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venerdì 30 settembre 2022

Tonio Dell'Olio: Obiezione - Antonio Mazzeo: Protezione internazionale ai disertori per sottrarli alla guerra fratricida

 
Tonio Dell'Olio
Obiezione

Chi pensava che la nonviolenza e l'obiezione all'uso delle armi fossero state messe definitivamente sotto scacco dallo scenario ucraino, deve fare i conti con quanto sta succedendo in queste ore su entrambi i fronti.

In Ucraina la quarta carovana di Stopthewarnow, dopo aver consegnato aiuti umanitari a un centro di raccolta dell'Università di Cernivtsi, ha incontrato alcuni studenti per approfondire e riflettere sul tema della nonviolenza. Questa mattina sono a Kiev dove incontreranno diversi obiettori di coscienza e attivisti oltre che alcuni rappresentanti delle istituzioni. Quindi ci sono! No – dico – quelli che non sono d'accordo con la guerra, esistono. Anche perché la strada che è stata scelta finora dice che "abbiamo documentato che 5.996 civili sono morti e 8.848 sono rimasti feriti" dall'inizio del conflitto in Ucraina. 238 sono bambini. Parola di Matilda Bogner, responsabile diritti umani dell'Onu in Ucraina. Ma ha detto anche che i numeri sono molto al ribasso, ovvero sono stati contati solo quelli finora assolutamente accertati. Nessuno è in grado di dire se le vittime sarebbero state di più o di meno se non si fosse scelta la strada dell'uso delle armi. Ma a dire che la stragrande maggioranza della gente normale non vuole la guerra è quella coda infinita alla frontiera tra Russia e Georgia. Nelle scarpe di quei giovani che obiettano c'è molta più sapienza che nella testa di Putin. È l'ora di obiettare
(fonte: Mosaico dei giorni 29/09/2022)

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Antonio Mazzeo
Protezione internazionale ai disertori per sottrarli alla guerra fratricida

IL LIMITE IGNOTO. La Carovana per la pace #stopthewarnow arriva a Kiev. Una petizione rivolta a von der Leyen chiede l’apertura delle frontiere Ue

La carovana della pace consegna i suoi aiuti alla città di Chernivtsi

Giardino di Kiev. “Oasi della Pace”. La statua del Mahatma Gandhi, dono del governo indiano al popolo ucraino. È il luogo prescelto dagli attivisti italiani della Carovana #Stopthewarnow per lanciare con i pacifisti ucraini un appello ai governi Ue perché riconoscano lo status di rifugiato agli obiettori, ai disertori e ai renitenti alla leva militare di Russia, Ucraina e Bielorussia.

DOPO UN VIAGGIO di 15 ore in treno, la delegazione della Carovana promossa da Un Ponte per e dal Movimento Nonviolento ha raggiunto ieri mattina Kiev. Con gli obiettivi di un prezioso meeting con alcuni obiettori di coscienza e i rappresentanti del Movimento Pacifista Ucraino e poi un flashmob nell’Oasi della Pace per ribadire la richiesta di cessazione di tutte le operazioni di guerra e il sostegno alle vittime innocenti e a tutti coloro che in Ucraina e in Russia auspicano la via del dialogo e della trattativa contro la logica delle armi e della vittoria ad ogni costo sul «nemico». «Alla vigilia del 2 ottobre, giornata internazionale della nonviolenza, da Kiev facciamo nostra la campagna promossa da Ifor (International Fellowship of Reconciliation, Ufficio Europeo per l’Obiezione di Coscienza e War Resisters’ International per garantire protezione e asilo agli obiettori e ai disertori russi, bielorussi e ucraini coinvolti nell’attuale guerra nella regione – spiega Daniele Taurino del Movimento Nonviolento. – Con una petizione indirizzata alla Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen un centinaio di associazioni internazionali hanno chiesto di aprire le frontiere Ue a chi si oppone alla guerra mettendo a rischio la propria persona. Oggi come società civile italiana chiediamo al governo di assicurare agli obiettori ucraini e russi la protezione umanitaria che fu assicurata durante la guerra in ex Jugoslavia».

CON L’ACUTIZZARSI del conflitto russo-ucraino si sono pesantemente aggravate le condizioni di sicurezza per i giovani ucraini che si rifiutano di partecipare alle azioni belliche. «Dall’inizio dell’invasione russa del 24 febbraio, in Ucraina vige la legge marziale e il divieto di lasciare il Paese per tutti gli uomini tra i 18 e i 60 anni; allo stesso tempo è stata decretata la sospensione del diritto all’obiezione di coscienza al servizio militare, tra l’altro riconosciuta solo per meri motivi religiosi», spiega Juri Sheliazhenko, segretario esecutivo del Movimento Pacifista Ucraino.
Sul numero di giovani ucraini che hanno scelto l’obiezione alla guerra non ci sono dati certi, mentre le autorità di Kiev mantengono il massimo riserbo sui procedimenti penali avviati contro i renitenti alla coscrizione militare. «È un fenomeno che coinvolge migliaia di giovani ucraini – avverte Mao Valpiana, storico rappresentante del Movimento Nonviolento - Nel 2021 erano 1.600 gli obiettori in servizio civile alternativo nel paese e oltre 5.000 le richieste di obiezione da esaminare. Sono più di un centinaio invece i giovani obiettori sottoposti a persecuzioni giudiziarie e con il giro di vite decretato dal governo dopo l’aggressione russa, le pene sono state elevate a 5-10 anni di reclusione». «La Commissione Onu sui diritti dell’uomo – aggiunge Valpiana – ha chiarito in passato che il diritto all’obiezione di coscienza non può essere compresso per ragioni legate alla sicurezza nazionale. L’Ucraina deve rispettare questo principio, esortiamo il governo di Kiev a smettere di perseguitare gli obiettori al servizio militare».

NELLA PRIMA GIORNATA della Carovana per la Pace, incontri anche con le organizzazioni sindacali e gli studenti universitari in protesta contro il decreto dell’esecutivo di qualche settimana fa che ha esteso il divieto di espatrio per i maggiori di 18 anni di età anche a chi risulta iscritto e studia in centri universitari all’estero o che è in attesa di svolgere l’Erasmus in un paese Ue. «I giovani che tentano di fuggire dalla coscrizione obbligatoria in Ucraina o dalla Russia di Putin ci indicano una strada alternativa all’approccio europeo al conflitto, quello cioè dell’invio continuo di armi che alimentano morte e distruzione», commenta Alfio Nicotra, copresidente di Un Ponte Per. «Per questo dobbiamo assicurare loro la protezione internazionale così da sottrarre il maggior numero di persone a questa guerra fratricida. La diserzione di massa, in Russia e in Ucraina, può contribuire tantissimo per imporre ai due governi di sedersi ad un tavolo per trattare il cessate il fuoco e la risoluzione equa e pacifica del conflitto».

PRIMA DI RAGGIUNGERE Kiev, la Carovana della Pace è stata ospite dell’università della città di Chernivtsi, in Bukovina, nel sud-est dell’Ucraina dove gli attivisti italiani si sono confrontati con un centinaio tra docenti e studenti sul conflitto in Ucraina, gli interventi di interposizione pacifica, il peacebuilding e la risoluzione nonviolenta dei conflitti. Con l’obiettivo concreto di rafforzare la partnership tra l’università della città della Bukovina, le Ong e le università italiane, istituendo un Corso interdisciplinare di studi per la pace.
(fonte: Il Manifesto 30/09/2022)


Alessandro D'Avenia Lo stile di cui abbiamo bisogno - Qual è il segreto dell’educazione? Fare l’amore.

Alessandro D'Avenia
Lo stile di cui abbiamo bisogno

foto Klaus Vedfelt

Qual è il segreto dell’educazione? Fare l’amore.

Viviamo in un’epoca paradossale: non abbiamo mai avuto tanti strumenti educativi come adesso: corsi, manuali, esperti… eppure educare sembra esser diventato impossibile. Perché? Stiamo uscendo dall’illusione culturale individualista basata sul fatto che la verità sia una ricetta esterna alla relazione e da applicare finché la realtà non si sottomette. Ma la realtà resiste e le nostre idee falliscono, i bambini e i ragazzi non rispondono ai nostri desideri e aspettative, e noi siamo pieni di sensi di colpa e di vergogna. Si sta esaurendo il binomio su cui si basa questa cultura: sapere/fare. Io so qualcosa, la applico, e la cosa riesce. Tutte le ideologie, anche quelle educative, basate su questa sottomissione del reale sono forme di potere (e a volte di violenza) fallimentari. Emerge, sempre più necessario, un nuovo paradigma: stare/comprendere. Noi non siamo cervelli staccati dalla realtà, da riempire di nozioni che poi diventano azioni (cosa che accade anche nel modello inefficace di scuola odierna). Noi siamo legami, il nostro io è situato nella storia a partire dalle relazioni. Se ci tolgono qualsiasi ruolo acquisito, chi siamo? Le nostre relazioni. Io sono figlio, fratello, fidanzato, amico… Ed è da qui che parte tutto, anche la mia capacità di “comprendere”, che in italiano significa “capire” sia a livello cognitivo sia a livello affettivo.

