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venerdì 15 novembre 2024

Al sinodo… aprite le finestre!


Al sinodo… aprite le finestre!

Inizia oggi l’assemblea sinodale italiana: il rischio, reale, è che sia per pochi. L’augurio è, invece, che sia un movimento concreto della chiesa, vincendo pessimismi e paure, per giungere a molti.




Se escludo gli ‘addetti ai lavori’ (sacerdoti, laici con responsabilità ecclesiali, consacrate, giornalisti), nessuno delle persone che conosco sa che oggi comincia la prima assemblea sinodale della Chiesa italiana. E non parlo tanto di uomini e donne che all’apparenza non hanno una vita di fede, che non alimentano un cammino spirituale o mancano di interesse verso il Vangelo; mi riferisco, invece, a (pochi) giovani e (tanti) anziani, coppie o single, con varie ‘temperature’ di adesione e appartenenza ecclesiale, che magari frequentano con regolarità le liturgie domenicali, che sono impegnati in servizi preziosi (caritas, missionarietà, interventi culturali). Ebbene, nessuno di quelli a cui ho domandato nei giorni scorsi sapeva che la chiesa italiana è in cammino per un ‘cantiere sinodale’ che ne rilegga la vita, aprendola al futuro.
Forse, qualcuno, ha sentito che ‘c’è un sinodo’: ma cosa esso sia, che differenza è riscontrabile tra quello generale appena concluso e quello italiano, quali metodi e obiettivi la chiesa italiana vorrebbe darsi… beh, su tutto questo c’è una fitta nebbia. Non se ne parla, se non dentro certe ‘bolle’; qualcuno confonde questionari, interviste, azioni…

Tutto ciò, mi pare, è un grosso problema; perché se la chiesa italiana — ossia le comunità formate dai fedeli battezzati — non ha consapevolezza di ciò che accade al suo interno, quali sono i punti nodali del dialogo, cosa realmente si muove nel tessuto che la costituisce, difficilmente vi potrà essere radicamento reale, concreto; e, ugualmente, difficilmente vi potrà essere contributo, apporto, nutrimento del dialogo e delle sue conclusioni. Il rischio, ancora una volta, è che si metta in moto un grande meccanismo, che tuttavia non supera i confini ristretti di coloro che sono stati coinvolti — per motivi professionali, per convinzioni personali, per competenze di studio e di esperienza. Ma al ‘popolo di Dio’ che stamattina ha preso un treno, è salito in un’auto, è entrato in una scuola o in un’università, in una fabbrica o in ufficio, che ha acceso un trattore o ha gettato una rete in mare… ebbene, a questo popolo di Dio, che cosa arriverà? Che cosa è arrivato? Tra posizionamenti e sensibilità differenti, tra speranze di mutamento e timori, che cosa giunge a uomini e donne che stamattina si sono alzati per vivere la loro giornata? Non si può ignorare la questione: che cosa del Sinodo ha toccato e tocca l’umanità che attraversa la penisola?

Se sapremo porci il problema, allora sapremo anche tentare di immaginare qualche via maggiore di comunicazione, di coinvolgimento, di partecipazione. Certo, il contesto è postcristiano; certo, la gran parte delle persone si arrabatta nel proprio quotidiano tra luci e ombre, tra preoccupazioni legittime, pesi da portare, fughe consolatorie, vite da costruire. Eppure, il rischio è quello che si passi, anche dentro il ‘recinto ecclesiale’, dalla preoccupazione perché la molteplicità non crei fratture (ognuno ha la sua ricetta per rimettere in cammino la fede) all’indifferenza, che è sorella del pessimismo: tanto non cambia niente, tanto sarà sempre tutto come prima; solo il tempo passa, e noi siamo semplicemente più ridotti di numero, più stanchi, più sfiduciati. Dunque, inutile custodire speranze, inutile pensare a nuovi orizzonti, inutile credere che qualcosa nella vita comunitaria particolare possa realmente mutare. Fra due anni saremo ancora qui a dire: occasione sprecata. E così, tra chi non sa, chi non si interessa, chi è indifferente, chi ha smarrito le attese, il Sinodo rischia di non toccare le esistenze che di pochissimi. E questo rischio, che c’è, palpabile e manifesto, sarebbe un ulteriore spreco, sarebbe un talento sotterrato per paura.
L’augurio, invece, è che, seppur lentamente, la Chiesa italiana si muova; non per prodursi in enunciati retorici, in appelli inconcludenti, in castelli di parole senza radice, in dichiarazioni di fedeltà al Vangelo che poi, all’atto pratico, sono pennellate di buoni sentimenti.
Care amiche e cari amici che stamattina aprite le vostre finestre sul mondo, prima di andare all’assemblea sinodale in Roma: pensate a quanti hanno fatto lo stesso gesto, nel loro piccolo, per andare nei loro posti di lavoro e studio, di cura e di riposo… senza sapere cosa vi conduce a san Paolo fuori le Mura.

Fratelli e sorelle: aprite le finestre anche della Chiesa che abitiamo: per guardare fuori, per farci guardare dentro, per aiutarci a capire dove ci aspetta, oggi, il Risorto.
(fonte: Vino Nuovo, articolo di Sergio Di Benedetto 15/11/2024)


venerdì 8 novembre 2024

Missionaria e sinodale: ecco la Chiesa che piace ai giovani

Missionaria e sinodale:
ecco la Chiesa che piace ai giovani

Anche i giovani hanno partecipato al percorso di ascolto e discernimento sinodale, che deve continuare attraverso un'alleanza intergenerazionale

Papa Francesco posa con dei ragazzi per un 'selfie' durante l'udienza generale in piazza San Pietro, Città del Vaticano, 01 aprile 2015. Foto Ansa/Osservatore romano.

Non solo esperti del digitale, ma capaci di relazioni umane sane e feconde, consapevoli e desiderosi di dare il loro contributo al rinnovamento sinodale della Chiesa. I giovani, che già nel 2018 avevano risposto alla convocazione di papa Francesco in occasione del Sinodo a loro dedicato, in questi anni hanno partecipato attivamente al percorso di ascolto e discernimento della Chiesa.

«Particolarmente sensibili ai valori della fraternità e della condivisione» li definisce il Documento finale della Seconda Sessione della XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi. «A volte il loro atteggiamento verso la Chiesa si presenta come una critica, ma spesso assume la forma positiva di un impegno personale per una comunità accogliente e impegnata a lottare contro l’ingiustizia sociale e per la cura della casa comune».

A offrire un’istantanea delle attese e delle speranze dei giovani, nel mese di ottobre 2024, la testata online di Avvenire ha pubblicato alcune «lettere» ai padri sinodali, frutto di una recente ricerca dell’Osservatorio giovani dell’Istituto Toniolo, che raccoglie le loro voci sotto forma di missiva. In una di esse si legge: «Cari padri sinodali, […] una foto in particolare ci ha colpito, e vorremmo prenderla come simbolo e promessa della Chiesa che anche noi desideriamo: vi ritrae attorno a grandi tavoli rotondi, a dialogare e discutere. Poche persone attorno a ogni tavolo, così la relazione tra voi può essere faccia a faccia. Il tavolo è rotondo, non ci sono lati e non ci può essere un capotavola. […] Ecco, questa è la Chiesa che ci piace, che vorremmo sperimentare con lo stesso stile anche nelle nostre parrocchie e nelle nostre chiese».

Pur con tutte le contraddizioni che caratterizzano la loro età, i giovani hanno bisogno di fare sentire la loro voce, vogliono riaffermare l’impegno a «camminare insieme nel quotidiano» pronti a sfidarne la precarietà, il senso di vuoto e di abbandono che pervade a volte la vita facendola scivolare nel nonsenso; sono disposti a dire “no” a una cultura dell’odio e della violenza che li vorrebbe controllare proponendosi come scelta obbligata e unica risoluzione dei conflitti. Nella società «liquida» cercano il loro posto, bisognosi di qualcuno che sappia intercettare il loro desiderio di bene.

