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giovedì 31 ottobre 2013

Halloween: solo una festa?


Quali sono le feste più importanti del nostro calendario? Qualcuno potrebbe rispondere “Pasqua” o “Natale”. Benissimo. Ma non solo!
Non possiamo dimenticare altre due ricorrenze fondamentali per la nostra tradizione: il primo novembre, festa di tutti i Santi, e il due novembre, la Commemorazione dei Defunti.
Questa, da sempre, è la nostra cultura. Negli ultimi anni, invece, nello stesso periodo, si è diffusa la moda di festeggiare Halloween, una ricorrenza che non ci appartiene.
Un tempo questa ricorrenza era legata soprattutto al mondo anglosassone. Oggi la ritroviamo anche in Italia. Ha oltrepassato i confini e si è diffusa in tanti altri Paesi. Per accorgersi del fenomeno basta guardare le vetrine delle pasticcerie e dei negozi di giocattoli. Sono letteralmente invase da oggetti, costumi e pupazzi legati a questa ricorrenza.
L’incontro con tradizioni e culture di altri popoli è sempre interessante, quando produce frutti buoni. E’ inaccettabile, invece, l’idea di una vera e propria colonizzazione culturale che punta a distruggere le radici della nostra tradizione cristiana.
Negli ultimi anni la tendenza è proprio questa...

In prossimità della festa di Halloween, vorrei proporre alle famiglie, alle agenzie educative, alle istituzioni, ai gestori degli esercizi commerciali, agli operatori pastorali e alla Comunità Ecclesiale tutta alcune riflessioni che ci aiutino a comprenderne l’autentico significato e la reale portata, al fine di decidere con più consapevolezza e con ragionevoli e coerenti motivazioni quale sistema di pensiero e di valori vogliamo fare nostro e trasmettere ai più piccoli, al di là di una ingenua e superficiale accettazione di tutto ciò che una società sempre più confusa e incerta, precaria e consumista, oggi ci propone.
Chiarisco subito che si tratta di semplici riflessioni, che non hanno altra pretesa se non quella di far maturare un pensiero autonomo e critico, capace di vagliare i vari messaggi, più o meno chiari ed evidenti, che ogni giorno riceviamo e che rischiano, talvolta a nostra insaputa, di disorientarci o anche semplicemente di distrarci da una realtà più scomoda ed esigente...

Non basta affermare con superficialità: "È solo un modo di divertirsi... è come se fosse un altro carnevale", senza valutare bene le sue radici culturali, le sue implicazioni esoteriche, il suo clima ambiguo e la sua risultante di apertura, più o meno dichiarata, alla mentalità magica.

La parola Halloween – forma contratta dell’espressione inglese All Hallows Eve – tradotta vuol dire semplicemente Vigilia d’Ognissanti, e i santi non hanno nulla a che vedere con zucche, mostri, streghe, fantasmi, demoni. La Chiesa cattolica, in questa festa, ricorda e venera i santi che sono in Paradiso. Punto e basta. I travestimenti che si vedono nella notte di Halloween non hanno niente a che vedere con tale festa.
Facciamo un salto a ritroso nel tempo per scoprirlo…


Esageri, è incredibile, ma non scherzare: le reazioni che s’incontrano nell’esporre le dinamiche esoteriche della festa Halloween sono in genere di questo tipo, vale a dire del massimo scetticismo. Svelare le implicazioni occulte quella che per molti è solo una carnevalata genera disturbo rispetto ad convincimento che non si vuole mettere in discussione: Halloween è bella festa, innocua ed allegra, e sbaglia chi ne dubita. Ora, spiace contraddire quanti – in perfetta buona fede, naturalmente – si sono fatti di quest’idea, ma poiché è sempre disonesto sottrarsi ad confronto con la realtà, eviteremo di farlo. E cercheremo di rispondere alle seguenti domande: che cosa si cela davvero dietro Halloween? Vi sono implicazioni e retroscena religiosi? Se sì, di che cosa si tratta esattamente?
Prima di procedere, preciso che quelle a seguire sono considerazioni che possono in parte risentire dell’orientamento religioso, di matrice cristiano-cattolica, di chi scrive...La gravità del fenomeno è tale che persino un esponente della Chiesa difficilmente tacciabile di oscurantismo e simpatie conservatrici quale era il cardinal Carlo Maria Martini (1927-2012) a suo tempo fu molto chiaro rispetto alla necessità di boicottare Halloween – da lui emblematicamente apostrofata come «il brutto scherzo che facciamo alla nostra cultura» – al fine di meglio preservare la tradizione cattolica: «Halloween è una festa estranea alla nostra tradizione. Una tradizione che ha valori immensi e che deve essere continuata» 

Breve reportage documentario su Halloween, con dati di cronaca e opinioni di insigni uomini di Chiesa. Celebrare la vigilia e la festa di tutti i santi "Holyween" è la più saggia e cristiana risposta a questo satanico e macabro fenomeno da baraccone di importazione

Halloween, festa delle zucche vuote. W Holyween!!!



Guarda anche i nostri post precedenti:


"Halloween - festa dei mostri" o "Holyween - festa dei Santi"?

La vigilia di Tutti i Santi riproporrà le solite diatribe sulla festa di "importazione" chiamata Halloween. Carnevalata autunnale piena lanterne scavate nelle zucche, dove giovani e bambini si vestono da fantasmi e zombie orripilanti, e vanno in giro di notte a spaventarsi a vicenda, chiedendo ad ogni casa (dove si può fare): "Dolcetto o scherzetto?". Ma questa festività è davvero satanica come alcuni pensano, o è semplicemente una sbiadita e secolarizzata riproposizione di una festa cristiana da rievangelizzare? 