Non basta sapere e poi fare, bisogna saper stare e quindi comprendere. Noi siamo le nostre relazioni e a partire dalla cura di queste possiamo affrontare qualsiasi cosa la vita ci metta davanti. La cultura individualistica e consumistica ci ha invece reso atomi isolati che credono di costruirsi da soli, acquisendo “skills” (hard o soft che siano), eliminando ogni fragilità, comprando soluzioni, come un’armatura da far indossare all’io. Ma non funziona: la realtà si incarica sempre di spezzare le armature. Per poter essere “armati” serve solo essere “amati”. Le persone sono libere e maturano solo quando su di esse si posa lo sguardo relazionale e non quello prestazionale. Nel secondo tipo di sguardo l’altro diventa oggetto di aspettative e quindi viene manipolato o sedotto o obbligato (a scuola e in famiglia prevalgono infatti stili di educazione “affettivo-emotiva” e/o “coercitivo-prestazionale”), nel primo tipo di sguardo invece l’altro diventa soggetto di possibilità, viene restituito non solo a se stesso, ma a quello che può diventare. Un poeta lo dice in modo paradossale ma perfetto alla sua amata: “io vedo la creatura nuova che tu eri”. Ma perché questo accada la chiave è la relazione, e nell’educazione di un bambino o di un adolescente la relazione non è quella direttamente con lui, ma quella tra le persone che lo hanno messo al mondo. Così come in amore uno più uno fa tre, per curare il tre bisogna occuparsi del “più” dell’uno più uno. Questo è “fare l’amore”, in cui il fare non è solo lo scambio affettivo tra le lenzuola, ma proprio quel dare insieme la vita a chi ci è affidato a partire da coloro che, insieme, lo hanno messo al mondo.

Se un bambino o un adolescente sentono e vedono i genitori amarsi hanno le spalle coperte e affrontano tutto quello che c’è da affrontare, per prima cosa le fatiche e le paure della crescita. Una volta una coppia di amici stava litigando e il loro bambino di pochi anni è corso a prendere la foto del loro matrimonio e gliel’ha messa sotto gli occhi. Sottintendeva: voi siete questi, io vi voglio così, perché altrimenti io sparisco. E il litigio si è interrotto all’istante: li aveva riportati alla verità della relazione. Lo stesso vale a scuola: la crescita sia culturale che umana di un ragazzo dipende da quanto è “generato” dagli insegnanti, che non vuol dire solo dal singolo insegnante, ma da come gli insegnanti sono alleati tra loro per quel ragazzo, da come “fanno l’amore”, cioè da quanto tempo dedicano a occuparsi tra loro di quel ragazzo, in termini di attenzione e pensiero, prima ancora di agire direttamente con lui. E così tanti problemi scolastici derivano semplicemente dal fatto che genitori e insegnanti si fanno la guerra invece di “fare l’amore” (non sto proponendo comportamenti licenziosi, ma di prendere alla lettera quel “fare”: l’amore non è un’emozione ma qualcosa che si fa, si costruisce, giorno per giorno).

Avete mai pensato al fatto che i colloqui con gli insegnanti avvengono solo a “voti fatti”? La prestazione vince sulla presenza. Invece i colloqui andrebbero svolti la prima settimana di scuola, quando voti non ce ne sono, ci si guarda in faccia e ci si dice: uniamoci per il bene di questo bambino e di questo ragazzo. Qual è la sua storia? Quali i suoi punti di forza e i suoi punti deboli? Insomma, curiamo e rinnoviamo lo “stare” e poi qualsiasi “comprendere” verrà di conseguenza. Sì, perché educare non è una scienza, ma un’arte che si nutre di realtà e fallimenti e non di teorie da applicare e aspettative da imporre. Questo non significa non studiare o non conoscere le tappe educative, i bisogni dell’età evolutiva o chiedere consiglio a un esperto, ma vuol dire ricorrere a queste cose a partire dalla realtà concrete della relazione. Per esempio, ai colloqui è bene vengano entrambi i genitori e non solo le madri: i figli sono stati messi al mondo da due persone e vengono sempre rimessi al mondo da quelle due persone, anche se il loro amore è ferito o interrotto. Anzi proprio in questi casi “fare l’amore” diventa ancora più fecondo. In questi ventidue anni di scuola ho visto genitori separati venire ai colloqui insieme. Per un bambino o un ragazzo sapere che, grazie a lui, i due si ritrovano mettendo da parte ferite e divisioni, è importantissimo. E infatti ho visto ragazzi che, pur avendo i genitori separati ma alleati per i figli, crescevano meglio di quelli con genitori che abitano sotto lo stesso tetto, ma non trovano mai il tempo per “fare l’amore”.

L’amore richiede tempo, perché la relazione è tempo donato: noi siamo tempo fatto carne e possiamo agire sull’essere altrui solo attraverso il tempo. Al di sotto di una certa soglia di tempo la relazione non esiste e quindi l’educazione evapora e si riduce ad addestramento e a fervorini inefficaci e snervanti. Quanto tempo al giorno dedichiamo a parlare di e con un bambino o di e con un ragazzo? A volte bastano pochi minuti, per aggiustare lo sguardo, e magari dedicare qualche momento in più una volta a settimana, per fare un bilancio, coordinarsi e ripartire. Solo soluzioni condivise e sguardi uniti generano maturazioni armoniche. Altrimenti ognuno riprodurrà istintivamente il modo in cui è stato cresciuto, ripetendo gli errori dei suoi genitori o per imitazione o per contrasto pretendendo non riaccadano, ma questo genera solo forzature. Ricordo una coppia con una figlia che aveva crisi di panico e ansia costante: la soluzione è stata affrontare la loro crisi come coppia più che occuparsi direttamente della figlia.
I bambini e i ragazzi sono bravissimi a metterci in crisi, istintivamente, proprio su ciò che ci manca: se non leggono dobbiamo chiederci quante volte abbiamo letto e leggiamo loro dei libri al posto di accendere la tv, o quanti libri ci sono sul nostro comodino; se stanno sempre attaccati al cellulare al pc, dobbiamo chiederci che rapporto abbiamo noi con questi strumenti; se non studiano dobbiamo chiederci quanto si sono sentiti trascurati dal nostro essere sempre presi dal lavoro… Solo essendo aperti al continuo fallimento come risorsa, e non come colpa o vergogna, educare diventa tanto faticoso quanto entusiasmante perché fa crescere contemporaneamente la relazione e noi stessi.

In una rivista sullo stile, vorrei che la parola indicasse uno stile educativo relazionale: noi non ci prendiamo cura dei bambini perché li amiamo, ma li amiamo perché ce ne prendiamo cura, e per prendersene cura bisogna curare innanzitutto la relazione, e solo dopo loro. Se la relazione è inconsistente “non mette al mondo”, “non dà alla luce”: i figli non assomigliano (nei tratti profondi, nell’atteggiamento di fronte alla vita) ai genitori presi singolarmente, ma alla loro relazione. Allora il mio augurio per questo ritorno a scuola è che sia un ritorno “con stile”: stare e comprendere, cioè a fare l’amore, perché solo così educare diventa un’arte di e da vivere giorno per giorno e non una scienza che oscilla tra successo e fallimento. I figli non maturano perché siamo infallibili, ma perché ci amiamo e traduciamo la relazione, con tutti i nostri benedetti limiti, in tempo donato. Per cos’altro vogliamo essere ricordati? Un paragrafo su un libro di storia o la felicità di un figlio? Buon inizio a tutti!
(fonte: blog dell'autore - articolo pubblicato in Style Piccoli, settembre/ottobre 2022)


giovedì 29 settembre 2022

29/09/2022 Giornata internazionale della consapevolezza sugli sprechi e le perdite alimentari - Papa Francesco alla Fao: stop alla speculazione alimentare, il cibo sia per tutti


Il Papa: stop alla speculazione alimentare, il cibo sia per tutti

In occasione dell'odierna Giornata internazionale della consapevolezza sugli sprechi e le perdite alimentari, Francesco rivolge un messaggio alla Fao in cui sottolinea la mancanza di giustizia sociale che impedisce a circa un terzo della popolazione mondiale di disporre di alimenti sufficienti: dobbiamo "accogliere per ridistribuire, non produrre per disperdere

Un'immagine dello Yemen, Paese in cui esiste un'endemica crisi alimentare (ANSA)

E’ “un problema che non possiamo permetterci di ignorare” quello che la Giornata odierna vuole evidenziare. Ne è convinto Papa Francesco che rivolgendosi a Qu Dongyu, direttore generale della Fao, l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura, afferma che “sprecare cibo significa sprecare persone”. Il Papa sottolinea la profonda diseguaglianza esistente nel mondo tra chi vive nell’abbondanza e chi ancora soffre o muore di fame. Non limitiamoci alle parole, osserva, è urgente rispondere in modo efficace “al grido straziante degli affamati che reclamano giustizia”.