Dei giovani la Chiesa sinodale vuole prendersi cura, accompagnandone il cammino di crescita e di discernimento, senza «soffocarli» con atteggiamenti paternalistici o autoritari, ma camminando insieme, valorizzandone i doni e le diversità, coinvolgendoli maggiormente negli organismi di partecipazione, impegnandosi a creare ambienti sani in cui possano crescere ed esprimere il meglio di sé.

A loro, nel Documento finale del Sinodo, viene chiesto di essere artefici di una cultura che metta al centro la dignità di ogni persona, dove l’ambiente digitale – che sta riconfigurando «relazioni, legami e frontiere» – non sia il luogo in cui si «sperimenta solitudine ed emarginazione», e i social media non siano «utilizzati da portatori di interessi economici e politici che, manipolando le persone, divulgano ideologie e generano polarizzazioni aggressive», ma «un luogo profetico di missione e di annuncio».

Quale futuro ci attende? Saranno i giovani capaci di portare avanti l’impegno per la pace e la giustizia, per la cura della casa comune, per la difesa della vita e dei diritti della persona, per la dignità del lavoro, per un’economia equa e solidale? Non da soli! Il cammino sinodale è quell’alleanza tra le generazioni di cui papa Francesco ha spesso parlato, che lascia spazio alla creatività, alla novità, all’inclusione, al dialogo, alla ricerca «ostinata» del bene dell’altro.

«Vivendo il processo sinodale abbiamo preso nuova coscienza che la salvezza da ricevere e da annunciare passa attraverso le relazioni. La si vive e la si testimonia insieme», conclude il Documento. «La storia ci appare segnata tragicamente dalla guerra, dalla rivalità per il potere, da mille ingiustizie e sopraffazioni. Sappiamo però che lo Spirito ha posto nel cuore di ogni essere umano il desiderio di rapporti autentici e di legami veri. […] Camminando in stile sinodale, nell’intreccio delle nostre vocazioni, carismi e ministeri, e, andando incontro a tutti per portare la gioia del Vangelo, possiamo vivere la comunione che salva: con Dio, con l’umanità intera e con tutta la creazione».
(Fonte: Città Nuova, articolo di Vittoria Terenzi 7/11/2024)


giovedì 31 ottobre 2024

Enzo Bianchi Più coraggio nella Chiesa

Enzo Bianchi
Più coraggio nella Chiesa


La Repubblica - 28 ottobre 2024

È terminato il Sinodo dei vescovi voluto da Papa Francesco sul tema della sinodalità. È stato un Sinodo molto diverso dai precedenti, con sostanziali innovazioni: in un lungo processo durato più anni è stato praticato l’ascolto dei fedeli, delle chiese locali invitate a esprimere i loro desideri per una riforma della chiesa con parresìa ed estesa libertà. Anche ai non cattolici è stato chiesto di esprimersi, sebbene in realtà questo ascolto non sia avvenuto, come non è avvenuto quello dei tradizionalisti e in parte quello dei giovani. Va anche riconosciuto che per l’inerzia dei vescovi e la scarsa fiducia nel Sinodo da parte dei presbiteri la maggior parte dei cattolici non ha in alcun modo preso parte a questo processo.

Un certo ascolto si è comunque praticato, anche se questo non ha portato ad accogliere alcune domande, a discuterle, a valutarle come si conviene in un Sinodo dove, come recita l’adagio tradizionale, “ciò che riguarda tutti da tutti deve essere trattato e deliberato”.

Resta vero che durante lo svolgimento dei lavori, soprattutto della seconda sessione, appariva sempre più evidente una diversità e una distanza tra le attese: il Papa e coloro che erano deputati alla guida del Sinodo dichiaravano che il fine dei lavori sinodali era la discussione, l’acquisizione e l’affermazione della sinodalità della chiesa, mentre il popolo di Dio si attendeva risposte ad alcune richieste formulate riguardanti la valorizzazione della donna nella chiesa e una visione morale della sessualità che riconosca la nuova antropologia dominante.

Alcuni teologi hanno osservato come il Sinodo rischiasse di essere deludente, “un aborto”, con un esito che non era sopportabile soprattutto per le donne che sarebbero state tentate di lasciare la chiesa, specie nei paesi del Nord Europa, dove le richieste delle teologhe e delle femministe sono attestate da decenni.

Ora è uscito il documento finale approvato dalla stragrande maggioranza dei membri del Sinodo: è un testo interamente dedicato alla sinodalità, approfondita teologicamente e pastoralmente in modo veramente sapiente, che tiene conto delle fonti e interpreta i segni dei tempi perché si possa viverla oggi. Questo documento è un grande recupero del messaggio del Concilio Vaticano II sulla comunione nella chiesa e di questo fatto possiamo veramente rallegrarci. Se questo testo verrà recepito nelle chiese locali, nelle comunità cattoliche, potremo vedere un cambiamento, una conversione che renderà la chiesa più evangelica e più capace di essere luogo di accoglienza, di inclusione, di libertà per tutti gli esseri umani.

Ma va detto con umiltà e parresìa che l’andamento di questo Sinodo ci ha mostrato come il popolo di Dio oggi non sia ancora pronto ad accogliere novità riguardo alla donna nel ministero, riguardo alla morale sessuale e riguardo alla possibilità di presbiteri che vivono il matrimonio. E sono sicuro di poter dire che in queste materie il pastore è più profeta del gregge che con fatica gli sta dietro. È vero: queste vie di apertura non sono state dichiarate chiuse, ma io gradirei vedere più coraggio nel dire chiaramente ciò che si cerca e si studia, senza nascondimenti. Soprattutto vorrei che non si proponessero cambiamenti apparenti e non autentici, che ancora una volta finiscano per collocare la donna in una condizione di minorità, esaltandola solo in apparenza. Vorrei che non si continuasse a dire parole contraddittorie per quanti soffrono la loro emarginazione dalla chiesa a causa del rapporto con la sessualità fuori dal matrimonio.

Papa Francesco assicuri, per quanto può, questa libertà di ricerca e ci basta.
(fonte: blog dell'autore)

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Vedi anche i post precedenti:

martedì 29 ottobre 2024

Sinodalità, una conversione per essere più missionari - Il Documento finale del Sinodo: "Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione, missione" (commento/sintesi e testo integrale)

La conclusione della XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo

Il Documento finale approvato integralmente dall’assise racconta e rilancia un’esperienza di Chiesa tra “comunione, partecipazione, missione”

Sinodalità, una conversione
per essere più missionari



La proposta concreta di una visione nuova che capovolge prassi consolidate

Il Documento finale votato sabato, approvato in tutti i suoi 155 paragrafi, viene pubblicato e non diventerà oggetto di un’esortazione del Papa: Francesco ha infatti deciso che sia subito diffuso perché possa ispirare la vita della Chiesa. «Il processo sinodale non si conclude con il termine dell’assemblea ma comprende la fase attuativa» (9). Coinvolgendo tutti nel «quotidiano cammino con una metodologia sinodale di consultazione e discernimento, individuando modalità concrete e percorsi formativi per realizzare una tangibile conversione sinodale nelle varie realtà ecclesiali» (9). Nel Documento, in particolare, ai vescovi si chiede molto riguardo l’impegno sulla trasparenza e sul rendere conto, mentre — come affermato anche dal cardinale Fernández, prefetto del Dicastero per la dottrina della fede — ci sono lavori in corso per dare più spazio e più potere alle donne.

Due parole-chiave che emergono dal testo — attraversato dalla prospettiva e dalla proposta della conversione — sono «relazioni» — che è un modo di essere Chiesa — e «legami», nel segno dello «scambio di doni» tra le Chiese vissuto dinamicamente e, quindi, per convertire i processi. Proprio le Chiese locali sono al centro nell’orizzonte missionario che è il fondamento stesso dell’esperienza di pluralità della sinodalità, con tutte le strutture a servizio, appunto, della missione con il laicato sempre più al centro e protagonista. E, in questa prospettiva, la concretezza dell’essere radicati in «luogo» emerge con forza dal Documento finale. Particolarmente significativa anche la proposta presentata nel Documento per far sì che i Dicasteri della Santa Sede possano avviare una consultazione «prima di pubblicare documenti normativi importanti» (135).

