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mercoledì 30 novembre 2016

A confronto con la Bibbia: il popolo di Dio, popolo delle Beatitudini a cura di Alberto Neglia (VIDEO INTEGRALE)

A confronto con la Bibbia: il popolo di Dio, 
popolo delle Beatitudini 
a cura di Alberto Neglia, ocarm 

(VIDEO INTEGRALE)


Settimana di spiritualità 2016 

promossa dalla Fraternità Carmelitana
di Barcellona Pozzo di Gotto 

"IL SOGNO DELLA COSTITUZIONE ITALIANA
I 70 anni della Repubblica ci interpellano come cristiani"




7 agosto 2016

"... Chi si lascia conquistare da Dio, coinvolgere da Dio, é chiamato ad un destino di felicità, di beatitudine, di gioia, di bellezza di vita. ... 




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Religiosità popolare - Preghiere in dialetto - Sardegna: Deus ti salvet, Maria (Dio ti salvi Maria,)



La religiosità popolare di tutte le regioni italiane è ricca di preghiere dialettali, espressione di una cultura religiosa tramandata oralmente di generazione in generazione, per lo più dai nonni ai nipotini.
L'era moderna, purtroppo, tende a cancellare questo patrimonio, infatti le suddette preghiere permangono quasi esclusivamente nei ricordi delle persone più anziane. 

Nei giorni scorsi Padre Gregorio Battaglia, della Fraternità Carmelitana di Pozzo di Gotto - ME - (che i nostri lettori sicuramente conoscono attraverso i post da noi pubblicati) ci chiedeva se fosse stato possibile pubblicare una preghiera in dialetto siciliano ricordata da una persona anziana che sta attraversando un momento molto difficile, questa richiesta ci ha stimolati a promuovere nel periodo di Avvento la pubblicazione di questa forma di devozione appartenente al nostro patrimonio culturale estendendo l'invito ai nostri lettori di tutte le regioni italiane.
Ci farebbe molto piacere avere un riscontro positivo da parte dei nostri lettori, che pertanto invitiamo a inviare il loro contributo o con un messaggio privato in Facebook nella pagina "Quelli della Via" o scrivendo una email alla casella di posta di "Tempo Perso": tempo-perso@libero.it
Vi chiediamo cortesemente di indicare, accanto alla versione dialettale, anche quella in lingua italiana e, nel caso ne foste a conoscenza, di corredarla di diversi particolari (ad esempio se veniva recitata in particolari periodi dell'anno o momenti della giornata, o se rivolta a qualche Santo per chiederne l'intercessione, o a qualunque altra informazione riteniate opportuno fornirci).
Sarà nostra cura selezionare i suggerimenti, verificandone ovviamente i contenuti, e preparare i post ed anche uno Speciale, in continuo aggiornamento, in cui potere rintracciare con facilità tutte le preghiere.


Preghiere in dialetto

 Sardegna 


Deus ti salvet, Maria 
(Dio ti salvi Maria,)
chi ses de gratia plena:
(che sei piena di grazia:)
de gratias ses sa vena 
(di grazie sei insieme fiume)
ei sa currente. 
(e sorgente.)

Su Deus onnipotente,
(Il Dio onnipotente,)
cun tegus est istadu;  
(con te è (sempre) stato;)
Pro chi t'hat preservadu
(perciò ti ha preservato)
 Immaculada.
 (Immacolata.)

 Beneitta e laudada, 
(Benedetta e lodata,)
subra a tottu gloriosa.
 (sopra a tutti gloriosa.) 
Mama, fiza e isposa 
(Mamma, Figlia e Sposa)
de su Segnore.
(del Signore.)

Beneittu su fiore
(Benedetto il Fiore)
 e fruttu de su sinu:
(che è frutto del tuo seno:)
Gesus, fiore divinu,
(Gesù fiore divino,)
Segnore nostru.
 (Signore nostro.) 

Pregade a Fizu ostru 
(Pregate al Figlio vostro)
pro nois peccadores,
 (per noi peccatori;)
 chi tottu sos errores 
(affinché tutti gli errori)
nos perdonet.
(a noi perdoni.) 

Ei sa gratia nos donet, 
(La sua Grazia ci doni,)
in vida e in sa morte.
(in vita e nella morte.)
Ei sa diciosa sorte
(E la felice sorte)
in Paradisu.
(in Paradiso.)

Preghiera segnalata da Aldo Pintor; è forse la più classica e la più nota delle preghiere sarde e viene considerata l'Ave Maria dei Sardi.


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«Questa è la gioia degli umili: essere guardati dal Signore» - Papa Francesco - S. Messa Cappella della Casa Santa Marta - (video e testo)


S. Messa - Cappella della Casa Santa Marta, Vaticano
29 novembre 2016
inizio 7 a.m. fine 7:45 a.m. 



Papa Francesco:
La forza dei piccoli

Per incontrare il Signore «che viene e verrà», bisogna avere «cuori grandi ma atteggiamento da piccoli», andando avanti con la «gioia degli umili» che sono consapevoli di essere continuamente sotto lo sguardo del Signore. È questo lo stile di vita richiesto a ogni cristiano. Ne ha parlato Papa Francesco all’omelia della messa celebrata a Santa Marta martedì 29 novembre, nella quale ha proposto una riflessione sul tema dell’«umiltà».

Riprendendo il filo della meditazione del giorno precedente — in cui si metteva in evidenza come il «cammino» del periodo d’Avvento debba essere caratterizzato da «tre atteggiamenti»: essere «vigilanti nella preghiera, operosi nella carità ed esultanti nella lode» — il Pontefice si è soffermato davanti all’immagine evangelica (Luca, 10, 21-24) di Gesù che «esultò di gioia nella lode al Padre». Qual’è la ragione della gioia di Gesù? «Perché il Signore ai piccoli rivela i misteri della salvezza, il mistero di se stesso» ha sottolineato Francesco, rimarcando: «Ai piccoli, non ai sapienti e i dotti: ai piccoli». Il Signore infatti «preferisce i piccoli, per seminare nel cuore dei piccoli il mistero di salvezza», perché «i piccoli sanno capire come è questo mistero».

