Benvenuto a chiunque è alla "ricerca di senso nel quotidiano"



sabato 19 aprile 2025

SHOMER MA MI-LLAILAH (Sentinella quanto manca della notte?) La differenza tra fede e non fede non è Gesù, è la Pasqua di Gesù! Lui c’è, ma non qui; è altrove, è più avanti, cercatelo dappertutto ma non fra le cose morte... - Pasqua di risurrezione Messa della notte - Commento al Vangelo a cura di P. Ermes Maria Ronchi

SHOMER MA MI-LLAILAH
(Sentinella quanto manca della notte?)
 

La differenza tra fede e non fede non è Gesù,
è la Pasqua di Gesù!
Lui c’è, ma non qui; è altrove, è più avanti,
cercatelo dappertutto ma non fra le cose morte...


Il primo giorno della settimana, al mattino presto [le donne] si recarono al sepolcro, portando con sé gli aromi che avevano preparato. Trovarono che la pietra era stata rimossa dal sepolcro e, entrate, non trovarono il corpo del Signore Gesù. Mentre si domandavano che senso avesse tutto questo, ecco due uomini presentarsi a loro in abito sfolgorante. Le donne, impaurite, tenevano il volto chinato a terra, ma quelli dissero loro: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risorto. Ricordatevi come vi parlò quando era ancora in Galilea e diceva: “Bisogna che il Figlio dell’uomo sia consegnato in mano ai peccatori, sia crocifisso e risorga il terzo giorno”». Ed esse si ricordarono delle sue parole e, tornate dal sepolcro, annunciarono tutto questo agli Undici e a tutti gli altri. Erano Maria Maddalena, Giovanna e Maria madre di Giacomo. Anche le altre, che erano con loro, raccontavano queste cose agli apostoli. Quelle parole parvero a loro come un vaneggiamento e non credevano ad esse. Pietro tuttavia si alzò, corse al sepolcro e, chinatosi, vide soltanto i teli. E tornò indietro, pieno di stupore per l’accaduto. Luca 24,1-12
 
SHOMER MA MI-LLAILAH (Sentinella quanto manca della notte?)
 
La differenza tra fede e non fede non è Gesù, è la Pasqua di Gesù!
Lui c’è, ma non qui; è altrove, è più avanti, cercatelo dappertutto ma non fra le cose morte... 

Era ancora notte, e loro si sono messe per strada.

Il primo giorno, al mattino presto, esse si recarono al sepolcro. La notte durerà ancora ma il mattino sta venendo (Is 21,12).

È notte anche per noi, davanti al mostro evidente del male assoluto che si chiama guerra.

Luca non scrive il soggetto di questo andare, ma lo sappiamo tutti che sono loro, le donne, quelle che ci raccontano la morte e le sette parole di Gesù in croce, che hanno raccolto il suo grido, che l’hanno profumato ancora una volta con oli aromatici per contrastare, come possono, come sanno, la morte.

Davanti alla pietra rovesciata e al vuoto angosciante, per le donne non c’è subito la fede, si alza solo l’immensa domanda: cos’è questo?

La fede non è immediata, è un lavorìo, un esile filo, scalpello su dura pietra, e comincia con il domandare: cos’è questo che accade?

Sono necessari due angeli e una nuova annunciazione. Dice Luca che sono sfolgoranti, quasi vestiti di lampi, di scampoli di luce: perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui. È risorto.

Una cascata di bellezza, un’abbagliante luce che da un nome a Gesù: “Colui-che è-vivo!”: quello che avete visto chiudere nella roccia, quell’uomo che vi ha aperto orizzonti infiniti, è vivo.

La differenza tra fede e non fede non è Gesù, è la Pasqua di Gesù! Non è un fantasma, non è un ricordo: è lui!

Lui c’è, ma non qui; è altrove, è più avanti, cercatelo dappertutto ma non fra le cose morte, non nei cimiteri, è in giro per le strade, per gli occhi, per i cuori, bussa alle case, aspetta che gli si apra e i suoi teli profumano di sole. Lo incontri, ci inciampi addosso, lo urti, ti tocca, ti parla, ti abbraccia.

E’ risorto! E lo dicono con un verbo umile e concreto: Si è svegliato. Non sanno come dire la risurrezione, e allora Luca, Marco, Matteo usano i verbi del mattino, quando riprendiamo vita, lavori, amori, gioie e fatiche. Si è svegliato, svegliamoci da questa vita assopita!

Svegliati, alzati. Guarda, ascolta, immagina cieli nuovi e apri le tue braccia!

Noi siamo così, come quelle donne, siamo creature di desiderio e di stupore. E’ illogica la Pasqua, è tutto contro ogni ragione, quella mattina.

Ma la vita non si misura da quanti respiri facciamo, si misura da tutti quei momenti che ci tolgono il respiro.

Nella mattina di Pasqua, tra donne, profumi e parole di angeli c’è un’armonia di segni cosmici nuovi, di partenze al levar del sole, dentro il profumo del giardino, nell’intrecciarsi armonioso della prima stagione dell’anno, il primo plenilunio, il primo giorno della settimana, la prima ora del giorno.

Non vediamo la luce, è ancora notte, c’è ancora il suono che fa il silenzio (F. Guccini), ma il giorno nuovo viene.

Il dolore è a un passo, ma è a un passo anche l’amore, stupendamente vivo.

Attendendo la Pasqua riflettiamo con il biblista P. Alberto Maggi

Attendendo la Pasqua 
riflettiamo con il biblista P. Alberto Maggi


**************

Alberto Maggi
Pasqua inquieta 

I capi religiosi sono inquieti. Sono finalmente riusciti nel loro intento, eppure sentono che non è stato sufficiente assassinare il Nazareno. Gesù è morto, è vero, ma essi sono agitati. Si rendono conto che non è bastato eliminare colui che li aveva denunciati come ladri, assassini e impostori. Eppure ormai il loro avversario non è che un cadavere che giace nel sepolcro, per cui non dovrebbero preoccuparsi.

L’agitazione però è tale che, il giorno dopo la morte e sepoltura di Gesù, nonostante fosse il sabato, tempo di assoluto riposo, sommi sacerdoti e farisei si riuniscono presso Pilato. I farisei erano i più strenui e fanatici difensori dell’osservanza di tutte le rigorose norme che determinavano il riposo del sabato, ma ora sono i primi a non rispettarle. Gesù per i farisei è stata un’ossessione in vita, e lo è anche ora che è morto. In combutta con il sinedrio, i farisei avevano organizzato tutto alla perfezione, ma ora sentono che qualcosa sta incrinando il loro piano. 
...

Ma cosa spinge sommi sacerdoti e farisei ad andare da Pilato di sabato? Che cosa non è andato secondo i loro piani? La sua sepoltura. Non è stata gradita dalle autorità religiose. Erano riuscite a far condannare Gesù come uno rifiutato da Dio e questo sarebbe stato confermato, di fronte al popolo, dal disonore dello scempio del suo cadavere, lasciato putrefare sul patibolo come pasto per le bestie selvatiche, mentre quel che restava sarebbe stato poi gettato in una fossa comune. L’iniziativa di un discepolo di Gesù, un ricco di Arimatea, un tale Giuseppe, che aveva chiesto a Pilato il corpo di Gesù per seppellirlo nella sua tomba nuova, scavata nella roccia (Mt 27,60), aveva scombinato i loro piani e intendono ora porvi rimedio. Sommi sacerdoti e farisei si rivolgono a Pilato chiamandolo ossequiosamente “Signore”. I capi dell’istituzione religiosa svelano di non essere, come si vantano, servi di Dio, ma del potere, al quale si sottomettono riconoscendone la potestà pur di poterla a loro volta esercitare. 
...

I capi si rivolgono a Pilato con fare autoritario. Più che una richiesta il loro è un comando imperativo: “Ordina dunque che la tomba venga vigilata fino al terzo giorno, perché non arrivino i suoi discepoli, lo rubino e poi dicano al popolo: “È risorto dai morti”. Così quest’ultima impostura sarebbe peggiore della prima!” (Mt 27,64).