La struttura del Documento

Il Documento finale è formato da cinque parti (11). Alla prima — intitolata Il cuore della sinodalità — segue la seconda parte — Insieme, sulla barca di Pietro — «dedicata alla conversione delle relazioni che edificano la comunità cristiana e danno forma alla missione nell’intreccio di vocazioni, carismi e ministeri». La terza parte — Sulla tua Parola — «identifica tre pratiche tra loro intimamente connesse: discernimento ecclesiale, processi decisionali, cultura della trasparenza, del rendiconto e della valutazione». La quarta parte — Una pesca abbondante — «delinea il modo in cui è possibile coltivare in forme nuove lo scambio dei doni e l’intreccio dei legami che ci uniscono nella Chiesa, in un tempo in cui l’esperienza del radicamento in un luogo sta cambiando profondamente». Infine, la quinta parte — Anch’io mando voi — «permette di guardare al primo passo da compiere: curare la formazione di tutti alla sinodalità missionaria». In particolare, si fa notare, lo sviluppo del Documento è guidato dai racconti evangelici della Risurrezione (12).

Le ferite del Risorto continuano a sanguinare

L’Introduzione del Documento (1-12) mette subito in chiaro l’essenza del Sinodo come «esperienza rinnovata di quell’incontro con il Risorto che i discepoli hanno vissuto nel Cenacolo la sera di Pasqua» (1). «Contemplando il Risorto — afferma il Documento — abbiamo scorto anche i segni delle Sue ferite (...) che continuano a sanguinare nel corpo di tanti fratelli e sorelle, anche a causa delle nostre colpe. Lo sguardo sul Signore non allontana dai drammi della storia, ma apre gli occhi per riconoscere la sofferenza che ci circonda e ci penetra: i volti dei bambini terrorizzati dalla guerra, il pianto delle madri, i sogni infranti di tanti giovani, i profughi che affrontano viaggi terribili, le vittime dei cambiamenti climatici e delle ingiustizie sociali» (2). Il Sinodo, ricordando le «troppe guerre» in corso, si è unito ai «ripetuti appelli di Papa Francesco per la pace, condannando la logica della violenza, dell’odio, della vendetta» (2). Inoltre, il cammino sinodale è marcatamente ecumenico — «orienta verso una piena e visibile unità dei cristiani» (4) — e «costituisce un vero atto di ulteriore recezione» del Concilio Vaticano ii , prolungandone «l’ispirazione» e rilanciandone «per il mondo di oggi la forza profetica» (5). Non tutto è stato facile, si riconosce nel Documento: «Non ci nascondiamo di aver sperimentato in noi fatiche, resistenze al cambiamento e la tentazione di far prevalere le nostre idee sull’ascolto della Parola di Dio e sulla pratica del discernimento» (6).

Il cuore della sinodalità

La prima parte del Documento (13-48) si apre con le riflessioni condivise sulla «Chiesa Popolo di Dio, sacramento di unità» (15-20) e sulle «radici sacramentali del Popolo di Dio» (21-27). È un fatto che, proprio «grazie all’esperienza degli ultimi anni», il significato dei termini «sinodalità» e «sinodale» sia «stato maggiormente compreso e più ancora vissuto» (28). E «sempre più essi sono stati associati al desiderio di una Chiesa più vicina alle persone e più relazionale, che sia casa e famiglia di Dio» (28). «In termini semplici e sintetici, si può dire che la sinodalità è un cammino di rinnovamento spirituale e di riforma strutturale per rendere la Chiesa più partecipativa e missionaria, per renderla cioè più capace di camminare con ogni uomo e ogni donna irradiando la luce di Cristo» (28). Nella consapevolezza che l’unità della Chiesa non è uniformità, «la valorizzazione dei contesti, delle culture e delle diversità, e delle relazioni tra di loro, è una chiave per crescere come Chiesa sinodale missionaria» (40). Con il rilancio delle relazioni anche con le altre tradizioni religiose in particolare «per costruire un mondo migliore» e in pace (41).

La conversione delle relazioni

«La richiesta di una Chiesa più capace di nutrire le relazioni: con il Signore, tra uomini e donne, nelle famiglie, nelle comunità, tra tutti i cristiani, tra gruppi sociali, tra le religioni, con la creazione» (50) è la constatazione che apre la seconda parte del Documento (49-77). E «non è mancato anche chi ha condiviso la sofferenza di sentirsi escluso o giudicato» (50). «Per essere una Chiesa sinodale è dunque necessaria una vera conversione relazionale. Dobbiamo di nuovo imparare dal Vangelo che la cura delle relazioni e dei legami non è una strategia o lo strumento per una maggiore efficacia organizzativa, ma è il modo in cui Dio Padre si è rivelato in Gesù e nello Spirito» (50). Proprio «le ricorrenti espressioni di dolore e sofferenza da parte di donne di ogni regione e continente, sia laiche sia consacrate, durante il processo sinodale, rivelano quanto spesso non riusciamo a farlo» (52). In particolare, «la chiamata al rinnovamento delle relazioni nel Signore Gesù risuona nella pluralità dei contesti» legati «al pluralismo delle culture» con, a volte, anche «i segni di logiche relazionali distorte e talvolta opposte a quelle del Vangelo» (53). L’affondo è diretto: «Trovano radice in questa dinamica i mali che affliggono il nostro mondo» (54) ma «la chiusura più radicale e drammatica è quella nei confronti della stessa vita umana, che conduce allo scarto dei bambini, fin dal grembo materno, e degli anziani» (54).

Ministeri per la missione

«Carismi, vocazione e ministeri per la missione» (57-67) sono nel cuore del Documento che punta sulla più ampia partecipazione di laiche e laici. Il ministero ordinato è «a servizio dell’armonia» (68) e in particolare «il ministero del vescovo» è «comporre in unità i doni dello Spirito (69-71). Tra le diverse questioni si è rilevato che «la costituiva relazione del Vescovo con la Chiesa locale non appare oggi con sufficiente chiarezza nel caso dei Vescovi titolari, ad esempio i Rappresentanti pontifici e coloro che prestano servizio nella Curia Romana». Con il vescovo ci sono «presbiteri e diaconi» (72-73), per una «collaborazione fra i ministri ordinati all’interno della Chiesa sinodale» (74). Significativa, poi, l’esperienza della «spiritualità sinodale» (43-48) con la certezza che «se manca la profondità spirituale personale e comunitaria, la sinodalità si riduce a espediente organizzativo» (44). Per questo, si rileva, «praticato con umiltà, lo stile sinodale può rendere la Chiesa una voce profetica nel mondo di oggi» (47).

La conversione dei processi

Nella terza parte del Documento (79-108) si fa subito presente che «nella preghiera e nel dialogo fraterno, abbiamo riconosciuto che il discernimento ecclesiale, la cura dei processi decisionali e l’impegno a rendere conto del proprio operato e a valutare l’esito delle decisioni assunte sono pratiche con le quali rispondiamo alla Parola che ci indica le vie della missione» (79). In particolare «queste tre pratiche sono strettamente intrecciate. I processi decisionali hanno bisogno del discernimento ecclesiale, che richiede l’ascolto in un clima di fiducia, che trasparenza e rendiconto sostengono. La fiducia deve essere reciproca: coloro che prendono le decisioni hanno bisogno di potersi fidare e ascoltare il Popolo di Dio, che a sua volta ha bisogno di potersi fidare di chi esercita l’autorità» (80). «Il discernimento ecclesiale per la missione» (81-86), in realtà, «non è una tecnica organizzativa, ma una pratica spirituale da vivere nella fede» e «non è mai l’affermazione di un punto di vista personale o di gruppo, né si risolve nella semplice somma di pareri individuali» (82). «L’articolazione dei processioni decisionali» (87-94), «trasparenza, rendiconto, valutazione» (95-102), «sinodalità e organismi di partecipazione» (103-108) sono punti centrali delle proposte contenute nel Documento, scaturite dall’esperienza del Sinodo.