Lo conferma anche la prima lettura proposta dalla liturgia del giorno e tratta dal libro del profeta Isaia (11, 1-10), nella quale, ha fatto notare il Papa, si ritrovano tante «piccole cose», tanti «piccoli dettagli che ci fanno vedere come la promessa di pace di Dio al suo popolo, di redenzione, la promessa di salvarlo sempre va su questa strada». Così si legge che «in quel giorno, un germoglio spunterà dal trono di Iesse»: il profeta «non dice: “Verrà un esercito e ti darà la liberazione”», ma fa riferimento a «un piccolo germoglio, cosa piccola». E, ha aggiunto il Pontefice, «a Natale vedremo questa piccolezza, questa cosa piccola: un bambino, una stalla, una mamma, un papà...». È l’importanza di avere «cuori grandi ma atteggiamento di piccoli».

Così, «su questo germoglio si poserà lo Spirito del Signore, lo Spirito Santo». E questo germoglio, ha spiegato Francesco, avrà «quella virtù» che è propria dei piccoli, cioè «il timore del Signore». Egli «camminerà nel timore del Signore». Ma attenzione, ha subito specificato: timore del Signore non significa «paura». Vuol dire, invece, portare nella propria vita «il comandamento che Dio ha dato al nostro padre Abramo: “Cammina nella mia presenza e sii irreprensibile”». E tutto questo significa «umiltà. Il timore del Signore è l’umiltà». Ecco perché «soltanto i piccoli sono capaci di capire pienamente il senso dell’umiltà, il senso del timore del Signore, perché camminano davanti al Signore, sempre»: essi, infatti, «si sentono guardati dal Signore, custoditi dal Signore; sentono che il Signore è con loro, che dà loro la forza per andare avanti».

I piccoli, ha continuato il Papa, capiscono di essere «un piccolo germoglio di un tronco molto grande», un germoglio sul quale «viene lo Spirito Santo». Incarnano così l’«umiltà cristiana» che li porta a riconoscere: «Tu sei Dio, io sono una persona, io vado avanti così, con le piccole cose della vita, ma camminando nella tua presenza e cercando di essere irreprensibile».

È questa «la vera umiltà», non certo «l’umiltà un po’ di teatro», non quella ostentata da colui «che diceva: “Io sono umile, ma orgoglioso di esserlo”». L’umiltà del piccolo, ha tenuto a precisare il Papa, è quella di chi «cammina alla presenza del Signore, non sparla degli altri, guarda soltanto il servizio, si sente il più piccolo... È lì, la forza». Un esempio chiaro, ha aggiunto, ci può venire se pensiamo a Nazaret: «Dio, per inviare il suo Figlio, guarda una ragazza umile, molto umile, che subito dopo va, fa un viaggio per aiutare una cugina che aveva bisogno e non dice nulla di quello che era accaduto». L’umiltà è così: «è camminare nella presenza del Signore, felice, gioioso perché questa è la gioia degli umili: essere guardati dal Signore». Perciò, per fare nostro quell’atteggiamento di esultanza nella lode di cui parla il Vangelo riferendosi a Gesù, «è necessario avere tanta umiltà» e ricordare sempre che «l’umiltà è un dono, un dono dello Spirito Santo». È quello che chiamiamo «il dono del timore di Dio». Un dono, ha concluso il Pontefice, che va chiesto il Signore: «Guardando Gesù che esulta nella gioia perché Dio rivela il suo mistero agli umili, possiamo chiedere per tutti noi la grazia dell’umiltà, la grazia del timore di Dio, del camminare nella sua presenza cercando di essere irreprensibili». Un dono che ci aiuterà a «essere vigilanti nella preghiera, operosi nella carità fraterna ed esultanti di gioia nella lode».
(fonte: L'Osservatore Romano)

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martedì 29 novembre 2016

Papa Francesco denuncia la sottomissione della politica alla tecnologia e alla finanza ma dà anche un messaggio di speranza e nuovo slancio di ricerca agli scienziati

Alle ore 10,40 di lunedì 28/11/2016, nella Sala del Concistoro del Palazzo Apostolico, Papa Francesco ha ricevuto in udienza i partecipanti alla Plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze, in corso in Vaticano dal 25 al 29 novembre sul tema Scienza e Sostenibilità. Impatto delle conoscenze scientifiche e della tecnologia sulla società umana e sul suo ambiente.
Era presente all'udienza anche Stephen Hawking, il noto astrofisico britannico gravemente disabile. 


Riportiamo di seguito il discorso che il Papa ha rivolto ai presenti:

Illustri Signore e Signori,

vi incontro con piacere, in occasione della vostra sessione plenaria, e ringrazio il Presidente, Professor Werner Arber, per le sue cortesi parole. Vi ringrazio per il contributo che offrite, e che col passare del tempo rivela sempre meglio il suo valore sia per il progresso della scienza, sia per la causa della cooperazione tra gli esseri umani e, in particolare, per la cura del pianeta in cui Dio ci ha posto a vivere.

Mai come nella nostra epoca è apparsa evidente la missione della scienza al servizio di un nuovo equilibrio ecologico globale. E al tempo stesso si sta manifestando una rinnovata alleanza tra la comunità scientifica e la comunità cristiana, che vedono convergere i loro diversi approcci alla realtà verso questa finalità condivisa di proteggere la casa comune, minacciata dal collasso ecologico e dal conseguente aumento della povertà e dell’esclusione sociale. Mi rallegro del fatto che voi sentiate profondamente la solidarietà che vi lega all’umanità di oggi e di domani nel segno di tale sollecitudine per la madre terra. Un impegno tanto più degno di stima in quanto è pienamente orientato alla promozione dello sviluppo umano integrale, della pace, della giustizia, della dignità e della libertà dell’essere umano. Prova ne sono, oltre alle opere compiute nel passato, i molteplici temi che vi proponete di affrontare in questa sessione plenaria, che vanno dalle grandi novità della cosmologia, alle fonti di energia rinnovabili, alla sicurezza alimentare, fino ad un appassionante seminario sul potere e i limiti dell’intelligenza artificiale.