La forza del potere deve impedire alla forza della vita di manifestarsi. Se Gesù è stato definito un impostore, i suoi discepoli sono dei ladri, pronti a rubare il corpo del loro maestro per perpetuare l’inganno. Per le autorità religiose, che l’uomo abbia una vita di una condizione divina, tale da superare la morte, non è che un’impostura. E Pilato concede loro un corpo di guardia e con sprezzante ironia li invita ad assicurarsi della sorveglianza della tomba, come essi ben sanno fare. Per quel che riguarda la gestione della morte le autorità religiose sono imbattibili! La permanenza in vita dell’istituzione religiosa è condizionata dall’assicurarsi che il Signore sia morto. Le autorità religiose sono esperte nell’inganno e sanno come impiegare la forza per impedire alla verità di manifestarsi. Esse, tuttavia, non sono ancora tranquille: non basta che una grande pietra sia posta sopra la tomba e che le guardie la sorveglino; per maggiore sicurezza sigillano pure la pietra che chiude il sepolcro. Credono di custodire un cadavere e non si rendono conto che sono loro quelli veramente morti. Ben aveva scritto il salmista: “Ride colui che sta nei cieli, il Signore si fa beffe di loro” (Sal 2,4).

Al tentativo delle autorità di sbarazzarsi di Gesù in maniera definitiva, risponde l’intervento di Dio con un “gran terremoto” per manifestare che la vita dell’uomo è stata liberata dagli effetti della morte e la pietra, rotolata via, non sigilla più il sepolcro. “Non è qui. È risorto!” (Mt 28,6) è la beffarda risposta divina ai piani dei capi religiosi. Tutto il loro affanno e la loro preoccupazione per nulla: custodivano un sepolcro vuoto. Paradossalmente l’irruzione della vita diventa un’esperienza di morte per quanti giacciono già in un mondo di morte. Anziché essere vivificate dalla manifestazione del Dio vivente, “le guardie furono scosse e rimasero come morte” (Mt 28,4). I custodi della morte, non avendo vita in sé non riescono a percepirla quando questa si manifesta, ma sprofondano ancor più nella sfera della morte.

Di fronte all’evidenza dell’azione divina i sommi sacerdoti non mostrano alcun segno di meraviglia e tantomeno di pentimento. L’unica loro preoccupazione è occultare la verità del fatto. La gente deve credere quel che loro stabiliscono e non importa che sia vero o no. Così, con “una buona somma di denaro ai soldati” (Mt 28,12) tentano ora di impedire l’annuncio della risurrezione del Cristo. Sommi sacerdoti e farisei che avevano definito Gesù un impostore e la resurrezione un inganno, mostrano in realtà di essere essi gli autori di un’“impostura peggiore della prima” (Mt 27,64).

Leggi tutto:

**************

Alberto Maggi
Meglio morto che risorto:
sul senso profondo della Pasqua

Se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede”, afferma perentorio Paolo ai Corinti (1 Cor 15,14). Eppure nessun evangelista dà la descrizione del momento della risurrezione del Cristo. Questo fatto creò così tanto imbarazzo nelle comunità cristiane primitive che si rimediò a questa lacuna con un falso d’autore che ebbe un grande successo. Infatti, l’immagine tradizionale del Cristo Risorto, che esce trionfante dal sepolcro, con le guardie tramortite, non appartiene ai vangeli riconosciuti ispirati, ma a un testo apocrifo del secondo secolo, conosciuto come il Vangelo di Pietro: “Durante la notte nella quale spuntava la domenica, mentre i soldati montavano la guardia a turno, due a due, risuonò in cielo una gran voce, videro aprirsi i cieli e scendere di lassù due uomini, in un grande splendore, e avvicinarsi alla tomba. La pietra che era stata appoggiata alla porta rotolò via da sé e si pose a lato, si aprì il sepolcro e c’entrarono i due giovani” (Vang. Pietro 9,35-37).

Nessuno ha potuto descrivere la risurrezione del Cristo, perché neanche un solo discepolo era presente, nonostante Gesù avesse insistentemente affermato che sì, sarebbe stato ucciso, e nel modo più infamante, la crocifissione, ma poi dopo tre giorni sarebbe risuscitato (Mt 16,21; 17,22; 20,19). Ma nessuno ci ha creduto, perché nessuno desiderava veramente la sua risurrezione. 
... 

In fondo meglio morto che risuscitato. Perché se Gesù era morto, era segno che non era il Messia e bisognava attenderne un altro. 
...

Inutilmente Gesù nella sua vita terrena aveva parlato ai suoi discepoli del regno di Dio, perché questi capivano regno di Israele. Gesù parlava di servizio e i discepoli pensavano al potere, il Maestro insegnava a mettersi a livello degli ultimi e i discepoli litigavano tra loro per assicurarsi il posto più importante, il Signore li invitava a scendere e essi pensavano solo a salire.
Per questo il Risorto, una volta riuniti i suoi, tiene loro una sorta di corso intensivo durato ben quaranta giorni “parlando delle cose riguardanti il regno di Dio” (At 1,3). Ma niente da fare: quando l’ideologia religiosa è intrecciata con quella nazionalista, anche se si hanno orecchie per udire non si ode, e se si hanno occhi per vedere non si vede (Mc 8,18). Infatti, al quarantesimo giorno, i discepoli, che evidentemente non erano interessati a questo tema del regno di Dio, gli domandarono: “Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?” (At 1,6). Scrive l’evangelista che a questo punto “una nube lo sottrasse ai loro occhi” (At 1,9). Il Cristo non se n’è andato, ma sono i discepoli che sono incapaci di vederlo. Chi è mosso dal potere non può percepire l’Amore, chi pensa a sé non può riconoscere la presenza dell’Altro. Ci vorrà ancora del tempo, e quando finalmente i discepoli comprenderanno che il pane non va accumulato, ma solo spezzato e condiviso, allora si apriranno i loro occhi e riconosceranno il Cristo risorto (At 24,31) che li accompagnerà nella loro missione (Mc 16,20).


Le parole di Gesù in croce

Le parole di Gesù in croce



Le ultime parole di un uomo sono sempre importanti e tendono a essere ricordate. Si può̀immaginare, allora, quale valore sia stato da sempre attribuito a quelle di Gesù in croce tramandate dagli evangelisti.

Questa nuova edizione, completamente rinnovata e aggiornata dell’opera di Angelico Poppi del 1974, si propone di rileggerle, collocandole nel loro contesto letterario ed evidenziando il particolare orientamento teologico che ogni evangelista ha sviluppato nel proprio racconto. Infatti, le “ultime parole di Gesù”, riportate con notevole diversità̀ dai quattro vangeli, ricapitolano l’essenza del messaggio che ogni evangelista ha colto nel dramma sconvolgente della croce e ha voluto offrire ai suoi destinatari per ravvivarne la fede.

Angelico Poppi (1928-2017), frate minore conventuale, ha studiato presso il Pontificio Istituto Biblico di Roma, lo Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme e ha insegnato a Padova per molti anni.

Daniele La Pera, frate minore conventuale, ha conseguito la licenza in Teologia nell’indirizzo di Studi biblici e successivamente il dottorato, presso la Facoltà̀ teologica dell’Italia settentrionale di Milano. Attualmente è docente presso la Facoltà̀ teologica del Triveneto e l’Istituto teologico Sant’Antonio dottore di Padova. Egli ha rielaborato lo scritto di A. Poppi, aggiornandolo agli ultimi studi.

«L’intento perseguito – afferma La Pera – non corrisponde né all’offerta di una riflessione meditativa tout court – alla stregua di molte già ampiamente diffuse – né, tantomeno, quello di armonizzare le ultime frasi pronunciate da Gesù in modo da accertarne la sequenza cronologica durante le ore drammatiche che precedettero la sua morte» (p. 6).

Essendo il mistero pasquale il centro dell’annuncio evangelico, «le parole poste sulle labbra di Gesù in questi momenti cruciali assumono un significato di estrema importanza – annota lo studioso –. Ma ancor più ci sembra che le espressioni di Gesù morente assumano uno spessore teologico eccezionale, ponendosi quale manifestazione e sintesi di un vissuto – quello di Cristo – interamente dedicato a rivelare all’umanità la volontà salvifica del Padre e come questa si compia inesorabilmente nel segreto intreccio, reale e drammatico, tra il desiderio di donare a tutti la vita piena e la rinuncia alla propria vita, l’offerta di se stesso, fino all’estremo abbandono della croce» (p. 7).

