casa, su un tavolo o su un mobile o su una mensola si possono collocare una icona del Cristo, una lampada (da accendere per la preghiera), una Bibbia aperta e un fiore. Ecco l’angolo bello, l’angolo da cui, attraverso l’icona, lo sguardo di Dio veglia sulla famiglia. Non siamo noi a guardare l’icona, ma è l’icona a guardare noi e ad aprirci alla realtà del mondo di Dio. 

Per il tempo di Avvento e di Natale l’“angolo della preghiera” diventa certamente il presepe e la corona dell’avvento (quattro candele a cerchio: ognuna si accende ad ogni domenica di avvento; a natale si sostituiscono con una candela bianca o dorata), che ci ricordano il Figlio di Dio, luce del mondo, venuto a stare con noi nella piccolezza, nell’umiltà, nel dono di sé e nell’accoglienza dei vicini (i pastori) e dei lontani (i magi). 

In questo angolo la famiglia si riunisce per pregare in un’ora del giorno compatibile con i ritmi di lavoro. 

Si può pregare seguendo varie modalità: 

- Prima modalità. Leggere il brano del vangelo della liturgia del giorno, breve pausa di silenzio, poi recitare con calma il salmo responsoriale corrispondente e concludere con la preghiera del Padre Nostro, la preghiera dei figli di Dio e dei fratelli in Cristo Gesù (per le indicazioni del vangelo e del salmo del giorno utilizzare il calendarietto liturgico). 

- Seconda modalità. Per chi sa utilizzare il libro della Liturgia delle Ore, alle Lodi e ai Vespri invece della lettura breve, leggere il vangelo del giorno alle Lodi e la prima lettura del giorno ai Vespri. 

- Terza modalità. Si può utilizzare un libretto ben fatto, acquistabile nelle librerie che vendono oggetti religiosi. Si intitola “Amen. La Parola che salva” delle edizioni San Paolo, costa € 3,90 ed esce ogni mese. 

Di ogni mese contiene: la preghiera delle Lodi del mattino, le letture bibliche della celebrazione eucaristica dei giorni feriali e della domenica con una breve riflessione, la preghiera dei Vespri della sera, la preghiera di Compieta prima del riposo notturno e altre preghiere. 

Scrive papa Francesco in Amoris Laetitia al n. 318, dando altri suggerimenti per la preghiera: 

«Si possono trovare alcuni minuti al giorno per stare uniti davanti al Signore vivo, dirgli le cose che preoccupano, pregare per i bisogni famigliari, pregare per qualcuno che sta passando un momento difficile, chiedergli aiuto per amare, rendergli grazie per la vita e le cose buone, chiedere alla Vergine di proteggerci con il suo manto di madre. Con parole semplici questo momento di preghiera può fare tantissimo bene alla famiglia». 

Sì, la preghiera in famiglia rafforza la nostra fede in Cristo Gesù e rende saldo il vincolo d’amore tra marito e moglie, tra i genitori e i figli, tra la famiglia e il territorio in cui abita e il mondo intero. 

In questa proposta di Liturgia Domestica seguiamo la prima modalità. 



Prima Domenica di Avvento – B 

Vegliate! 



I. Apertura della Liturgia domestica

Solista: Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

Tutti: Amen.


Tutti: Il nostro canto sale a te, o Signore;

leviamo a te le nostre mani

in questa lode del tuo Nome Santo:

Emmanuele, Dio-con-noi.


Solista: Beato chi è integro nella sua via

e cammina nella legge del Signore.

Beato chi custodisce i suoi comandamenti

e lo cerca con tutto il cuore.

Non commette ingiustizie

e cammina nelle sue vie. (Sal 119,1-3)


Tutti: Il nostro canto sale a te, o Signore;

leviamo a te le nostre mani

in questa lode del tuo Nome Santo:

Emmanuele, Dio-con-noi.



II. Ascolto orante del vangelo di Marco (13,33-37)

Apriamo il vangelo di Marco al cap. 13. Facciamo una breve pausa di silenzio, e poi chiediamo allo Spirito Santo che ci apra alla comprensione di questo scritto che contiene la Parola di Dio per noi oggi.


Tutti: Vieni, Santo Spirito,

manda a noi dal cielo

un raggio della tua luce.

