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martedì 31 gennaio 2023

VIAGGIO APOSTOLICO DI PAPA FRANCESCO nella REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO e in SUD SUDAN (Pellegrinaggio Ecumenico di Pace in Sud Sudan) 31 GENNAIO - 5 FEBBRAIO 2023 - Arrivo a KINSHASA - Incontro con le autorità: "Giù le mani dalla Repubblica Democratica del Congo, giù le mani dall’Africa!" (cronaca, foto, testi e video)

VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ FRANCESCO
nella REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO e in SUD SUDAN
(Pellegrinaggio Ecumenico di Pace in Sud Sudan)

31 GENNAIO - 5 FEBBRAIO 2023



Martedì, 31 gennaio 2023

ROMA - KINSHASA
7:55 Partenza in aereo dall’Aeroporto Internazionale di Roma/Fiumicino per Kinshasa
15:00 Arrivo all'Aeroporto Internazionale "Ndjili" di Kinshasa
15:00 Accoglienza ufficiale
16:30 Cerimonia di benvenuto presso il "Palais de la Nation"
16:45 Visita di cortesia al Presidente della Repubblica nella "Salle Présidentielle" del "Palais de la Nation"
17:30 Incontro con le Autorità, con la Società Civile e con il Corpo Diplomatico nel giardino del "Palais de la Nation"


Kinshasa accoglie il Papa, festa per strada per l'arrivo di Francesco in RD Congo

Migliaia di persone, dai marciapiedi o dai tetti delle case, danno il benvenuto al Pontefice che inizia nella capitale congolese il suo 40.mo viaggio apostolico. L'aereo è atterrato in anticipo rispetto all'orario previsto

Il Papa per le strade di Kinshasa

Una calura di 33 gradi, suoni di tamburi, applausi e urla di esultanza delle suore accolgono l’arrivo di Papa Francesco nella Repubblica Democratica del Congo. L’Airbus A350 di Ita Airways, decollato questa mattina da Roma-Fiumicino, è atterrato nell’aeroporto di N’djili-Kinshasa quasi mezz’ora prima dell’orario previsto, le 14.33. Francesco scende dal velivolo in ascensore e viene accompagnato nel piazzale del cerimoniale in sedia a rotelle. Qui, mentre un vento secco offre un minimo di ristoro dal caldo torrido, sfila la Guardia d’onore e due bambini in abiti tradizionali offrono mazzi di fiori. Il Papa ringrazia e accarezza la bambina, poi saluta il nunzio apostolico Ettore Balestrero e il primo ministro Jean-Michel Sama, con il quale si dirige verso la Vip Lounge, dove ha luogo la presentazione delle delegazioni e dove si trattengono per un breve incontro.

"Bienvenue"

Nel frattempo gruppi folkloristici, come il G. Folk Muyene Aile Kin Basakatar, salutano l’arrivo del Pontefice esibendosi in una danza tribale, al ritmo di tamburi, con gonne di paglia e collane di legno. Provavano la danza già ore prima dietro alcune strutture all’ingresso del grande aeroporto. Dall’altro lato del marciapiede, fuori dal cancello dell’aeroporto, è assiepato un gruppo di bambini in divisa da scuola bianca e nera che già un’ora prima ha srotolato uno striscione con una scritta di “Bienvenue” al Pontefice a caratteri cubitali. Anche altri gruppi hanno raggiunto lo stradone principale per dare il proprio saluto a “le Pape François”, sventolando bandiere bianche e gialle vaticane o celesti e rosse congolesi. Intanto volontari distribuiscono bottigliette d’acqua in buste di tela. Intanto lungo il vialone che da N’djili conduce al centro della grande periferia che è Kinshasa si è interrotto il caratteristico traffico di moto e pullmini. La vita rimane per qualche istante sospesa, c’è il Papa in città e, dai lati delle strade transennate, sono centinaia di migliaia le persone dispiegate pronte ad urlare e applaudire al passaggio della papamobile che conduce Francesco al Palais de la Nation.

L'accoglienza del Papa raccontata da Massimiliano Menichetti

Tra felicità e povertà

Ci sono persone sui tetti, sui ponti, sulle scale, dalle finestre, sui marciapiedi in piedi sopra torrette di cassette di frutta. Salutano con la mano, le donne gridano “Le Pape, le Pape!”. I bambini provano a correre dietro alle auto, ma vengono subito bloccati dalla sicurezza. Striscioni di scuole e università spuntano da ogni lato. Bandiere e rami di palme creano si muovono ad un unico ritmo. Lo spettacolo è impressionante. A fare da sfondo a questa folla festante, c’è l’estrema povertà di case e negozi. E appena riaperte le strade, ricomincerà il via vai continuo di gente, soprattutto ragazzi, in cerca di qualcosa da fare per portare a termine la giornata.

Kinshasa si presenta così com’è al Papa, senza trucchi né ritocchi, con i suoi palazzi diroccati e le strade sterrate, con le povere lamiere che provano a contenere recinti crollati a causa del fango, con il suo odore dolciastro dato dal fumo dei banchetti che arrostiscono pannocchie e banane e dall’inquinamento dell’aria. Si presenta anche nella sua bellezza, data da un popolo che non si arrende ad un futuro di speranza e di sviluppo, un futuro soprattutto di pace che possa curare ferite profonde di decenni. E che desidera ricevere in questo l’incoraggiamento del Papa.

La festa per l'arrivo del Papa

(fonte: Vatican News, articolo di Salvatore Cernuzio 31/01/2023)


 








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INCONTRO CON LE AUTORITÀ, CON LA SOCIETÀ CIVILE E CON IL CORPO DIPLOMATICO

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Giardino del "Palais de la Nation" (Kinshasa)
Martedì, 31 gennaio 2023


Signor Presidente della Repubblica,
illustri Membri del Governo e del Corpo diplomatico,
distinte Autorità religiose e civili,
insigni Rappresentanti della società civile e del mondo della cultura,
Signore e Signori!

Vi saluto cordialmente, grato al Signor Presidente per le parole che mi ha rivolto. Sono felice di essere qui, in questa terra così bella, vasta, rigogliosa, che abbraccia a nord la foresta equatoriale, al centro e verso sud altipiani e savane alberate, a est colline, montagne, vulcani e laghi, a ovest grandi acque, con il fiume Congo che incontra l’oceano. Nel vostro Paese, che è come un continente nel grande Continente africano, sembra che la terra intera respiri. Ma se la geografia di questo polmone verde è tanto ricca e variegata, la storia non è stata altrettanto generosa: tormentata dalla guerra, la Repubblica Democratica del Congo continua a patire entro i suoi confini conflitti e migrazioni forzate, e a soffrire terribili forme di sfruttamento, indegne dell’uomo e del creato. Questo Paese immenso e pieno di vita, questo diaframma d’Africa, colpito dalla violenza come da un pugno nello stomaco, sembra da tempo senza respiro. Signor Presidente, Lei ha menzionato questo genocidio dimenticato che sta soffrendo la Repubblica del Congo.