Ogni evangelista, pur attingendo alle fonti comuni, ha impresso alle parole il proprio taglio teologico per illustrare la persona di Gesù. «Ci sembra infatti che le parole di Gesù in croce, riportate […] con notevole diversità dai quattro Vangeli, ricapitolino l’essenza del messaggio che ogni evangelista ha colto nel dramma sconvolgente della croce e ha voluto offrire ai suoi destinatari per ravvivarne la fede» (ivi).

La Pera ha, talvolta, sintetizzato il pensiero di A. Poppi, e lo ha rielaborato per innestarlo in nuovi contenuti, ma l’essenziale del lavoro originale è stato preservato.

Nell’introduzione, lo studioso espone le sette parole, le loro pertinenze testuali e gli orizzonti teologici propri. Viene riportato il contenuto delle sette parole e si analizza un loro ipotetico ordine cronologico. Ogni evangelista ha attinto con originalità di taglio teologico alle fonti dell’AT, presentando Gesù che muore pregando, perdonando e affidando reciprocamente i discepoli alla madre. Egli è l’agnello pasquale che compie la redenzione prefigurata nell’AT.

Le parole di Gesù in Marco e Matteo

Nel c. 1 ci si porta al cuore del vangelo. Si accenna ai discorsi kerigmatici, all’origine dei Vangeli, alle ultime parole, ai testamenti spirituali e alle parole dei martiri.

Nel c. 2 si studia la parola di Gesù morente secondo Marco e Matteo. È il grido di Gesù morente. Si dà uno sguardo al lessico e si studia l’espressione «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Uno sguardo al Sal 22 precede la discussione sulla tipologia e sulla storicità dell’invocazione di Gesù. Gesù muore pregando il Padre e non da disperato. I salmi e i brani dell’AT citati vanno letti interamente e forniscono il contesto più completo per comprendere la parola di Gesù.

L’autore afferma che «ci sembra di poter dire che la parola di Gesù in croce, in quanto citazione letterale di un salmo, non può designare un atteggiamento di disperazione per il fallimento della sua vita; neppure può indicare il disinteresse da parte di Dio. Anzi, con quella preghiera del giusto sofferente Gesù esprime la propria confidenza al Padre, il totale abbandono nelle sue mani e la fiducia di trionfare sul male che su di lui si è abbattuto, nonostante questo gli costi caro. Proprio per questo – come dicevamo – non bisogna sminuire la realtà della sofferenza fisica e del dramma interiore che Gesù patisce lasciando e accettando che questa scelta d’amore per l’umanità si consumi fino in fondo e lo consumi del tutto. È in questo atto supremo che si rivela la qualità dell’amore offerto da Dio, che in Cristo si consuma per tutti nonostante l’orrore che gli si abbatte addosso» (pp. 89-90).

Nel Vangelo di Luca

Il c. 3 analizza le parole di Gesù morente secondo Luca. Le si inquadra dapprima nella passione di Gesù nella prospettiva teologica di Luca. Gesù muore innocente, offrendo la sua vita in mezzo ai peccatori. Morendo, egli invoca dal Padre il perdono degli uccisori, perché non sanno quello che fanno.

La Pera analizza l’attendibilità del testo e il contenuto della parola: il perdono. Segue la parola detta al “buon ladrone”: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso». Si studia il contenuto della parola riguardante l’“oggi” e il “paradiso”. Gesù muore consegnandosi al Padre: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito».

Si getta uno sguardo sul Sal 31, mentre il contenuto della parola rivela la confidente consegna di sé al Padre. L’autore nota che «è opportuno sottolineare ancora una volta la consonanza con lo stile e la sensibilità teologica del terzo Vangelo. Gesù appare anche sulla croce come colui che “annuncia e domina gli avvenimenti”; pur essendone la vittima, non li subisce ma li assume pienamente. In questo modo la drammaticità si ammanta di una certa levatura teologico-narrativa efficace nel rappresentare Gesù quale modello ed espressione convincente di compassione, capace di perdono e di estrema obbedienza: con un atto di carità sublime prega il Padre per il perdono dei suoi uccisori, assicura al malfattore pentito la salvezza escatologica e, per concludere, mette la propria vita nelle mani del Padre, in un atteggiamento di fiducia filiale sconfinata» (p. 153).

«[La] preoccupazione che muove l’evangelista – annota La Pera – non è esclusivamente o primariamente cristologica – seppur quanto ne ricaviamo è sempre frutto di una cristologia elaborata da Luca – quanto piuttosto parenetica. In altre parole, l’autore non si domanda tanto che significato abbia la crocifissione per Cristo, ma piuttosto che cosa significhi per i credenti la croce di Cristo; possiamo riconoscere, dunque, che Luca si avvicina e racconta il patibolo di Gesù con gli occhi e la fede del discepolo; con la consapevolezza di colui che scorge il significato grande della vita e della morte del Crocifisso per la propria e altrui salvezza» (p. 153).

«La figura che effettivamente risalta e che l’evangelista comunica di Gesù è decisamente questa – afferma ancora La Pera –, quella del giusto, del profeta condannato, del martire per eccellenza nel suo testimoniare fino in fondo la compassione divina; osteso, visibile e credibile sulla croce quale modello e maestro da seguire» (p. 154).

«In un certo senso – continua lo studioso –, potremmo dire che le ultime parole con cui egli si affida al Padre concentrano “tutti i momenti di vita in cui Gesù interiorizzava il suo rapporto verso il Padre e la sua missione redentrice” (cit. di Broz); l’ultima preghiera ricapitola ogni sua preghiera e, facendo ciò, trasmette il senso della sua esistenza, della sua missione, comunica – anche così – qualcosa del mistero del Figlio, salvatore del mondo» (p. 156).

«[Nella] nella prospettiva tracciata da Luca nel suo racconto della passione emergono in modo preponderante i temi della fiducia, della preghiera, del perdono, della perseveranza; temi del tutto peculiari al suo Vangelo. Ora, alla luce delle considerazioni esposte, le tre parole pronunciate da Gesù in croce sembrano ricapitolare in modo sintetico questa visione teologica, tanto che nel loro insieme dicono già tutta la buona notizia precedentemente raccontata e annunciata dal terzo evangelista» (ivi).

Nel Vangelo di Giovanni

Nel c. 4 si esaminano le parole di Gesù morente secondo Giovanni.

Dapprima si studia il racconto della passione di Gesù nella prospettiva teologica di Giovanni.

Si analizzano quindi le parole: «Donna ecco tuo figlio!… Ecco tua madre», e il significato della presenza della “madre” e del “discepolo amato”. Il contenuto della parola sta nella relazione nuova nella nuova familiarità. La Chiesa è affidata alla madre e viceversa.

La parola «Ho sete» viene confrontata con il resoconto dei Sinottici; si analizza la menzione dell’issopo e gli echi dei Salmi 69,22 e 22,16. Il contenuto della parola sta nel fatto che Gesù è dissetato dal compiersi dell’ora. La parola «È compiuto» consiste nel fatto del senso di una vita spesa per il Padre e per i fratelli e nell’attualità della salvezza. L’ora di Gesù segna una svolta decisiva nella storia della salvezza.

Sembra utile riportare le parole riassuntive dell’autore circa la prospettiva giovannea sulle parole di Gesù in croce.

«Il Crocifisso di Giovanni potrebbe infatti essere compreso come perfettamente agli antipodi rispetto alla figura rappresentata nei Sinottici. La regalità, il dominio delle situazioni, la consapevolezza e il processo di glorificazione che presiedono a tutto il racconto della passione giovanneo, sembrano davvero tutt’altro rispetto all’umiliazione, al dileggio, alla terribile sofferenza e desolazione, nonché all’estrema solitudine che subisce il Crocifisso dei Sinottici. A dispetto di questo, il Crocifisso giovanneo potrebbe sembrare artefatto e distante dalla realtà complessa nella quale i credenti vivono e vivranno in ogni tempo; molta più affinità sembra stabilirsi con la figura del giusto sofferente che si delinea in Marco e Matteo o con il martire compassionevole e misericordioso di Luca; la preghiera di abbandono del primo caso e la preghiera fiduciosa del secondo sembrano corrispondere maggiormente alla desolazione dolente e alla tenace speranza che si intrecciano nel cuore umano.