E' vergognoso gettare il cibo

Nel suo messaggio Francesco scrive che utilizzare il cibo in modo non adeguato, sprecandolo o perdendolo, corrisponde a vivere la “cultura dell’usa e getta” e dimostra “disinteresse per ciò che ha un valore fondamentale”:

Sapendo che moltissimi esseri umani non hanno accesso a un'alimentazione adeguata o ai mezzi per procurarsela - che è un diritto fondamentale e prioritario di ogni persona - vedere il cibo gettato nella spazzatura o rovinato a causa della mancanza delle risorse necessarie per farlo arrivare ai destinatari è davvero vergognoso e preoccupante.

Il grido degli affamati

Il Papa fa notare come siano in aumento le diseguaglianze e facendo riferimento ai dati del Rapporto sullo stato della sicurezza alimentare e nutrizionale nel mondo, scrive che il numero delle persone che non hanno cibo a sufficienza sul pianeta, “a causa delle molteplici crisi che l'umanità deve affrontare”, l'anno scorso è aumentato in modo significativo. Il loro grido, prosegue, “deve risuonare nei centri in cui si prendono le decisioni”.

Quindi, ripeto, dobbiamo "raccogliere per ridistribuire, non produrre per disperdere" (Discorso ai membri della Federazione Europea dei Banchi Alimentari, 18 maggio 2019). L'ho detto in passato e non mi stancherò di ripeterlo: sprecare cibo significa sprecare persone!

Il "paradosso dell'abbondanza"

Di fronte al “paradosso dell’abbondanza”, denunciato ancora 30 anni fa da San Giovanni Paolo II, “l'intera comunità internazionale - sostiene il Papa - deve mobilitarsi”. La realtà è che “c'è abbastanza cibo nel mondo perché nessuno vada a letto con lo stomaco vuoto!”, infatti ,“le risorse alimentari prodotte sono più che sufficienti per sfamare 8 miliardi di persone”, eppure la fame non è debellata. Papa Francesco va al cuore della questione, quello che manca è la giustizia sociale, “ovvero – scrive - il modo in cui viene regolata la gestione delle risorse e la distribuzione della ricchezza”.

Il cibo non può essere oggetto di speculazione. La vita dipende da questo. Ed è uno scandalo che i grandi produttori incoraggino il consumismo compulsivo per arricchirsi, senza nemmeno considerare i reali bisogni degli esseri umani. La speculazione alimentare deve essere fermata! Dobbiamo smettere di trattare il cibo, che è un bene fondamentale per tutti, come una merce di scambio per pochi.

La Terra ci implora di smettere di maltrattarla

E dobbiamo smettere, afferma ancora Francesco, di sfruttare “avidamente” la Terra e di “maltrattarla e distruggerla” a motivo “dei nostri eccessi consumistici”. Sprecare o perdere il cibo contribuisce infatti “all'aumento delle emissioni di gas serra e quindi al cambiamento climatico e alle sue conseguenze dannose”. Ricorda che soprattutto i giovani ci stanno chiedendo di aguzzare lo sguardo e di allargare il cuore, “per curare la casa comune che è uscita dalle mani di Dio”. Il suo appello è chiaro:

Non possiamo accontentarci di esercizi retorici in questa materia così importante, che si risolvono in dichiarazioni che poi non si realizzano per dimenticanza, meschinità o avidità. È tempo di agire con urgenza e per il bene comune. È urgente che sia gli Stati che le grandi multinazionali, le associazioni e i singoli individui - tutti, nessuno escluso - rispondano in modo efficace e onesto al grido straziante degli affamati che reclamano giustizia.

Spetta a ciascuno di noi, conclude Papa Francesco, “orientare consapevolmente e responsabilmente il proprio stile di vita”, perché nessuno rimanga privo del cibo di cui ha bisogno e da cui dipende la sua sopravvivenza.
(fonte: Vatican News, articolo di Adriana Masotti 29/09/2022)

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Il testo integrale del Messaggio che il Santo Padre ha inviato al Direttore Generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO), S.E. il Signor Qu Dongyu, in occasione della Giornata Internazionale della consapevolezza delle perdite e degli sprechi alimentari 2022 diffuso oggi dalla sala stampa (in spagnolo)


Furio Colombo Immigrazione, se i bambini muoiono in mare La lezione dei naufragi è chiara.

Furio Colombo
Immigrazione, se i bambini muoiono in mare

Il blocco navale che vuole Giorgia Meloni, nel Mediterraneo vuoto di soccorsi, significa una fine per sete


Credo che Giorgia Meloni possa dichiararsi soddisfatta della sua grande vittoria. La civiltà mediterranea ha già accolto il suo progetto - che a prima vista sembrava campato in aria - di blocco navale. Non c'è più bisogno di perdere tempo con qualche perdigiorno che predica solidarietà in Parlamento.

La lezione di questi giorni è chiara ed efficace. Se provi ad attraversare (fosse anche per sfuggire con i tuoi bambini la guerra in Siria, in Iraq, in Afghanistan, in Yemen, nel Darfour, in Libano) un mare troppo grande e del tutto vuoto di soccorsi, con barche troppo piccole perché nessuno presta un passaggio più umano (compresi i mercantili che tirano dritto), il blocco navale, voluto con crudele sincerità dalla aspirante nuova leader donna dell'Italia, e dal silenzio di tutti, è la morte per sete.

S'intende che la morte per sete, in mezzo a un mare bollente e senza il problema di penose testimonianze, è la parte atroce e finale di una lunga agonia predisposta per ragioni di buon senso. "Gli emigranti esagerano. Adesso basta. La natura del cielo, del mare, del sole provvede. L'importante è che non ci caschi addosso la cronaca dei fatti mentre avvengono". E qui si inserisce una tremenda fiaba italiana. Una fiaba preparata e diffusa proprio per far sapere che queste cose accadono (abbandonare in mare uomini, donne e bambini in fuga da eventi insopportabili), ma ci sono ben altri colpevoli. Come tutte le fiabe, è basata su spunti di verità.

Una verità è che i governi del Mediterraneo si sono accordati, chi in silenzio, chi con grandi esibizioni di potere (Orbán, Salvini, Morawiecki) per essere certi che non vi siano vie di fuga legali. I profughi disperatamente affollati su barconi troppo piccoli e pronti a rompersi, qualunque sia la causa della loro ricerca di salvezza, sono i clandestini. Dunque non li conosci e non li vedi, non possono passare nessuna frontiera, e se un impatto inevitabile ti obbliga, li consegni ai libici, che hanno strumenti per provvedere.

Ma questo espediente della illegalità totale e permanente di certi esseri umani da abbandonare in acqua (un ministro italiano, Salvini, lo ha fatto persino bloccando navi della marina militare italiana) era stato violato coraggiosamente dalle cosiddette Ong (navi di organizzazioni non governative con equipaggi e comandanti normali) che volontariamente, a loro spese (con l'aiuto di altri normali esseri umani) hanno salvato e portato a terra migliaia di adulti e bambini che non erano clandestini, erano in fuga. La storia di questi anni ricorderà Medici senza Frontiere, Sea Watch, Sos Méditerranée, Aquarius, Open Arms, Mission Lifeline.

Ma è accaduta una cosa strana. Alcuni giudici, mentre la gente moriva in mare, e il Papa ha gettato in acqua, per loro, una corona di fiori, hanno aperto strane inchieste giudiziarie, le prime dal 1945, che accusano di reati gravissimi i salvatori di esseri umani mentre sono in pericolo estremo. È importante confrontare le accuse (associazione a delinquere, favoreggiamento all'immigrazione clandestina) insieme con la crescente legittimazione della Guardia costiera libica.

L'indagine sul lavoro svolto in mare dalle Ong (Procura di Catania) non ha mai portato a nulla. Benché avesse sollevato sospetti su come le Ong potessero sopportare costi così elevati "senza un rientro economico" e su chi forniva le informazioni relative alle richieste di soccorso in mare.

Tutto ciò, privo com'era di rapporto con la realtà (nessuna delle accuse è diventata incriminazione o processo) e animato da un forte spirito di antagonismo contro il dovere, ma anche l'impulso umano e naturale del salvataggio estremo, ha però avuto una conseguenza vasta e grave: ha sgombrato il mare.

E così quasi ogni telegiornale ci dà notizie di barche che stanno affondando in mare aperto, prive di comunicazioni e senza traccia di soccorsi. E ci elenca numero ed età dei bambini dai 2 ai 12 anni che sono morti di sete e di fame, mentre il mondo mediterraneo (cominciando dall'Italia) che avrebbe dovuto salvarli e accoglierli non ha mai risposto alle chiamate disperate e ha lasciato morire di quella morte che il sindaco-medico di Pozzallo ha paragonato alla morte nazista.