La conversione dei legami

«In un tempo in cui cambia l’esperienza dei luoghi in cui la Chiesa è radicata e pellegrina, occorre coltivare in forme nuove lo scambio dei doni e l’intreccio dei legami che ci uniscono, sostenuti dal ministero dei Vescovi in comunione tra loro e con il Vescovo di Roma»: è l’essenza della quarta parte del Documento (109-139). L’espressione «radicati e pellegrini» (110-119) ricorda che «la Chiesa non può essere compresa senza il radicamento in un territorio concreto, in uno spazio e in un tempo dove si forma un’esperienza condivisa di incontro con Dio che salva» (110). Anche con un’attenzione ai fenomeni della «mobilità umana» (112) e della cultura digitale» (113). In questa prospettiva, «camminare insieme nei diversi luoghi come discepoli di Gesù nella diversità dei carismi e dei ministeri, così come nello scambio di doni tra le Chiese, è segno efficace della presenza dell’amore e della misericordia di Dio in Cristo» (120). «L’orizzonte della comunione nello scambio dei doni è il criterio ispiratore delle relazioni tra le Chiese» (124). Da qui i «legami per l’unità: Conferenze episcopali e Assemblee ecclesiali» (124-129). Particolarmente significativa la riflessione sinodale sul «servizio del vescovo di Roma» (130-139). Proprio nello stile della collaborazione e dell’ascolto, «prima di pubblicare documenti normativi importanti, i Dicasteri sono esortati ad avviare una consultazione delle Conferenze episcopali e degli organismi corrispondenti delle Chiese Orientali Cattoliche» (135).

Formare un popolo di discepoli missionari

«Perché il santo Popolo di Dio possa testimoniare a tutti la gioia del Vangelo, crescendo nella pratica della sinodalità, ha bisogno di un’adeguata formazione: anzitutto alla libertà di figli e figlie di Dio nella sequela di Gesù Cristo, contemplato nella preghiera e riconosciuto nei poveri» afferma il Documento nella sua quinta parte (140-151). «Una delle richieste emerse con maggiore forza e da ogni parte lungo il processo sinodale è che la formazione sia integrale, continua e condivisa» (143). Anche in questo campo torna l’urgenza dello «scambio dei doni tra vocazioni diverse (comunione), nell’ottica di un servizio da svolgere (missione) e in uno stile di coinvolgimento e di educazione alla corresponsabilità differenziata (partecipazione)» (147). E «un altro ambito di grande rilievo è la promozione in tutti gli ambienti ecclesiali di una cultura della tutela (safeguarding), per rendere le comunità luoghi sempre più sicuri per i minori e le persone vulnerabili» (150). Infine, «anche i temi della dottrina sociale della Chiesa, dell’impegno per la pace e la giustizia, della cura della casa comune e del dialogo interculturale e interreligioso devono conoscere maggiore diffusione nel Popolo di Dio» (151).

L’affidamento a Maria

«Vivendo il processo sinodale — è la conclusione del Documento (154) — abbiamo preso nuova coscienza che la salvezza da ricevere e da annunciare passa attraverso le relazioni. La si vive e la si testimonia insieme. La storia ci appare segnata tragicamente dalla guerra, dalla rivalità per il potere, da mille ingiustizie e sopraffazioni. Sappiamo però che lo Spirito ha posto nel cuore di ogni essere umano un desiderio profondo e silenzioso di rapporti autentici e di legami veri. La stessa creazione parla di unità e di condivisione, di varietà e intreccio tra diverse forme di vita».

Il testo si conclude con la preghiera alla Vergine Maria per l’affidamento «dei risultati di questo Sinodo: «Ci insegni ad essere un Popolo di discepoli missionari che camminano insieme: una Chiesa sinodale» (155).
(fonte: L'Osservatore Romano, articolo di Giampaolo Mattei 28/10/2024)

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Leggi il testo integrale del documento finale del Sinodo


lunedì 28 ottobre 2024

S. Messa a conclusione del Sinodo 27/10/2024 Papa Francesco: «Per favore, deponiamo il mantello della rassegnazione e affidiamo al Signore le nostre cecità. Mettiamoci in piedi e portiamo la gioia del Vangelo per le strade del mondo.» (cronaca, testo, foto e video)

CONCLUSIONE DELL’ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA DEL SINODO DEI VESCOVI
SANTA MESSA
CAPELLA PAPALE
Basilica di San Pietro
XXX Domenica del tempo Ordinario, 27 ottobre 2024


Con una solenne liturgia eucaristica concelebrata nella Basilica di San Pietro, Papa Francesco ha concluso la XVI Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi, dedicata al tema “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”.
A concelebrare con il Pontefice quasi 390 tra cardinali, patriarchi, vescovi e sacerdoti, compresi i partecipanti al Sinodo. 

Nella sua omelia, Papa Francesco ha utilizzato l’incontro tra Gesù e il cieco Bartimeo - narrato nel Vangelo del giorno - per suggerire quale sia la sorgente e la natura specifica della sinodalità ecclesiale, il dinamismo proprio di «una Chiesa missionaria, che cammina con il Signore lungo le strade del mondo».

Al termine della celebrazione, il Pontefice si è soffermato in silenzio davanti la Cattedra di San Pietro, il trono ligneo simbolo del primato petrino, che, col Baldacchino del Bernini disvelato dopo i restauri, era stata portata presso l'altare della Confessione.
In occasione del restauro dell'omonimo monumento che decora l'abside della basilica vaticana, il reperto storico è stato estratto dalla teca di bronzo ideata da Bernini e, per volere del Papa, fino a domenica 8 dicembre sarà esposto alla vista dei visitatori della Basilica.

Il Sinodo appena concluso - aveva spiegato il Papa nel pomeriggio di sabato 26 ottobre, nell’intervento con cui ha chiuso i lavori sinodali - non vedrà, come invece è di consuetudine, la pubblicazione di un'esortazione apostolica post-sinodale sul tema del Sinodo, perché - ha detto il Pontefice - «basta il documento finale. Li c'è tutto»

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OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO


Il Vangelo ci presenta Bartimeo, un cieco che è costretto a mendicare ai bordi della strada, uno scartato senza speranza che, però, quando sente passare Gesù, inizia a gridare verso di Lui. Tutto ciò che gli è rimasto è questo: gridare il proprio dolore e portare a Gesù il suo desiderio di riacquistare la vista. E mentre tutti lo rimproverano perché sono disturbati dalla sua voce, Gesù si ferma. Perché Dio ascolta sempre il grido dei poveri e nessun grido di dolore rimane inascoltato davanti a Lui.

Oggi, a conclusione dell’Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi, portando nel cuore tanta gratitudine per quanto abbiamo potuto condividere, soffermiamoci su ciò che succede a quest’uomo: all’inizio, «sedeva lungo la strada a mendicare» (Mc 10,46), mentre alla fine, dopo essere stato chiamato da Gesù e aver riacquistato la vista, «lo seguiva lungo la strada» (v. 52).

La prima cosa che il Vangelo ci dice su Bartimeo è questa: è seduto a mendicare. La sua posizione è tipica di una persona ormai chiusa nel proprio dolore, seduta sul ciglio della strada come se non ci fosse nient’altro da fare se non ricevere qualcosa dai tanti pellegrini di passaggio nella città di Gerico in occasione della Pasqua. Ma, come sappiamo, per vivere davvero non si può restare seduti: vivere è sempre mettersi in movimento, mettersi in cammino, sognare, progettare, aprirsi al futuro. Il cieco Bartimeo, allora, rappresenta anche quella cecità interiore che ci blocca, ci fa restare seduti, ci rende immobili ai bordi della vita, senza più speranza.