Eppure, nel racconto della passione di Giovanni, il Crocifisso che solennemente viene innalzato e le cui ultime parole sono dense di significato teologico ci presenta il senso nascosto delle cose come solo Giovanni sa fare, lasciandoci scorgere quel piano ulteriore sul quale rileggere i fatti che si palesano comunque nella loro drammaticità, ma che simultaneamente vengono trasfigurati dalla rivelazione che in essi si compie.

Giovanni ci svela cosi il nesso profondo che sussiste tra umiliazione e gloria, sconfitta e vittoria, morte e vita, rilevando la discriminante fondamentale che anima l’agire di Dio stesso, ossia l’amore; e non un amore qualsiasi, ma quello che si è manifestato in Cristo, capace di compromettersi del tutto perché tutti siano coinvolti-attratti da quel dono di vita che egli offre consegnando la propria vita. Giustamente Grilli osserva come sia proprio l’amore a governare questa dinamica, quale forza capace “di trasformare il fallimento in forza feconda. Grazie all’amore, la morte è trasformata in vita e il chicco di frumento che “cade in terra muore”, ma “produce molto frutto” (Gv 12,24).

Questa è una prospettiva teologica che nasce però dall’esperienza del Crocifisso e, in quanto tale, è una prospettiva esistenziale che scagiona l’uomo e la storia di ciascuno dal senso di inutilità e di fallimento; non per mera consolazione di circostanza, ma perché solleva il velo su ciò che immediatamente non si vede, rivelando cosi l’influsso della forza redentrice che si è sprigionata dal compimento dell’ora e che nel dono dello Spirito è adesso in grado di raggiungere chiunque, per portare avanti dovunque l’opera del Padre compiutasi in Gesù, finché il mistero della sua Pasqua pervada completamente la storia e il tempo sia pienamente realizzato nell’eternità» (pp. 206-208).

Il percorso compiuto

Riassumendo il percorso fatto, La Pera annota: «[…] solo Marco e Matteo concordano sulla domanda che Gesù, gridando, rivolge al Padre; Luca e Giovanni, invece, ricordano altre tre parole ciascuno, ma completamente diverse tra loro.

Riguardo alla storicità delle parole, abbiamo sottolineato come sia pacificamente ammesso ormai che i discorsi, le parabole e i detti del Signore non sono stati sempre trasmessi letteralmente nelle comunità cristiane primitive come si trattasse di una registrazione, ma sono stati approfonditi e adattati alla situazione vitale delle varie Chiese» (p. 209).

Le parole sono state studiate seguendo l’ordine nel quale sono state riportate.

I Sinottici

«Dall’analisi della parola riferita da Marco e Matteo – scrive La Pera – è risultato che essa riassume sinteticamente la teologia della croce nei primi due Vangeli. La citazione del Salmo 22 riesce a coniugare l’estrema drammaticità, la desolante solitudine e sofferenza, perfino il paradosso dell’abbandono, ma il tutto orientato nell’orizzonte di vita e di salvezza che si compie attraverso la passione del Figlio di Dio, quale estrema dialettica tra il silenzio divino e la rivelazione della salvezza che, in modo eloquente, è testimoniata dai due evangelisti. Tanto che la croce diviene il luogo dove l’identità del Figlio è finalmente riconosciuta e professata.

Le tre parole riportate da Luca riflettono la preoccupazione parenetica del terzo evangelista. Anche sul patibolo della croce Gesù appare quale esempio e manifestazione della misericordia divina, chiedendo il perdono per i nemici, accogliendo il pentimento del malfattore e rimettendosi confidente nelle mani del Padre. Il Crocifisso diviene così modello credibile del vero discepolo, fedele testimone del Padre fino alle estreme conseguenze. In tal modo, Luca invita il lettore ad accostarsi con fiducia alla croce di Cristo che, da patibolo di condanna, diviene sorgente di perdono, strumento di salvezza.

Giovanni

Anche le tre parole riportate da Giovanni risentono della profondità teologica che anima il Quarto Vangelo – prosegue lo studioso –. Il tema dell’ora che segna tutto il racconto determina il compimento della missione del Figlio, il senso della sua vita e, quindi, l’attualità dell’opera di salvezza a vantaggio dell’umanità.

L’innalzamento del Crocifisso che attira tutti a sé inaugura il tempo escatologico e il coinvolgimento dei credenti nella nuova fase della storia salvifica, favorita dalla mediazione dello Spirito e sostenuta dalla testimonianza dei credenti. L’amore che, sul modello di Cristo-Agnello permane nelle relazioni tra fratelli, infatti, estende nel tempo il dono della vita eterna compiutosi sul Golgota.

Concludendo, alla luce di quanto abbiamo sposto – scrive La Pera –, confermiamo che le parole di Gesù in croce, a noi trasmesse dalla testimonianza quadriforme dei Vangeli, esprimono, in quanto tali, la riflessione credente sul mistero pasquale di Cristo in modo sintetico ed efficace – secondo la particolare prospettiva teologica di ogni evangelista –, offrendoci così un orizzonte di senso dentro cui leggere l’esperienza del Figlio di Dio e, insieme, rileggere la nostra stessa esperienza, lungo il cammino che conduciamo dietro a lui, il Crocifisso-Risorto» (pp. 209-211).

Il volume è molto ricco di analisi e di riflessioni teologiche. Si raccomanda per il linguaggio accessibile, in vista di una preparazione esegetica, teologica e spirituale a vivere con intensità la Quaresima e il periodo pasquale.

ANGELICO POPPI – DANIELE LA PERA, Le parole di Gesù in croce. Nuova edizione interamente riveduta e corretta (Bibbia per te 53), Edizioni Messaggero, Padova 2025, pp. 216, € 17,50, ISBN 9788825059236.

(fonte: Settimana News, articolo di Roberto Mela 14/03/2025)


venerdì 18 aprile 2025

Le meditazioni e le preghiere per la Via Crucis 2025 scritte dal Santo Padre Francesco, 18.04.2025

Le meditazioni e le preghiere per la Via Crucis 2025
scritte dal Santo Padre Francesco
18.04.2025


Introduzione

La via del Calvario passa in mezzo alle nostre strade di tutti i giorni. Noi, Signore, andiamo solitamente nella direzione opposta alla tua. Proprio così può capitarci di incontrare il tuo volto, di incrociare il tuo sguardo. Noi procediamo come sempre e tu vieni verso di noi. I tuoi occhi ci leggono il cuore. Allora esitiamo a proseguire come se nulla fosse successo. Possiamo voltarci, guardarti, seguirti. Possiamo immedesimarci nel tuo cammino e intuire che è meglio cambiare direzione.

Dal Vangelo secondo Marco (10,21)

Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!».

Gesù è il tuo nome e davvero in te «Dio salva». Il Dio di Abramo che chiama, il Dio di Isacco che provvede, il Dio di Giacobbe che benedice, il Dio di Israele che libera: nel tuo sguardo, Signore che attraversi Gerusalemme, c’è un’intera rivelazione. Nei tuoi passi che escono dalla città c’è il nostro esodo verso una terra nuova. Sei venuto a cambiare il mondo: significa per noi cambiare direzione, vedere la bontà delle tue tracce, lasciare lavorare nel nostro cuore la memoria dei tuoi occhi.

La Via Crucis è la preghiera di chi si muove. Interrompe i nostri percorsi consueti, affinché dalla stanchezza andiamo verso la gioia. È vero, ci costa la via di Gesù: in questo mondo che calcola tutto, la gratuità ha un caro prezzo. Nel dono, però, tutto rifiorisce: una città divisa in fazioni e lacerata dai conflitti va verso la riconciliazione; una religiosità inaridita riscopre la fecondità delle promesse di Dio; persino un cuore di pietra può cambiarsi in un cuore di carne. Soltanto, occorre ascoltare l’invito: «Vieni! Seguimi!». E fidarsi di quello sguardo d’amore.