Per la sera del 31 ottobre, in molte città, si svolgono Messe, veglie di preghiera e adorazioni. Tra queste citiamo l'iniziativa straordinaria La notte dei santi a Roma nel teatro Orione con un concerto e l'adorazione eucaristica presieduta da monsignor Sigalini, con il supporto della pastorale giovanile della diocesi di Roma e con la collaborazione dei movimenti cattolici - l’omonima iniziativa si terrà anche a Torino presso la chiesa Gran Madre di Dio - e Una luce nella notte organizzata da Chiara Amirante di Nuovi Orizzonti in diverse città italiane, oppureHolyWin, iniziativa con una veglia di preghiera e Messa presso il Santuario della Santa Casa di Loreto con la Comunità Papa Giovanni XXIII ed altri movimenti.
I cristiani sono chiamati a vivere la festa di Tutti i Santi e la commemorazione dei defunti. Queste due celebrazioni sono per la Chiesa cattolica un appuntamento fondamentale dell’anno liturgico. Il richiamo della festa dei santi, e l’ancor più sentita preghiera per i defunti, sta subendo una forte crisi di partecipazione.
Il fenomeno Halloween procura confusione sostituendosi ai momenti liturgici significativi. I bambini, sempre più frastornati e bombardati da questo evento, non conoscono o non sentono la festività di Tutti i Santi. È necessario sollecitare gli insegnanti cattolici, a partire da quelli di religione, i catechisti, gli educatori dei tanti gruppi e movimenti ecclesiali (sacerdoti compresi) affinché si impegnino a rafforzare la solennità cristiana.
Bisogna trovare il modo di far comprendere che la partecipazione diretta ma anche indiretta ad Halloween promuove la realizzazione di un rito satanico.
I credenti che partecipano alla festività di Ognissanti già il 31 ottobre entrano nella grande solennità con i primi vespri della liturgia. La famiglia cristiana fa festa ai testimoni della vita, della speranza, dell’amore anche esaltando dei segni visibili in casa e ovunque sia possibile: accendere la luce, esporre le immagini dei santi, i fiori e tutto ciò che indica la bellezza e la gioia della santità in opposizione alle immagini squallide di Halloween. È anche importante non aderire neanche minimamente all’evento commerciale, promuovendo così il fallimento di questo business...

Da Halloween a HOLYween un santo su ogni porta

... Don Andrea, qual è il bilancio di questi 6 anni di attività dell’iniziativa HOLYween?
Don Andrea Brugnoli: Il bilancio è più che positivo. Mi sembra che sia largamente passata l’idea che i cristiani devono festeggiare la loro festa di tutti i santi, invece di lamentarsi che si stia diffondendo Halloween tra i giovani e gli adulti. Sono moltissime le parrocchie che hanno adottato quest’idea e organizzano ogni tipo di iniziativa sotto questo nome: HOLYween. Il nostro sito, dove ogni anno è possibile scaricare le immagini dei santi da appendere alle finestre, è letteralmente preso d’assalto: in questi giorni abbiamo più di 10 visitatori al secondo, un numero straordinario. Molte scuole hanno preparato attività didattiche sui santi e credo che a nessuno sfugga la bellezza di mostrare questi volti, al posto dei mostri horror dei pagani. Insomma, il successo di HOLYween ha superato ogni aspettativa iniziale...

... "A noi non interessa proprio entrare nella polemica Halloween sì-Halloween no", mi spiega il parroco, Fabio Scarsato francescano conventuale (cui spetta anche la custodia dell'attiguo Santuario di san Romedio). Tutti i ragazzi dei gruppi di catechesi sono chiamati la sera del 31 ottobre a vestire le sembianze del santo di cui portano il nome con un'attenzione particolare ai segni che lo identificano. Mamme e catechiste hanno accolto la proposta, ma ad una condizione precisa, e molto francescana: neanche l'ombra di consumismo, tipo comperare abiti pronti e costosi; tutto deve essere realizzato con le proprie mani o recuperato in casa, magari dai bauli dei nonni. Nessuna sfilata, nessun premio al miglior costume, solo estro e fantasia per elaborare - spesso biografie o racconti alla mano - ciò che rappresenta meglio il proprio santo...

... “Dobbiamo guardare i santi e i nostri cari defunti, ma principalmente il mistero della morte in modo luminoso, con lo sguardo rivolto verso il Cielo. “Nella notte dei Santi” si invitano i fedeli credenti ad esporre non scheletri o fantasmi, maschere mostruose, zombi insanguinati o zucche vuote ma il volto più bello della chiesa e della nostra terra: i Santi, e in quest’Anno della Fede, una candela a ricordo del nostro battesimo. I Santi ci ricordano che la santità è uno stile di vita evangelico possibile per divenire persone capaci di dare un significato forte alla propria vita, capaci di trasformare il mondo partendo dalle piccole cose di ogni giorno. La festa di tutti i Santi ci porta a celebrare il Santo di cui portiamo il nome, è anche la festa di ognuno di noi, chiamati alla santità...