Nell’Enciclica Laudato si’ ho affermato che «siamo chiamati a diventare gli strumenti di Dio Padre perché il nostro pianeta sia quello che Egli ha sognato nel crearlo e risponda al suo progetto di pace, bellezza e pienezza». Nella modernità, siamo cresciuti pensando di essere i proprietari e i padroni della natura, autorizzati a saccheggiarla senza alcuna considerazione delle sue potenzialità segrete e leggi evolutive, come se si trattasse di un materiale inerte a nostra disposizione, producendo tra l’altro una gravissima perdita di biodiversità. In realtà, non siamo i custodi di un museo e dei suoi capolavori che dobbiamo spolverare ogni mattina, ma i collaboratori della conservazione e dello sviluppo dell’essere e della biodiversità del pianeta, e della vita umana in esso presente. La conversione ecologica capace di sorreggere lo sviluppo sostenibile comprende in maniera inseparabile sia l’assunzione piena della nostra responsabilità umana nei confronti del creato e delle sue risorse, sia la ricerca della giustizia sociale e il superamento di un sistema iniquo che produce miseria, disuguaglianza ed esclusione.

In breve, direi che spetta anzitutto agli scienziati, che operano liberi da interessi politici, economici o ideologici, costruire un modello culturale per affrontare la crisi dei cambiamenti climatici e delle sue conseguenze sociali, affinché le enormi potenzialità produttive non siano riservate solo a pochi. Allo stesso modo in cui la comunità scientifica, attraverso un dialogo interdisciplinare al suo interno, ha saputo studiare e dimostrare la crisi del nostro pianeta, così oggi è chiamata a costituire una leadership che indichi soluzioni in generale e in particolare sui temi che vengono affrontati nella vostra plenaria: l’acqua, le energie rinnovabili e la sicurezza alimentare. Si rende indispensabile creare con la vostra collaborazione un sistema normativo che includa limiti inviolabili e assicuri la protezione degli ecosistemi, prima che le nuove forme di potere derivate dal paradigma tecno-economico producano danni irreversibili non solo all’ambiente, ma anche alla convivenza, alla democrazia, alla giustizia e alla libertà.

In questo quadro generale, degna di nota è la debole reazione della politica internazionale – anche se vi sono lodevoli eccezioni – riguardo alla concreta volontà di ricercare il bene comune e i beni universali, e la facilità con cui vengono disattesi i fondati consigli della scienza sulla situazione del pianeta. La sottomissione della politica alla tecnologia e alla finanza che cercano anzitutto il profitto è dimostrata dalla “distrazione” o dal ritardo nell’applicazione degli accordi mondiali sull’ambiente, nonché dalle continue guerre di predominio mascherate da nobili rivendicazioni, che causano danni sempre più gravi all’ambiente e alla ricchezza morale e culturale dei popoli.

Ma malgrado tutto questo non perdiamo la speranza, e cerchiamo di approfittare del tempo che il Signore ci dà. Ci sono anche tanti segni incoraggianti di un’umanità che vuole reagire, scegliere il bene comune, rigenerarsi con responsabilità e solidarietà. Insieme ai valori morali, il progetto dello sviluppo sostenibile e integrale è in grado di dare a tutti gli scienziati, in particolare a quelli credenti, un forte slancio di ricerca.

Vi auguro buon lavoro. Invoco sulle attività dell’Accademia, su ciascuno di voi e sulle vostre famiglie l’abbondanza delle benedizioni celesti. E vi chiedo per favore di non dimenticarvi di pregare per me. Grazie.

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Un'Italia buona. Vecchi e nuovi cittadini solidali

Un'Italia buona.
Vecchi e nuovi cittadini solidali
di Marina Corradi


Arrivano a casa in ordine sparso, da zone diverse di Milano e dell’hinterland, e tutti, figli e amici dei figli, reduci dalla colletta del Banco alimentare di sabato scorso, hanno lo stesso stupore in faccia: «Ma pensa, più sembrano dei poveretti, degli immigrati senza un soldo, più sembrano anziani e soli e più volentieri donano un po’ della spesa a chi non ha da mangiare».

Erano partiti presto al mattino, come migliaia di altri in tutta Italia, per andare a presidiare le porte della grande distribuzione, in un sabato che avvicina al Natale. Non accettavano soldi, ma solo pacchi di pasta, riso, zucchero, pannolini. Con un pettorale addosso fermavano gentilmente la gente, all’ingresso. Qualche "no" frettoloso, qualche rifiuto secco, qualche diffidenza. Ma poi nel corso delle ore la scoperta: la gente, qui a Milano e altrove, è generosa. Ancora e sempre. Più di quanto tanti si immaginino. Soprattutto lo sono "certe" persone. 
Quelli senza i vestiti "giusti", quelli che non hanno i tratti somatici come i nostri, quelli che nemmeno sanno l’italiano. «Le famiglie asiatiche, o nordafricane, se appena riesci a spiegare che è una colletta per i poveri, dicono di sì», si sorprendono i ragazzi. Dicono di sì subito anche due travestiti che vanno a fare la spesa dalle parti di piazza Maciachini. Loro forse non sono poveri, ma emarginati sì. Abituati a vedersi voltare le spalle. È la sofferenza, materiale e non solo, il filo conduttore di questa generosità che non ti aspetteresti?
Poi accade anche, davanti ai supermercati, di avere occasione di sorridere. «È arrivato un signore – racconta un figlio – un italiano, che per un quarto d’ora ci ha urlato addosso: "Eh già, e chi ci crede che questa roba la date ai poveri? A chi la volete raccontare?"». I ragazzi non polemizzano. Lo sconosciuto se ne resta a lungo, pensoso, a osservarli. Poi, entra al super e ne esce con una sporta piena: «Tenete», dice solo, e se ne va. Quasi avesse deciso di darsi una speranza, nel suo cinismo o nella disillusione.

E quel vecchio solo, invece, che arriva con il carrellino deambulatorio, e stanco si ferma proprio in mezzo ai volontari? Una ragazzina gli spiega la colletta. «Io glielo dò anche, qualcosa ai poveri, purché non siano negri. Io i negri proprio non li sopporto. Era un negro, quello che mi ha rapinato l’orologio...». «Ma ci sono anche tanti neri buoni!», insiste pazientemente la ragazzina. E forse è il suo sorriso, i suoi diciott’anni che commuovono il vecchio? Ecco anche la sua sporta, senza condizioni. E chissà a chi andrà.
E a proposito di neri, dalle parti di Vimercate davanti a un super arriva un ragazzo nigeriano: «Io non posso donare niente, ma sono cristiano, vorrei aiutarvi». E fino a sera carica cassette di cibo sul camion. Ci si scambia due parole in inglese, è arrivato cinque mesi fa su un barcone, è perito informatico, ha un figlio in Nigeria, non ha un lavoro, non sa l’italiano. Ha solo 23 anni. Ci si domanda come aiutarlo, ci si scambiano nomi e cellulari. Mani che si tendono a aiutare o a domandare si incrociano, in questo sabato di novembre che volge al tramonto. Facce che non si sarebbero mai incontrate, o che sfiorandosi in metrò si sarebbero guardate diffidenti, si parlano, e fanno insieme qualcosa di buono.