E mentre voi Congolesi lottate per custodire la vostra dignità e la vostra integrità territoriale contro deprecabili tentativi di frammentare il Paese, io vengo a voi, nel nome di Gesù, come pellegrino di riconciliazione e di pace. Ho tanto desiderato essere qui e finalmente giungo a portarvi la vicinanza, l’affetto e la consolazione di tutta la Chiesa, e a imparare dal vostro esempio di pazienza, di coraggio e di lotta.

Vorrei parlarvi attraverso un’immagine, che ben simboleggia la luminosa bellezza di questa terra: l’immagine del diamante. Care donne e uomini congolesi, il vostro Paese è davvero un diamante del creato; ma voi, tutti voi, siete infinitamente più preziosi di ogni bene che sorge da questo suolo fecondo! Sono qui ad abbracciarvi e a ricordarvi che avete un valore inestimabile, che la Chiesa e il Papa hanno fiducia in voi, credono nel vostro futuro, in un futuro che sia nelle vostre mani e nel quale meritate di riversare le vostre doti di intelligenza, sagacia e operosità. Coraggio, fratello e sorella congolese! Rialzati, riprendi tra le mani, come un diamante purissimo, quello che sei, la tua dignità, la tua vocazione a custodire nell’armonia e nella pace la casa che abiti. Rivivi lo spirito del tuo inno nazionale, sognando e mettendo in pratica le sue parole: «Attraverso il duro lavoro, costruiremo un Paese più bello di prima; in pace».

Cari amici, i diamanti, comunemente rari, qui abbondano. Se ciò vale per le ricchezze materiali nascoste sotto terra, vale a maggior ragione per quelle spirituali racchiuse nei cuori. Ed è proprio a partire dai cuori che la pace e lo sviluppo restano possibili perché, con l’aiuto di Dio, gli esseri umani sono capaci di giustizia e di perdono, di concordia e di riconciliazione, di impegno e di perseveranza nel mettere a frutto i talenti ricevuti. Dall’inizio del mio viaggio desidero dunque rivolgere un appello: ciascun congolese si senta chiamato a fare la propria parte! La violenza e l’odio non abbiano più posto nel cuore e sulle labbra di nessuno, perché sono sentimenti antiumani e anticristiani, che paralizzano lo sviluppo e riportano indietro, a un passato oscuro.

A proposito di sviluppo frenato e di ritorno al passato, è tragico che questi luoghi, e più in generale il Continente africano, soffrano ancora varie forme di sfruttamento. C’è quel motto che esce dall’inconscio di tante culture e tanta gente: “L’Africa va sfruttata”, questo è terribile! Dopo quello politico, si è scatenato infatti un “colonialismo economico”, altrettanto schiavizzante. Così questo Paese, ampiamente depredato, non riesce a beneficiare a sufficienza delle sue immense risorse: si è giunti al paradosso che i frutti della sua terra lo rendono “straniero” ai suoi abitanti. Il veleno dell’avidità ha reso i suoi diamanti insanguinati. È un dramma davanti al quale il mondo economicamente più progredito chiude spesso gli occhi, le orecchie e la bocca. Ma questo Paese e questo Continente meritano di essere rispettati e ascoltati, meritano spazio e attenzione: giù le mani dalla Repubblica Democratica del Congo, giù le mani dall’Africa! Basta soffocare l’Africa: non è una miniera da sfruttare o un suolo da saccheggiare. L’Africa sia protagonista del suo destino! Il mondo faccia memoria dei disastri compiuti lungo i secoli a danno delle popolazioni locali e non dimentichi questo Paese e questo Continente. L’Africa, sorriso e speranza del mondo, conti di più: se ne parli maggiormente, abbia più peso e rappresentanza tra le Nazioni!

Si faccia largo una diplomazia dell’uomo per l’uomo, dei popoli per i popoli, dove al centro non vi siano il controllo delle aree e delle risorse, le mire di espansione e l’aumento dei profitti, ma le opportunità di crescita della gente. Guardando a questo popolo, si ha l’impressione che la Comunità internazionale si sia quasi rassegnata alla violenza che lo divora. Non possiamo abituarci al sangue che in questo Paese scorre ormai da decenni, mietendo milioni di morti all’insaputa di tanti. Si conosca quanto qui accade. I processi di pace in corso, che incoraggio con tutte le forze, siano sostenuti coi fatti e gli impegni siano mantenuti. Grazie a Dio non manca chi contribuisce al bene della popolazione locale e a un reale sviluppo attraverso progetti efficaci: non interventi di mero assistenzialismo, ma piani volti a una crescita integrale. Esprimo tanta gratitudine ai Paesi e alle organizzazioni che forniscono aiuti sostanziali in tal senso, favorendo la lotta alla povertà e alle malattie, sostenendo lo stato di diritto, promuovendo il rispetto dei diritti umani. Esprimo l’auspicio che possano continuare a svolgere pienamente e coraggiosamente questo nobile ruolo.

Torniamo all’immagine del diamante. Una volta lavorato, la sua bellezza deriva anche dalla sua forma, da numerose facce armonicamente disposte. Pure questo Paese, impreziosito dal suo tipico pluralismo, ha un carattere poliedrico. È una ricchezza che va custodita, evitando di scivolare nel tribalismo e nella contrapposizione. Parteggiare ostinatamente per la propria etnia o per interessi particolari, alimentando spirali di odio e di violenza, torna a svantaggio di tutti, in quanto blocca la necessaria “chimica dell’insieme”. A proposito di chimica, è interessante che a costituire i diamanti siano semplici atomi di carbonio i quali però, se legati diversamente tra loro, formano la grafite: in pratica, la differenza tra la luminosità di un diamante e l’oscurità della grafite è data dal modo in cui i singoli atomi sono disposti all’interno del reticolo cristallino. Fuor di metafora, il problema non è la natura degli uomini o dei gruppi etnici e sociali, ma il modo in cui si decide di stare insieme: la volontà o meno di venirsi incontro, di riconciliarsi e di ricominciare segna la differenza tra l’oscurità del conflitto e un avvenire luminoso di pace e prosperità.