I stazione

Gesù è condannato a morte

Dal Vangelo secondo Luca (23,13-16)

Pilato, riuniti i capi dei sacerdoti, le autorità e il popolo, disse loro: «Mi avete portato quest’uomo come agitatore del popolo. Ecco, io l’ho esaminato davanti a voi, ma non ho trovato in quest’uomo nessuna delle colpe di cui lo accusate; e neanche Erode: infatti ce l’ha rimandato. Ecco, egli non ha fatto nulla che meriti la morte. Perciò, dopo averlo punito, lo rimetterò in libertà».

Non andò così. Non ti rimise in libertà. Eppure, sarebbe potuta andare diversamente. È il drammatico gioco delle nostre libertà. Quello per cui, Signore, tanto ci hai stimati. Hai dato fiducia a Erode, a Pilato, ad amici e nemici. Sei irrevocabile nella fiducia con cui ti metti nelle nostre mani. Possiamo trarne meraviglie: liberando chi è ingiustamente accusato, approfondendo la complessità delle situazioni, contrastando i giudizi che uccidono. Persino Erode avrebbe potuto seguire la santa inquietudine che lo attraeva a te: non lo ha fatto, nemmeno quando si trovò finalmente in tua presenza. Pilato avrebbe potuto liberarti: già ti aveva assolto. Non lo ha fatto. La via della croce, Gesù, è una possibilità che già troppe volte abbiamo lasciato cadere. Lo confessiamo: prigionieri dei ruoli da cui non siamo voluti uscire, preoccupati dei fastidi di un cambio di direzione. Tu sei ancora, silenziosamente, davanti a noi: in ogni sorella e in ogni fratello esposti a giudizi e pregiudizi. Ritornano argomenti religiosi, cavilli giuridici, l’apparente buon senso che non si coinvolge nel destino altrui: mille ragioni ci tirano dalla parte di Erode, dei sacerdoti, di Pilato e della folla. Eppure, può andare diversamente. Tu, Gesù, non te ne lavi le mani. Ami ancora, in silenzio. La tua scelta l’hai fatta, e ora tocca a noi.

Preghiamo dicendo: Apri il mio cuore, Gesù

Quando davanti a me c’è una persona giudicata. Apri il mio cuore, Gesù

Quando le mie certezze sono pregiudizi. Apri il mio cuore, Gesù

Quando mi condiziona la rigidità. Apri il mio cuore, Gesù

Quando il bene segretamente mi attrae. Apri il mio cuore, Gesù

Quando vorrei avere coraggio, ma ho paura di rimetterci. Apri il mio cuore, Gesù

 

II stazione

Gesù è caricato della croce

Dal Vangelo secondo Luca (9,43b-45)

Mentre tutti erano ammirati di tutte le cose che faceva, disse ai suoi discepoli: «Mettetevi bene in mente queste parole: il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini». Essi però non capivano queste parole: restavano per loro così misteriose che non ne coglievano il senso, e avevano timore di interrogarlo su questo argomento.

Da mesi, forse da anni, quel peso era sulle tue spalle, Gesù. Quando ne parlavi, nessuno ti dava retta: resistenza invincibile, anche solo a intuire. Non te la sei cercata, ma hai sentito la croce venire verso di te, sempre più distintamente. Se l’hai accolta, è perché ne avvertivi, oltre che il peso, la responsabilità. La strada della tua croce, Gesù, non è solo in salita. È la tua discesa verso coloro che hai amato, verso il mondo che Dio ama. È una risposta, un’assunzione di responsabilità. Costa, come costano i legami più veri, gli amori più belli. Il peso che porti racconta il respiro che ti muove, quello Spirito “che è Signore e dà la vita”. Chissà perché temiamo persino di interrogarti, su questo. In realtà, siamo noi ad avere il fiato corto, a forza di evitare responsabilità. Basterebbe non scappare e restare: tra coloro che ci hai dato, nei contesti in cui ci hai posto. Legarci, sentendo che solo così smettiamo di essere prigionieri di noi stessi. Pesa più l’egoismo della croce. Pesa più l’indifferenza della condivisione. Lo aveva annunciato il profeta: Anche i giovani faticano e si stancano, gli adulti inciampano e cadono; ma quanti sperano in te riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi (cfr Is 40,30-31).

Preghiamo dicendo: Liberaci dalla stanchezza, Signore

Se ci affanniamo attorno a noi stessi. Liberaci dalla stanchezza, Signore!

Se ci pare di non avere forze per dedicarci agli altri. Liberaci dalla stanchezza, Signore!

Se cerchiamo scuse per scansare le responsabilità. Liberaci dalla stanchezza, Signore!

Se abbiamo talenti e competenze da mettere in campo. Liberaci dalla stanchezza, Signore!

Se il nostro cuore vibra ancora davanti all’ingiustizia. Liberaci dalla stanchezza, Signore!


III stazione

Gesù cade per la prima volta

Dal Vangelo secondo Luca (10,13-15)

«Guai a te, Corazìn, guai a te, Betsàida! Perché, se a Tiro e a Sidone fossero avvenuti i prodigi che avvennero in mezzo a voi, già da tempo, vestite di sacco e cosparse di cenere, si sarebbero convertite. Ebbene, nel giudizio, Tiro e Sidone saranno trattate meno duramente di voi. E tu, Cafàrnao, sarai forse innalzata fino al cielo? Fino agli inferi precipiterai!».

Fu come un primo toccare il fondo e ti uscirono parole dure, Gesù, per quei luoghi che ti erano tanto cari. Il seme della tua parola pareva caduto nel vuoto e così ciascuno dei tuoi gesti di liberazione. Ogni profeta si è sentito cadere nel vuoto dell’insuccesso, per avanzare ancora, poi, nelle vie di Dio. La tua vita, Gesù, è una parabola: non cadi mai invano nella nostra terra. Persino quella prima volta, la delusione fu presto interrotta dalla gioia dei tuoi, che avevi inviato: tornavano a te dalla loro missione e ti narravano i segni del Regno di Dio. Allora tu esultasti di gioia spontanea, prorompente, che fa balzare in piedi con un’energia contagiosa. Benedicesti il Padre, che nasconde i suoi disegni ai dotti e agli intelligenti per rivelarli a piccoli. Anche la via della croce è tracciata a fondo nella terra: i grandi se ne distaccano, vorrebbero toccare il cielo. Invece il cielo è qui, si è abbassato, lo si incontra persino cadendo, rimanendo a terra. Ci raccontano, i costruttori di Babele, che non si può sbagliare e chi cade è perduto. È il cantiere dell’inferno. L’economia di Dio invece non uccide, non scarta, non schiaccia. È umile, fedele alla terra. La tua via, Gesù, è la via delle Beatitudini. Non distrugge, ma coltiva, ripara, custodisce.

Preghiamo dicendo: Venga il tuo Regno

Per coloro che si sentono falliti. Venga il tuo Regno

A contestare un’economia che uccide. Venga il tuo Regno

A ridare forza a chi è caduto. Venga il tuo Regno

Nelle società competitive e fra chi insegue i primi posti. Venga il tuo Regno

In chi giace alle frontiere e sente finito il suo viaggio. Venga il tuo Regno


IV stazione

Gesù incontra sua Madre

Dal Vangelo secondo Luca (8,19-21)

E andarono da lui la madre e i suoi fratelli, ma non potevano avvicinarlo a causa della folla. Gli fecero sapere: «Tua madre e i tuoi fratelli stanno fuori e desiderano vederti». Ma egli rispose loro: «Mia madre e miei fratelli sono questi: coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica».

Tua madre c’è, sulla via della croce: fu lei la tua prima discepola. Con delicata determinazione, con la sua intelligenza che nel cuore custodisce e ripensa, tua madre c’è. Dall’istante in cui le fu proposto di accoglierti in grembo si voltò, si convertì a te. Piegò le sue vie alle tue. Non fu una rinuncia, ma una scoperta continua, fino al Calvario: seguirti è lasciarti andare; averti è fare spazio alla tua novità. Lo sa ogni madre: un figlio sorprende. Figlio amato, tu riconosci che tua madre e tuoi fratelli sono quelli che ascoltano e si lasciano cambiare. Non parlano, ma fanno. In Dio le parole sono fatti, le promesse sono realtà: sulla via della croce, o Madre, sei fra le poche che lo ricorda. Ora è il Figlio che ha bisogno di te: lui sente che tu non disperi. Sente che stai generando ancora nel tuo grembo la Parola. Anche noi, Gesù, riusciamo a seguirti generati da chi ti ha seguito. Anche noi siamo rimessi al mondo dalla fede di tua madre e di innumerevoli testimoni che generano anche là dove tutto parla di morte. Quella volta, in Galilea, erano stati loro a volerti vedere. Ora, salendo al Calvario, tu stesso cerchi lo sguardo di chi ascolta e mette in pratica. Indicibile intesa. Alleanza indissolubile.