Sarà importante ricordare, quando si farà l'inventario di queste morti disperate alle porte di casa nostra, che il mare era vuoto di ogni tipo di presenza e soccorso per volontà di certa politica, e per uno strano travolgimento della realtà nella visione di alcuni magistrati. La prova è arrivata adesso.
(fonte: La Repubblica 27/09/2022)


«La preghiera vera è familiarità e confidenza con Dio... Stare in preghiera significa aprire il cuore a Gesù» Papa Francesco Udienza Generale 28/09/2022 (foto, testo e video)

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 28 settembre 2022










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Catechesi sul Discernimento: 3. Gli elementi del discernimento. La familiarità con il Signore

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Riprendiamo le catechesi sul tema del discernimento, - perché è molto importante il tema del discernimento per sapere cosa succede dentro di noi; dei sentimenti e delle idee, dobbiamo discernere da dove vengono, dove mi portano, a quale decisione - e oggi ci soffermiamo sul primo dei suoi elementi costitutivi, cioè la preghiera. Per discernere occorre stare in un ambiente, in uno stato di preghiera.

La preghiera è un aiuto indispensabile per il discernimento spirituale, soprattutto quando coinvolge gli affetti, consentendo di rivolgerci a Dio con semplicità e familiarità, come si parla a un amico. È saper andare oltre i pensieri, entrare in intimità con il Signore, con una spontaneità affettuosa. Il segreto della vita dei santi è la familiarità e confidenza con Dio, che cresce in loro e rende sempre più facile riconoscere quello che a Lui è gradito. La preghiera vera è familiarità e confidenza con Dio. Non è recitare preghiere come un pappagallo, bla bla bla, no. La vera preghiera è questa spontaneità e affetto con il Signore. Questa familiarità vince la paura o il dubbio che la sua volontà non sia per il nostro bene, una tentazione che a volte attraversa i nostri pensieri e rende il cuore inquieto e incerto o amaro, pure.

Il discernimento non pretende una certezza assoluta - non è chimicamente un puro metodo, no, pretende una certezza assoluta, perché riguarda la vita, e la vita non è sempre logica, presenta molti aspetti che non si lasciano racchiudere in una sola categoria di pensiero. Vorremmo sapere con precisione cosa andrebbe fatto, eppure, anche quando capita, non per questo agiamo sempre di conseguenza. Quante volte abbiamo fatto anche noi l’esperienza descritta dall’apostolo Paolo, che dice così: «Io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio» (Rm 7,19). Non siamo solo ragione, non siamo macchine, non basta ricevere delle istruzioni per eseguirle: gli ostacoli, come gli aiuti, a decidersi per il Signore sono soprattutto affettivi, del cuore.

È significativo che il primo miracolo compiuto da Gesù nel Vangelo di Marco sia un esorcismo (cfr 1,21-28). Nella sinagoga di Cafarnao libera un uomo dal demonio, liberandolo dalla falsa immagine di Dio che Satana suggerisce fin dalle origini: quella di un Dio che non vuole la nostra felicità. L’indemoniato, di quel brano di Vangelo, sa che Gesù è Dio, ma questo non lo porta a credere in Lui. Dice infatti: «Sei venuto a rovinarci» (v. 24).

Molti, anche cristiani, pensano la medesima cosa: che cioè Gesù possa anche essere il Figlio di Dio, ma dubitano che voglia la nostra felicità; anzi, alcuni temono che prendere sul serio la sua proposta, quello che Gesù ci propone, significhi rovinarsi la vita, mortificare i nostri desideri, le nostre aspirazioni più forti. Questi pensieri fanno talvolta capolino dentro di noi: che Dio ci chieda troppo, abbiamo paura che Dio ci chieda troppo, che non ci voglia davvero bene. Invece, nel nostro primo incontro abbiamo visto che il segno dell’incontro con il Signore è la gioia. Quando incontro il Signore nella preghiera, divento gioioso. Ognuno di noi diventa gioioso, una cosa bella. La tristezza, o la paura, sono invece segni di lontananza da Dio: «Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti», dice Gesù al giovane ricco (Mt 19,17). Purtroppo per quel giovane, alcuni ostacoli non gli hanno consentito di attuare il desiderio che aveva nel cuore, di seguire più da vicino il “maestro buono”. Era un giovane interessato, intraprendente, aveva preso l’iniziativa di incontrare Gesù, ma era anche molto diviso negli affetti, per lui le ricchezze erano troppo importanti. Gesù non lo costringe a decidersi, ma il testo nota che il giovane si allontana da Gesù «triste» (v. 22). Chi si allontana dal Signore non è mai contento, pur avendo a propria disposizione una grande abbondanza di beni e possibilità. Gesù mai costringe a seguirlo, mai. Gesù ti fa sapere la sua volontà, con tanto cuore ti fa sapere le cose ma ti lascia libero. E questa è la cosa più bella della preghiera con Gesù: la libertà che Lui ci lascia. Invece quando noi ci allontaniamo dal Signore rimaniamo con qualcosa di triste, qualcosa di brutto nel cuore.

Discernere cosa succede dentro di noi non è facile, perché le apparenze ingannano, ma la familiarità con Dio può sciogliere in modo soave dubbi e timori, rendendo la nostra vita sempre più ricettiva alla sua «luce gentile», secondo la bella espressione di San John Henry Newman. I santi brillano di luce riflessa e mostrano nei semplici gesti della loro giornata la presenza amorevole di Dio, che rende possibile l’impossibile. Si dice che due sposi che hanno vissuto insieme tanto tempo volendosi bene finiscono per assomigliarsi. Qualcosa di simile si può dire della preghiera affettiva: in modo graduale ma efficace ci rende sempre più capaci di riconoscere ciò che conta per connaturalità, come qualcosa che sgorga dal profondo del nostro essere. Stare in preghiera non significa dire parole, parole, no; stare in preghiera significa aprire il cuore a Gesù, avvicinarsi a Gesù, lasciare che Gesù entri nel mio cuore e ci faccia sentire la sua presenza. E lì possiamo discernere quando è Gesù e quando siamo noi con i nostri pensieri, tante volte lontani da quello che vuole Gesù.

Chiediamo questa grazia: di vivere una relazione di amicizia con il Signore, come un amico parla all’amico (cfr S. Ignazio di L., Esercizi spirituali, 53). Io ho conosciuto un vecchio fratello religioso che era il portiere di un collegio e lui ogni volta che poteva si avvicinava alla cappella, guardava l’altare, diceva: “Ciao”, perché aveva vicinanza con Gesù. Lui non aveva bisogno di dire bla bla bla, no: “ciao, ti sono vicino e tu mi sei vicino”. Questo è il rapporto che dobbiamo avere nella preghiera: vicinanza, vicinanza affettiva, come fratelli, vicinanza con Gesù. Un sorriso, un semplice gesto e non recitare parole che non arrivano al cuore. Come dicevo, parlare con Gesù come un amico parla all’altro amico. È una grazia che dobbiamo chiedere gli uni per gli altri: vedere Gesù come il nostro amico, il nostro amico più grande, il nostro amico fedele, che non ricatta, soprattutto che non ci abbandona mai, anche quando noi ci allontaniamo da Lui. Lui rimane alla porta del cuore. “No, io con te non voglio sapere nulla”, diciamo noi. E Lui rimane zitto, rimane lì a portata di mano, a portata di cuore perché Lui sempre è fedele. Andiamo avanti con questa preghiera, diciamo la preghiera del “ciao”, la preghiera di salutare il Signore con il cuore, la preghiera dell’affetto, la preghiera della vicinanza, con poche parole ma con gesti e con opere buone. Grazie.

Guarda il video della catechesi

Saluti
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Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i fedeli di Parete e di Battipaglia, auspicando che, con l’impegno di tutti, cresca il fervore religioso delle rispettive comunità parrocchiali. E poi un pensiero alla martoriata Ucraina, che sta soffrendo tanto, quel povero popolo così crudelmente provato. Questa mattina ho potuto parlare con il cardinale Krajewski che era di rientro dall’Ucraina e mi ha raccontato cose terribili. Pensiamo all’Ucraina e preghiamo per questo popolo martoriato.

Il mio pensiero va infine, come di consueto, ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli. La festa degli Arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele, che celebreremo domani, susciti in ciascuno una sincera adesione ai disegni divini. Sappiate riconoscere e seguire la voce del Maestro interiore, che parla nel segreto della coscienza. Anche preghiamo per il corpo della Gendarmeria vaticana che ha san Michele Arcangelo come patrono e lo festeggia dopo domani. Che loro seguano sempre l’esempio del santo Arcangelo e il Signore li benedica per tutto il bene che fanno.

A tutti la mia benedizione.

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mercoledì 28 settembre 2022

La repressione non ferma le donne iraniane

La repressione non ferma le donne iraniane


Dodici notti di proteste, quasi tremila persone arrestate soltanto a Teheran, il numero delle vittime che sale di ora in ora, in un susseguirsi di notizie ancora difficili da verificare, per le restrizioni alle comunicazioni internet in tutto l’Iran. Questo il bilancio delle manifestazioni nella Repubblica islamica, dalla capitale a Tabriz, da Qom a Yazd e in molte altre città, in corso dal 16 settembre, giorno della morte della ragazza curda Mahsa Amini, dopo l’arresto da parte della cosiddetta “polizia morale” con l’accusa di non aver indossato correttamente il velo islamico.