Penso a Milano e al Nord Italia come è raccontato da un certo rozzo populismo, a certe battute ciniche che riecheggiano nei bar. Eppure, Milano, e immagino il resto d’Italia, non è solo questo, non è davvero questo. Esiste, e aspetta appena di essere cercata, sollecitata, una generosità silenziosa. Spesso di poveri, di stranieri, di chi soffre o ha sofferto: e dunque si immedesima in chi ha bisogno. «Ma pensa, mamma, più sembrano dei poveracci e più sono generosi». Bello, ragazzi, scoprire, in una sera di Avvento, mentre sale la nebbia, un’altra città, invisibile, di cui raramente si legge, sui giornali. Ma è da qui che si ricomincia.


L’ATTESA DELLA MISERICORDIA Messaggio per l'Avvento - don Corrado Lorefice Arcivescovo Metropolita di Palermo

L’ATTESA DELLA MISERICORDIA
Messaggio per l'Avvento 

don Corrado Lorefice 
Arcivescovo Metropolita di Palermo




Care sorelle e cari fratelli,
gioia e pace nel Signore Gesù.

È arrivato, puntuale come sempre, il tempo di Avvento. Tempo in cui ogni desiderio di futuro si lascia educare dal dono del futuro di Dio che viene a noi. Tempo in cui ogni progettualità, seppur buona e necessaria, si pone in ascolto di quanto Dio semina in tutti gli uomini, credenti e non-credenti. E così i bisogni diventano desideri ed il nostro "io" impara a fidarsi del "tu" di Dio, del dono che sopravanza ogni speranza.
Inizia così un nuovo anno liturgico, portatore dell’abbondanza della grazia di Dio e della sua misericordia.

Sì, ancora una volta la misericordia di Dio.

Essa infatti non si chiude con le porte sante del Giubileo, ma rimane spalancata pronta a sorprenderci. Come sempre.
Bene, allora, ha fatto papa Francesco a ricordarci questa grande verità dottrinale ed esistenziale con la Lettera Apostolica Misericordia et misera (MM), al cui inizio pone la splendida icona dell’incontro tra Gesù e l’adultera. Voglio anche io soffermarmi un po’ con tutti voi, amati fratelli e figli di questa Chiesa di Palermo, su questo stesso brano, perché della sua luce risplenda il tempo di avvento di questo anno.
Tutti gli uomini che erano intorno alla donna, pronti a lapidarla in nome della Legge, sono andati via. A partire dai più anziani. E tuttavia, il vangelo di Giovanni (cfr 8,9) ci dice che Gesù e la donna continuano a restare in mezzo. In mezzo a chi? Tutti sono andati via. Ma noi no. Noi che oggi siamo gli uditori della Parola, di quello stesso Gesù che parla a tutte le donne e a tutti gli uomini di ogni tempo e di ogni spazio, continuiamo a restare intorno a Gesù e alla donna. A Gesù perché ci interessa la sua Parola di vita e di salvezza, che ogni giorno ci ricrea in uomini nuovi. Alla donna perché non è più il capro espiatorio di tutti i nostri peccati, la mela marcia che guasta tutte le altre mele e quindi da eliminare, ma piuttosto l’icona del nostro peccare: “chi non ha peccato, scagli la prima pietra” (Gv 8,7).
Questa donna, senza alcun nome proprio, ci rappresenta tutti. Non solo nel nostro peccato, ma soprattutto nell’accoglienza piena di stupore nei confronti della misericordia di Dio a lei donata. Sì, perché ciascuno di noi può peccare e anche desiderare il perdono per i propri peccati, ma ricevere il perdono senza aver scontato la giusta pena, fissata dalla legge, questo no! Bisogna che ognuno paghi il prezzo di quello che ha fatto. E questa non è solo un’esigenza della società, codificata dalla legge, ma è anche – direi meglio, soprattutto – un’esigenza di ogni peccatore. Bisogna sempre pagare il prezzo. Non esistono cose gratis. Almeno per gli uomini.
Ma Dio no. Dio non pensa secondo gli uomini. Dio ci sorprende sempre, perché è gratuità, gratuità pura. E avvolge con lo spazio della sua misericordia il nostro peccato. E così la misericordia non avviene come risultato di un cammino di espiazione, regolato dalla legge, perché “fermarsi soltanto alla legge equivale a vanificare la fede e la misericordia divina. C’è un valore propedeutico nella legge (cfr Gal 3,24) che ha come fine la carità (cfr 1Tm 1,5). Tuttavia, il cristiano è chiamato a vivere la novità del Vangelo, «la legge dello Spirito, che dà vita in Cristo Gesù» (Rm 8,2). Anche nei casi più complessi, dove si è tentati di far prevalere una giustizia che deriva solo dalle norme, si deve credere nella forza che scaturisce dalla grazia divina” (MM 11).
È questa allora la bellezza della misericordia. Essa è una realtà così centrale nella Rivelazione che Dio ha offerto di se stesso, che ne risulta la stessa sintesi. Non si può comprendere Dio se non si entra nello spazio di una misericordia donata. Ecco perché la misericordia “non può essere una parentesi della vita della Chiesa, ma costituisce la sua stessa esistenza, che rende manifesta e tangibile la verità profonda del Vangelo. Tutto si rivela nella misericordia; tutto si risolve nell’amore misericordioso di Dio” (MM 1). La misericordia è il modo concreto con cui Dio esprime il suo amore ad ogni uomo e ad ogni donna. E la Chiesa non ha altro scopo che essere il luogo in cui si annuncia e si vive la misericordia di Dio.
Incontrandola, ogni uomo ed ogni donna entrano nel gioco della gratuità di Dio e imparano a ricevere, senza diffidenze e resistenze, il perdono di Dio. “È per questo motivo che nessuno di noi può porre condizioni alla misericordia; essa rimane sempre un atto di gratuità del Padre celeste, un amore incondizionato e immeritato. Non possiamo, pertanto, correre il rischio di opporci alla piena libertà dell’amore con cui Dio entra nella vita di ogni persona. La misericordia è questa azione concreta dell’amore che, perdonando, trasforma e cambia la vita. È così che si manifesta il suo mistero divino. Dio è misericordioso (cfr Es 34,6), la sua misericordia dura in eterno (cfr Sal 136), di generazione in generazione abbraccia la persona che confida in Lui e la trasforma, donandole la sua stessa vita” (MM 2).
Il valore assolutamente centrale della misericordia emerge in tutti gli ambiti della Chiesa. Non c’è nessun luogo veramente ecclesiale che non sia rivelativo e custode della misericordia di Dio. Ma è soprattutto nella Parola santa di Dio, custodita nelle Sacre Scritture, che risplende il dinamismo della misericordia. L’ascolto della Parola, nei vari modi e contesti possibili e specialmente nella lectio divina (cfr MM 7), è il luogo dove si manifesta alla luce dell’abbondanza della misericordia di Dio la trasformazione del nostro cuore, da cuore di pietra a cuore di carne (cfr Ez 36,26). Nell’ascolto orante della Parola veniamo convinti da Dio stesso.
L’Avvento è tempo di speranza e perciò tempo di gioioso impegno e di fecondo cambiamento. Ci fa aprire alla Parola di Dio che viene ancora a prendere carne in mezzo a noi. È tempo di ascolto del Signore. Lui ci fa guardare il mondo e la storia umana con i suoi occhi. Lui ci parla nella sua Parola e ci conduce per mano verso la trasfigurazione definitiva della storia, quando si accenderà il suo Giorno, il giorno del suo ritorno definitivo come Signore della storia trasfigurata e riscattata dal male, dagli operatori di iniquità e di violenza, dalla guerra, dall’ingiustizia dalla morte, che la Scrittura chiama l’ultimo nemico.
Ecco perché, già a partire da questo tempo di avvento e poi nei prossimi tempi di quaresima e di pasqua, nella nostra amata Chiesa di Palermo siamo chiamati tutti a fermarci ed ascoltare la Parola di Dio. Non un esercizio formale e rituale, ma piuttosto un esercizio esistenziale, un cuore a cuore che trasforma la vita di ogni credente. Insieme ai Consigli Pastorale e Presbiterale ci siamo detti che quest’anno daremo più spazio all'ascolto di Dio e fra noi. Non c’è migliore occasione di questi centri di ascolto della Parola di Dio per vivere insieme sotto la luce dell’invocazione dello Spirito l’ascolto di Dio e l’ascolto fraterno – lectio e collatio – che poi si trasformano in preghiera contemplativa – oratio e contemplatio –.
Il vostro Vescovo è con voi. Lo sapete bene. Cammina con voi. Per primo ascolta la Parola. Per primo vi ascolta. Insieme, nella comune obbedienza a questa Parola di salvezza, procediamo con gioia nei sentieri che Dio ha tracciato per noi in attesa del compimento del Regno, quando il Signore Gesù ritornerà nella gloria.