Preghiamo dicendo: Ecco mia madre

Maria ascolta e parla. Ecco mia madre

Maria domanda e riflette. Ecco mia madre

Maria esce di casa e viaggia decisa. Ecco mia madre

Maria gioisce e consola. Ecco mia madre

Maria accoglie e si prende cura. Ecco mia madre

Maria rischia e protegge. Ecco mia madre

Maria non teme giudizi e insinuazioni. Ecco mia madre

Maria attende e rimane. Ecco mia madre

Maria orienta e accompagna. Ecco mia madre

Maria non concede nulla alla morte. Ecco mia madre


V stazione

Gesù è aiutato dal Cireneo a portare la croce

Dal Vangelo secondo Luca (23,26)

Mentre lo conducevano via, fermarono un certo Simone di Cirene, che tornava dai campi, e gli misero addosso la croce, da portare dietro a Gesù.

Non si offrì, lo fermarono. Simone tornava dal suo lavoro e gli misero addosso la croce di un condannato. Avrà avuto il fisico adatto, ma certo la sua direzione era un’altra, il suo programma era un altro. In Dio ci si può imbattere così. Chissà perché, Gesù, quel nome – Simone di Cirene – divenne presto indimenticabile fra i tuoi discepoli. Sulla via della croce loro non c’erano e noi nemmeno, Simone invece sì. Vale fino a oggi: mentre qualcuno offre tutto di sé, si può essere altrove, persino in fuga, oppure si può venire coinvolti. Noi crediamo, Gesù, di ricordare il nome di Simone perché quell’imprevisto lo cambiò per sempre. Non smise più di pensarti. Diventò parte del tuo corpo, testimone di prima mano della tua differenza da qualsiasi altro condannato. Simone di Cirene si trovò addosso la tua croce senza averla chiesta, come il giogo di cui un giorno avevi parlato: «Il mio giogo è dolce, il mio peso è leggero» (cfr Mt 11,30). Anche gli animali lavorano meglio, se avanzano insieme. E tu, Gesù, ami coinvolgerci nel tuo lavoro, che dissoda la terra, perché sia nuovamente seminata. Noi abbiamo bisogno di questa sorprendente leggerezza. Abbiamo bisogno di chi ci fermi, talvolta, e ci metta sulle spalle qualche pezzo di realtà che va semplicemente portato. Si può lavorare tutto il giorno, ma senza di te si disperde. Invano faticano i costruttori, invano veglia il custode della città che Dio non costruisce (cfr Sal 127). Ecco: sulla via della croce sorge la Gerusalemme nuova. E noi, come Simone di Cirene, cambiamo strada e lavoriamo con te.

Preghiamo dicendo: Ferma la nostra corsa, Signore

Quando andiamo per la nostra strada, senza guardare in faccia nessuno. Ferma la nostra corsa, Signore

Quando le notizie non ci commuovono. Ferma la nostra corsa, Signore

Quando le persone diventano numeri. Ferma la nostra corsa, Signore

Quando per ascoltare non c’è mai tempo. Ferma la nostra corsa, Signore

Quando abbiamo fretta di decidere. Ferma la nostra corsa, Signore

Quando i cambiamenti di programma non sono ammessi. Ferma la nostra corsa, Signore


VI stazione

La Veronica asciuga il volto di Gesù

Dal Vangelo secondo Luca (9,29-31)

Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elia, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme.

Dal Libro dei Salmi (27,8-9a)

Il mio cuore ripete il tuo invito: «Cercate il mio volto!».

Il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto.

Nel tuo volto, Gesù, vediamo il tuo cuore. La tua decisione ti si legge negli occhi, scava il tuo viso, rende i tuoi lineamenti espressione di un’attenzione inconfondibile. Ti accorgi di Veronica, come di me. Io cerco il tuo volto, che racconta la decisione di amarci sino all’ultimo respiro: e anche oltre, perché forte come la morte è l’amore (cfr Ct 8,6). A cambiarci il cuore è il tuo volto, che vorrei fissare e custodire. Tu ti consegni a noi, giorno dopo giorno, nel volto di ogni essere umano, memoria viva della tua incarnazione. Ogni volta che ci volgiamo al più piccolo, infatti, diamo attenzione alle tue membra e tu resti con noi. Così ci illumini il cuore e l’espressione del viso. Invece di respingere, ora accogliamo. Sulla via della croce il nostro volto, come il tuo, può finalmente diventare raggiante e diffondere benedizione. Ne hai impressa in noi la memoria, presentimento del tuo ritorno, quando ci riconoscerai al primo sguardo, uno a uno. Allora, forse, ti somiglieremo. E saremo faccia a faccia, in un dialogo senza fine, nell’intimità di cui mai saremo stanchi, famiglia di Dio.

Preghiamo dicendo: Gesù Imprimi in noi il tuo ricordo, Gesù

Se il nostro volto è inespressivo Gesù Imprimi in noi il tuo ricordo

Se il nostro cuore è distaccato Gesù Imprimi in noi il tuo ricordo

Se i nostri gesti dividono Gesù Imprimi in noi il tuo ricordo

Se le nostre scelte feriscono Gesù Imprimi in noi il tuo ricordo

Se i nostri progetti escludono Gesù Imprimi in noi il tuo ricordo


VII stazione

Gesù cade per la seconda volta

Dal Vangelo secondo Luca (15, 2-6)

I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: "Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta"».

Cadere e rialzarsi; cadere e ancora rialzarsi. Così ci hai insegnato a leggere, Gesù, l’avventura della vita umana. Umana perché aperta. Alle macchine noi non consentiamo di sbagliare: le pretendiamo perfette. Le persone invece tentennano, si distraggono, si perdono. Eppure, conoscono la gioia: quella dei nuovi inizi, quella delle rinascite. Gli umani non vengono alla luce meccanicamente, ma artigianalmente: siamo pezzi unici, intreccio di grazia e di responsabilità. Gesù, ti sei fatto uno di noi; non hai temuto di inciampare e di cadere. Chi ne prova imbarazzo, chi ostenta infallibilità, chi nasconde le proprie cadute e non perdona quelle altrui rinnega la via che tu hai scelto. Tu sei, Gesù, il Signore della gioia. In te siamo tutti ritrovati e portati a casa, come l’unica pecora che si era smarrita. Disumana è l’economia in cui novantanove vale più di uno. Eppure, abbiamo costruito un mondo che funziona così: un mondo di calcoli e algoritmi, di logiche fredde e interessi implacabili. La legge della tua casa, economia divina, è un’altra, Signore. Volgerci a te, che cadi e ti rialzi, è un cambio di rotta e un cambio di passo. Conversione che ridona gioia e ci porta a casa.

Preghiamo dicendo: Rialzaci, Dio, nostra salvezza

Siamo bambini che a volte piangono. Rialzaci, Dio, nostra salvezza

Siamo adolescenti che si sentono insicuri. Rialzaci, Dio, nostra salvezza

Siamo giovani che troppi adulti disprezzano. Rialzaci, Dio, nostra salvezza

Siamo adulti che hanno sbagliato. Rialzaci, Dio, nostra salvezza

Siamo anziani che vogliono ancora sognare. Rialzaci, Dio, nostra salvezza


VIII stazione

Gesù incontra le donne di Gerusalemme

Dal Vangelo secondo Luca (23,27-31)

Lo seguiva una grande moltitudine di popolo e di donne, che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui. Ma Gesù, voltandosi verso di loro, disse: «Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli. Ecco, verranno giorni nei quali si dirà: "Beate le sterili, i grembi che non hanno generato e i seni che non hanno allattato". Allora cominceranno a dire ai monti: "Cadete su di noi!", e alle colline: "Copriteci!". Perché, se si tratta così il legno verde, che avverrà del legno secco?».