Cari amici, il Padre del cielo vuole che sappiamo accoglierci come fratelli e sorelle di un’unica famiglia e lavorare a un futuro che sia insieme agli altri, non contro gli altri. «Bintu bantu»: così, con molta efficacia, un vostro proverbio ricorda che la vera ricchezza sono le persone e le buone relazioni con loro. In modo speciale le religioni, con il loro patrimonio di sapienza, sono chiamate a contribuirvi, nel quotidiano sforzo di rinunciare a ogni aggressività, proselitismo e costrizione, mezzi indegni della libertà umana. Quando si degenera nell’imporsi, andando a caccia di seguaci in modo indiscriminato, con l’inganno o con la forza, si saccheggia la coscienza altrui e si voltano le spalle al vero Dio, perché – non dimentichiamolo – «dove c’è lo Spirito del Signore, c’è libertà» (2 Cor 3,17) e dove non c’è libertà, non c’è lo Spirito del Signore. Nell’impegno a edificare un futuro di pace e di fraternità, anche i membri della società civile, alcuni dei quali presenti, svolgono un ruolo essenziale. Spesso hanno dato prova di sapersi opporre all’ingiustizia e al degrado a costo di grandi sacrifici, pur di difendere i diritti umani, la necessità di una solida educazione per tutti e di una vita più dignitosa per ciascuno. Ringrazio di cuore le donne e gli uomini, in particolare i giovani di questo Paese, che hanno sofferto in varia misura per questo, e rendo loro omaggio.

Il diamante, nella sua trasparenza, rifrange in modo meraviglioso la luce che riceve. Molti di voi brillano per il ruolo che ricoprono. Chi detiene responsabilità civili e di governo è dunque chiamato a operare con limpidezza cristallina, vivendo l’incarico ricevuto come un mezzo per servire la società. Il potere, infatti, ha senso solo se diventa servizio. Quant’è importante operare con questo spirito, fuggendo l’autoritarismo, la ricerca di guadagni facili e l’avidità del denaro, che l’apostolo Paolo definisce «radice di tutti i mali» (1 Tim 6,10). E nello stesso tempo favorire elezioni libere, trasparenti, credibili; estendere ancora di più la partecipazione ai processi di pace alle donne, ai giovani e a diversi gruppi, ai gruppi marginalizzati; ricercare il bene comune e la sicurezza della gente anziché gli interessi personali o di gruppo; rafforzare la presenza dello Stato in ogni parte del territorio; prendersi cura delle tante persone sfollate e rifugiate. Non ci si lasci manipolare né tantomeno comprare da chi vuole mantenere il Paese nella violenza, per sfruttarlo e fare affari vergognosi: ciò porta solo discredito e vergogna, insieme a morte e miseria. Fa bene invece accostarsi alla gente, per rendersi conto di come vive. Le persone si fidano quando sentono che chi le governa è realmente vicino, non per calcolo né per esibizione, ma per servizio.

Nella società, a oscurare la luce del bene sono spesso le tenebre dell’ingiustizia e della corruzione. Già secoli fa Sant’Agostino, che nacque in questo Continente, si chiedeva: «Se non è rispettata la giustizia, che cosa sono gli Stati se non delle grandi bande di ladri?» (De civ. Dei, IV,4). Dio è dalla parte di chi ha fame e sete di giustizia (cfr Mt 5,6). Non bisogna stancarsi di promuovere, in ogni settore, il diritto e l’equità, contrastando l’impunità e la manipolazione delle leggi e dell’informazione.

Un diamante sorge dalla terra genuino ma grezzo, bisognoso di lavorazione. Così, anche i diamanti più preziosi della terra congolese, che sono i figli di questa nazione, devono poter usufruire di valide opportunità educative, che consentano loro di mettere pienamente a frutto i brillanti talenti che hanno. L’educazione è fondamentale: è la via per il futuro, la strada da imboccare per raggiungere la piena libertà di questo Paese e del Continente africano. In essa è urgente investire, per preparare società che saranno consolidate solo se ben istruite, autonome solo se pienamente consapevoli delle proprie potenzialità e capaci di svilupparle con responsabilità e perseveranza. Ma tanti bambini non vanno a scuola: quanti, anziché ricevere una degna istruzione, vengono sfruttati! Troppi muoiono, sottoposti a lavori schiavizzanti nelle miniere. Non si risparmino sforzi per denunciare la piaga del lavoro minorile e porvi fine. Quante ragazze sono emarginate e violate nella loro dignità! I bambini, le fanciulle, i giovani sono il presente di speranza, sono la speranza: non permettiamo che venga cancellata, ma coltiviamola con passione!

Il diamante, dono della terra, richiama alla custodia del creato, alla protezione dell’ambiente. Situata nel cuore dell’Africa, la Repubblica Democratica del Congo ospita uno dei più grandi polmoni verdi del mondo, che va preservato. Come per la pace e per lo sviluppo, anche in questo campo è importante una collaborazione ampia e proficua, che permetta di intervenire efficacemente, senza imporre modelli esterni più utili a chi aiuta che a chi viene aiutato. Tanti hanno chiesto all’Africa impegno e hanno offerto aiuti per contrastare i cambiamenti climatici e il coronavirus. Sono certamente opportunità da cogliere, però c’è soprattutto bisogno di modelli sanitari e sociali che rispondano non solo alle urgenze del momento, ma contribuiscano a una effettiva crescita sociale: di strutture solide e di personale onesto e competente, per superare i gravi problemi che bloccano sul nascere lo sviluppo, come la fame e le malattie.

Il diamante, infine, è il minerale di origine naturale con la durezza più elevata; è molto alta la sua resistenza agli agenti chimici. Il continuo ripetersi di attacchi violenti e le tante situazioni di disagio potrebbero indebolire la resistenza dei Congolesi, minarne la forza d’animo, portarli a scoraggiarsi e a chiudersi nella rassegnazione. Ma in nome di Cristo, che è il Dio della speranza, il Dio di ogni possibilità che dà sempre la forza di ricominciare, in nome della dignità e del valore dei diamanti più preziosi di questa terra, che sono i suoi cittadini, vorrei invitare tutti a una ripartenza sociale coraggiosa e inclusiva. Lo chiede la storia luminosa ma ferita del Paese, lo supplicano soprattutto i giovani e i bambini. Io sono con voi e accompagno con la preghiera e con la vicinanza ogni sforzo per un avvenire pacifico, armonioso e prospero di questo grande Paese. Dio benedica l’intera nazione congolese!

Guarda il video del discorso

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Massimiliano Menichetti, responsabile della testata Radio Vaticana/Vatican News, dopo il primo discorso del Papa nella Repubblica Democratica del Congo

Guarda il video

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Al termine dell’incontro, dopo essersi congedato dal Presidente della Repubblica, il Santo Padre si è trasferito in auto alla Nunziatura Apostolica di Kinshasa dove è stato accolto all’ingresso dal personale della Nunziatura e da un gruppo di giovani del Coro giovanile di Kinshasa che hanno eseguito alcuni canti popolari congolesi.


Guarda il video integrale dell'incontro con le autorità

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Vedi anche il post precedente:



Intenzione di preghiera per il mese di Febbraio 2023: Preghiamo per le parrocchie. (video, testo in italiano e riflessioni)

Intenzione di preghiera per il mese di Febbraio 2023

Preghiamo per le parrocchie,
 perché, mettendo al centro la comunione, siano sempre più comunità di fede,
di fraternità e di accoglienza verso i più bisognosi.