E questo può farci pensare, oltre che alla nostra vita personale, anche al nostro essere Chiesa del Signore. Tante cose, lungo il cammino, possono renderci ciechi, incapaci di riconoscere la presenza del Signore, impreparati ad affrontare le sfide della realtà, a volte inadeguati nel saper rispondere alle tante questioni che gridano verso di noi come fa Bartimeo con Gesù. Tuttavia, dinanzi alle domande delle donne e degli uomini di oggi, alle sfide del nostro tempo, alle urgenze dell’evangelizzazione e alle tante ferite che affliggono l’umanità, sorelle e fratelli, non possiamo restare seduti. Una Chiesa seduta, che quasi senza accorgersi si ritira dalla vita e confina se stessa ai margini della realtà, è una Chiesa che rischia di restare nella cecità e di accomodarsi nel proprio malessere. E se restiamo seduti nella nostra cecità, continueremo a non vedere le nostre urgenze pastorali e i tanti problemi del mondo in cui viviamo. Per favore, chiediamo al Signore che ci dia lo Spirito Santo per non restare seduti nella nostra cecità, cecità che si può chiamare mondanità, che si può chiamare comodità, che si può chiamare cuore chiuso. Non restare seduti nelle nostre cecità.

Ricordiamoci questo, invece: il Signore passa, il Signore passa tutti i giorni, il Signore passa sempre e si ferma per prendersi cura della nostra cecità. E io, lo sento passare? Ho la capacità di sentire i passi del Signore? Ho la capacità di discernere quando il Signore passa? Ed è bello se il Sinodo ci spinge a essere Chiesa come Bartimeo: la comunità dei discepoli che, sentendo il Signore che passa, avverte il brivido della salvezza, si lascia svegliare dalla potenza del Vangelo e inizia a gridare verso di Lui. Lo fa raccogliendo il grido di tutte le donne e di tutti gli uomini della terra: il grido di coloro che desiderano scoprire la gioia del Vangelo e di quelli che invece si sono allontanati; il grido silenzioso di chi è indifferente; il grido di chi soffre, dei poveri, degli emarginati, dei bambini schiavi di lavoro, schiavizzati in tante parti del mondo per il lavoro; la voce spezzata, sentire quella voce spezzata di chi non ha più neanche la forza di gridare a Dio, perché non ha voce o perché si è rassegnato. Non abbiamo bisogno di una Chiesa seduta e rinunciataria, ma di una Chiesa che raccoglie il grido del mondo e – voglio dirlo, forse qualcuno si scandalizza – una Chiesa che si sporca le mani per servire il Signore.

E veniamo così al secondo aspetto: se all’inizio Bartimeo era seduto, vediamo che alla fine, invece, lo segue lungo la strada. Questa è una tipica espressione del Vangelo che significa: divenne suo discepolo, si è messo alla sua sequela. Dopo aver gridato verso di Lui, infatti, Gesù si è fermato e lo ha fatto chiamare. Bartimeo, da seduto che era, è balzato in piedi e, subito dopo, ha recuperato la vista. Ora, egli può vedere il Signore, può riconoscere l’opera di Dio nella propria vita e può finalmente incamminarsi dietro di Lui. Così, anche noi, fratelli e sorelle: quando siamo seduti e accomodati, quando anche come Chiesa non troviamo le forze, il coraggio e l’audacia, la parresia necessaria per rialzarci e riprendere il cammino, per favore, ricordiamoci di ritornare sempre al Signore, ritornare al Vangelo. Ritornare al Signore, ritornare al Vangelo. Sempre e di nuovo, mentre Egli passa, dobbiamo metterci in ascolto della sua chiamata, che ci rimette in piedi e ci fa uscire dalla cecità. E poi riprendere nuovamente a seguirlo, camminare con Lui lungo la strada.

Vorrei ripeterlo: di Bartimeo il Vangelo dice che «lo seguiva lungo la strada». Questa è un’immagine della Chiesa sinodale: il Signore ci chiama, ci rialza quando siamo seduti o caduti, ci fa riacquistare una vista nuova, affinché alla luce del Vangelo possiamo vedere le inquietudini e le sofferenze del mondo; e così, rimessi in piedi dal Signore, sperimentiamo la gioia di seguirlo lungo la strada. Il Signore lo si segue lungo la strada, non lo si segue chiusi nelle nostre comodità, non lo si segue nei labirinti delle nostre idee: lo si segue lungo la strada. E ricordiamolo sempre: non camminare per conto nostro o secondo i criteri del mondo, ma camminare lungo la strada, insieme, dietro a Lui e camminare con Lui.

Fratelli, sorelle: non una Chiesa seduta, una Chiesa in piedi. Non una Chiesa muta, una Chiesa che raccoglie il grido dell’umanità. Non una Chiesa cieca, ma una Chiesa illuminata da Cristo che porta la luce del Vangelo agli altri. Non una Chiesa statica, una Chiesa missionaria, che cammina con il Signore lungo le strade del mondo.

E oggi, mentre rendiamo grazie al Signore per il cammino percorso insieme, potremo vedere e venerare la reliquia dell’antica Cattedra di San Pietro, accuratamente restaurata. Contemplandola con stupore di fede, ricordiamoci che questa è la cattedra dell’amore, è la cattedra dell’unità, è la cattedra della misericordia, secondo quel comando che Gesù diede all’Apostolo Pietro non di dominare sugli altri, ma di servirli nella carità. E ammirando il maestoso baldacchino berniniano più splendente che mai, riscopriamo che esso inquadra il vero punto focale di tutta la Basilica, cioè la gloria dello Spirito Santo. Questa è la Chiesa sinodale: una comunità il cui primato è nel dono dello Spirito, che ci rende tutti fratelli in Cristo e ci eleva verso di Lui.

Sorelle e fratelli, proseguiamo allora con fiducia il nostro cammino insieme. Anche a noi oggi la Parola di Dio ripete, come a Bartimeo: «Coraggio, alzati, ti chiama». Io mi sento chiamato? Questa è la domanda da farci. Io mi sento chiamato? Mi sento debole e non posso alzarmi? Chiedo aiuto? Per favore, deponiamo il mantello della rassegnazione e affidiamo al Signore le nostre cecità. Mettiamoci in piedi e portiamo la gioia del Vangelo, portiamola per le strade del mondo.

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venerdì 25 ottobre 2024

Enzo Bianchi Quel silenzio sul Sinodo

Enzo Bianchi
Quel silenzio sul Sinodo 



La Repubblica - 21 ottobre 2024


È la quarta e ultima settimana dedicata ai lavori del Sinodo indetto da Papa Francesco sulla sinodalità, ma purtroppo continua un grande silenzio sui lavori, il confronto e l’ascolto reciproco che avvengono tra i membri sinodali nell’aula Paolo VI in Vaticano. Un silenzio che non aiuta il popolo di Dio a sentirsi partecipe di questo evento ma lo pone ancora una volta, nonostante tutti i propositi, in stato di attesa. In questo silenzio non è possibile neppure il conclamato ascolto. Nella comunità cristiana mi chiedono che cosa si sta elaborando ma io non posso dare una risposta. E non solo c’è mutismo sull’evento: come ha osservato una delle poche sentinelle tra i teologi italiani, Severino Dianich, c’è stato tanto invito all’ascolto, ma si può ascoltare solo se c’è chi prende la parola pubblicamente, con responsabilità e discernimento.

Quali sono le attese del popolo di Dio, soggetto primario del Sinodo, che dopo il confronto e il discernimento saranno presentate al Papa come proposte lasciando a lui la libertà e la potestà di renderle indicazioni cogenti per la chiesa? Non sappiamo nulla! A me sembra che un tale modo di procedere spenga ogni possibilità di interesse, già scarso, del popolo di Dio per questo evento, che potrebbe essere una nuova Pentecoste avviando una riforma della chiesa come tante volte ha preconizzato Papa Francesco.