Nelle donne hai riconosciuto da sempre, Gesù, una particolare corrispondenza col cuore di Dio. Per questo, nella grande moltitudine di popolo che quel giorno cambiò direzione e ti seguiva, immediatamente vedesti le donne e, ancora una volta, stabilisti con loro un’intesa speciale. La città è diversa quando se ne portano gli abitanti in grembo, quando se ne allattano i bambini: quando, insomma, non si conosce soltanto il registro del dominio, ma le cose si vivono dal di dentro. Alle donne che per dovere svolgono il rito della compassione, tu colpisci il cuore. Nel cuore, infatti, si collegano gli avvenimenti e nascono pensieri e decisioni. «Non piangete per me». Il cuore di Dio vibra per il suo popolo, genera una nuova città: «Piangete su voi stesse e sui vostri figli». Esiste un pianto, infatti, in cui tutto rinasce. Occorrono, però, lacrime di ripensamento, di cui non vergognarsi, lacrime da non rinchiudere nel privato. La nostra convivenza ferita, o Signore, in questo mondo a pezzi, ha bisogno di lacrime sincere, non di circostanza. Altrimenti si avvera quanto predissero gli apocalittici: non generiamo più nulla e poi tutto crolla. La fede, invece, sposta le montagne. Monti e colli non ci cadono addosso, ma in mezzo a loro si apre una strada. È la tua strada, Gesù: una via in salita, su cui gli apostoli ti hanno abbandonato, ma le tue discepole – madri della Chiesa – ti hanno seguito.

Preghiamo dicendo: Donaci un cuore materno, Gesù

Hai popolato di sante donne la storia della Chiesa. Donaci un cuore materno, Gesù

Hai sconfessato la prepotenza e il dominio. Donaci un cuore materno, Gesù

Hai raccolto e consolato le lacrime delle madri. Donaci un cuore materno, Gesù

Hai affidato alle donne il messaggio della risurrezione. Donaci un cuore materno, Gesù

Hai ispirato nella Chiesa nuovi carismi e sensibilità. Donaci un cuore materno, Gesù


IX stazione

Gesù cade per la terza volta

Dal Vangelo secondo Luca (7,44-49)

[Gesù] disse a Simone: «Vedi questa donna? Sono entrato in casa tua e tu non mi hai dato l’acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai dato un bacio; lei invece, da quando sono entrato, non ha cessato di baciarmi i piedi. Tu non hai unto con olio il mio capo; lei invece mi ha cosparso i piedi di profumo. Per questo io ti dico: sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece colui al quale si perdona poco, ama poco». Poi disse a lei: «I tuoi peccati sono perdonati». Allora i commensali cominciarono a dire tra sé: «Chi è costui che perdona anche i peccati?».

Non solo una o due volte, Gesù: tu cadi ancora. Cadevi già da bambino, come ogni bambino. Così hai compreso e accolto la nostra umanità, che cade e cade ancora. Se il peccato ci allontana, il tuo esistere senza peccato ti avvicina a ogni peccatore, ti unisce indissolubilmente alle sue cadute. E questo muove a conversione. Scandalo per chi prende le distanze dagli altri e da sé stesso. Scandalo di chi vive diviso in due, tra ciò che dovrebbe essere e ciò che realmente è. Nella tua misericordia, Gesù, cade ogni ipocrisia. Le maschere, le belle facciate non servono più. Dio vede il cuore. Ama il cuore. Scalda il cuore. E così mi rialzi e mi rimetti in cammino su strade mai percorse, audaci, generose. Chi sei, Gesù, che perdoni anche i peccati? Di nuovo a terra, sulla via della croce, sei il Salvatore di questa nostra terra. Non soltanto la abitiamo, ma ne siamo plasmati. Tu, in terra, ci modelli ancora, come un abile vasaio.

Preghiamo dicendo: Noi siamo argilla nelle tue mani

Quando le cose sembrano non poter cambiare, ricordaci: Noi siamo argilla nelle tue mani

Quando dei conflitti non si vede la fine, ricordaci: Noi siamo argilla nelle tue mani

Quando la tecnologia ci illude di onnipotenza, ricordaci: Noi siamo argilla nelle tue mani

Quando i successi ci distaccano dalla terra, ricordaci: Noi siamo argilla nelle tue mani

Quando ci preoccupa più l’apparenza del cuore, ricordaci: Noi siamo argilla nelle tue mani


X stazione

Gesù è spogliato delle vesti

Dal libro di Giobbe (1,20-22)

Allora Giobbe si alzò e si stracciò il mantello; si rase il capo, cadde a terra, si prostrò e disse:

«Nudo uscii dal grembo di mia madre, e nudo vi ritornerò.

Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore!».

In tutto questo Giobbe non peccò e non attribuì a Dio nulla di ingiusto.

Non ti spogli, vieni spogliato. La differenza è chiara a tutti noi, Gesù. Solo chi ci ama può accogliere la nostra nudità fra le sue mani e nel suo sguardo. Temiamo, invece, gli occhi di chi non ci conosce e sa solo possedere. Sei spogliato ed esposto a tutti, ma tu trasformi persino l’umiliazione in familiarità. Vuoi rivelarti intimo persino a chi ti distrugge, guardi a coloro che ti spogliano come a persone amate che il Padre ti ha dato. Qui c’è più della pazienza di Giobbe, persino più della sua fede. In te lo Sposo che si lascia prendere, toccare e volge tutto al bene. Ci lasci le tue vesti, come reliquie di un amore consumato. Sono in mano nostra, perché tu sei stato da noi, sei stato con noi. Noi abbiamo tenuto le tue vesti e ora le tiriamo a sorte, ma la sorte, qui, è favorevole non a uno, ma a tutti. Ci conosci uno a uno, per salvare tutti, tutti, tutti. E se la Chiesa ti appare oggi come una veste lacerata, insegnaci a ritessere la nostra fraternità, fondata sul tuo dono. Siamo il tuo corpo, la tua tunica indivisibile, la tua Sposa. Lo siamo insieme. Per noi la sorte è caduta su luoghi deliziosi; è magnifica la nostra eredità (cfr Sal 16,6).

Preghiamo dicendo: Dona alla tua Chiesa pace e unità

Signore Gesù, che vedi divisi i tuoi discepoli. Dona alla tua Chiesa pace e unità

Signore Gesù, che porti le ferite della nostra storia. Dona alla tua Chiesa pace e unità

Signore Gesù, che conosci la fragilità dei nostri amori. Dona alla tua Chiesa pace e unità

Signore Gesù, che ci vuoi membra del tuo corpo. Dona alla tua Chiesa pace e unità

Signore Gesù, che vesti la tunica della misericordia. Dona alla tua Chiesa pace e unità


XI stazione

Gesù è inchiodato sulla croce

Dal Vangelo secondo Luca (23,32-34a)

Insieme con lui venivano condotti a morte anche altri due, che erano malfattori. Quando giunsero sul luogo chiamato Cranio, vi crocifissero lui e i malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra. Gesù diceva: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno».

Niente ci spaventa più dell’immobilità. E tu sei inchiodato, immobilizzato, bloccato. Lo sei, però, insieme ad altri: mai solo, determinato a rivelarti anche in croce come il Dio con noi. La rivelazione non si ferma, non si inchioda. Tu, Gesù, ci mostri che in ogni circostanza c’è una scelta da fare. È questa la vertigine della libertà. Nemmeno sulla croce sei neutralizzato: tu decidi per chi sei lì. Tu dai attenzione all’uno e all’altro dei crocifissi con te: lasci scivolare gli insulti di uno e accogli l’invocazione dell’altro. Tu dai attenzione a chi ti crocifigge e sai leggere il cuore di chi non sa ciò che fa. Tu dai attenzione al cielo: lo vorresti più chiaro, ma squarci la barriera del buio con la luce dell’intercessione. Inchiodato, infatti, intercedi: ti metti in mezzo tra le parti, fra gli opposti. E li porti a Dio, perché la tua croce fa cadere i muri, cancella i debiti, annulla le sentenze, stabilisce la riconciliazione. Sei il vero Giubileo. Convertici a te, Gesù, che inchiodato tutto puoi.