Secondo la ong Iran Human Rights, con sede in Norvegia, 76 persone sarebbero state uccise durante la repressione della polizia contro i manifestanti, che sono principalmente donne, ma non solo.

L’agenzia di stampa iraniana Irna ha riferito dell’arresto di altre 12 persone da parte delle Guardie della rivoluzione nella provincia settentrionale di Gilan, con l’accusa di avere tenuto incontri segreti per organizzare proteste violente. Reporter senza frontiere e altre associazioni internazionali fanno sapere che almeno 18 giornalisti sono finiti in manette. Denunciato pure l’arresto di Faezeh Hashemi, l’attivista figlia dell’ex presidente iraniano Ali Akbar Hashemi Rafsanjani, che stava partecipando alle dimostrazioni a Teheran.

Dopo l’appello all’Iran del segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, a non usare «forza sproporzionata» contro i manifestanti, ieri a Ginevra l’Alto commissariato Onu per i diritti umani ha esortato Teheran a «garantire i diritti a un giusto processo» e a «rilasciare le persone arbitrariamente» arrestate. Dagli Stati Uniti, un nuovo intervento del segretario di Stato, Antony Blinken, ha invocato la fine delle violenze contro le donne e i dimostranti.

La linea delle autorità però non cambia. La polizia ha annunciato che userà «tutta la propria forza» per contrastare quelle che ha definito «cospirazioni dei controrivoluzionari ed elementi ostili», volte — secondo gli agenti — a sconvolgere «l’ordine pubblico e la sicurezza». Il ministro degli Esteri iraniano, Hossein Amirabdollahian, ha poi puntualizzato che le proteste «non destabilizzeranno» il Paese.

La Bbc in lingua farsi ha intanto raccolto nuove testimonianze sulla morte di Hadith Najafi, l’altra ragazza uccisa nel corso delle manifestazioni di protesta, a Karaj, a nord-ovest di Teheran.

È stato chiarito che Hadith non era la giovane ripresa nel video diventato virale sui social mentre, senza il suo hijab, si raccoglieva i capelli in una coda prima di un corteo. La sorella ha rivelato che, dopo il ferimento mortale, Hadith era stata trasportata all’ospedale di Ghaem, con segni di ferite multiple da arma da fuoco al viso, al petto e al collo.


Chi è Cristiana Maria Dobner?

#SOUL - Cristiana Maria Dobner ospite di Monica Mondo

Cristiana Maria Dobner, filosofa, critica letteraria, saggista, traduttrice… monaca, carmelitana scalza nel convento di Concenedo di Barzio, una frazione di 70 anime arroccata sui monti di lecco. Triestina, cresciuta col respiro della cultura mitteleuropea, in una famiglia benestante e appassionata di letteratura (i Dobner, “quei degli orologi”!), Cristiana Dobner è una voce battagliera e sapiente tra le donne che segnano oggi la Chiesa. Nessuna rivendicazione di ruoli, anzi, l’esaltazione delle differenze tra maschile e femminile sono il vero femminismo. Modello le “sue” sante, Teresa d’Avila, una forza dirompente di fede e coraggio, in un tempo ottuso; la piccola Teresa del Bambin Gesù, che da una cella e da un letto di malattia segnò la teologia della Chiesa moderna; Teresa Benedetta della Croce, Edith Stein, patrona d’Europa, cardine di un legame inscindibile tra cristiani ed ebrei: Cristiana conosce l’ebraico, antico e moderno, e ha seguito sulle vie che portano a Gerusalemme le orme del Cardinal Martini, alle cui opere dedica tanta parte dei suoi studi. L’ultimo suo saggio si intitola La nuova strada. Carlo Maria Martini, gli Esercizi e la Parola, edizioni Terra Santa.


GUARDA  IL VIDEO
Puntata di Soul  del 29 Giugno 2019


Zuppi scrive ai neo eletti in Parlamento: siate al servizio di tutti, “a cominciare dai più deboli e meno garantiti”

Zuppi scrive ai neo eletti in Parlamento:
siate al servizio di tutti, “a cominciare dai più deboli e meno garantiti”


Elezioni politiche: 
dichiarazione del Cardinale Presidente dopo il voto

Pubblichiamo il testo della dichiarazione del Cardinale Matteo Zuppi, Arcivescovo di Bologna e Presidente della CEI, dopo le elezioni politiche di domenica 25 settembre 2022:

“L’Italia ha bisogno dell’impegno di ciascuno, di responsabilità e di partecipazione”. Nell’appello del Consiglio Episcopale Permanente, diffuso alla vigilia delle elezioni, abbiamo sottolineato quanto sia importante essere partecipi del futuro del Paese. Purtroppo, dobbiamo registrare con preoccupazione il crescente astensionismo, che ha caratterizzato questa tornata elettorale, raggiungendo livelli mai visti in passato. È il sintomo di un disagio che non può essere archiviato con superficialità e che deve invece essere ascoltato. Per questo, rinnoviamo con ancora maggiore convinzione l’invito a “essere protagonisti del futuro”, nella consapevolezza che sia necessario ricostruire un tessuto di relazioni umane, di cui anche la politica non può fare a meno.

Agli eletti chiediamo di svolgere il loro mandato come “un’alta responsabilità”, al servizio di tutti, a cominciare dai più deboli e meno garantiti. Come abbiamo ricordato nell’appello, “l’agenda dei problemi del nostro Paese è fitta: le povertà in aumento costante e preoccupante, l’inverno demografico, la protezione degli anziani, i divari tra i territori, la transizione ecologica e la crisi energetica, la difesa dei posti di lavoro, soprattutto per i giovani, l’accoglienza, la tutela, la promozione e l’integrazione dei migranti, il superamento delle lungaggini burocratiche, le riforme dell’espressione democratica dello Stato e della legge elettorale”. Sono alcune delle sfide che il Paese è chiamato ad affrontare fin da subito. Senza dimenticare che la guerra in corso e le sue pesanti conseguenze richiedono un impegno di tutti e in piena sintonia con l’Europa.

La Chiesa, come già ribadito, “continuerà a indicare, con severità se occorre, il bene comune e non l’interesse personale, la difesa dei diritti inviolabili della persona e della comunità”. Da parte sua, nel rispetto delle dinamiche democratiche e nella distinzione dei ruoli, non farà mancare il proprio contributo per la promozione di una società più giusta e inclusiva.
(fonte: Sito ufficiale della Conferenza Episcopale Italiana)


martedì 27 settembre 2022

Cristiana Dobner: Il Pane eucaristico è la nostra manna per sempre

Cristiana Dobner
Il Pane eucaristico è la nostra manna per sempre

Solo quando il pane viene spezzato diventa il Pane, solo quando ci lasciamo spezzare aprendoci all’accoglienza, al servizio degli altri e così vengono spezzate quelle nostre radicatissime fibre di egoismo che ci abitano, solo allora può germinare la pace, quella vera e non si insinua quel silente clima che prelude alla guerra, alla divisione, alla sopraffazione che poi sfocia, irrimediabilmente, in un conflitto che mira solo a conquistare e ad uccidere

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

“Il gusto della vita”, come per i due discepoli di Emmaus, è per noi, un dono che attende solo di essere accolto: vogliamo lasciar tessere la nostra vita da quel Pane che è Egli stesso per noi.
La manna non è soltanto un racconto, o peggio un aneddoto biblico, è un evento che si può toccare con mano perché avvenuto nella realtà, perché volto a lodare l’Altissimo che soccorre quando ormai tutto viene a mancare.

I botanici ci insegnano che molte piante producono la manna, cioè una sorta di lattice ma il popolo d’Israele non l’aveva mai conosciuta e, ancor meno, non l’aveva mai mangiata. Dovette quindi apprendere a riconoscere la manna, a raccoglierla quando fosse protetta dai due strati di rugiada, per poi giungere a quella soglia così ardua per ogni persona umana: imparare a non conservare, a non ammassare per sentirsi al sicuro, per poter contare su di sé e dirsi: “Ne ho per un tempo lungo”.

Chi agisce così ha assimilato e fatta propria la mentalità del business, del marketing, degli affari e dei guadagni che, pare, mettano al sicuro l’esistenza.
Ben altro è richiesto a chi segue l’Altissimo: accettare da Lui quanto ti offre, giorno per giorno, e affidarti credendo che Egli non ti mancherà mai, in qualsiasi momento, in qualsiasi circostanza.
Non è immediato avvertire, magari anche in anticipo, i morsi della fame, i richiami della propria fisicità e dirsi: “Se oggi mi sono nutrito, Egli è Padre generoso e mi provvede tutto, anche per il futuro”. Si insinua un terribile e devastante dubbio: “…ma forse domani non potrebbe smettere di esserLo?”.
L’angoscia del domani e il controllo su di sé patiscono uno scacco matto ben conosciuto: tu raccogli, metti da parte, valuti le tue risorse ma non puoi valutare e, tanto meno, prevedere quanto in realtà accade o accadrà. Tant’è vero che l’indomani la tua riserva pullulerà di vermi.