Guarda il video

Il testo in italiano del videomessaggio del Papa

A volte penso che dovremmo affiggere nelle parrocchie, alla porta, un cartello che dica: 
“Ingresso libero”.

Le parrocchie devono essere comunità vicine, senza burocrazia, 
centrate sulle persone e in cui trovare il dono dei sacramenti.

Devono tornare ad essere scuole di servizio e generosità, 
con le porte sempre aperte agli esclusi. E agli inclusi. A tutti.

Le parrocchie non sono un club per pochi, 
che garantisce una certa appartenenza sociale.

Per favore, siamo audaci!

Ripensiamo tutti allo stile delle nostre comunità parrocchiali.

Preghiamo perché le parrocchie, mettendo la comunione 
– la comunione delle persone, la comunione ecclesiale – al centro, siano sempre più 
comunità di fede, di fraternità e di accoglienza verso i più bisognosi.


È stato pubblicato il Video del Papa con l’intenzione che il Santo Padre affida a tutta la Chiesa cattolica attraverso la Rete Mondiale di Preghiera del Papa. Nel mese di febbraio, Papa Francesco invita con un sorriso ad affiggere in ogni parrocchia un cartello con la scritta “Ingresso libero”: per ricordare a tutti che non sono richiesti particolari requisiti all’entrata, perché non si tratta di un “club per pochi, che garantisce una certa appartenenza sociale”.

La ricchezza della Chiesa

L’esterno di una parrocchia bellissima, ma vuota. Poi la stessa parrocchia, piena di persone, che diventa dunque ancora più bella. Il Video del Papa di questo mese si apre così, ricordando che la ricchezza della Chiesa non sono gli edifici, ma le persone che li abitano: le parrocchie che ha in mente Francesco sono infatti “comunità vicine, senza burocrazia, centrate sulle persone e in cui trovare il dono dei sacramenti”. Le immagini, provenienti da parrocchie di tutto il mondo, descrivono incontri conviviali, conferenze, distribuzione di materiale ai più bisognosi, visite agli anziani e ai malati, spettacoli, eventi all’interno o all’esterno. È un video, dunque, pieno di vita: quella vita che scorre nelle parrocchie e le rende ancora – in un mondo in cui è sempre più facile ripiegarsi su se stessi, o magari preferire i luoghi di aggregazione virtuali a quelli reali – dei punti di riferimento per molti, dove si impara l’arte dell’incontro.

La Chiesa tra le case

Già nell’Esortazione apostolica Evangelii Gaudium, pubblicata all’inizio del Pontificato, Francesco aveva evidenziato la centralità della parrocchia: “sebbene non sia l’unica istituzione evangelizzatrice”, aveva scritto, citando un’espressione di Giovanni Paolo II nella Christifideles laici, la parrocchia ha la particolare caratteristica di essere “la Chiesa stessa che vive in mezzo alle case dei suoi figli e delle sue figlie”. Per questo deve stare “in contatto con le famiglie e con la vita del popolo” e non diventare “una struttura prolissa separata dalla gente o un gruppo di eletti che guardano a se stessi”. Ma questo “appello alla revisione e al rinnovamento delle parrocchie”, aggiungeva, “non ha ancora dato sufficienti frutti perché siano ancora più vicine alla gente”.

Ripensare allo stile

In questa edizione del Video del Papa, il Pontefice insiste sull’idea che le parrocchie portino avanti questo cammino di trasformazione e siano un centro di accoglienza e di ascolto: “devono tornare ad essere scuole di servizio e generosità, con le porte sempre aperte agli esclusi. E agli inclusi. A tutti”. Ci si può riuscire, dice, essendo “audaci”: ripensando “allo stile delle comunità parrocchiali” e “mettendo la comunione – la comunione delle persone, la comunione ecclesiale – al centro”.

Le persone al centro

P. Frédéric Fornos S.J., Direttore Internazionale della Rete Mondiale di Preghiera del Papa, ha commentato così questa intenzione di preghiera: “Qualche anno fa, Francesco ha detto alla diocesi italiana di Isernia-Venafro: ‘Ogni comunità parrocchiale è chiamata ad essere luogo privilegiato dell’ascolto e dell’annuncio del Vangelo; casa di preghiera raccolta intorno all’Eucaristia; vera scuola della comunione’. Ascolto, preghiera e comunione. Sono indicazioni sinodali essenziali per la vita delle parrocchie. Per far questo, però, devono essere davvero comunità, con le persone al centro, perché siamo realmente comunità quando conosciamo l’altro, conosciamo il suo nome, le sue necessità, la sua voce. Quante volte accade che la parrocchia si trasformi in un raggruppamento di persone più o meno sconosciute che si ritrova per la Messa della domenica ma senza vita comunitaria? La sfida è molto grande. Essere una comunità cristiana è una grazia, nasce dalla fede condivisa, dalla fraternità vissuta e dall’accoglienza ai più bisognosi; nasce da un’esperienza spirituale comune, dall’incontro con Cristo Risorto. Come dice Francesco nel Video del Papa, dobbiamo essere “audaci” nell’ascolto dello Spirito Santo e ripensare tutti “allo stile delle nostre comunità parrocchiali”.


VIAGGIO APOSTOLICO DI PAPA FRANCESCO nella REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO e in SUD SUDAN (Pellegrinaggio Ecumenico di Pace in Sud Sudan) 31 GENNAIO - 5 FEBBRAIO 2023 - Buon Viaggio! (cronaca, foto, testi e video)

VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ FRANCESCO
nella REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO e in SUD SUDAN
(Pellegrinaggio Ecumenico di Pace in Sud Sudan)

31 GENNAIO - 5 FEBBRAIO 2023



Martedì, 31 gennaio 2023

ROMA - KINSHASA
7:55 Partenza in aereo dall’Aeroporto Internazionale di Roma/Fiumicino per Kinshasa
15:00 Arrivo all'Aeroporto Internazionale "Ndjili" di Kinshasa
15:00 Accoglienza ufficiale
16:30 Cerimonia di benvenuto presso il "Palais de la Nation"
16:45 Visita di cortesia al Presidente della Repubblica nella "Salle Présidentielle" del "Palais de la Nation"
17:30 Incontro con le Autorità, con la Società Civile e con il Corpo Diplomatico nel giardino del "Palais de la Nation"


Francesco a Santa Maria Maggiore prega per il viaggio in Africa
Come sua abitudine il Papa ha fatto sosta nella basilica mariana per affidare davanti all’icona della Salus Populi Romani la visita apostolica in Congo e Sud Sudan

Il Papa in preghiera a Santa Maria Maggiore prima di partire per l'Africa (ANSA)

Un rito intimo, che si rinnova ogni volta in cui il Papa si appresta a dilatare per qualche giorno gli spazi della sua azione apostolica, il raccoglimento silenzioso prima e dopo i viaggi e le folle. Si è rinnovato anche questo pomeriggio (30 gennaio), quando Francesco è tornato per la 102.ma volta a sostare in preghiera davanti all’icona della Vergine Salus Populi Romani, nella Basilica di Santa Maria Maggiore, “per pregare e affidarle il prossimo suo viaggio nella Repubblica Democratica del Congo e in Sud Sudan” prima di rientrare in Vaticano, come ha riferito dalla Sala Stampa della Santa Sede.