Preghiamo dicendo: Insegnaci ad amare

Quando abbiamo le forze e quando ci pare di non averne più. Insegnaci ad amare

Quando siamo immobilizzati da leggi o da decisioni ingiuste. Insegnaci ad amare

Quando siamo contrastati da chi non vuole verità e giustizia. Insegnaci ad amare

Quando siamo tentati di disperare. Insegnaci ad amare

Quando si dice “non c’è più niente da fare”. Insegnaci ad amare


XII stazione

Gesù muore sulla croce

Dal Vangelo secondo Luca (23,45-49)

Il sole si era eclissato. Il velo del tempio si squarciò a metà. Gesù, gridando a gran voce, disse: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito». Detto questo, spirò. Visto ciò che era accaduto, il centurione dava gloria a Dio dicendo: «Veramente quest’uomo era giusto». Così pure tutta la folla che era venuta a vedere questo spettacolo, ripensando a quanto era accaduto, se ne tornava battendosi il petto. Tutti i suoi conoscenti, e le donne che lo avevano seguito fin dalla Galilea, stavano da lontano a guardare tutto questo.

Dove siamo noi sul Calvario? Sotto la croce? Un po’ a distanza? Lontano? O forse, come gli apostoli, non ci siamo più. Tu spiri, e questo respiro, ultimo e primo, chiede solo di essere accolto. Signore Gesù, piega le nostre strade verso il tuo dono. Non permettere che il tuo soffio di vita sia disperso. Il nostro buio cerca luce. I nostri templi vogliono rimanere definitivamente aperti. Ora il Santo non è più oltre il velo: il suo segreto è offerto a tutti. Lo percepisce un militare, che osservando da vicino come muori riconosce un nuovo tipo di forza. Lo comprende la folla che aveva gridato contro di te: prima distante, incontra adesso lo spettacolo di un amore mai visto, bellezza che fa ricredere. A chi ti guarda morire, Signore, tu dai tempo di tornare battendosi il petto: colpendosi il cuore, perché vada in frantumi la sua durezza. A noi, Gesù, che spesso ti guardiamo ancora da lontano, concedi di vivere nella memoria di te, perché un giorno, quando verrai, anche la morte ci trovi vivi.

Preghiamo dicendo: Spirito Santo, vieni!

Ci siamo mantenuti a distanza dalle piaghe del Signore. Spirito Santo, vieni!

Davanti al fratello caduto ci siamo voltati dall’altra parte. Spirito Santo, vieni!

I misericordiosi e i poveri di spirito sembrano perdenti. Spirito Santo, vieni!

Credenti e non credenti stanno davanti al crocifisso. Spirito Santo, vieni!

Il mondo intero cerca un nuovo inizio. Spirito Santo, vieni!


XIII stazione

Gesù è deposto dalla croce

Dal Vangelo secondo Luca (23,50-53a)

Ed ecco, vi era un uomo di nome Giuseppe, membro del sinedrio, buono e giusto. Egli non aveva aderito alla decisione e all’operato degli altri. Era di Arimatea, una città della Giudea, e aspettava il regno di Dio. Egli si presentò a Pilato e chiese il corpo di Gesù. Lo depose dalla croce.

Il tuo corpo, finalmente, è fra le mani di un uomo buono e giusto. Tu sei avvolto nel sonno della morte, Gesù, ma a caricarsi di te è un cuore vivo, che ha scelto. Giuseppe non era di quelli che dicono e non fanno. “Non aveva aderito alla decisione e all’operato degli altri”, dice il Vangelo. Ed è una buona notizia: ti abbraccia, Gesù, uno che non ha abbracciato l’opinione comune. Si carica di te uno che si è caricato delle proprie responsabilità. Sei al tuo posto, Gesù, in grembo a Giuseppe d’Arimatea, che “aspettava il Regno di Dio”. Sei al tuo posto fra chi spera ancora, fra chi non si rassegna a pensare che l’ingiustizia è inevitabile. Tu rompi la catena dell’ineluttabile, Gesù. Rompi gli automatismi che distruggono la casa comune e la fraternità. A quelli che attendono il tuo Regno dai il coraggio di presentarsi all’autorità: come Mosè al Faraone, come Giuseppe d’Arimatea a Pilato. Ci abiliti a grandi responsabilità, ci rendi audaci. Così, sei morto e ancora regni. E per noi, Gesù, servire te è regnare.

Preghiamo dicendo: Servire te è regnare

Dando da mangiare agli affamati. Servire te è regnare

Dando da bere agli assetati. Servire te è regnare

Vestendo chi è nudo. Servire te è regnare

Ospitando i forestieri. Servire te è regnare

Visitando i malati. Servire te è regnare

Visitando i carcerati. Servire te è regnare

Seppellendo i morti. Servire te è regnare


XIV stazione

Gesù è deposto nel sepolcro

Dal Vangelo secondo Luca (23,53b-56)

Lo avvolse con un lenzuolo e lo mise in un sepolcro scavato nella roccia, nel quale nessuno era stato ancora sepolto. Era il giorno della Parasceve e già splendevano le luci del sabato. Le donne che erano venute con Gesù dalla Galilea seguivano Giuseppe; esse osservarono il sepolcro e come era stato posto il corpo di Gesù, poi tornarono indietro e prepararono aromi e oli profumati. Il giorno di sabato osservarono il riposo come era prescritto.

In un sistema che non si ferma mai, Gesù, tu vivi il tuo sabato. Lo vivono anche le donne, alle quali aromi e profumi vorrebbero già parlare di risurrezione. Insegnaci a non fare niente, quando ci è chiesto solo di aspettare. Educaci ai tempi della terra, che non sono quelli dell’artificio. Deposto nel sepolcro, Gesù, condividi la condizione che tutti ci accomuna e raggiungi gli abissi che tanto ci spaventano. Vedi come li sfuggiamo, moltiplicando le nostre attività. Giriamo spesso a vuoto, ma il sabato splende con le sue luci: ci educa e ci chiede riposo. Vita divina, vita a misura d’uomo, quella che conosce la pace del sabato. «Siederanno ognuno tranquillo sotto la vite e sotto il fico e più nessuno li spaventerà» (Mi 4,4), profetizzava Michea. E Zaccaria, a fargli eco: «In quel giorno – oracolo del Signore – ogni uomo inviterà il suo vicino sotto la sua vite e sotto il suo fico» (cfr Zc 3,10). Gesù, che sembri dormire nel mondo in tempesta, portaci tutti nella pace del sabato. Allora la creazione intera ci apparirà molto bella e buona, destinata alla risurrezione. E sarà pace sul tuo popolo e fra tutte le nazioni.

Preghiamo dicendo: Venga la tua pace

Per la terra, l’aria e l’acqua. Venga la tua pace

Per i giusti e per gli ingiusti. Venga la tua pace

Per chi è invisibile e senza voce. Venga la tua pace

Per chi non ha potere né denaro. Venga la tua pace

Per chi attende un germoglio giusto. Venga la tua pace


Invocazione conclusiva

«“Laudato si’, mi’ Signore”, cantava san Francesco d’Assisi. In questo bel cantico ci ricordava che la nostra casa comune è anche come una sorella […]. Questa sorella protesta per il male che le provochiamo» (Enc. Laudato si’, 1-2).

«“Fratelli tutti” – scriveva ancora San Francesco – per rivolgersi a tutti i fratelli e le sorelle e proporre loro una forma di vita dal sapore di Vangelo» (Enc. Fratelli tutti, 1).

«“Ci ha amati”, dice San Paolo riferendosi a Cristo […], per farci scoprire che da questo amore nulla “potrà mai separarci”» (Enc. Dilexit nos, 1).

Abbiamo percorso la Via della Croce; ci siamo volti all’amore da cui nulla potrà separaci. Ora, mentre il Re dorme e un grande silenzio scende su tutta la terra, facendo nostre le parole di San Francesco invochiamo il dono della conversione del cuore.

Alto e glorioso Dio,
illumina le tenebre del cuore mio.

Dammi fede retta,
speranza certa,
carità perfetta
e umiltà profonda.

Dammi, Signore, senno e discernimento
per compiere la tua vera e santa volontà.
 Amen.