Palermo, 27 novembre 2016
I Domenica di Avvento
                                                                                                                                              + Corrado
                                                                                                                                             Arcivescovo

«Il nostro è il Dio delle sorprese» - Papa Francesco - S. Messa Cappella della Casa Santa Marta - (video e testo)


S. Messa - Cappella della Casa Santa Marta, Vaticano
28 novembre 2016
inizio 7 a.m. fine 7:45 a.m. 



Papa Francesco:
Bellissima sorpresa

Comincia l’anno liturgico e con esso l’itinerario dell’Avvento, cammino liturgico e cammino di vita per ogni cristiano, chiamato all’«incontro» con Gesù. È proprio questa — “incontro” — la parola chiave che ha caratterizzato l’omelia di Papa Francesco durante la messa celebrata a Santa Marta lunedì 28 novembre.

Nella liturgia della prima domenica di Avvento — ha innanzitutto ricordato il Pontefice — la Chiesa «ha pregato così: “O Dio, nostro Padre, suscita in noi la volontà di andare incontro con le buone opere al tuo Cristo che viene, perché egli ci chiami accanto a sé nella gloria a possedere il regno dei cieli”». È la richiesta «al Padre di suscitare in noi la volontà di andare incontro a Gesù, incontro a suo Figlio». Ed è infatti questa «la grazia che noi vogliamo nell’Avvento, e la chiediamo: avere voglia di incontrare Gesù» e dunque di «camminare e andare all’incontro» con lui.

Un periodo questo, ha sottolineato il Papa, segnato da «tanti incontri»: quello «di Gesù con sua madre nel grembo», quello «con san Giovanni Battista nel grembo» e poi «con i pastori» e «con i Magi», fino alla conclusione — non «liturgicamente» ma «simbolicamente» — «con il grande incontro di Gesù con il suo popolo, il 2 febbraio, quando Gesù, a quaranta giorni, è portato al tempio». E «noi speriamo di incontrarlo» ha aggiunto Francesco, ricordando che «ieri, già, nella piazza c’era l’albero. Un segno. Ma, un segno che ci dice: “Stai attento: tu devi incontrare il Signore!”». E infatti dopo la prima lettura, il canto al Vangelo recita: «Andiamo con gioia all’incontro del Signore».

Quindi, ha sintetizzato il Pontefice, l’invito per tutti è ancora quello di chiedere «la grazia di andare incontro» a Cristo. Questo, ha aggiunto, è «un tempo per non stare fermo. Il nostro cuore deve domandarsi: “Ma come posso andare all’incontro del Signore? Quali sono gli atteggiamenti che io devo avere per incontrare il Signore? Come devo preparare il mio cuore per incontrare il Signore?”».

Sempre nella liturgia del giorno si trova una risposta a queste domande: la colletta, infatti, «segnala tre atteggiamenti: vigilanti nella preghiera, operosi nella carità ed esultanti nella lode». Cioè, ha spiegato il Papa, «devo pregare, con vigilanza; devo essere operoso nella carità» e avere «la gioia di lodare il Signore».

Riguardo alla carità, Francesco si è soffermato a chiarire che si parla di «carità fraterna»: quindi «non solo dare un’elemosina; anche tollerare la gente che mi dà fastidio, tollerare a casa i bambini quando fanno troppo rumore, o il marito o la moglie quando ci sono difficoltà, o la suocera». Insomma una «carità operosa». E ha concluso: «Così dobbiamo vivere questo cammino, questa volontà di incontrare il Signore. Per incontrarlo bene. Non stare fermi. E incontreremo il Signore».