Le due tappe

Un viaggio pastorale ed ecumenico, soprattutto la tappa sud sudanese, che avrà inizio domattina (31 gennaio) alle 8.10 quando il volo papale partirà dall’aeroporto di Fiumicino per atterrare dopo circa sette ore di volo nello scalo internazionale di Kinshasa, capitale della Repubblica Democratica del Congo. Successivamente il 3 febbraio, alle 10.40, Francesco con il seguito e i giornalisti accreditati a bordo del volo decolleranno verso la seconda tappa del viaggio, quella meta lungamente attesa del Sud Sudan che verrà raggiunta verso le 15 ora locale, le 14 in Italia.

Due Paesi che soffrono

“La Repubblica Democratica del Congo soffre, soprattutto nell’Est del Paese, per gli scontri armati e per lo sfruttamento”, ha detto ieri il Papa all’Angelus chiedendo preghiere per il suo viaggio. E “il Sud Sudan, dilaniato da anni di guerra, non vede l’ora - ha aggiunto - che finiscano le continue violenze che costringono tanta gente a vivere sfollata e in condizioni di grande disagio”. Per entrambi i Paesi l’arrivo di Francesco porta con sé la speranza di una nuova riconciliazione.
(fonte: Vatican News 30/01/2023)

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Il Papa partito per il pellegrinaggio di pace in Congo e Sud Sudan

Francesco ha lasciato l'aeroporto di Fiumicino alle 8.29 con un volo dell'Ita e arriverà nella Repubblica Democratica del Congo alle 15 di oggi. Inizia il 40mo viaggio del Papa che lo porterà prima a Kinshasa e poi a Juba capitale del Sud Sudan, dove sarà dal 3 al 5 febbraio

Il Papa è partito per il suo 40.mo viaggio “ecumenico di pace”, come da lui stesso definito domenica 29 gennaio al termine dell’Angelus, che lo porterà in due Paesi della periferia del mondo, entrambi attraversati dalla fortissima contraddizione di avere un sottosuolo ricchissimo ma popolazioni afflitte da povertà e violenza. Repubblica Democratica del Congo e Sud Sudan aspettano il Pontefice dopo lunghi mesi di attesa, dall’annullamento della visita inizialmente prevista per il luglio scorso.

Il racconto di Massimiliano Menichetti, inviato tra i giornalisti al seguito

L'incontro con migranti e rifugiati di Congo e Sud Sudan

L’ Airbus A350 di Ita Airways è decollato alle 8.29 alla volta di Kinshasa, capitale della Repubblica Democratica del Congo. Francesco ieri sera si è recato alla basilica di Santa Maria Maggiore per pregare davanti all’icona della Vergine Salus Populi Romani e affidarle il suo viaggio. Prima di lasciare Casa Santa Marta e dirigersi all’aeroporto, ha incontrato una decina di migranti e rifugiati dalla Repubblica Democratica del Congo e dal Sud Sudan, accolti e sostenuti, con le loro famiglie, dal Centro Astalli. Con loro era il prefetto del Dicastero per la Carità, il cardinale Konrad Krajewski.

L'incontro del Papa a Casa Santa Marta con i profughi e rifugiati della Repubblica Democratica del Congo e Sud Sudan

L'omaggio ai Caduti di Kindu

Il Papa in preghiera al Monumento dei caduti di Kindu a Fiumicino

Nell’arrivare all’Aeroporto di Fiumicino, l’auto del Santo Padre ha sostato brevemente nei pressi del Monumento ai Caduti di Kindu, i 13 aviatori italiani uccisi in Congo l’11 novembre 1961. Alle vittime di quel sanguinoso eccidio e a tutti coloro che hanno perso la vita partecipando a missioni umanitarie e di pace, Papa Francesco ha dedicato una preghiera per poi procedere in direzione dell’aereo che lo porterà a Kinshasa. Dal 3 febbraio Francesco si sposterà a Juba, capitale del Sud Sudan, dove resterà fino al 5 febbraio, giorno in cui farà ritorno a Roma.

(foto Ansa)

La pace e l'ecumenismo

Al centro della presenza del Papa in questi due Paesi c’è il tema della pace, un incontro col cristianesimo africano, sarà la conferma dell’attenzione dl Francesco per questo continente, prima nella RDC, dilaniata negli anni da un conflitto che vede un impressionante numero di gruppi di guerriglia, e poi in Sud Sudan, Paese giovanissimo, nato nel 2011, dove però nonostante gli accordi del 2018 che tentarono di mettere fine alla guerra intestina, la pace non è mai arrivata e dove, oltre alla violenza, a devastare il Paese ci sono povertà, carestia, cambiamenti climatici. Un viaggio quello a Juba che Francesco farà con il primate anglicano Justin Welby e con il moderatore della Chiesa di Scozia, Iain Greenshields, a testimonianza del grande valore ecumenico della visita. In entrambi i Paesi ci si aspetta l’emozione dell’incontro con le vittime dell’est del Congo e in Sud Sudan con gli sfollati interni.

Il volo papale sarà a Kinshasa dopo sei ore e 50 minuti di volo, l’arrivo all’aeroporto internazionale N’djili della capitale è previsto alle 15, qui sarà accolto dal nunzio apostolico monsignor Ettore Balestrero, e dal primo ministro del Paese. Dopo la presentazione le delegazioni si sposteranno al Palais de la Nation, dove Francesco sarà ricevuto dal presidente della Repubblica Felix Tshisekedi Tshilombo.

Il telegramma a Mattarella e gli auguri del presidente al Papa

Nel consueto telegramma di sorvolo al presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, Francesco ribadisce il significato di pace e riconciliazione di questo viaggio. “Nel momento in cui mi accingo a compiere un viaggio apostolico nella Repubblica Democratica del Cogno e in Sud Sudan – si legge – mosso dal vivo desiderio di incontrare i fratelli nella fede e gli abitanti di quelle care nazioni recando un Messaggio di pace e di riconciliazione, mi è gradito rivolgere a Lei, signor presidente, l’espressione del mio deferente saluto, che accompagno con fervide preghiere per il bene e la prosperità dell’intero popolo italiano".