Dimmi che Santo sei

Guarda anche il nostro post precedente:


mercoledì 30 ottobre 2013

Papa Francesco UDIENZA GENERALE 30 ottobre 2013 - testo e video


Piazza San Pietro
Mercoledì, 30 ottobre 2013

Cari fratelli e sorelle, buongiorno! 
Oggi vorrei parlare di una realtà molto bella della nostra fede, cioè della “comunione dei santi”. Il Catechismo della Chiesa Cattolica ci ricorda che con questa espressione si intendono due realtà: la comunione alle cose sante e la comunione tra le persone sante (n. 948). Mi soffermo sul secondo significato: si tratta di una verità tra le più consolanti della nostra fede, poiché ci ricorda che non siamo soli ma esiste una comunione di vita tra tutti coloro che appartengono a Cristo. Una comunione che nasce dalla fede; infatti, il termine “santi” si riferisce a coloro che credono nel Signore Gesù e sono incorporati a Lui nella Chiesa mediante il Battesimo. Per questo i primi cristiani erano chiamati anche “i santi” (cfr At 9,13.32.41; Rm 8,27; 1 Cor 6,1).
1. Il Vangelo di Giovanni attesta che, prima della sua Passione, Gesù pregò il Padre per la comunione tra i discepoli, con queste parole: «Perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (17,21). La Chiesa, nella sua verità più profonda, è comunione con Dio, familiarità con Dio, comunione di amore con Cristo e con il Padre nello Spirito Santo, che si prolunga in una comunione fraterna. Questa relazione tra Gesù e il Padre è la “matrice” del legame tra noi cristiani: se siamo intimamente inseriti in questa “matrice”, in questa fornace ardente di amore, allora possiamo diventare veramente un cuore solo e un’anima sola tra di noi, perché l’amore di Dio brucia i nostri egoismi, i nostri pregiudizi, le nostre divisioni interiori ed esterne. L’amore di Dio brucia anche i nostri peccati.
2. Se c’è questo radicamento nella sorgente dell’Amore, che è Dio, allora si verifica anche il movimento reciproco: dai fratelli a Dio; l’esperienza della comunione fraterna mi conduce alla comunione con Dio. Essere uniti fra noi ci conduce ad essere uniti con Dio, ci conduce a questo legame con Dio che è nostro Padre. Questo è il secondo aspetto della comunione dei santi che vorrei sottolineare: la nostra fede ha bisogno del sostegno degli altri, specialmente nei momenti difficili. Se noi siamo uniti la fede diventa forte. Quanto è bello sostenerci gli uni gli altri nell’avventura meravigliosa della fede! Dico questo perché la tendenza a chiudersi nel privato ha influenzato anche l’ambito religioso, così che molte volte si fa fatica a chiedere l’aiuto spirituale di quanti condividono con noi l’esperienza cristiana. Chi di noi tutti non ha sperimentato insicurezze, smarrimenti e perfino dubbi nel cammino della fede? Tutti abbiamo sperimentato questo, anch’io: fa parte del cammino della fede, fa parte della nostra vita. Tutto ciò non deve stupirci, perché siamo esseri umani, segnati da fragilità e limiti; tutti siamo fragili, tutti abbiamo limiti. Tuttavia, in questi momenti difficoltosi è necessario confidare nell’aiuto di Dio, mediante la preghiera filiale, e, al tempo stesso, è importante trovare il coraggio e l’umiltà di aprirsi agli altri, per chiedere aiuto, per chiedere di darci una mano. Quante volte abbiamo fatto questo e poi siamo riusciti a venirne fuori dal problema e trovare Dio un’altra volta! In questa comunione – comunione vuol dire comune-unione – siamo una grande famiglia, dove tutti i componenti si aiutano e si sostengono fra loro...

Leggi il testo integrale dell'Udienza generale del Santo Padre il 30 ottobre 2013 in piazza S. Pietro.

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"Il bambino sul trono di Francesco" - La spontaneità di un bambino e la naturalezza di Papa Francesco


Il bambino sul trono di Francesco
di Paolo Di Stefano


Nonno Francesco parlava nel suo modo affabile di sempre, e il bambino gli saltellava intorno, come fosse nel giardino di casa. Come se il nonno stesse sistemando una siepe in un pomeriggio qualunque di sole autunnale lasciando che il nipotino si muovesse liberamente con la promessa di non allontanarsi troppo. Avrebbe potuto anche dirgli: «Attento che cadi», come dice un vecchio un po’ ansioso al bambino irrequieto. Isolato dal contesto, poteva essere un quadretto intimo, di famiglia, invece eravamo in piazza San Pietro, durante un’omelia, al cospetto di migliaia e migliaia di fedeli increduli. Un quadretto tenero e comico insieme, perché il nonno era niente meno che il Papa e il bambino era sfuggito alla folla per rimanere lassù, accanto al nonno che gli accarezzava la testa, tornando ogni tanto ad abbracciarlo per un richiamo irresistibile di affetto e di quella complicità che solo i nonni riescono ad avere con i nipotini. 
Questo Papa sa dare naturalezza a parole e a gesti che fino all’altro ieri sembravano impensabili. Tutto di una semplicità disarmante, come il primo «buonasera» del 13 marzo. Come le smorfie sorridenti e confidenziali con il piccolo. Come quell’agitarsi del bambino «impertinente» che con la sua maglietta gialla dalle maniche troppo lunghe andava a sedersi per un attimo sul trono pontificio. Forse ignaro di tutto, forse ben consapevole di quei pochi minuti di celebrità, mentre nonno Francesco continuava tranquillo a parlare all’oceano di piazza San Pietro, senza badare troppo al monello che ora gli stava già al fianco sfiorandogli con una mano le pieghe dell’abito bianco. 
Era il raduno delle famiglie, ma di bambini, intorno a nonno Francesco, ne abbiamo già visti tanti. 
In luglio, a Rio de Janeiro, ha abbracciato Nathan, un ragazzino di nove anni sfuggito alla folla per raggiungere il Papa che per poterlo salutare ha chiesto all’autista di fermare la macchina. In settembre ha voluto telefonare a Federico, sei anni, che da Chivasso gli aveva mandato un disegno di fiori colorati. Ad Assisi, un altro abbraccio con un bambino che gli si è buttato al collo sventolando una bandierina. Non un abbraccio qualunque, ma una stretta piena, forte, rassicurante, e poi la camminata giù per le scale, mano nella mano. Certo, non è stato un nonno a dire «Lasciate che i bambini vengano a me», ma non importa. (fonte: “Corriere della Sera” del 29 ottobre 2013)