Ma nel momento dell’incontro, ha proseguito il Pontefice, «ci sarà una sorpresa, perché lui è il Signore delle sorprese». Ricordando la preghiera liturgica che fa cenno «al tuo Figlio che viene», il Papa ha infatti notato che «anche lui non sta fermo: lui viene. Io sono in cammino per incontrarlo e lui è in cammino per incontrarmi, e quando ci incontriamo vediamo che la grande sorpresa è che lui mi sta cercando, prima che io incominci a cercarlo». È questa «la grande sorpresa dell’incontro con il Signore. Lui ci ha cercato prima». È vero che «il nostro cammino è importante», ma «lui sempre è primo. Lui fa il suo cammino per trovarci.

Del resto, «è la sorpresa che ha avuto il centurione». Francesco ne ha ricordato sinteticamente la vicenda: «Non era un ebreo, e quando ha detto ai suoi che sarebbe andato da questo profeta, da questo guaritore per chiedere la grazia, qualcuno gli ha detto: “Ma, non immischiarti con gli ebrei, tu non sai, avrai problemi con i tuoi superiori...”, ma quante cose avrà sentito!». Nonostante ciò il centurione «ha preso coraggio» ed è andato incontro al Signore. E «la grande sorpresa era che il Signore voleva andare da lui: “Io verrò, a guarirlo”». Questo ci fa capire che «sempre il Signore va oltre, va prima. Noi facciamo un passo e lui ne fa dieci. Sempre».

È l’esperienza dell’«abbondanza della sua grazia, del suo amore, della sua tenerezza che non si stanca di cercarci». Un’esperienza, ha spiegato il Papa, che facciamo «anche, alle volte, con cose piccole: noi pensiamo che incontrare il Signore sia una cosa magnifica», e facciamo come Naaman il Siro nel racconto biblico: «anche lui ha avuto una sorpresa grande del modo di agire di Dio».

«Il nostro — ha detto Francesco — è il Dio delle sorprese, il Dio che ci sta cercando, ci sta aspettando, e soltanto chiede da noi il piccolo passo della buona volontà». Per questo preghiamo: «O Dio, nostro Padre, suscita in noi la volontà di andare», perché al Signore «basta» questa volontà. Ciò vale per ogni aspetto della «vita nostra». Qualcuno, infatti, potrebbe dire: «Oh, io ho questo peccato da anni, questo peccato che mi tortura, ho una vita così, mai ho raccontato questo della mia vita, è una piaga che ho dentro, ma come vorrei...»; ma già quel «come vorrei» al Signore «basta». Egli infatti «dà la grazia che io arrivi al momento di chiedere il perdono». Ma «la volontà è il primo passo». E l’aiuto di Dio «ci accompagnerà durante la nostra vita». Infatti, ha spiegato il Pontefice, il Signore «tante volte ci vedrà allontanarci da lui», e ci aspetterà «come il Padre del figliol prodigo». Tante volte «vedrà che vogliamo avvicinarci» e lui uscirà «al nostro incontro».

Fondamentale, quindi, è l’«incontro». A tale riguardo Francesco ha aggiunto: «A me sempre ha colpito quello che Papa Benedetto aveva detto, che la fede non è una teoria, una filosofia, un’idea: è un incontro. Un incontro con Gesù». Cioé: «tu puoi recitare il Credo a memoria, ma non avere fede, se non hai incontrato Gesù, se non hai incontrato la sua misericordia». Infatti «i dottori della legge sapevano tutto, tutto della dogmatica di quel tempo, tutto della morale di quel tempo, tutto», ma «non avevano fede, perché il loro cuore si era allontanato da Dio». Tutto si gioca su questa dinamica: «Allontanarsi o avere la volontà di andare incontro». Ed è proprio questa, ha concluso il Papa, «la grazia che noi oggi chiediamo. “O Dio, nostro Padre, suscita in noi la volontà di andare incontro al tuo Cristo”, con «la vigilanza nella preghiera, l’operosità nella carità ed esultanti nella lode». Facendo così «incontreremo il Signore e avremo una bellissima sorpresa».
(fonte: L'Osservatore Romano)

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lunedì 28 novembre 2016

La dichiarazione conciliare Dignitatis Humanae sulla libertà religiosa a cura di Egidio Palumbo (VIDEO INTEGRALE)

La dichiarazione conciliare Dignitatis Humanae 
sulla libertà religiosa 
a cura di Egidio Palumbo 


(VIDEO INTEGRALE)


Settimana di spiritualità 2016 

promossa dalla Fraternità Carmelitana
di Barcellona Pozzo di Gotto 

"IL SOGNO DELLA COSTITUZIONE ITALIANA
I 70 anni della Repubblica ci interpellano come cristiani"

6 agosto 2016


Il Concilio in questo documento ascolta il mondo e la storia per ricevere quanto di meglio il mondo e la storia sulla libertà religiosa sul diritto della libertà religiosa 
… 
l’atto di fede deve essere atto libero non costretto 
la verità non deve essere astratta ma correlata alla persona umana 

Il Concilio fonda la libertà religiosa sulla dignità della persona umana …





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Prima Parte



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"In questo tempo di Avvento, siamo chiamati ad allargare l’orizzonte del nostro cuore..." PAPA FRANCESCO - ANGELUS del 27 novembre 2016 (Testo e video)

"In questo tempo di Avvento, 
siamo chiamati ad allargare l’orizzonte del nostro cuore...

PAPA FRANCESCO



ANGELUS

Piazza San Pietro
Domenica, 27 novembre 2016







Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi nella Chiesa inizia un nuovo anno liturgico, cioè un nuovo cammino di fede del popolo di Dio. E come sempre incominciamo con l’Avvento. La pagina del Vangelo (cfr Mt 24,37-44) ci introduce in uno dei temi più suggestivi del tempo di Avvento: la visita del Signore all’umanità.
La prima visita – sappiamo tutti – è avvenuta con l’Incarnazione, la nascita di Gesù nella grotta di Betlemme; la seconda avviene nel presente: il Signore ci visita continuamente, ogni giorno, cammina al nostro fianco ed è una presenza di consolazione; infine, ci sarà la terza, l’ultima visita, che professiamo ogni volta che recitiamo il Credo: «Di nuovo verrà nella gloria per giudicare i vivi e i morti». Il Signore oggi ci parla di quest’ultima sua visita, quella che avverrà alla fine dei tempi, e ci dice dove approderà il nostro cammino.