Secoli sono passati e ancora noi non ci crediamo e poniamo sempre davanti la nostra capacità di valutazione, di conoscenza della storia e di ogni vicenda umana, dimenticando che siamo sempre solo secondi e che il primo è sempre Colui che ci ha creati e salvati.

Manna salutare e salvifica se presa dalle Sue mani. Affidata alle nostre mani, quando vogliono essere indipendenti ed assolute, verminose.
La tradizione dei Maestri d’Israele ci insegna che lo sguardo dell’Altissimo era già chino sul suo popolo ben prima che sperimentasse l’indigenza dell’attraversata del deserto, perché la manna era una delle dieci cose da Lui create al crepuscolo della vigilia del primo Shabbat: aveva un sapore come il pane per i giovani adulti, di pasta impastata nell’olio per gli anziani e di pasta fritta nel miele per i bambini.

Manna sempre per noi il Pane eucaristico.

Solo quando il pane viene spezzato diventa il Pane, solo quando ci lasciamo spezzare aprendoci all’accoglienza, al servizio degli altri e così vengono spezzate quelle nostre radicatissime fibre di egoismo che ci abitano, solo allora può germinare la pace, quella vera e non si insinua quel silente clima che prelude alla guerra, alla divisione, alla sopraffazione che poi sfocia, irrimediabilmente, in un conflitto che mira solo a conquistare e ad uccidere.
Matera e sassi, arte e antichità, stupore per la civiltà, per la popolazione e per la natura che si rivela sempre diversa e straordinaria.
Guardando queste masse pietrose, possiamo dirci: da sassi a pietre vive.
Pietre che pulsino di ardore, di vitalità perché radicate in Colui che è la Pietra viva, nostra Pace.
(fonte: Sir 25 Settembre 2022)

Terra Madre, sos di don Ciotti: “Il cibo c’è ma si muore di povertà”

Terra Madre, sos di don Ciotti:
“Il cibo c’è ma si muore di povertà”

Il fondatore di Libera con gli attivisti di Slow Food e il rapper Willie Peyote: “La fame è criminale”

Don Ciotti e Willie Peyote a Terra Madre

«Si muore di fame non per la scarsità del cibo (quello c’è) ma per la povertà»: Barbara Nappini, presidente Slow Food Italia, dà l’imprinting al dibattito, ecco la prospettiva da cui partire: obbliga a sentirsi responsabili, non è colpa della natura carente ma dell’uomo ingiusto. Nel giorno dell’Italia al voto e del silenzio elettorale, chi non smette di fare politica è Terra Madre Salone del Gusto. Sul palco don Luigi Ciotti si accalora: «Non è possibile, non è possibile, non è possibile» lo ripete tre volte al pubblico arrivato dal mondo (ieri c’era così tanta gente che nel pomeriggio sono stati momentaneamente chiusi gli accessi al Parco Dora). Ce l’ha con le tre multinazionali che da sole governano il 63% del mercato mondiale delle sementi e il 75% di quello degli agrofarmaci. Ce l’ha con la «povertà politica: negli ultimi anni siamo tornati indietro sul fronte dei diritti al cibo, anche a causa del Covid e di 59 guerre». Ce l’ha, soprattutto, con chi si gira dall’altra parte e delega la soluzione dei problemi, con i rassegnati, quegli ignavi che già Dante aveva messo all’Inferno: «Serve uno scatto - tuona - ci vuole senso di responsabilità, serve una politica più attenta, seria, credibile, che sappia parlare ai ragazzi: loro sono pronti».

Diritto al cibo: la strada è ancora troppo lunga. L’sos è in più lingue, attraverso più linguaggi, quello del sacerdote, ma anche quello del rapper. Il torinese Willie Peyote, che le battaglie le canta in rima, questa volta è qui per ricordare quanto proprio i più giovani siano in fondo, oggi, i più sensibili, attenti, disposti a cambiare. A 37 anni mette in guardia dalla deriva culturale e si dice convinto da «questi ragazzi che sono tornati a scendere in piazza, dopo il G8 di Genova ce l’avevano impedito. Ripartiamo da noi, eliminiamo la logica del profitto, lasciamo perdere i miliardari che fanno gli influencer», sembra di sentirlo rappare «capiamo fino in fondo quanto siamo tutti uguali; perché i diritti civili, senza diritti sociali, restano diritti individuali».

Antonio Augusto Mendes Dos Santos, «guardiano di semi» (c’è della poesia nel suo ruolo di attivista Slow Food) lo schiaffo lo dà in portoghese: «Mangiando a Terra Madre non ho ancora visto un convinto atteggiamento per evitare lo spreco: cambiamo passo». È arrivato a Torino dal Brasile per denunciare l’emergenza del suo Paese: «Trentatrè milioni di persone non sanno se riusciranno a mangiare il prossimo pasto» e accendere una luce sui bambini: «Molti mangiano una sola volta al giorno, ma il governo non ha approvato l’aumento della spesa per l’alimentazione scolastica». C’è anche Victoria Tauli-Corpuz, leader indigena del Kankana-ey Igorot, nelle Filippine (una comunità tanto piccola che non esiste nemmeno su Wikipedia, fa notare Marco Zatterin, vicedirettore de La Stampa, moderatore del dibattito), a chiedere «protezione e tutela dei popoli indigene, migliori custodi della biodiversità». Messaggi recepiti, dentro le cuffiette con la traduzione simultanea, arriva l’ultimo grido di don Ciotti: «La fame è criminale!».
(fonte: La Stampa -Torino, articolo di Miriam Massone 26/09/2022)


lunedì 26 settembre 2022

Antonio Mazzeo - Carovana pacifista in marcia tra aiuti ai civili e nonviolenza

Antonio Mazzeo
Carovana pacifista in marcia
tra aiuti ai civili e nonviolenza

CRISI UCRAINA. Oggi la partenza dall'Italia: dal 26 settembre al 3 ottobre, da Chernivtsi a Kiev, gli incontri con sindacati, associazioni e disertori

Una delle precedenti carovane della coalizione italiana Stop the War Now nella città di Mykolaiv

Da una parte l’establishment politico-militare di Mosca che per ribaltare le sconfitte al fronte ordina il richiamo di oltre 300mila riservisti e minaccia a «scopo difensivo» l’uso di armi nucleari tattiche.

Dall'altra il regime ucraino che invoca ancora più armi micidiali (dai droni killer ai missili a medio raggio) e si dichiara disponibile a trattare solo dopo aver conquistato la Crimea e il Donbass. Inizia l’autunno ma il conflitto russo-ucraino è ancora lontanissimo dal mostrare un pur minimo raffreddamento.

Anzi, è in atto una pericolosissima escalation bellico-militare, alimentata dalle cancellerie dei paesi Nato. Da Washington a Londra, da Parigi a Roma e Berlino, sembra assistere a una folle gara tra chi soffia di più sull’incendio divampato nel cuore dell’Europa orientale dopo l’invasione russa del 24 febbraio scorso.

Ma è ancora possibile fermare una guerra che ha già prodotto conseguenze devastanti in mezzo mondo, ri-alimentando gli irrisolti conflitti in Caucaso, nei Balcani, in Siria e nel continente africano?

Sì, ci credono ancora le oltre 175 associazioni italiane che hanno promosso la campagna «Stop the War Now» con il fine di lanciare un messaggio di solidarietà e di opposizione al conflitto in Ucraina. Tonnellate di aiuti umanitari inviati alle comunità devastate dai bombardamenti ma soprattutto una presenza costante di attiviste e attivisti a fianco delle vittime innocenti del conflitto, bambini, donne e anziani, perché è con la condivisione del dolore e della speranza che si possono ricostruire ponti di pace, dialogo, trattative e cooperazione.

Dal 26 settembre al 3 ottobre un nuovo step di questo difficile e “utopico” percorso di diplomazia dal basso. Una delegazione italiana della società civile guidata dalla ong Un Ponte Per e dal Movimento Nonviolento si recherà in Ucraina per ribadire la richiesta di immediata cessazione dell’invasione russa e l’avvio di negoziati tra le parti per dirimere con la diplomazia le attuali controversie. Ma soprattutto per offrire un concreto sostegno alle realtà nonviolente ucraine impegnate nella costruzione della pace.

«Dopo due delegazioni e alcune missioni esplorative realizzate nei mesi passati, le organizzazioni della carovana “Stop The War Now” torneranno in Ucraina per svolgere una serie di incontri con la società civile impegnata nel supporto umanitario alle vittime del conflitto, nella costruzione della pace, nel sostegno all’obiezione di coscienza e nelle azioni di resistenza nonviolenta», spiegano gli organizzatori della Carovana.

«Tra gli obiettivi della missione quello di gettare le basi per stringere accordi di partenariato tra le associazioni italiane e le organizzazioni della società civile ucraini. Puntiamo inoltre al rilancio a livello internazionale della campagna di sostegno agli obiettori di coscienza ucraini attualmente sotto processo o inchiesta da parte della Procura generale ucraina, accusati di alto tradimento».