Lettera a Papa Francesco di Giancarla Codrignani

Caro Papa Francesco, 
come non provare sentimenti di amicizia e di fraternità nei suoi confronti e non solidarizzare con i segnali che viene lanciando attraverso l'infittirsi di relazioni con persone più o meno note della società italiana? Non intendo accrescere il numero dei corrispondenti che incomincia, forse, a farsi molesto; ma sono indotta a interpellarla dopo la notizia del suo intento di pronunciarsi sullo spazio da assegnare alle donne nella Chiesa. 
Presumo sia anche per lei un dato di realtà che non i disegni di Dio, bensì i ruoli gerarchicamente diversi che uomini e donne hanno storicamente assunto comportano differenze che non vanno sottovalutate, soprattutto se si ricercano nuovi equilibri.
Essendo anche lei un uomo come gli altri, sa bene che difficilmente agli uomini capita di dire parole adeguate quando parlano con noi, soprattutto se pensano di parlare "per" noi. Anche la Chiesa ci conosce solo attraverso una convenzione che non corrisponde alla nostra ermeneutica, di credenti e di non credenti: senza una donna non ci sarebbe stata nascita, senza un'altra donna non ci sarebbe stato annuncio (sarebbero mai arrivati al sepolcro vuoto gli apostoli senza Maria di Magdala?). 
Come "genere" siamo meno sensibili alle ambizioni di potere che sono incoerenti, almeno nella Chiesa, anche per un uomo. Tuttavia non siamo così stolte da non esser state sempre consapevoli che, anche se in dottrina non si ritrovano giustificazioni alla discriminazione, la Chiesa è rimasta maschile fin da quando la tradizione dei primi secoli ha trasmesso gli scritti dei "padri" della Chiesa e non delle madri, menzionate solo in quanto viri dimidiati...

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martedì 29 ottobre 2013

Papa Francesco - S. Messa Cappella della Casa Santa Marta - Speranza: la virtù più umile - (video e testo)


S. Messa - Cappella della Casa Santa Marta, Vaticano 
29 ottobre 2013
inizio 7 a.m. fine 7:45 a.m.



Papa Francesco:
“Non ancoriamoci in una laguna artificiale”

La speranza non è ottimismo, ma “un’ardente aspettativa” verso la rivelazione del Figlio di Dio. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco nella Messa di stamani alla Casa Santa Marta. Il Papa ha ribadito che i cristiani devono guardarsi da clericalismi e atteggiamenti comodi, perché la speranza cristiana è dinamica e dona vita.

Cos’è la speranza per un cristiano? Papa Francesco ha preso spunto dalle parole di San Paolo, nella Prima Lettura, per sottolineare la dimensione unica della speranza cristiana. Non si tratta di ottimismo, ha avvertito, ma di “un’ardente aspettativa” protesa verso la rivelazione del Figlio di Dio. La creazione, ha detto, è “stata sottoposta alla caducità” e il cristiano vive dunque la tensione tra la speranza e la schiavitù. “La speranza – ha detto riecheggiando San Paolo – non delude, è sicura”. Tuttavia, ha riconosciuto, “non è facile capire la speranza”. Alcune volte, ha affermato, “pensiamo che essere persone di speranza sia come essere persone ottimiste”. Ma non è così:
“La speranza non è un ottimismo, non è quella capacità di guardare le cose con buon animo e andare avanti. No, quello è ottimismo, non è speranza. Né la speranza è un atteggiamento positivo davanti alle cose. Quelle persone luminose, positive... Ma questo è buono, eh! Ma non è la speranza. Non è facile capire cosa sia la speranza. Si dice che è la più umile delle tre virtù, perché si nasconde nella vita. La fede si vede, si sente, si sa cosa è. La carità si fa, si sa cosa è. Ma cosa è la speranza? Cosa è questo atteggiamento di speranza? Per avvicinarci un po’, possiamo dire in primo che la speranza è un rischio, è una virtù rischiosa, è una virtù, come dice San Paolo ‘di un’ardente aspettativa verso la rivelazione del Figlio di Dio’. Non è un’illusione”...


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E. Hillesum e la preghiera - Alberto Neglia, ocarm (VIDEO)

E. Hillesum  e la preghiera
di Alberto Neglia, ocarm 
(video)




Estratto dell'incontro del 16 ottobre 2013 - 

I Mercoledì della Spiritualità 2013 - 

"La spiritualità cristiana: la preghiera"


La testimonianza di E. Hillesum
Il 18 agosto 1943 questa ragazza ebrea scriveva ad una sua amica:
«Oggi pomeriggio, mentre riposavo nella mia cuccetta, mi è venuto di scrivere queste cose, ora le mando a te:
Mi hai resa così ricca, mio Dio, lasciami anche dispensare agli altri a piene mani. La mia vita è diventata un colloquio ininterrotto con te, mio Dio, un unico, grande colloquio. A volte, quando me ne sto in un angolino del campo, i miei piedi piantati sulla tua terra, i miei occhi rivolti al cielo, le lacrime mi scorrono sulla faccia, lacrime che sgorgano da una profonda emozione e riconoscenza. Anche di sera, quando sono coricata nel mio letto e riposo in te, mio Dio, lacrime di riconoscenza mi scorrono sulla faccia e questa è la mia preghiera. Sono molto, molto stanca, già da diversi giorni, ma anche questo passerà, tutto avviene secondo un ritmo più profondo che si dovrebbe insegnare ad ascoltare, è la cosa più importante che si può imparare in questa vita. Io non combatto contro di te, mio Dio, tutta la mia vita è un grande colloquio con te…
Il luogo in cui fu scritta e da cui arrivò a destinazione la lettera a cui appartengono queste frasi era un campo di concentramento nazista.