Si tenga poi conto che il popolo di Dio non si interessa di ghiribizzi teologici o raffinatezze spirituali, ma desidera che la vita della comunità cristiana sia segnata da una conversione, da un cambiamento, per essere più fedele al Vangelo. Molti cristiani pensano che si possa vivere la chiesa diversamente, che si possano imboccare vie nuove senza tradire la regula fidei e la grande Tradizione, e che questo mutamento sia urgente per il futuro della chiesa.

L’abbiamo già scritto: guai se questo Sinodo apparisse, come dice il teologo Jesús Martínez Gordo, “un aborto”! La crisi della chiesa è troppo profonda per tollerare ancora delusioni e mancate promesse. Papa Francesco ha voluto un Sinodo che fosse sì sulla sinodalità, ma capace di instaurare la novità di una vita fraterna nelle comunità cristiane, una vita in cui i membri si sentano gioiosamente partecipi di una convocazione che viene dalla Parola del Signore.

Purtroppo non ho visto un’intensa preghiera per il Sinodo come si era avuta alla vigilia del concilio Vaticano II. Certamente, i tempi sono cambiati, ma allora l’evento era capace di suscitare speranza, mentre il Sinodo di oggi sembra un evento di routine, non ciò che ha voluto Papa Francesco. Se le acquisizioni formulate verbalmente dal Sinodo o anche dal Papa non si traducono in procedure giuridiche che riformano l’attuale ordinamento canonico allora risuoneranno come semplici auguri. Oggi in tutte le assemblee sinodali, anche in quella italiana, sia forte la tentazione di pensare troppo ai metodi con cui vivere un’assemblea cristiana, c’è un eccessivo ricorso a un linguaggio stantio, che abbisogna di “icone” per introdurre un tema non sempre in modo legittimo e coerente all’icona evangelica, ci sono troppe espressioni inventate che alla gente non dicono nulla come “i cantieri di Betania”. Infine si pretende che i lavori seguano fasi predeterminate in cui anche la profezia non è dono dell’alto e dono dello Spirito, ma è decisa da noi come potesse essere un’acquisizione.

Ad ogni assemblea sinodale dico: più sobrietà, meno pagine scritte, più serietà. Si rallegrerà non solo il popolo di Dio che è popolo degli umili, ma anche chi ha una vera formazione biblica e venera solo la Parola di Dio, non le fotocopie.
                           

(fonte: blog dell'autore)


sabato 19 ottobre 2024

I rischi del Sinodo

Severino Dianich*

I rischi del Sinodo


Una voce ricorrente con grande frequenza, proveniente dall’alto, e poi replicata infinitamente anche dal basso, è che i sinodali devono porsi continuamente in ascolto e saper ascoltare.

Ascolto sì, ma…

Si indovina, dietro all’insistita raccomandazione, la paura che in Sinodo ciascuno si faccia portatore di un suo determinato giudizio sulle cose, che si creino gruppi di consenso su una o un’altra tesi e che, alla fine, si giochi alla creazione e alla verifica di una maggioranza, che risulti decisiva in ordine alle proposte finali da presentare al papa.

Eppure è proprio così che si è svolto ed è pervenuto alle sue conclusioni il concilio Vaticano II, come tutti gli altri concili della Chiesa. La vivacissima dialettica che lo ha animato nel confronto, a volte duro e doloroso, fra opinioni e proposte diverse, è stata il segreto della sua fecondità.

Nonostante che i moderatori e la segreteria lo vietassero, nell’atrio della Basilica di San Pietro, ogni tanto si faceva addirittura del volantinaggio. Gruppi di vescovi dello stesso orientamento diffondevano i loro ciclostilati per creare vaste zone di consenso intorno alle loro proposte. Né mai io ho potuto constatare che qualcuno, nell’immensa letteratura dell’indagine storica e del commento ai documenti e all’evento conciliare, abbia deplorato questo genere di andamento che ha caratterizzato i lavori conciliari.

L’insistenza dell’invito all’ascolto crea alla fine un quadro, in cui collocare i lavori sinodali, alquanto paradossale, visto che ascoltare si può, solo se c’è qualcuno che parla. L’invito all’ascolto, quindi, deve essere accompagnato da un invito, ugualmente insistito, da rivolgere ai sinodali, affinché ciascuno si assuma la responsabilità di dire esplicitamente ciò che veramente pensa e giudica nel suo discernimento e nella sua coscienza.

Il fatto che il Sinodo sia consultivo non significa che debba esercitare una funzione di sostegno e conforto a ciò che già pensa il papa, ma suo compito è piuttosto quello di presentargli le attese delle loro popolazioni e di avanzargli proposte nuove e anche diverse, che lo aiutino a quel continuo ripensamento delle proprie convinzioni, che è segno di saggezza e di testimonianza di fede nell’azione imprevedibile dello Spirito.

È proprio a partire dall’incrocio fra le posizioni, anche le più diverse, che ci si pone in ascolto dello Spirito, il quale non parla esclusivamente nell’ispirazione che ciascuno sperimenta nella sua interiorità, bensì nell’insieme dell’evento ecclesiale, sacramento, segno e strumento dell’opera di Dio nella storia.

Uno stile senza contenuti?

Una seconda preoccupazione che ogni tanto prende la parola nello spazio della pubblica conversazione è che il Sinodo debba necessariamente pervenire ad una qualche decisione concreta, mentre il suo scopo sarebbe semplicemente quello di sperimentare e proporre alle Chiese uno stile di azione, un modello da replicare nei processi decisionali che qua e là si mettono in opera.

A dire il vero, si potrebbe fare anche un ragionamento a rovescio e dire che il Sinodo deve imparare e riprodurre lo stile dei processi decisionali che alcune comunità stanno adottando, in fedeltà alla dottrina conciliare del popolo di Dio, popolo messianico, strumento della redenzione, di Lumen gentium 9, nonostante il Codice di Diritto canonico non imponga al vescovo e al parroco alcuna pratica veramente sinodale.

A dire il vero, è proprio alla decisione di proporre al papa una riforma dell’ordinamento canonico, che il Sinodo dovrebbe pervenire, in modo che vi si preveda l’obbligatorietà dell’istituzione di organi sinodali, senza il consenso dei quali, in alcune materie, parroco e vescovo non possano pervenire ad una decisione definitiva. Senza questa riforma, qualsiasi discorso sulla «corresponsabilità» dei fedeli nella missione della Chiesa resta carente o vuoto del tutto.

È vero che, senza il formarsi di una mentalità sinodale diffusa, sia fra i pastori che tra i fedeli, anche una nuova normativa rischia di restare sterile. Però è tanto più vero che, alla prova dei fatti, praticare oggi la sinodalità richiede di muoversi al di fuori di un ordinamento che non prevede alcuna distribuzione delle responsabilità nelle decisioni da prendere e le accolla sempre e comunque sulle spalle del parroco e del vescovo. Al punto che il pastore resta responsabile delle decisioni anche nelle materie per le quali il sacramento dell’Ordine non gli ha conferito alcuno specifico carisma e nelle quali egli non ha alcuna determinata competenza.

Il coraggio delle decisioni

Un terzo pensiero, non tanto espresso quanto diffusamente implicito, è che, comunque sia, il Sinodo è un organismo puramente consultivo, quindi non gli compete di prendere alcuna decisione.

È questo un modo di pensare che frequentemente determina anche il funzionamento dei diversi consigli pastorali, che si riducono ad una sorta di forum, nel quale ciascuno esprime la sua opinione e poi si torna a casa senza aver deciso nulla.

Un organo consultivo non è che non debba decidere alcunché: deve decidere, invece, attraverso la verifica della maggioranza e delle minoranze che vi si sono manifestate, cosa intende consigliare al pastore. Non il giudizio dell’uno e dell’altro di tutti i membri che lo compongono, ma il giudizio del consiglio stesso in quanto organismo collegiale, così come risulta dal consenso della maggioranza dei componenti su una certa determinata proposta.