Nei mesi scorsi numerose organizzazioni internazionali per i diritti umani hanno promosso una campagna a favore del giornalista e obiettore Ruslan Kotsaba, perseguitato a livello giudiziario dopo aver diffuso appelli contro la guerra, alcuni già nel 2014, quando divampò il conflitto nella martoriata regione del Donbass.

Un’analoga iniziativa a sostegno degli obiettori di coscienza è portata avanti da Un Ponte Per e Movimento Nonviolento anche sul versante russo, tanto più alla luce di una sempre crescente mobilitazione alle armi dei giovani decisa da Putin.

«La delegazione italiana ha l’obiettivo di costituire reti tra tutti quei soggetti, laici e religiosi, che si pongono il problema della convivenza tra diversi, del rispetto del pluralismo linguistico e culturale, del sostegno anche psicologico alle vittime della violenza e della guerra», aggiungono gli organizzatori della Carovana. «L’iniziativa che prenderà il via lunedì 26 sarà anche l’occasione per lanciare una raccolta fondi per sostenere le spese legali e processuali degli attivisti ucraini sotto inchiesta, e sostenere il loro prezioso lavoro di costruzione della pace».

In agenda un denso programma di incontri, con una prima tappa a Chernivtsi, città in cui l’università ha accolto centinaia di persone sfollate e si trova in estremo bisogno di aiuti umanitari. Poi a Kiev, dove la delegazione italiana visiterà associazioni umanitarie, il Movimento Pacifista Ucraino e le organizzazioni sindacali. In Ucraina sarà inoltre portato un carico di aiuti umanitari destinati alla popolazione.

Faranno parte della delegazione attiviste/i di Arci, Arcs, Anche Noi Cittadinanza Attiva, Casa Delle Donne Pisa, Cospe, Coop.Mag4 Piemonte, Gruppo Abele, Equa, Libera, Pax Christi, Jef Europa, Movimento Nonviolento e Un Ponte Per.
(fonte: Il Manifesto 26/09/2022)


27° CONGRESSO EUCARISTICO NAZIONALE - «Oltre al primato di Dio, l’Eucaristia ci chiama all’amore dei fratelli. Questo Pane è per eccellenza il Sacramento dell’amore... la nostra vita diventi pane che sfama i fratelli.» Omelia - «Alla Vergine Maria, Donna eucaristica affidiamo il cammino della Chiesa in Italia ... E invochiamo la sua materna intercessione per i bisogni più urgenti del mondo.» Angelus 25/09/2022 (cronaca, foto, testi e video)

VISITA PASTORALE A MATERA
PER LA CONCLUSIONE DEL 27° CONGRESSO EUCARISTICO NAZIONALE

CONCELEBRAZIONE EUCARISTICA

Stadio comunale XXI Settembre (Matera)

Domenica, 25 settembre 2022


Papa Francesco per recarsi in visita pastorale a Matera per la conclusione del 27° Congresso eucaristico nazionale, ha lasciato Casa Santa Marta alle ore 6.30, in anticipo a causa delle condizioni metereologiche, e si è trasferito all’Aeroporto di Roma-Ciampino da dove – alle 7 – è partito  non con l'elicottero, come previsto, ma con un aereo, atterrando quindi a Gioia del Colle e percorrendo poi in macchina il percorso per Matera. 
Il programma della visita è stato anche ridotto all’osso, per permettere anche ai delegati del Congresso Eucaristico Nazionale di tornare nei loro luoghi di origine a votare.
Al suo arrivo, raggiunto il Campo-scuola di Atletica Leggera “Raffaele Duni”, dopo aver effettuato il cambio di vettura, Francesco si è recato allo Stadio comunale XXI Settembre dove viene accolto dal card. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Conferenza Episcopale Italiana; da mons. Antonio Giuseppe Caiazzo, arcivescovo di Matera-Irsina; dal presidente della Regione, Vito Bardi; dal prefetto di Matera, Sante Copponi; dal sindaco di Matera, Domenico Bennardi, e da Piero Marrese, presidente Provincia di Matera.

Accolto con entusiasmo dalla gente per strada e dai 12.300 fedeli raccolti nello stadio cittadino, il Pontefice ha concelebrato con gli 80 vescovi di tutta Italia, presenti al Congresso e centinaia di sacerdoti.

Alle 9 il Santo Padre ha presieduto la Messa.





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OMELIA DEL SANTO PADRE

Ci raduna attorno alla sua mensa il Signore, facendosi pane per noi: «È il pane della festa sulla tavola dei figli, […] crea condivisione, rafforza i legami, ha gusto di comunione» (Inno XVII Congresso Eucaristico Nazionale, Matera 2022). Eppure, il Vangelo che abbiamo appena ascoltato ci dice che non sempre sulla tavola del mondo il pane è condiviso: questo è vero; non sempre emana il profumo della comunione; non sempre è spezzato nella giustizia.

Ci fa bene fermarci davanti alla scena drammatica descritta da Gesù in questa parabola che abbiamo ascoltato: da una parte un ricco vestito di porpora e di bisso, che sfoggia la sua opulenza e banchetta lautamente; dall’altra parte, un povero, coperto di piaghe, che giace sulla porta sperando che da quella mensa cada qualche mollica di cui sfamarsi. E davanti a questa contraddizione – che vediamo tutti i giorni – davanti a questa contraddizione ci chiediamo: a che cosa ci invita il sacramento dell’Eucaristia, fonte e culmine della vita del cristiano?

Anzitutto, l’Eucaristia ci ricorda il primato di Dio. Il ricco della parabola non è aperto alla relazione con Dio: pensa solo al proprio benessere, a soddisfare i suoi bisogni, a godersi la vita. E con questo ha perso anche il nome. Il Vangelo non dice come si chiamava: lo nomina con l’aggettivo “un ricco”, invece del povero dice il nome: Lazzaro. Le ricchezze ti portano a questo, ti spogliano anche del nome. Soddisfatto di sé, ubriacato dal denaro, stordito dalla fiera delle vanità, nella sua vita non c’è posto per Dio perché egli adora solo se stesso. Non a caso, di lui non si dice il nome: lo chiamiamo “ricco”, lo definiamo solo con un aggettivo perché ormai ha perduto il suo nome, ha perduto la sua identità che è data solo dai beni che possiede. Com’è triste anche oggi questa realtà, quando confondiamo quello che siamo con quello che abbiamo, quando giudichiamo le persone dalla ricchezza che hanno, dai titoli che esibiscono, dai ruoli che ricoprono o dalla marca del vestito che indossano. È la religione dell’avere e dell’apparire, che spesso domina la scena di questo mondo, ma alla fine ci lascia a mani vuote: sempre. A questo ricco del Vangelo, infatti, non è rimasto neanche il nome. Non è più nessuno. Al contrario, il povero ha un nome, Lazzaro, che significa “Dio aiuta”. Pur nella sua condizione di povertà e di emarginazione, egli può conservare integra la sua dignità perché vive nella relazione con Dio. Nel suo stesso nome c’è qualcosa di Dio e Dio è la speranza incrollabile della sua vita.

Ecco allora la sfida permanente che l’Eucaristia offre alla nostra vita: adorare Dio e non se stessi, non noi stessi. Mettere Lui al centro e non la vanità del proprio io. Ricordarci che solo il Signore è Dio e tutto il resto è dono del suo amore. Perché se adoriamo noi stessi, moriamo nell’asfissia del nostro piccolo io; se adoriamo le ricchezze di questo mondo, esse si impossessano di noi e ci rendono schiavi; se adoriamo il dio dell’apparenza e ci inebriamo nello spreco, prima o dopo la vita stessa ci chiederà il conto. Sempre la vita ci chiede il conto. Quando invece adoriamo il Signore Gesù presente nell’Eucaristia, riceviamo uno sguardo nuovo anche sulla nostra vita: io non sono le cose che possiedo o i successi che riesco a ottenere; il valore della mia vita non dipende da quanto riesco a esibire né diminuisce quando vado incontro ai fallimenti e agli insuccessi. Io sono un figlio amato, ognuno di noi è un figlio amato; io sono benedetto da Dio; Lui mi ha voluto rivestire di bellezza e mi vuole libero, mi vuole libera da ogni schiavitù. Ricordiamoci questo: chi adora Dio non diventa schiavo di nessuno: è libero. Riscopriamo la preghiera di adorazione, una preghiera che si dimentica con frequenza. Adorare, la preghiera di adorazione, riscopriamola: essa ci libera e ci restituisce alla nostra dignità di figli, non di schiavi.

Oltre al primato di Dio, l’Eucaristia ci chiama all’amore dei fratelli. Questo Pane è per eccellenza il Sacramento dell’amore. È Cristo che si offre e si spezza per noi e ci chiede di fare altrettanto, perché la nostra vita sia frumento macinato e diventi pane che sfama i fratelli. Il ricco del Vangelo viene meno a questo compito; vive nell’opulenza, banchetta abbondantemente senza neanche accorgersi del grido silenzioso del povero Lazzaro, che giace stremato alla sua porta. Solo alla fine della vita, quando il Signore rovescia le sorti, finalmente si accorge di Lazzaro, ma Abramo gli dice: «Tra noi e voi è stato fissato un grande abisso» (Lc 16,26). Ma l’hai fissato tu: tu stesso. Siamo noi, quando nell’egoismo fissiamo degli abissi. Era stato il ricco a scavare un abisso tra lui e Lazzaro durante la vita terrena e adesso, nella vita eterna, quell’abisso rimane. Perché il nostro futuro eterno dipende da questa vita presente: se scaviamo adesso un abisso con i fratelli e le sorelle –, ci “scaviamo la fossa” per il dopo; se alziamo adesso dei muri contro i fratelli e le sorelle, restiamo imprigionati nella solitudine e nella morte anche dopo.