c) L’unica salvezza possibile: salvare l’umanità in noi stessi
Etty non è una ragazza abituata a pregare. Non possiede le sicurezze e le garanzie di una fede. E forse  proprio questa sua nudità è per lei, paradossalmente, un vantaggio:
«Mio Dio, sono tempi tanto angosciosi.[…] Cercherò di aiutarti affinché tu non venga distrutto dentro di me, ma a priori non posso promettere nulla. Una cosa, però, diventa sempre più evidente per me, e cioè che tu non puoi aiutare noi, ma che siamo noi a dover aiutare te, e in questo modo aiutiamo noi stessi. L’unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, e anche l’unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio. E forse possiamo anche contribuire a disseppellirti dai cuori devastati di altri uomini. Sì, mio Dio, sembra che tu non possa fare molto per modificare le circostanze attuali ma anch’esse fanno parte di questa vita. Io non chiamo in causa la tua responsabilità, più tardi sarai tu a dichiarare responsabili noi. E quasi a ogni battito del mio cuore, cresce la mia certezza: tu non puoi aiutarci, ma tocca a noi aiutare te, difendere fino all’ultimo la tua casa in noi. Esistono persone che all’ultimo momento si preoccupano di mettere in salvo aspirapolveri, forchette e cucchiai d’argento – invece di salvare te, mio Dio. E altre persone, che ormai sono ridotte a semplici ricettacoli di innumerevoli paure e amarezze, vogliono a tutti i costi salvare il proprio corpo. Dicono: me non mi prenderanno. Dimenticano che non si può essere nelle grinfie di nessuno se si è nelle tue braccia.»

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Francesco "riformatore" di Giancarla Codrignani



Francesco "riformatore"
di 
Giancarla Codrignani



Non c'è professore di storia che, trattando la Riforma luterana, non abbia evocato il danno subito dall'Italia per non aver avuto parte al fenomeno che ha agitato la Germania e il Nord Europa. Il quinto centenario è in dirittura d'arrivo e avremo modo di riparlare della questione. 
Intanto solo una fantasia: volete vedere che ci arriveremo "riformati" anche noi? 
Lutero era un monaco agostiniano di vocazione adulta, prete, teologo: inviato a Roma, si dice che, in onore ai martiri che l'avevano bagnata con il loro sangue, si inginocchiasse entrando nella città, per come la immaginava lui, santa. Si accorse dello stile di vita del clero romano e se ne scandalizzò. Poco dopo (Lutero era tornato in Germania) Leone X deliberò la concessione dell'indulgenza a chi andasse pellegrino a Roma e, confessato e comunicato, devolvesse un'offerta per la costruzione di san Pietro. I dubbi di Lutero diventarono 95 tesi teologiche che inchiodò sulle porte del duomo di Wittemberg con le note conseguenze. Anche se l'intento del cattolico Lutero era la denuncia, non necessariamente lo scisma. 
In questi ultimi anni non solo in Italia si sono diffuse pubblicazioni che preconizzavano lo "scisma silenzioso" interno alla Chiesa, fatto di secolarizzazione, di abbandoni crescenti, di cattolici (e cattoliche) non più praticanti, di disobbedienti alle norme ecclesiastiche sulla morale sessuale. Era la conseguenza deleteria dell'aver tarpato le al Vaticano II. 
Repentinamente lo Spirito Santo ha portato al soglio papa Francesco: prima che la barca di Pietro imbarcasse altra acqua e andasse a fondo, il papa gesuita ha promosso una voglia di Riforma, inchiodandola per ora metaforicamente alle interviste. Se nel 1517 Papa, cardinali e curia avessero avuto lo stesso coraggio, il Concilio di Trento sarebbe stato diversamente famoso e ci saremmo risparmiati la Controriforma e qualche rogo. 
Il nuovo Papa e Vescovo di Roma - in una situazione inedita per la presenza del papa dimessosi - ha toccato quasi tutti i temi bisognosi di innovazione: manca solo un intervento sul celibato obbligatorio da cancellare, sull'ordinariato militare da sopprimere restituendo i relativi stipendi allo Stato italiano e sulle donne...

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lunedì 28 ottobre 2013

Papa Francesco - S. Messa Cappella della Casa Santa Marta - Gesù è un fratello che prega per noi - (video e testo)


S. Messa - Cappella della Casa Santa Marta, Vaticano 
28 ottobre 2013
inizio 7 a.m. fine 7:45 a.m.



Papa Francesco:
“Diciamo a Gesù: prega per me”

Gesù continua a pregare e a intercedere per noi, mostrando al Padre il prezzo della nostra salvezza: le sue piaghe. E' quanto ha detto Papa Francesco durante la Messa a Santa Marta nel giorno in cui la Chiesa celebra i Santi Simone e Giuda Taddeo, Apostoli. 

Al centro dell’omelia è stato il brano del Vangelo in cui Gesù passa tutta la notte pregando il Padre prima di scegliere i dodici Apostoli: "Gesù sistema la sua squadra" – sottolinea il Papa – e subito dopo è attorniato da una grande moltitudine di gente "venuta per ascoltarlo ed essere guarita" perché "da Lui usciva una forza che guariva tutti". Sono i "tre rapporti di Gesù" – osserva Papa Francesco – "Gesù con il Padre, Gesù con i suoi Apostoli e Gesù con la gente". Gesù pregava il Padre per gli Apostoli e per la gente. Ma ancora oggi prega:
"E’ l’intercessore, quello che prega, e prega Dio con noi e davanti a noi. Gesù ci ha salvati, ha fatto questa grande preghiera, il suo sacrificio, la sua vita, per salvarci, per giustificarci: siamo giusti grazie a Lui. Adesso se n’è andato, e prega. Ma, Gesù è uno spirito? Gesù non è uno spirito! Gesù è una persona, è un uomo, con carne come la nostra, ma in gloria. Gesù ha le piaghe sulle mani, sui piedi, sul fianco e quando prega fa vedere al Padre questo prezzo della giustificazione, e prega per noi, come se dicesse: ‘Ma, Padre, che non si perda, questo!’".
Gesù "ha la testa delle nostre preghiere" perché "è il primo a pregare" e come "nostro fratello" e "uomo come noi" intercede per noi:..