Il servizio che il Sinodo è chiamato a rendere al papa non è quello di sostenerlo nel suo giudizio sulle cose da fare o da non fare, ma di esprimergli le attese del popolo di Dio, soprattutto quelle più innovative, che gli richiedano un’incessante opera di discernimento per il bene della Chiesa, da inseguire di tempo in tempo con un’attenta lettura dei «segni dei tempi».
(fonte: Settimana News 15/10/2024)


*Severino Dianich
È nato a Fiume il 2 ottobre 1934, è stato consacrato sacerdote il 13 aprile 1958, è uno dei più noti teologi italiani. Ha dedicato tutta la sua ricerca al tema della Chiesa e, più di recente, a quello dei rapporti fra teologia e arte. Nel 1967 è stato tra i fondatori dell’ATI, la Associazione teologica italiana, diventandone presidente dal 1989 al 1995. Docente di ecclesiologia alla Facoltà teologica di Firenze, dal 2011 è anche vicario episcopale per la pastorale della cultura e dell’università nella diocesi di Pisa, nonché direttore spirituale nel seminario arcivescovile.

sabato 12 ottobre 2024

VEGLIA ECUMENICA DI PREGHIERA Sinodo, Francesco: vergogna per lo scandalo della divisione tra i cristiani (testi, foto e video)

SECONDA SESSIONE DELLA XVI ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA DEL SINODO DEI VESCOVI

VEGLIA ECUMENICA DI PREGHIERA

Piazzale dei Protomartiri Romani
Venerdì, 11 ottobre 2024


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Sinodo, Francesco:
vergogna per lo scandalo della divisione tra i cristiani

Alla veglia ecumenica in Vaticano con i partecipanti ai lavori dell'assise, la preghiera animata dalla Comunità di Taizé insieme ai Delegati fraterni delle altre Chiese. Il Papa, che consegna l'omelia, ribadisce che c'è bisogno di una testimonianza comune, già sperimentata purtroppo in molte parti del mondo come "ecumenismo del sangue", più forte di qualsiasi parola. "Questo Sinodo è un’opportunità per superare "i muri che ancora esistono tra noi"


“Il mondo ha bisogno di una testimonianza comune, il mondo ha bisogno che siamo fedeli alla nostra comune missione.”

Nella memoria liturgica di San Giovanni XXIII, che avviò il Concilio Vaticano II l’11 ottobre 1962, evento che ha segnato l’ingresso ufficiale della Chiesa cattolica nel movimento ecumenico, Papa Francesco fa risuonare ancora una volta l'anelito di piena unità tra le confessioni cristiane. Lo fa nel silenzio e nell'omelia consegnata questa sera, non pronunciata, alla fine della veglia ecumenica animata dalla Comunità di Taizé nella piazza dei Protomartiri in Vaticano, insieme ai Delegati fraterni partecipanti al Sinodo sulla sinodalità (che proprio da quel Concilio prende ispirazione), ai fratelli e sorelle delle altre Chiese.

Un canto corale e un intimo silenzio, nell'anelito della pace

Quattro bambine e una donna con il grande Libro della Parola di Dio, guidano la breve processione con i flambeaux dall'Aula Paolo VI alla piazza dove campeggia un grande crocifisso ligneo di San Damiano. Il calore tipico dei canoni di Taizé crea un'atmosfera di grande, profonda e semplice intimità. Il coro di giovani della Comunità è soave a abbraccia tutti in un anelito di pace. Canto e parole si fondono in un mosaico di voci dal mondo.

È il cardinale Kurt Koch, prefetto del Dicastero per la promozione dell'Unità dei Cristiani, ad introdurre la veglia ricordando i sessant'anni dalla pubblicazione della Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen Gentium e del Decreto sull'ecumenismo Unitatis Redintegratio. Da questi due documenti sono tratte le preghiere di lode e di intercessione, affidate a voci delle diverse confessioni e realtà ecumeniche: Patriarcato ecumenico, Battisti, Anglicani, Chiesa greco-ortodossa, Chiesa ortodossa siriaca del Malankara, Luterani, Pentecostali, Chiesa ortodossa di Serbia, Metodisti, Chiesa apostolica Armena, Anabbattisti (Mennonite World Conference), Chiesa ortodossa Rumena, Chiesa cristiana (Discepoli di Cristo), Riformati, Chiesa Copta. La Parola dal Libro del profeta Isaia e cantato il Salmo 122. E poi ancora l'invocazione, dal Vangelo di Giovanni, ad essere "una cosa sola" in Cristo. È una sinfonia di lingue con brevi letture - da parte di cinque donne - in cinese, portoghese, Swahili, arabo, Malayalam cui fa seguito un lungo momento di silenzio. Tra le preghiere di intercessione, quella del Pastore Luca Anziani, che si fa portavoce del desiderio che lo Spirito rinnovi la solidarietà per gli affamati, i malati, i carcerati, i migranti e per tutti coloro che hanno perso la speranza.

La preghiera ecumenica in Vaticano

Vergogna per lo scandalo della divisione tra cristiani

Francesco nell'omelia grida allo scandalo, quello di "non dare insieme la testimonianza al Signore Gesù", quello scandalo che i Padri conciliari erano convinti danneggiasse la predicazione del Vangelo.

Questo Sinodo è un’opportunità per fare meglio, superando i muri che ancora esistono tra noi. Concentriamoci sul terreno comune del nostro comune Battesimo, che ci spinge a diventare discepoli missionari di Cristo, con una comune missione.
L'ecumenismo del sangue è più forte di qualsiasi parola

Il pensiero del Pontefice va ai tanti cristiani di diverse tradizioni la cui testimonianza è invece pienamente conforme allo stile di Gesù che ha dato la vita per la salvezza e ha lottato contro le tentazioni del divisore. Francesco ricorda che, come la sinodalità, l'unità dei cristiani è necessaria per la missione, missione che in alcuni luoghi del mondo si fa a tal punto ardua che porta al martirio:

[...] danno la vita insieme per la fede in Gesù Cristo, vivendo l’ecumenismo del sangue. La loro testimonianza è più forte di qualsiasi parola, perché l’unità viene dalla Croce del Signore.

L'unità, dono imprevedibile

È sempre lo Spirito Santo che guida verso una maggiore comunione, rimarca il Papa che ricorda come l'unità è un frutto del Cielo, "non della terra", che va al di là di qualsiasi impegno volontaristico da parte dell'uomo, pure indispensabile. È una grazia, insomma. Questo deve alimentare una disponibilità all'affidamento; e qui il Successore di Pietro cita padre Paul Couturier - considerato il pioniere dell'ecumenismo spirituale, l'ispiratore dell'attuale Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani - il quale parlava di dono da implorare “come Cristo vuole” e “con i mezzi che Egli vuole”.

È un dono di cui non possiamo prevedere i tempi e i modi; dobbiamo riceverlo «senza porre alcun ostacolo alla Provvidenza e senza pregiudicare i futuri suggerimenti dello Spirito Santo», come dice ancora il Decreto conciliare.

Il Papa durante la veglia con i partecipanti al Sinodo

L'unità, un cammino

La visione di Francesco è sempre dinamica, legata a un processo. È evidente nel passaggio dell'omelia in cui spiega che l'unità - e anche questo è un insegnamento che scaturisce dal sinodo - "matura nel movimento, strada facendo". È il servizio reciproco in uno stile di cooperazione a farla crescere.

L’unione tra i cristiani cresce e matura nel comune pellegrinaggio “al ritmo di Dio”, come i pellegrini di Emmaus accompagnati da Gesù risorto.

L'unità, non frutto di compromessi o equilibrismi

Ricorre il termine "armonia" nel testo del Papa, quell'armonia che peraltro tanto spesso abbiamo ascoltato nei suoi discorsi in occasione del recente viaggio apostolico in Asia e Oceania. L'incoraggiamento è a non lasciarsi bloccare dalle difficoltà che la sfida ecumenica pone e ha sempre posto. Anche qui è lo Spirito "che spinge in un'unità di multicolore diversità". E precisa:

Il Sinodo ci sta aiutando a riscoprire la bellezza della Chiesa nella varietà dei suoi volti. Così l’unità non è uniformità, né frutto di compromessi o di equilibrismi.