Vieni, padre dei poveri,

vieni, datore dei doni,

vieni, luce dei cuori.



Leggiamo attentamente e con calma la pagina di Marco, cap. 13, dal verso 33 fino al verso 37.

Meditiamo la pagina. Ecco alcuni spunti.

1. Inizia il tempo di Avvento: tempo di attesa vigilante del Signore che viene nella condizione di Crocifisso Risorto, com’è scritto in Marco 13,26: «Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria». 

C’è un legame intrinseco tra la fase finale dell’anno liturgico e l’Avvento: entrambi ci annunciano in modo esplicito la venuta del Signore Crocifisso Risorto. Infatti, la pagina del vangelo di questa domenica è presa dal brano finale del discorso escatologico del vangelo di Marco (Mc 13,33-37), dove si parla della vigilanza nel contesto dell’attesa e della venuta del Signore, il “Figlio dell’uomo” (Mc 13,26-29); e la seconda lettura, presa dall’inizio della prima lettera ai cristiani di Corinto dell’Apostolo Paolo (1Cor 1,3-9), parla anch’essa esplicitamente dell’attesa della rivelazione del Signore e del “giorno” della sua venuta (1Cor 1,7-8). 

Dunque, anche nell’Avvento siamo chiamati a prendere coscienza della nostra condizione escatologica di cristiani, sia a livello ecclesiale, che personale e storico. Condizione escatologica vuol dire che siamo chiamati: 

- a stare in questo mondo come popolo di Dio in cammino verso la patria celeste

- e a stare in attesa del Signore Crocifisso Risorto che viene per portare a compimento l’opera che ha iniziato

- di conseguenza non siamo padroni assoluti di nulla, ma camminiamo, stando sempre in ricerca del volto di Dio e del Senso ultimo della vita; ponendo sempre a verifica le scelte della nostra esistenza, senza mai dare nulla per scontato, né considerare come un assoluto ciò che facciamo e realizziamo, perché in questo mondo siamo stranieri e pellegrini, ospiti e ospitali, consapevoli di essere stati accolti e perciò accogliamo. 

2. Ma cosa è l’attesa vigilante? Non è mera condizione passiva; al contrario, essa chiede l’esercizio dello sguardo attento («Guardate con attenzione», Mc 13,33) sui fatti della vita quotidiana, su quanto avviene dentro di noi e attorno a noi; e inoltre chiede una costante vigilanza («vegliate», Mc 13,33.37), uno stare sempre svegli e con gli occhi ben aperti e spalancati per non lasciarci ipnotizzare e addormentare dal falso-messia di turno sicuro di sé, pieno di certezze, grande organizzatore e pianificatore dei propri interessi. 

L’attesa, attenta e vigilante, non è fatta per quei cristiani (comunità e persone) che ormai sanno tutto, che non si aspettano più nulla di nuovo e non attendono più nessuno. L’attesa è stile di vita escatologico fatto per quei cristiani che non hanno la pretesa di avere tutte le certezze, che non sanno già in anticipo come rispondere alle sfide che il monde pone, ma è fatta per quei cristiani che sono in ricerca della verità e sanno domandare e domandarsi, come Giovanni Battista: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?» (Mt 11,3).


        L’attesa è per quei cristiani che hanno Qualcuno da attendere, perché sanno che quel Qualcuno è il Signore: egli ogni volta che viene sempre li sorprende e li stupisce. Infatti la pagina del vangelo ci dice che noi non conosciamo il kairós, il momento propizio e decisivo della sua venuta (Mc 13,33.35), perché la sua venuta è sempre nuova. Egli non viene nella spettacolarità di un progetto o di una organizzazione, ma – ci annuncerà l’evento del Natale – viene nella piccolezza, viene nascosto tra le pieghe degli avvenimenti della vita: è da qui che Lui parla “squarciando i cieli” e aprendo nuovi orizzonti (vedi la prima lettura: Is 63,19: vedi salmo responsoriale: Sal 80), proponendoci percorsi di vita inediti e, a volte, inesplorati.


3. Tutto questo accade spontaneamente o per magia? No. Sta a noi – a noi che siamo stati «arricchiti di tutti i doni, quelli della parola e quelli della conoscenza» (vedi la seconda lettura: 1Cor 1,3-9), a noi che siamo ancora capaci di meravigliarci della vita – a non addormentarci e a saper leggere negli avvenimenti, alla luce della sua Parola, le novità e le sorprese del Signore, e ad assumerle nella nostra vita.