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"Nella preghiera ritroviamo la nostra dignità e impariamo a vivere da figli in questo mondo" di Alberto Neglia, ocarm (video)

Nella preghiera ritroviamo la nostra dignità 
e impariamo a vivere da figli in questo mondo
di Alberto Neglia, ocarm 
(video)



Estratto dell'incontro del 23 ottobre 2013 - 

I Mercoledì della Spiritualità 2013 - 

"La spiritualità cristiana: la preghiera"




«Colui che prega deve mettersi all’opera in modo simile. Dispone di una cetra e di un plettro. La cetra è il suo cuore, le corde i suoi sensi interiori. Per far vibrare le corde e suonare la cetra, ha bisogno di un plettro: il ricordo di Dio, il Nome di Gesù, la Parola. Così il suonatore di cetra deve, pieno d’attenzione e di vigilanza, ascoltare il suo cuore e far risuonare le corde con il Nome di Gesù, finché non si aprano i suoi sensi e il suo cuore si desti. Chi senza posa fa vibrare il suo cuore al Nome di Gesù arriva a farlo cantare: una felicità indescrivibile pervade l’anima sua come un fiume, il ricordo di Gesù purifica il suo spirito e lo fa splendere di luce divina» . (A. Louf) 

Allora, per pregare bisogna disporre il cuore, con quello che significa, coinvolgere tutta la persona, darsi dei tempi, scegliere un angolo della casa, possibilmente davanti a una icona. 
E bisogna lasciarsi toccare dal “plettro”: il ricordo di Dio, reso vivo dalla sua parola.

Dio ci educa a pregare, quindi, attraverso l’ascolto della Parola, è la Parola che ci svela il cuore di Dio (dice Gregorio Magno), è la Parola ascoltata che scrive nel cuore il Volto, il Nome di Gesù. 
È l’ascolto che ci mette in preghiera, un ascolto che ci consente di riconsegnare al nostro cuore il volto di Gesù che ci ridesta a vita nuova. Ricordare Gesù, riconsegnare al cuore Gesù!
...
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Papa Francesco incontra le famiglie del mondo - II parte (testi e video)

Sono arrivate presto domenica mattina in Piazza San Pietro le migliaia di famiglie venute per la celebrazione eucaristica con Papa Francesco. In giro si sentono parlare talmente tante varietà di lingue da pensare di essere proiettati in una nuova Torre di Babele. I pellegrini arrivati a Roma per l’evento provengono da oltre 75 paesi in rappresentanza dei 5 continenti. 
Fin dalle 9 in piazza erano disponibili dei confessori. 
Alle 10.30 l’inizio della Messa. 
A lato dell’altare l’immagine della Santa Famiglia nell’atto della Presentazione di Gesù al Tempio. 
Le Letture della domenica offrono al Papa lo spunto per sottolineare tre caratteristiche fondamentali della famiglia cristiana: la preghiera, la fede, la gioia.

Papa Francesco: Solo Dio crea l'armonia delle differenze.

Leggi il testo integrale dell'Omelia del Santo Padre in piazza San Pietro.

Guarda il video

Grande gioia ed entusiasmo tra le oltre centomila persone presenti in Piazza San Pietro e in Via della Conciliazione per ascoltare le parole di Papa Francesco che ha invitato le famiglie a pregare insieme e con semplicità. Ma come hanno risposto a questa esortazione? 
Ascolta alcuni commenti raccolti in piazza da Marina Tomarro per Radio Vaticana (mp3)

Guarda anche il nostro post:

All'Angelus il Papa affida a Maria le famiglie di tutto il mondo, soprattutto quelle in difficoltà.
Guarda il video

domenica 27 ottobre 2013

Papa Francesco incontra le famiglie del mondo - I parte (testi e video)


Papa Francesco ha ricevuto in udienza il 25 ottobre 2013, il Pontificio Consiglio per la Famiglia, in occasione della plenaria del dicastero. Il Pontefice ha messo l’accento sulla dimensione comunitaria della famiglia, “fatta di volti, di persone che amano, dialogano, si sacrificano per gli altri e difendono la vita, soprattutto quella più fragile, più debole. Si potrebbe dire, senza esagerare, che la famiglia è il motore del mondo e della storia”











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Il 26 Ottobre le famiglie di tutto il mondo incontrano il Papa. Tema del pellegrinaggio è: «Famiglia, vivi la gioia della Fede». 
Alle 14.00 sono stati aperti i varchi in Piazza San Pietro per accogliere le migliaia di persone che stanno affluendo in Vaticano. 
L'appuntamento prevede testimonianze sulle gioie e le difficoltà della vita familiare, si parla di crisi matrimoniali superate grazie alla fede e poi dialoghi tra nonni, genitori e figli, e momenti musicali: sono presenti, tra gli altri, il gruppo Gospel degli Hope Singer, il pianista Giovanni Allevi, il Piccolo Coro Antoniano e il Coro Hope fondato nel '98 su iniziativa della Pastorale giovanile della Chiesa italiana, e ancora il cantante britannico Gospel Junior Robinson, il cantautore italiano Luca Barbarossa e l'americana Sarah Hart, cantante simbolo della musica cristiana degli Stati Uniti. Partecipano all'incontro anche i fratelli Taviani, due registi che hanno fatto conoscere la Sicilia al Papa con il loro film "Kaos". In occasione di questo evento si è chiesto alle famiglie di tutto il mondo di aiutare con un sms solidale, al numero 45594, le famiglie siriane in difficoltà, grazie a un progetto promosso dalla Caritas italiana e dal Pontificio Consiglio per la Famiglia. 
Papa Francesco prima fa l'ormai consueto lungo giro sulla jeep tra le 100mila persone festanti che affollavano la piazza.