La Parola di Dio fa risaltare il contrasto tra lo svolgersi normale delle cose, la routine quotidiana, e la venuta improvvisa del Signore. Dice Gesù: «Come nei giorni che precedettero il diluvio, mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti» (vv. 38-39): così dice Gesù. Sempre ci colpisce pensare alle ore che precedono una grande calamità: tutti sono tranquilli, fanno le cose solite senza rendersi conto che la loro vita sta per essere stravolta. Il Vangelo certamente non vuole farci paura, ma aprire il nostro orizzonte alla dimensione ulteriore, più grande, che da una parte relativizza le cose di ogni giorno ma al tempo stesso le rende preziose, decisive. La relazione con il Dio-che-viene-a-visitarci dà a ogni gesto, a ogni cosa una luce diversa, uno spessore, un valore simbolico.

Da questa prospettiva viene anche un invito alla sobrietà, a non essere dominati dalle cose di questo mondo, dalle realtà materiali, ma piuttosto a governarle. Se, al contrario, ci lasciamo condizionare e sopraffare da esse, non possiamo percepire che c’è qualcosa di molto importante: il nostro incontro finale con il Signore: e questo è l’importante. Quello, quell’incontro. E le cose di ogni giorno devono avere questo orizzonte, devono essere indirizzate a quell’orizzonte. Quest’incontro con il Signore che viene per noi. In quel momento, come dice il Vangelo, «due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l’altro lasciato» (v. 40). È un invito alla vigilanza, perché non sapendo quando Egli verrà, bisogna essere sempre pronti a partire.

In questo tempo di Avvento, siamo chiamati ad allargare l’orizzonte del nostro cuore, a farci sorprendere dalla vita che si presenta ogni giorno con le sue novità. Per fare ciò occorre imparare a non dipendere dalle nostre sicurezze, dai nostri schemi consolidati, perché il Signore viene nell’ora in cui non immaginiamo. Viene per introdurci in una dimensione più bella e più grande.

La Madonna, Vergine dell’Avvento, ci aiuti a non considerarci proprietari della nostra vita, a non fare resistenza quando il Signore viene per cambiarla, ma ad essere pronti a lasciarci visitare da Lui, ospite atteso e gradito anche se sconvolge i nostri piani. 

Dopo l'Angelus:

Cari fratelli e sorelle,

vorrei assicurare la mia preghiera per le popolazioni del Centro America, specialmente Costa Rica e Nicaragua, colpite da un uragano e, quest’ultimo, anche da un forte sisma. E prego anche per quelle del Nord Italia che soffrono per le alluvioni.

Saluto tutti voi pellegrini, venuti dall’Italia e da diversi Paesi: le famiglie, i gruppi parrocchiali, le associazioni. In particolare, saluto i fedeli provenienti dal Libano, dall’Egitto, dalla Slovacchia, e il coro di Limburg (Germania). Saluto con affetto la comunità ecuadoriana, qui presente; le famiglie del Movimento “Tra Noi”; i gruppi di Altamura, Rieti, San Casciano in Val di Pesa; l’UNITALSI di Capaccio e gli alunni di Bagheria.

A tutti auguro una buona domenica e un buon cammino di Avvento per incontrare il Signore. Che sia un tempo di speranza! Andare incontro al Signore che viene incontro a noi. La speranza vera, fondata sulla fedeltà di Dio e sulla nostra responsabilità. E per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!


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Religiosità popolare - Preghiere in dialetto - Sicilia: Lu Verbu sacciu (Conosco la Parola)

La religiosità popolare di tutte le regioni italiane è ricca di preghiere dialettali, espressione di una cultura religiosa tramandata oralmente di generazione in generazione, per lo più dai nonni ai nipotini.
L'era moderna, purtroppo, tende a cancellare questo patrimonio, infatti le suddette preghiere permangono quasi esclusivamente nei ricordi delle persone più anziane. 

Nei giorni scorsi Padre Gregorio Battaglia, della Fraternità Carmelitana di Pozzo di Gotto - ME - (che i nostri lettori sicuramente conoscono attraverso i post da noi pubblicati) ci chiedeva se fosse stato possibile  pubblicare una preghiera in dialetto siciliano ricordata da una persona anziana che sta attraversando un momento molto difficile, questa richiesta ci ha stimolati a promuovere nel periodo di Avvento la pubblicazione di questa forma di devozione appartenente al nostro patrimonio culturale estendendo l'invito ai nostri lettori di tutte le regioni italiane.

Ci farebbe molto piacere avere un riscontro positivo da parte dei nostri lettori, che pertanto invitiamo a inviare il loro contributo o con un messaggio privato in Facebook nella pagina "Quelli della Via" o scrivendo una email alla casella di posta di "Tempo Perso" 
tempo-perso@libero.it .
Vi chiediamo cortesemente di indicare, accanto alla versione dialettale, anche quella in lingua italiana e, nel caso ne foste a conoscenza, di corredarla di diversi particolari (ad esempio se veniva recitata in particolari periodi dell'anno o momenti della giornata, o se rivolta a qualche Santo per chiederne l'intercessione, o a qualunque altra informazione riteniate opportuno fornirci). 

Sarà nostra cura selezionare i suggerimenti, verificandone ovviamente i contenuti, e preparare i post ed anche uno Speciale, in continuo aggiornamento, in cui potere rintracciare con facilità tutte le preghiere.

Preghiere in dialetto

 Sicilia 

Lu Verbu sacciu 
(Conosco la Parola)
e lu Verbu vogghiu diri 
(e la Parola voglio raccontare)
Verbu incarnatu du cielo scindisti 
(Verbo incarnato sei sceso dal cielo)
'ntra la ventri di Maria ripusasti 
(nel ventre di Maria hai riposato)
e stasti novi misi e poi nascisti.
(sei stato nove mesi e poi sei nato)
Quandu a monti calvario 'nchianasti 
(Quando sei salito sul monte Calvario)
dicisti: cadu cadu ad alta vuce, 
(hai detto: cado cado ad alta voce)
quandu a munti calvario nchianasti 
(quando sei salito sul monte Calvario)
nterra cadisti cu tutta la cruci 
(sei caduto per terra con tutta la croce)
la faccia e li ginocchia si scucciarru, 
(si ferirono la faccia e le ginocchia)
pirchì troppo pisanti era la cruci.
(perché troppo pesante era la croce)


Preghiera segnalata da P. Gregorio Battaglia, Fraternità Carmelita Pozzo di Gotto (ME)

Segui lo Speciale:
Religiosità popolare - Preghiere in dialetto in continuo aggiornamento

Ricordiamo che l'utilizzo del presente materiale deve essere preventivamente richiesto ed autorizzato.