Nella risposta al messaggio indirizzatogli da Francesco, insieme ai ringraziamenti Mattarella scrive: "La Sua missione in Paesi segnati dalla violenza e dalla povertà rappresenta un’occasione importante per testimoniare vicinanza e fiducia a quanti sono impegnati a promuovere i valori del rispetto, della concordia e della pacifica convivenza, uniche basi sulle quali è possibile costruire a beneficio di tutti un orizzonte di stabilità e sviluppo" Rinnovando "profonda stima e personale considerazione", il capo deoo Stato prosegue: "Confido che la particolare dimensione ecumenica del viaggio in Sud Sudan possa dimostrare l’indispensabile contributo che i cristiani, insieme, sono chiamati a offrire per promuovere il superamento delle divisioni e la dignità della persona".
(fonte: Vatican News, articolo di Francesca Sabatinelli 31/01/2023)

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Il Papa in volo, una preghiera per chi è morto attraversando il Sahara

Nel consueto saluto ai giornalisti, durante il viaggio verso la Repubblica Democratica del Congo, Francesco ha rivolto un pensiero ai tanti che hanno perso la vita e a quanti sono stati messi nei lager dopo aver attraversato il deserto

Il silenzio e la preghiera come una carezza sulle vite di “sofferenti” e disperati in cerca di una nuova opportunità. Papa Francesco la regala durante il volo di andata da Roma a Kinshasa, nella Repubblica Democratica del Congo, prima tappa del suo 40.mo viaggio apostolico che lo porterà anche a toccare il Sud Sudan. Sotto di lui i colori del deserto e il sole, non può mancare il ricordo di tante vite sfiorite nella sabbia sotto il peso della fatica, della sete, delle violenze.

In questo momento stiamo attraversando il Sahara facciamo un pensierino, in silenzio, una preghiera per tutte le persone che cercando un po’ di benessere, un po’ di libertà hanno attraversato e non ce l’hanno fatta. Tanti sofferenti che arrivano al Mediterraneo dopo aver attraversato il deserto e sono presi nei lager e soffrono lì. Preghiamo per tutta quella gente.

“Grazie per essere insieme a me”

Prima della preghiera silenziosa e intensa, Francesco si rivolge ai giornalisti presenti - circa 75 giornalisti da 12 Paesi, di cui due africani – li ringrazia per averlo accompagnato in questo viaggio atteso da un anno.

E’ un viaggio bello, io avrei voluto andare a Goma, ma con la guerra non si può andare là. Soltanto sarà Kinshasa e Juba, da lì faremo tutto. Grazie per stare qui con me, stare tutti insieme, grazie per il vostro lavoro che tanto buono, aiuta tanto perché fa arrivare alla gente, che si interessa del viaggio, le immagini anche i pensieri, le riflessioni vostre sul viaggio, grazie tante.

Francesco esprime il suo rammarico per non aver compiuto il solito giro per salutare “ma oggi – dice – non posso”. Resta in poltrona, provando “un po’ di vergogna a far venire tutti qui, possiamo – conclude - salutarci da lontano”. Diversi i doni che il Papa riceve da chi lo accompagna nel viaggio, la giornalista Eva Fernández di Radio Cope, emittente della Conferenza episcopale spagnola, ha regalato un frammento di roccia di Kiwu da cui estraggono il coltan ed ha spiegato a Francesco che per ogni kg estratto muoiono due persone. Poi un frammento di lava del vulcano Nyiragongo, circa 12 km a nord della città di Goma, che provoca disastri.
(fonte: Vatican News, articolo di Benedetta Capelli 31/01/2023)



DA LILIANA SEGRE UN MESSAGGIO PER NOI: BASTA CON LA RETORICA DEI RAGAZZI FRAGILI

DA LILIANA SEGRE UN MESSAGGIO PER NOI:
BASTA CON LA RETORICA DEI RAGAZZI FRAGILI

Gli ultimi testimoni della Shoah sono risaliti poco più che bambini dall'indicibile. Tocca a noi adulti fare di loro l'esempio per trasmettere ai ragazzi il concetto che chi ha la vita davanti ha sempre una possibilità di scelta


Turba il tormento di Liliana Segre: si chiede se la memoria della Shoah non stia diventando agli occhi delle ultime generazioni un rito stanco, teme la noia, l’assuefazione. L’anagrafe incombe, la sabbia corre veloce nella clessidra, sente che il tempo dei testimoni diventa corto e interroga noi, gli adulti che devono prendere il testimone dai testimoni. E intanto, però, al termine di ogni suo incontro ci dà anche la chiave: ai ragazzi ripete «Siete fortissimi».

Mentre noi, adulti di mezzo, nel dibattito privato e pubblico, non facciamo che ripetere loro che sono la generazione più colpita dalla pandemia, che nel dire loro che capiamo il loro disagio, corriamo il rischio di trasmettere tra le righe l'idea che in fondo non crediamo noi per primi che ce la possano fare a superare il trauma collettivo del Covid 19 e gli altri turbamenti della crescita. Ma se non diamo loro fiducia noi che abbiamo l’età dei loro genitori, dei loro nonni, come potranno credere in se stessi mentre ancora sono in piena muta, preda dell’età incerta?

Se guardiamo indietro, se ripensiamo ai nostri momenti da adolescenti in difficoltà, troviamo un genitore, un insegnante, un adulto autorevole che ci ha sfidati a superare il limite del momento. Se ogni volta che ci siamo sentiti persi chi c’era già passato ci avesse detto: «Non ce la farai mai» ci saremmo tutti arresi alla prima difficoltà della vita. Piccole cose, magari. A volte, purtroppo, grandi.

Ecco, i testimoni ancora in vita oggi, sono ragazzi dell’età di quelli che ora faticano a uscire dal lockdown. Ragazzi come loro che hanno visto il fondo di ben altro abisso e che gridano dalla testimonianza dei loro 90 e passa anni: «finché siete vivi potete scegliere, finché siete vivi potete ricominciare».

Cesare Segre, prima di diventare un geniale filologo romanzo, è stato un bambino di dieci anni cui è stato negato l’ingresso al Ginnasio per le leggi razziali. Via da scuola, per il suo cognome ebraico, nessuna possibilità di recuperarla con la tecnologia ovviamente, solitudine, paura, isolamento, rischio. Sfollato con la famiglia, dall’8 settembre del 1943 alla fine della guerra è stato nascosto da solo nell'istituto salesiano della Madonna dei Laghi di Avigliana in Val Susa. In quel tempo vuoto, recluso sotto falso nome per sfuggire alla deportazione, ha studiato, da solo: lingue classiche, francese, inglese e tedesco e cominciando a cimentarsi da completo autodidatta prima con il portoghese e il rumeno e poi con lo spagnolo. A 28 anni era su una cattedra universitaria. Nel 1991, aveva il cuore ballerino e parlava con un filo di voce, ma le sue lezioni all'Università di Pavia erano una calamita che attirava ventenni al suo sapere, mai calato dall’alto come solo i veri maestri sanno fare. Qualche graffio nell’anima l’aveva di certo ma ha fatto tanta strada. Ha certo sofferto, ma è stato fortunato non ha conosciuto il fondo dell’abisso.