Che il Signore ci dia sempre il coraggio dell’attesa, anche nei tempi difficili, e ci dia la forza di invocarLo assieme al profeta Isaia: «Se tu squarciassi i cieli e scendessi… Signore, tu sei nostro Padre; noi siamo argilla e tu colui che ci dà forma, tutti noi siamo lavoro delle tue mani» (Is 63,19; 64,7).

Grazie, Signore, che ci hai affidato l’universo,

grazie che hai dato a ciascuno il suo compito:

donaci solo di saper sempre attenderti

come delle guardie notturne;

donaci di essere pronti

alle tue irruzioni imprevedibili

e insieme di capire quando ritardi.

                                    (Davide Turoldo)




III. Intercessioni

Solista: In Gesù, Verbo eterno del Padre, Dio ha squarciato i cieli ed è disceso come bacio sull’umanità, facendo sua la carne di ogni creatura umana. Fiduciosi di trovare ascolto in Lui, innalziamo le nostre preghiere ed insieme diciamo: 

Tutti: R. Marana tha, vieni Signore Gesù 

Voce 1: - Signore Gesù, rendi la tua Chiesa, vigile e sobria. Fa’ che resti lontana dall’ubriacatura del potere e del privilegio. In un mondo dominato dall’interesse, dall’arroganza e dall’indifferenza verso ciò che è umano, la tua Chiesa orienti il suo volto ed il suo desiderio verso il tuo Regno che viene. Preghiamo. 

Voce 1: - Il tuo venire, o Signore Gesù, sia consolazione e speranza per tutti quei popoli schiacciati da guerre, da divisioni etniche e religiose, dal cinismo della speculazione internazionale e dall’indifferenza delle nazioni che contano. Tu che abbatti i potenti e innalzi gli umili, apri per tutti un futuro di pace. Preghiamo. 

Voce 2: - Ti affidiamo, o Signore Gesù, il nostro paese, che si prepara a rinnovare il rito del Natale. Donaci di saper andare oltre gli automatismi del rito, per riscoprire alla luce della tua Parola il senso vero della tua venuta, che ci provoca a fare posto a chi è in cerca di accoglienza e di alloggio. Preghiamo. 

Voce 2: - Ascolta, o Signore Gesù, il dolore e la preghiera dei nostri fratelli e delle nostre sorelle ammalati. Ti affidiamo, in modo particolare, quanti sono alle prese con dei mali incurabili e con il coronavirus. E ti preghiamo, ancora, per tutti gli anziani incapaci di badare a se stessi e ricoverati in una casa di cura. Preghiamo. 

Voce 1: - Dinnanzi al tuo Volto, che attendiamo di contemplare nella tua Venuta, ti affidiamo, o Signore Gesù, i nostri parenti e amici defunti e le vittime del coronavirus [pausa di silenzio, e poi riprendere a leggere →]; ti affidiamo anche tutte le vittime del genocidio e tutti i migranti in Libia che sono torturati, venduti come schiavi e uccisi senza pietà. O Signore, tu che non rifiuti nessuno, accogli tutti nel tuo Regno di pace. Preghiamo. 

Solista: Come popolo di Dio in cammino verso il Regno che viene, diciamo insieme: 

Tutti: Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome. 

venga il tuo Regno, sia fatta la tua volontà 

come in cielo, così in terra. 

Dacci oggi il nostro pane quotidiano 

e rimetti a noi i nostri debiti, 

come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori, 

e non abbandonarci alla tentazione

ma liberaci dal male. Amen. 


- Concludere con la Preghiera

Tutti: Signore Gesù, che ti prendi cura di tutti i tuoi fratelli, esaudisci le nostre preghiere. Concedi che il corso degli eventi nel mondo sia guidato nella giustizia e nella pace, e che la Chiesa conosca la gioia di servirti nei tuoi fratelli con serenità e vigilanza. Te lo chiediamo perché tu sei il Signore Veniente che vivi e regni nei secoli dei secoli. AMEN. 

Solista: Benediciamo il Signore. Tutti: Rendiamo grazie a Dio