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Arriva poi sul sagrato alle 17.00 accolto da un gruppo di dieci bambini e dai loro nonni. 
Una bambina accompagnata dalla nonna lo saluta, seguita da alcune coppie di fidanzati e di sposi. Tra di essi anche una famiglia cristiana fuggita dalla Siria a causa della guerra, una famiglia di Lampedusa che ha aiutato e accolto gli immigrati sbarcati sull'isola e un profugo nigeriano che ha ritrovato la speranza grazie alla solidarietà ricevuta. 
Al termine delle testimonianze, il discorso del Papa.

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A conclusione della festa della famiglia in piazza San Pietro la professione di fede
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PREGHIERA DEL PAPA ALLA SANTA FAMIGLIA - Piazza S. Pietro 27/10/2013 (testo e video)

Al termine della Santa Messa celebrata sul sagrato della Basilica Vaticana per la Giornata della Famiglia in occasione dell’Anno della fede, dopo l’indirizzo di saluto di S.E. Mons. Vincenzo Paglia, Presidente del Pontifico Consiglio per la Famiglia, Papa Francesco ha recitato la seguente preghiera davanti all’icona della Santa Famiglia:

Gesù, Maria e Giuseppe
a voi, Santa Famiglia di Nazareth,
oggi, volgiamo lo sguardo
con ammirazione e confidenza;
in voi contempliamo
la bellezza della comunione nell’amore vero;
a voi raccomandiamo tutte le nostre famiglie,
perché si rinnovino in esse le meraviglie della grazia.

Santa Famiglia di Nazareth,
scuola attraente del santo Vangelo:
insegnaci a imitare le tue virtù
con una saggia disciplina spirituale,
donaci lo sguardo limpido
che sa riconoscere l’opera della Provvidenza
nelle realtà quotidiane della vita.

Santa Famiglia di Nazareth,
custode fedele del mistero della salvezza:
fa’ rinascere in noi la stima del silenzio,
rendi le nostre famiglie cenacoli di preghiera
e trasformale in piccole Chiese domestiche,
rinnova il desiderio della santità,
sostieni la nobile fatica del lavoro, dell’educazione,
dell’ascolto, della reciproca comprensione e del perdono.

Santa Famiglia di Nazareth,
ridesta nella nostra società la consapevolezza
del carattere sacro e inviolabile della famiglia,
bene inestimabile e insostituibile.
Ogni famiglia sia dimora accogliente di bontà e di pace
per i bambini e per gli anziani,
per chi è malato e solo,
per chi è povero e bisognoso.

Gesù, Maria e Giuseppe
voi con fiducia preghiamo, 
a voi con gioia ci affidiamo.






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Omelia di don Angelo Casati nella 30ª Domenica del Tempo Ordinario



Omelia di don Angelo Casati 
nella 30ª Domenica del Tempo Ordinario

Anno C - 27 ottobre 2013



Sir 35,12-14.16-18 
Sal 33
2 tm 4,6-8.16-18 
Lc 18,9-14

Parabola del fariseo e del pubblicano. Una parabola risaputa, quasi scontata.
E quasi scontato sembra da che parte stiamo, dove siamo schierati: dalla parte del pubblicano, e non dalla parte del fariseo, pensiamo.
Ma è poi così vero? È così vero che in qualche misura non assomigliamo al fariseo? O non sarà vero che un po' del pubblicano e un po' del fariseo convivono dentro di noi?
Diventa allora importante, per cogliere l'insegnamento della parabola, sottolineare il contesto in cui nasce e quindi dove va a parare la parabola.
Il contesto è esplicito. È scritto: "Ora disse anche questa parabola per alcuni che erano persuasi di essere giusti e disprezzavano gli altri".
Se il contesto è questo -la presunzione di essere giusti e il sentirsi superiori agli altri- il dubbio può essere legittimo, dico il dubbio che la parabola in qualche misura non ci riguardi, e che, di conseguenza, sia una grazia che Gesù oggi la racconti a noi. A noi che oggi siamo venuti al tempio a pregare: "Due uomini salirono al tempio a pregare".
L'insegnamento della parabola, se stiamo al contesto, non è immediatamente un insegnamento sulla preghiera, ma su un atteggiamento dello spirito che innerva sì la preghiera, ma, ancor prima, innerva la vita.
Scrive un biblista: "Ciò che va raddrizzato non è innanzitutto la preghiera (essa è il frutto di qualcosa che la precede), bensì il modo di concepire Dio e la salvezza, se stessi e il prossimo" (B. Maggioni, Le parabole evangeliche, pag. 241).
La parabola sembra dunque insegnare che esiste una stretta, strettissima connessione, più di quanto normalmente pensiamo, tra preghiera e vita: da un modo sbagliato di concepire la vita nasce una preghiera sbagliata. Di qui la domanda: come concepisco il mio rapporto con Dio: presumo di essere giusto? Come concepisco il mio rapporto con gli altri: mi sento superiore agli altri? Da come concepisci il rapporto nasce una preghiera giusta o sbagliata...



sabato 26 ottobre 2013

"Un cuore che ascolta - lev shomea' " - n. 44 di Santino Coppolino

"Un cuore che ascolta - lev shomea' " - n. 44 di Santino Coppolino
Rubrica
'Un cuore che ascolta - lev shomea'
"Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male" (1Re 3,9)