Edith Eva Eger, invece, sì: ci siamo parlate al telefono nel 2018, in una lingua seconda per entrambe, con 9 ore di fuso orario, lei ormai ultranovantenne, sconosciute l’una all’altra. La situazione meno empatica che si possa immaginare per un’intervista eppure impossibile da dimenticare. La sua storia è di quelle che ti scorticano, la sua voce s’è incrinata solo una volta un attimo, ma non ci sono parole per rendere la voglia di vita caparbia corsa lungo il filo di quel telefono transoceanico: niente è più forte di chi ti dice che a 17 anni, sul punto di morire di fame Gunskirchen, un sottocampo di Mauthausen, ha scelto di mangiare erba non carne umana come facevano altri, perché hai sempre una scelta: a 17 anni! Il resto della sua esistenza è stato un inno la vita.

Come Edith Bruck, come Liliana Segre ha ricominciato dall’indicibile. Sono persone solide, forti, riuscite, sofferenti ma risolte. Con un’infinità di ferite dentro ma intere. Anche Andra e Tatiana Bucci, sorelle, tra le pochissime bambine sopravvissute ad Auschwitz sono così.

Il debito di far camminare la loro memoria sulle nostre gambe è il minimo, ma non basta: abbiamo il dovere di non limitarci alla memoria ma di fare della memoria ispirazione per trasmettere il concetto che chi ha la vita davanti ha il dovere di prenderla in mano e affrontarla, impegnandosi, sapendo di avere il privilegio del tempo dalla propria parte, perché arrendersi a una fatica di vivere “normale” è mancare di rispetto a chi sopravvissuto alla massima espressione della disumanità, ha trovato il coraggio di testimoniarla, rinnovando il dolore, e adesso sente il proprio tempo correre.

Da ragazzi magari non ci si arriva da soli, ma gli adulti non possono abdicare al dovere di dirlo loro con maggiore convinzione di quanto abbiamo fatto fino adesso.
(fonte: Famiglia Cristiana, articolo di Elisa Chiari 27/01/2023)



lunedì 30 gennaio 2023

Tonio Dell'Olio La Giornata scolastica della nonviolenza

Tonio Dell'Olio

La Giornata scolastica della nonviolenza


 Pubblicato in Mosaico dei Giorni il 30 gennaio 2023

Dal 1964, nella data di oggi, in tutta la Spagna si tiene la Giornata scolastica della nonviolenza e della pace.

L'iniziativa fu assunta dal catalano Lorenzo Vidal Vidal, poeta, pedagogista e rappresentante del movimento della pace spagnolo. La scelta della data è quasi obbligatoria perché oggi ricorre l'uccisione di Gandhi (1948).

Aldo Capitini avrebbe voluto proporla anche in Italia e, in verità, ci sono scuole che per l'adesione personale di alcuni docenti, svolgono attività didattiche sui temi della nonviolenza. 
Sarebbe bello, importante e profondamente educativo che anche il Ministero dell'Istruzione made in Italy la riconoscesse ufficialmente come Giornata scolastica nazionale. 

Ci sono tante iniziative che vedono la presenza di militari nelle scuole o la visita di scuole presso caserme ed enti delle forze armate nel tentativo di rafforzare l'arruolamento e, soprattutto di inculcare le "virtù militari". Ci permettiamo di eccepire nonviolentemente che almeno una Giornata che insinui il dubbio della presenza di un'altra strada per risolvere i conflitti d'ogni portata e di ogni tipo, possa avere un senso educativo.


In prossimità del viaggio di Papa Francesco interviste a Zakia, vedova dell'ambasciatore Luca Attanasio assassinato a Goma, nella Repubblica Democratica del Congo

Zakia, vedova di Attanasio: 

“Prego per il Papa, dia sollievo alle sofferenze dei congolesi”

La moglie dell’ambasciatore ucciso nel febbraio 2021 a Goma commenta l’imminente viaggio di Francesco nella Repubblica Democratica del Congo: “È un messaggio concreto di speranza per un popolo che soffre”. Racconta poi i progetti con l’associazione Mama Sofia in aiuto di donne e bambini e la vita accanto alle tre figlie, dopo la morte del marito: “Non è facile, prima o poi arriverà il momento della verità”

Zakia Seddiki con Papa Francesco

“La visita del Papa nella Repubblica Democratica del Congo è un grande messaggio. Un messaggio concreto di speranza per un popolo che soffre e che ha bisogno di un simbolo di pace e di aiuto spirituale. Di tutto cuore, prego accanto al Papa e spero che porti serenità nel cuore della gente per dimenticare armi e violenza”. La voce di Zakia Seddiki è gentile. Fanciullesca, per certi versi. Quasi sembra non riuscire a contenere la potenza delle sue parole e soprattutto della sua anima, ferita per la morte di Luca. Il suo Luca, l’ambasciatore italiano Attanasio assassinato a Goma, nella Repubblica Democratica del Congo il 22 febbraio 2021: “È qui... È presente diversamente”, dice al telefono con Vatican News.


"Luca è tra noi"

Parole simili la donna, marocchina, di fede musulmana, le aveva messe nero su bianco nella toccante prefazione al libro del giornalista Fabio Marchese Ragona Luca Attanasio. Storia di un ambasciatore di pace (Piemme). Una lettera d’amore al suo “dolce Tintin”, “modello di giovane” che ha ben rappresentato l’Italia all’estero. Le ha ripetute poi l’anno scorso, il 22 giugno, in un’Aula Paolo VI gremita da circa 5mila persone per l’Incontro mondiale delle famiglie, dove ha offerto la sua testimonianza di moglie e madre. “Ancora oggi, nonostante Luca non sia più tra noi, quell’amore, proprio perché sano e vero, continua. È un amore che non si spegne, che non muore mai”, ha detto davanti al Papa, che ha avuto modo anche di incontrare personalmente.

L'ambasciatore Luca Attanasio

Accanto alle figlie

Era emozionata quella sera, Zakia, e oggi lo è ancora di più pensando che proprio il Papa tra pochi giorni andrà a visitare la terra in cui lei e Luca avevano costruito tante cose, sognato progetti e allacciato rapporti umani. “Abbiamo vissuto questo Paese intensamente”, spiega Zakia. Fa una pausa durante la telefonata, prende fiato, la voce talvolta si incrina, ma non cede alle lacrime. Non vuole soffermarsi sul passato, nonostante il dolore ancora bruciante, ma preferisce parlare dell’eredità del marito che lei ha da portare avanti. L’eredità principale, sottolinea, sono soprattutto le loro tre figlie: Sofia, Lilia e Miral. Le sta crescendo grazie anche al sostegno di mamma Malika, al suo fianco quotidianamente. A loro ha detto che il papà ha avuto un incidente: “È molto complicato, io ho dato loro la versione che è stato un incidente insieme a Vittorio (Iacovacci, membro della scorta ndr) e che purtroppo il medico non è riuscito a salvarli perché non sempre i medici riescono a salvare le persone”.