Cari fratelli e sorelle, è doloroso vedere che questa parabola è ancora storia dei nostri giorni: le ingiustizie, le disparità, le risorse della terra distribuite in modo iniquo, i soprusi dei potenti nei confronti dei deboli, l’indifferenza verso il grido dei poveri, l’abisso che ogni giorno scaviamo generando emarginazione, non possono – tutte queste cose – lasciarci indifferenti. E allora oggi, insieme, riconosciamo che l’Eucaristia è profezia di un mondo nuovo, è la presenza di Gesù che ci chiede di impegnarci perché accada un’effettiva conversione: conversione dall’indifferenza alla compassione, conversione dallo spreco alla condivisione, conversione dall’egoismo all’amore, conversione dall’individualismo alla fraternità.

Fratelli e sorelle, sogniamo. Sogniamo una Chiesa così: una Chiesa eucaristica. Fatta di donne e uomini che si spezzano come pane per tutti coloro che masticano la solitudine e la povertà, per coloro che sono affamati di tenerezza e di compassione, per coloro la cui vita si sta sbriciolando perché è venuto a mancare il lievito buono della speranza. Una Chiesa che si inginocchia davanti all’Eucaristia e adora con stupore il Signore presente nel pane; ma che sa anche piegarsi con compassione e tenerezza dinanzi alle ferite di chi soffre, sollevando i poveri, asciugando le lacrime di chi soffre, facendosi pane di speranza e di gioia per tutti. Perché non c’è un vero culto eucaristico senza compassione per i tanti “Lazzaro” che anche oggi ci camminano accanto. Tanti!

Fratelli, sorelle, da questa città di Matera, “città del pane”, vorrei dirvi: ritorniamo a Gesù, ritorniamo all’Eucaristia. Torniamo al gusto del pane, perché mentre siamo affamati di amore e di speranza, o siamo spezzati dai travagli e dalle sofferenze della vita, Gesù si fa cibo che ci sfama e ci guarisce. Torniamo al gusto del pane, perché mentre nel mondo continuano a consumarsi ingiustizie e discriminazioni verso i poveri, Gesù ci dona il Pane della condivisione e ci manda ogni giorno come apostoli di fraternità, apostoli di giustizia, apostoli di pace. Torniamo al gusto del pane per essere Chiesa eucaristica, che mette Gesù al centro e si fa pane di tenerezza, pane di misericordia per tutti. Torniamo al gusto del pane per ricordare che, mentre questa nostra esistenza terrena va consumandosi, l’Eucaristia ci anticipa la promessa della risurrezione e ci guida verso la vita nuova che vince la morte.

Pensiamo oggi sul serio al ricco e a Lazzaro. Succede ogni giorno, questo. E tante volte anche – vergogniamoci – succede in noi, questa lotta, fra noi, nella comunità. E quando la speranza si spegne e sentiamo in noi la solitudine del cuore, la stanchezza interiore, il tormento del peccato, la paura di non farcela, torniamo ancora al gusto del pane. Tutti siamo peccatori: ognuno di noi porta i propri peccati. Ma, peccatori, torniamo al gusto dell’Eucaristia, al gusto del pane. Torniamo a Gesù, adoriamo Gesù, accogliamo Gesù. Perché Lui è l’unico che vince la morte e sempre rinnova la nostra vita.

Guarda il video dell'omelia
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Il cardinale Zuppi nel suo saluto finale al Papa lo ha ringraziato per la sua presenza. "Grazie di questa fatica che volentieri, e sempre con il sorriso, ha intrapreso per stare con noi. Lei è davvero un esempio per tutti, anche per tanti musoni". "Oggi a Matera - ha aggiunto - ci sono tutte le Chiese d’Italia. È una grazia iniziare il secondo anno del nostro Cammino sinodale con questa tappa. Ci mettiamo in cammino e camminiamo insieme solo se siamo con Gesù, se ci nutriamo del Verbum Domini e del Corpus Domini, solo se prendiamo sul serio il suo 'seguimi' rivolto a ognuno di noi, oggi. Ecco, nel Congresso Eucaristico di Matera, città del pane e di tanta laboriosa accoglienza, abbiamo messo al centro Gesù, la sua presenza di amore che ci rende una cosa sola con Lui e tra di noi. Abbiamo riscoperto il gusto del pane che ci rende famiglia di Dio".
Durante il Covid, ha detto il porporato, molti sono rimasti un tempo privati del gusto. Perdiamo il gusto del pane per colpa di un altro insidioso virus, l’individualismo". E l’individualismo "porta a dividersi dagli altri, tanto che il mondo arriva alla guerra che poi toglie valore all’individuo e genera solo il gusto della morte. La guerra brucia i campi di grano, toglie il pane e fa morire di fame, trasforma i fratelli in nemici". Ma in un mondo così "abbiamo trovato il gusto del pane che ci dona sempre l’Eucaristia, frutto dell’amore pieno di Cristo che diventa amore per i suoi fratelli più piccoli e per il prossimo. Abbiamo ritrovato il gusto di spezzare il suo pane con i tanti, troppi, Lazzaro esclusi dalle mense dei ricchi, tabernacolo del corpo di Cristo. Il gusto del pane è amabilità empatia verso tutti, passione di ricostruire la comunità lacerata, di difendere la casa comune. gioia, compassione di cinque pani e due pesci che sfamano tutti".

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Dopo le Parole di ringraziamento del presidente della Cei, il Papa guida la recita dell’Angelus.

ANGELUS


Al termine di questa Celebrazione, desidero ringraziare tutti voi che vi avete preso parte, rappresentando il Popolo santo di Dio che è in Italia. E sono grato al Cardinale Zuppi che se n’è fatto portavoce. Mi congratulo con la Comunità diocesana di Matera-Irsina per lo sforzo organizzativo e di accoglienza; e ringrazio tutti coloro che hanno collaborato per questo Congresso Eucaristico.

Ora, prima di concludere, ci rivolgiamo alla Vergine Maria, Donna eucaristica. A Lei affidiamo il cammino della Chiesa in Italia, perché in ogni comunità si senta il profumo di Cristo Pane vivo disceso dal Cielo. Io oserei oggi chiedere per l’Italia: più nascite, più figli. E invochiamo la sua materna intercessione per i bisogni più urgenti del mondo.

Penso, in particolare, al Myanmar. Da più di due anni quel nobile Paese è martoriato da gravi scontri armati e violenze, che hanno causato tante vittime e sfollati. Questa settimana mi è giunto il grido di dolore per la morte di bambini in una scuola bombardata. Si vede che è la moda, bombardare le scuole, oggi, nel mondo! Che il grido di questi piccoli non resti inascoltato! Queste tragedie non devono avvenire!

Maria, Regina della Pace, conforti il martoriato popolo ucraino e ottenga ai capi delle Nazioni la forza di volontà per trovare subito iniziative efficaci che conducano alla fine della guerra.

Mi unisco all’appello dei Vescovi del Camerun per la liberazione di alcune persone sequestrate nella Diocesi di Mamfe, tra cui cinque sacerdoti e una religiosa. Prego per loro e per le popolazioni della provincia ecclesiastica di Bamenda: il Signore doni pace ai cuori e alla vita sociale di quel caro Paese.

Oggi, in questa domenica, la Chiesa celebra la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, sul tema “Costruire il futuro con i migranti e i rifugiati”. Rinnoviamo l’impegno per edificare il futuro secondo il disegno di Dio: un futuro in cui ogni persona trovi il suo posto e sia rispettata; in cui i migranti, i rifugiati, gli sfollati e le vittime della tratta possano vivere in pace e con dignità. Perché il Regno di Dio si realizza con loro, senza esclusi. È anche grazie a questi fratelli e sorelle che le comunità possono crescere a livello sociale, economico, culturale e spirituale; e la condivisione di diverse tradizioni arricchisce il Popolo di Dio. Impegniamoci tutti a costruire un futuro più inclusivo e fraterno! I migranti vanno accolti, accompagnati, promossi e integrati.

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Al termine della celebrazione eucaristica, il Santo Padre si congeda dalle Autorità che lo avevano accolto all’arrivo e fa rientro in Vaticano
Ma prima c'è stato anche un fuoriprogramma. Sulla via del ritorno si è fermato alla "Casa della Fraternità don Giovanni Mele", con la nuova mensa per i poveri nel quartiere Piccianello, che ha benedetto e di fatto inaugurato. Un gesto assolutamente in linea con quanto il Papa ha detto nella sua omelia.

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