Partecipare alla mensa di Enzo Bianchi

Partecipare alla mensa 
di Enzo Bianchi 

pubblicato su Jesus - 
Rubrica "La bisaccia del mendicante" 
Novembre 2016

Uno dei temi più incandescenti nell’attuale dibattito ecclesiale è quello riguardante chi possa prendere parte alla tavola eucaristica. Non si dimentichi che l’attuale disciplina cattolica è rigorosa: né i non cattolici, se non in casi particolari, né quelli che vivono contraddizioni pubbliche al Vangelo possono parteciparvi. Da questa norma si ricava l’esclusione di chi vive nel peccato e si ricorda che già Paolo ammoniva i cristiani di Corinto a vigilare sulla loro celebrazione eucaristica, perché se non sapevano discernere il corpo di Cristo avrebbero mangiato e bevuto la propria condanna (cf. 1Cor 11,28-29). Questa istanza va presa sul serio e non può essere misconosciuta: per l’Apostolo chi non discerne il corpo del Signore nei poveri, nelle membra del corpo di Cristo, non mangia la cena del Signore, disprezza la chiesa di Dio e fa arrossire i poveri.

Ma l’esortazione di Paolo non va intesa nel senso di un divieto rivolto a chi è indegno moralmente, perché tutti i cristiani sono e restano peccatori, anche quando si accostano all’eucaristia. Non si tratta di una dignità che dipende dall’essere irreprensibili, ma di un discernimento (diákrisis) del corpo del Signore nella realtà quotidiana. Chi va alla cena del Signore, si sente indegno fino all’ultimo momento (“Signore, non sono degno di partecipare alla tua tavola…”), vi si accosta come un peccatore che confida nella misericordia di Dio che sempre lo perdona, è convinto che l’eucaristia non sia un premio per chi è virtuoso, per i buoni, ma un sostegno per i deboli e un viatico per i peccatori (come ha affermato già Benedetto XVI prima di Francesco). Al riguardo, non possiamo dimenticare che la tavola del Signore, inaugurata da Gesù nell’ultima cena prima della sua passione e morte, annoverava dei commensali non certo degni: vi partecipavano Giuda, che l’aveva tradito; Pietro, che l’avrebbe rinnegato poco dopo; gli altri apostoli che, consapevoli dell’ora di Gesù, discutevano tra loro su chi fosse il più grande e che, per paura, l’avrebbero tutti abbandonato per fuggire. Come Gesù non aveva disdegnato di sedere alla tavola dei peccatori, così la sua tavola non è stata esclusiva ma luogo di accoglienza di tutti, degni e indegni, luogo di inclusione in vista della comunione nella quale la santità del Signore Gesù incontra il peccato dei discepoli e si diffonde in loro, perdonandoli e purificandoli. Per questo offre loro il calice del suo sangue versato proprio per loro (“per voi”, dice esplicitamente!) e per le moltitudini in remissione dei peccati.

Del resto, questa è la coscienza della grande tradizione della chiesa indivisa, come mostra il dialogo tra il presbitero e il popolo che nella liturgia bizantina precede la comunione eucaristica: “Le cose sante sono per i santi”; “Uno solo è santo, uno solo il Signore, Gesù Cristo a gloria di Dio Padre”. Ciascuno va a lui nel proprio peccato, come un mendicante bisognoso di essere santificato dalla sua santità! Fanno eco due testimonianze patristiche, tra le innumerevoli che si potrebbero citare, una orientale e una occidentale: “Non astenetevi dalla comunione ai santi misteri, non privatevi dell’eucaristia per esservi macchiati del peccato” (Cirillo di Gerusalemme, Catechesi mistagogiche V,23). “Ogni volta che tu bevi al calice, ricevi la remissione dei peccati e ti inebri di Spirito” (Ambrogio di Milano, I sacramenti V,3,17).
(Fonte: dal sito di Bose)


domenica 27 novembre 2016

"La Costituzione Italiana, un bene da custodire e da rivitalizzare" di Rosario Giuè (VIDEO INTEGRALE)

"La Costituzione Italiana, 
un bene da custodire 
e da rivitalizzare" 
di Rosario Giuè

 (VIDEO INTEGRALE)


Settimana di spiritualità 2016 

promossa dalla Fraternità Carmelitana
di Barcellona Pozzo di Gotto 


"IL SOGNO DELLA COSTITUZIONE ITALIANA
I 70 anni della Repubblica ci interpellano come cristiani"
5 agosto 2016


Il cuore della Costituzione é l'art 3 comma 2 che recita: 
"E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese."
Con queste affermazioni si dava corpo a quello che viene definito il "costituzionalismo emancipante", cioè capace di integrare l'uguaglianza formale con l'uguaglianza sostanziale, perchè, per esempio, non basta dire che siamo tutti uguali se poi non tutti possono andare a scuola, se non tutti possono andare all'ospedale per le cure ... Nel presupposto che la libertà, anche se formalmente siamo tutti liberi, deve essere unità con l'uguaglianza, senza essere uguali la libertà rimane per pochi e quindi é un privilegio .
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Dobbiamo avere un nuovo spirito costituente, cioè ritorno alla sovranità, l'art. 1 afferma "La sovranità appartiene al popolo". Quindi riprendiamoci la sovranità! Non possiamo essere passivi, ne come cittadini ne tanto meno come cristiani. Quando noi cristiani diciamo avere la dignità di  figli di Dio. ecco in termine laici si potrebbe dire essere sovrani. Dobbiamo crederci e non delegarla. Esercitarla con responsabilità, certamente consapevoli della fatica, ma non possiamo ritiraci nel nostro privato. 
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Preghiera dei Fedeli - Fraternità Carmelitana di Pozzo di Gotto (ME) - I Domenica Avvento / A





Fraternità Carmelitana 
di Pozzo di Gotto (ME)





Preghiera dei Fedeli