Traccia di riflessione sul Vangelo della Domenica
di Santino Coppolino



Vangelo:  Lc 18,9-14




Il senso di questa sconcertante parabola, che ci lascia sempre increduli e senza parole, è che il Signore non è attratto dai meriti o dalle virtù ma dalla debolezza, dalla fragilità, dalle necessità, dai bisogni di chi sceglie di edificare su di Lui la sua esistenza.
Ritenersi giusto e irreprensibile, modello di virtù e santità davanti a Dio e agli uomini, non avvicina bensì allontana da Dio e dai fratelli, perché conduce a credere di essere superiori agli altri, ad arrogarsi il diritto a disprezzare coloro che il sentire comune ritiene essere persone immonde, dei "paria" intoccabili e insalvabili da evitare come la peste, come lo erano pastori, prostitute e pubblicani, categorie di peccatori ritenute causa diretta del ritardato avvento del Regno di Dio e con le quali invece Gesù si accompagna. 
Egli, attraverso questa parabola, ci afferma ancora una volta che non esistono persone o categorie escluse dalla misericordia e dall'amore del Padre, e che "Dio ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, per usare verso tutti misericordia" (Rm 11,32).
Peccatore è il pubblicano, che approfitta del suo potere per depredare il suo popolo ed arricchirsi ingiustamente, cosciente però di non potersi presentare davanti a Dio, tanto che "fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi".
Ma peccatore è soprattutto il fariseo, il più perfetto fra tutti i credenti, che vive della e per la Legge di Dio, che mette in pratica ogni giorno le 613 mitzvot, i precetti che i padri hanno estrapolato dalla Toràh di Mosè, stando meticolosamente  attento a non infrangerne nemmeno uno. "Che digiuna due volte la settimana", quando la Toràh comanda il digiuno solo una volta all'anno, nel Giorno dell'Espiazione (Yom Kippur), "che paga le decime di tutto quello che possiede" (lett. "acquista"), quando la decima si  paga solo su ciò che viene venduto: ma dove lo trova il Signore uno più perfetto di lui ? Il Vangelo ci dice che "il fariseo stando in piedi, pregava così tra sé" .
La traduzione non ci permette di coglierne il senso pieno, perché bisognerebbe tradurre: "pregava così di fronte a sé"(pros eautòn): il fariseo non sta pregando il Signore ma si compiace di se stesso, sciorina davanti a Dio tutto il suo armamentario di buone azioni ma la sua adorazione non è rivolta a Dio e la sua preghiera è centrata solo sulla sua persona.  Accusa gli altri di essere ladri, ma Gesù stesso ha accusato i farisei, nonostante le belle  apparenze,"di essere pieni di rapina e incapaci di controllarsi"(Mt 23,25); li accusa di essere ingiusti e adulteri, di non praticare la Giustizia (la Toràh) perché idolatri (l'adulterio è l'immagine con la quale i profeti si riferivano all'idolatria), ma il vero idolatra anzi, ego-latra è proprio lui perché ha fatto del suo Io una divinità da pregare e adorare. Per questo tornerà a casa sua non giustificato, fino a quando prenderà coscienza di essere anch'egli bisognoso della misericordia di Dio, capace di vedere nell'altro non un peccatore da giudicare ma un fratello da amare.


"La spiritualità cristiana: la preghiera" di Alberto Neglia, ocarm (VIDEO integrale del 16 ottobre 2013)



"La spiritualità cristiana: la preghiera"
di Alberto Neglia, ocarm 
(video)


I Mercoledì della Spiritualità 2013

Incontro integrale del 16 ottobre 2013


"Spazio privilegiato, in cui si coltiva la vita nello Spirito è l’esperienza di preghiera. La preghiera è via alla fede, e molte delle nostre più profonde intuizioni spirituali nascono dallo stare in ascolto e in preghiera davanti a Dio. 
Pregare, ovviamente, non è recitare parole per convincere Dio a fare ciò che noi desideriamo.
Quasi tutti veniamo da una cattiva o se non altro ambigua educazione alla preghiera. Purtroppo, fin da piccoli fummo educati a «dire preghiere», meno, molto meno, a «stare davanti a Dio». Educati a dire parole nella preghiera, con il conseguente inganno di pensare che dal numero delle preghiere sia misurata la religiosità di ciascuno di noi. Eppure Gesù aveva detto: «Pregando, non sprecate parole come i pagani, i quali credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate» (Mt 6, 7-8).
Scrive Anthony Bloom, metropolita della chiesa ortodossa russa:
«Ricordo che una delle prime persone che venne a chiedermi consigli dopo che ero stato ordinato presbitero fu una vecchia signora che disse: “Padre, ho pregato quasi incessantemente per quattordici anni, e non ho mai avvertito la presenza di Dio”. Allora le dissi: “Gli ha dato una chance di proferire anche solo una parola?”. “Oh no” mi disse, “ho parlato io per tutto il tempo, non è forse questa la preghiera?”. Le dissi: “No, non penso che lo sia, e quel che le suggerisco è di mettere da parte quindici minuti ogni giorno, restando seduta a sferruzzare davanti al volto di Dio”.
E così fece. Con quale risultato? Presto venne da me e disse: “È straordinario, quando prego Dio, in altre parole gli parlo, non sento nulla, ma quando mi siedo nella calma, faccia a faccia con lui, allora mi sento avvolta dalla sua presenza”. Non sarai mai in grado di pregare Dio realmente e con tutto il tuo cuore, se non impari a tacere e gioire a causa del miracolo della sua presenza, o se preferisci, del tuo stare faccia a faccia con lui anche se non lo vedi» (La preghiera giorno dopo giorno, Edizioni Qiqajon).
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