Una supplica universale da parte dei rappresentanti delle diverse Chiese

La palestinese Karram: imploriamo la pace per chi soffre nei conflitti

Alla supplica corale si uniscono Margaret Karram, presidente del Movimento dei Focolari, e Frère Alois, già priore della Comunità di Taizé. Il Papa chiude l'incontro recitando il Padre Nostro. La teologa palestinese sottolinea ai media vaticani: "In questa veglia ecumenica avevo nel cuore tutte le persone del Medio Oriente che in questo momento stanno soffrendo a motivo dei conflitti con tante sofferenze. Sono sicura che la nostra preghiera, tutti uniti, con Chiese diverse, possa implorare la pace per tutti. Siete nel nostro cuore, noi continuiamo a seminare la pace e a costruire l'unità dappertutto, al di là di tutto".
(fonte: Vatican News, articolo di Antonella Palermo 11/10/2024)


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OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO


Testo consegnato

«Io ho dato loro la stessa gloria che tu hai dato a me» (Gv 17,22). Queste parole della preghiera di Gesù prima della Passione, si possono riferire in modo eminente ai martiri, glorificati per la testimonianza resa a Cristo. In questo luogo ricordiamo i Primi Martiri della Chiesa a Roma: sul loro sangue è stata costruita questa basilica, sul loro sangue è stata edificata la Chiesa. Possano questi Martiri rafforzare la nostra certezza che, avvicinandoci a Cristo, ci avviciniamo gli uni agli altri, sostenuti dalla preghiera di tutti i santi delle nostre Chiese, già perfettamente uniti dalla loro partecipazione al Mistero pasquale. Come afferma il Decreto Unitatis redintegratio, di cui ricorre il sessantesimo anniversario, quanto più i cristiani sono vicini a Cristo, tanto più sono vicini tra loro (cfr n. 7).

In questo giorno, nel quale ricordiamo l’apertura del Concilio Vaticano II, che ha segnato l’ingresso ufficiale della Chiesa cattolica nel movimento ecumenico, siamo riuniti insieme ai Delegati fraterni, ai nostri fratelli e sorelle delle altre Chiese. Perciò faccio mie le parole che San Giovanni XXIII rivolse agli osservatori all’apertura del Concilio: «La vostra stimata presenza qui, la commozione che abbraccia il mio cuore di sacerdote, di vescovo della Chiesa di Dio […] mi invitano ad affidarvi l’anelito del mio cuore, che arde dal desiderio di lavorare e soffrire per l’avvicinarsi dell’ora in cui si compirà per tutti la preghiera di Cristo nell’Ultima Cena» (13 ottobre 1962). Entriamo in questa preghiera di Gesù, facciamola nostra nello Spirito Santo, accompagnata da quella dei Martiri.

Unità dei cristiani e sinodalità sono collegate. Infatti, se «il cammino della sinodalità è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio» (Discorso nel 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi, 17 ottobre 2015), esso va percorso con tutti i cristiani. «Il cammino della sinodalità […] è e dev’essere ecumenico, così come il cammino ecumenico è sinodale» (Discorso a Sua Santità Mar Awa III, 19 novembre 2022). In entrambi i processi, si tratta non tanto di costruire qualcosa quanto di accogliere e far fruttare il dono che già abbiamo ricevuto. E come si presenta il dono dell’unità? L’esperienza sinodale ci aiuta a scoprirne alcuni aspetti.

L’unità è una grazia, un dono imprevedibile. Il vero protagonista non siamo noi, ma lo Spirito Santo che ci guida verso una maggiore comunione. Come non sappiamo in anticipo quale sarà l’esito del Sinodo, così non sappiamo esattamente come sarà l’unità a cui siamo chiamati. Il Vangelo ci dice che Gesù, in quella sua grande preghiera, “alzò gli occhi al cielo”: l’unità non è innanzitutto un frutto della terra, ma del Cielo. È un dono di cui non possiamo prevedere i tempi e i modi; dobbiamo riceverlo «senza porre alcun ostacolo alla Provvidenza e senza pregiudicare i futuri suggerimenti dello Spirito Santo», come dice ancora il Decreto conciliare (UR, 24). Padre Paul Couturier soleva dire che l’unità dei cristiani va implorata “come Cristo vuole” e “con i mezzi che Egli vuole”.

Un altro insegnamento che viene dal processo sinodale è che l’unità è un cammino: matura nel movimento, strada facendo. Cresce nel servizio reciproco, nel dialogo della vita, nella collaborazione di tutti i cristiani che «fa emergere più chiaramente il volto di Cristo servitore» (UR, 12). Ma dobbiamo camminare secondo lo Spirito (cfr Gal 5,16-25); o, come dice Sant’Ireneo, come tôn adelphôn synodía, “una carovana di fratelli”. L’unione tra i cristiani cresce e matura nel comune pellegrinaggio “al ritmo di Dio”, come i pellegrini di Emmaus accompagnati da Gesù risorto.

Un terzo insegnamento è che l’unità è armonia. Il Sinodo ci sta aiutando a riscoprire la bellezza della Chiesa nella varietà dei suoi volti. Così l’unità non è uniformità, né frutto di compromessi o di equilibrismi. L’unità dei cristiani è armonia nella diversità dei carismi suscitati dallo Spirito per l’edificazione di tutti i cristiani (cfr UR, 4). L’armonia è la via dello Spirito, perché Egli stesso, come dice San Basilio, è armonia (cfr Sul Salmo 29, 1). Noi abbiamo bisogno di percorrere il sentiero dell’unità in virtù del nostro amore per Cristo e per tutte le persone che siamo chiamati a servire. Lungo questa via, non lasciamoci mai fermare dalle difficoltà! Abbiamo fiducia nello Spirito Santo, che spinge all’unità in un’armonia di multicolore diversità.

Infine, come la sinodalità, l’unità dei cristiani è necessaria per la loro testimonianza: l’unità è per la missione. «Che tutti siano una cosa sola ... perché il mondo creda» (Gv 17,21). Questa era la convinzione dei Padri conciliari nell’affermare che la nostra divisione «è di scandalo al mondo e danneggia la più santa delle cause: la predicazione del Vangelo ad ogni creatura» (UR, 1). Il movimento ecumenico è nato dal desiderio di testimoniare insieme, con gli altri e non lontano gli uni dagli altri, o peggio ancora gli uni contro gli altri. In questo luogo i Protomartiri ci ricordano che oggi, in molte parti del mondo, cristiani di diverse tradizioni danno la vita insieme per la fede in Gesù Cristo, vivendo l’ecumenismo del sangue. La loro testimonianza è più forte di qualsiasi parola, perché l’unità viene dalla Croce del Signore.

Prima di cominciare questa Assemblea, abbiamo avuto una Celebrazione penitenziale. Oggi esprimiamo anche la vergogna per lo scandalo della divisione dei cristiani, lo scandalo di non dare insieme testimonianza al Signore Gesù. Questo Sinodo è un’opportunità per fare meglio, superando i muri che ancora esistono tra noi. Concentriamoci sul terreno comune del nostro comune Battesimo, che ci spinge a diventare discepoli missionari di Cristo, con una comune missione. Il mondo ha bisogno di una testimonianza comune, il mondo ha bisogno che siamo fedeli alla nostra comune missione.

Cari fratelli e sorelle, davanti al Crocifisso San Francesco d’Assisi ha ricevuto la chiamata a restaurare la Chiesa. La Croce di Cristo guidi anche noi, ogni giorno, nel cammino verso la piena unità, nell’armonia tra di noi e con tutta la creazione, «perché piacque a Dio di far abitare in lui ogni pienezza e per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose, rappacificando con il sangue della sua croce, cioè per mezzo di lui, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli» (Col 1,19-20).

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