Zakia Seddiki in un intervento pubblico

La speranza della verità

In realtà “le domande sono tante. Spero che Luca ci darà la forza per gestire questa cosa. Prima o poi, però, arriverà il momento della verità”, afferma Zakia, assicurando piena fiducia nelle istituzioni come pure nella presenza del Pontefice in terra congolese perché possa essere strumento di consolazione per la popolazione che soffre e di conversione per chi continua a fare affari sul sangue della gente. “È un gesto coraggioso di Papa Francesco, anche per la sua salute. Ha voluto questo viaggio, lui sa veramente l’importanza, quello che porterà al popolo congolese”.

Strada insanguinata

“Restare indifferenti alla violenza, alla guerra, equivale a essere complici di chi ha provocato tali sofferenze e ingiustizie. Personalmente voglio dire grazie al Papa per questo gesto di amore e per la sua capacità di farti sentire vicino a chi ha bisogno e i congolesi hanno davvero tanto bisogno”, afferma ancora la moglie dell'ambasciatore. “Il problema del Congo – aggiunge - è molto più grosso, perché da anni c’è una strada insanguinata sulla quale ogni giorno ci sono vedove, orfani, regna la paura. Come Mustafa Milambo (l’autista rimasto ucciso anche lui nel 2021)… Lui rappresenta ogni congolese che lavora per organizzazioni internazionali, che ha sì la garanzia di mantenere la famiglia, ma anche la paura di uscire e non tornare. Speriamo veramente che per quella terra ci sarà la possibilità di sognare, di vedere le cose positive, perché quella terra un giorno conoscerà la pace. Vivremo insieme senza armi”.

Con la mamma e le figlie all'Incontro delle famgile 2022

Gli ideali di Luca

Lei nel Paese è tornata già altre 2-3 volte dopo la morte di Luca, oltre che per chiudere la residenza e recuperare gli effetti personali, anche per “salutare donne e bambini con cui si è creato un rapporto umano”. È tornata pure per gestire l’associazione Mama Sofia, partita dal Congo e ora presente anche in Italia. Attraverso di essa assiste e sostiene donne e bambini dei Paesi sottosviluppati. È una delle “cose concrete” con cui, secondo la donna, va ricordato il marito: “I suoi ideali di pace, giustizia, solidarietà tra i popoli. Anche le nostre bimbe hanno bisogno di continuare la strada che era prevista dal papà”. “Luca – dice - ha lasciato a tutti noi, soprattutto ai giovani, la prospettiva di sognare, di fare una scelta e far parte le istituzioni, di servire lo Stato che è un compito che si può fare con umanità”.

Il lavoro di Mama Sofia

Tutti i progetti di Mama Sofia nel settore sanitario, educativo e dell’accesso all’acqua potabile sono attualmente attivi. A cominciare dal gruppo di lavoro autonomo "I bambini dell'Ambasciatore" e l'iniziativa grazie alla quale in dodici Paesi africani saranno offerti 32 corsi certificati in lingua italiana ed altrettante borse di studio per la partecipazione a corsi universitari in modalità telematica.

“Tutto questo è un modo di trasmettere un messaggio di pace concreto. Ogni cosa va avanti per e con Luca diversamente presente, è stato il primo sostenitore come marito e come diplomatico”. Certo, oltre ai progetti a lungo termine, ci sono le richieste di emergenza. E in un Paese “complesso” e “talmente povero” come la Repubblica Democratica del Congo sono continue. “Andiamo avanti… Cerchiamo di promuovere la pace, la giustizia, la solidarietà, attraverso attività culturali e di interesse sociale. Quello che è accaduto alla mia famiglia mi dà ancora più forza per aiutare i deboli, vivere questa tragedia mi sento più vicina alle persone che soffrono. Per questo non mi posso fermare”.

"Mai sola"

In questo lavoro, Zakia assicura di non sentirsi sola: “Quello che riusciamo a fare è grazie alle tante persone che con sensibilità sentono e capiscono la sofferenza di donne e bambini, quando si tratta di diritti fondamentali. Sono tante le persone che cercano di aiutare e si mettono a ridisegnare il mondo, così come l’ho sognato con Luca. Questo è una forza in più per non mollare. Non mi sento sola”.

Zakia Seddiki

(fonte: Vatican News, articolo di Salvatore Cernuzio 28/01/2023)

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Intervista a Zakia Seddiki, vedova di Luca Attanasio il diplomatico ucciso lo scorso anno in un attentato

Storia di un ambasciatore di pace


Era il 22 febbraio 2021 quando l’ambasciatore italiano Luca Attanasio perdeva la vita in un tragico agguato sulla strada tra Goma e Rutshuru, nell’est della Repubblica Democratica del Congo. Aveva 42 anni ed era uno dei più giovani ambasciatori italiani nel mondo. Attanasio non è stato solo un uomo di pace, ma anche un uomo di fede, la cui testimonianza è iniziata nell’oratorio di Limbiate ed è proseguita negli incontri di Taizé. Una persona perbene, un sognatore che guardava il mondo come se fosse un bel giardino, umile e sensibile: così lo descrive la moglie Zakia Seddiki, fondatrice e presidente di “Mama Sofia”, istituzione che mira a migliorare la vita di donne e bambini in difficoltà nella Repubblica Democratica del Congo con progetti nel campo della salute, dell’istruzione e dell’accesso all’acqua. È diventata anche una Fondazione in Italia — racconta in questa intervista a «L’Osservatore Romano» — il giorno dell’anniversario del barbaro attentato, come messaggio di rinascita per difendere il valore della pace in memoria di Luca uomo e diplomatico. La scomparsa di Attanasio, come quella del carabiniere della scorta Vittorio Iacovacci e dell’autista congolese Mustapha Milambo, ci ricorda che c’è un’Italia che lavora in Africa e per l’Africa, lontano dai riflettori della cronaca e spesso dimenticata dalla politica e dall’informazione.

Sono trascorsi quasi due anni da quando Luca è stato ucciso. Che ricordo le rimane della Repubblica Democratica del Congo?

Malgrado tutto, è stata per noi una bella esperienza, sia personale che professionale. Vivendo il Paese, abbiamo avuto l’occasione di creare un rapporto con tante persone e di condividere con loro momenti felici, oltre che dolorosi. Ovviamente quello che è successo ha cambiato le nostre vite, ma il popolo congolese, che non ha alcuna colpa, rimarrà sempre nel mio cuore e mi impegnerò ancora di più per stare vicina ai più deboli. Come avrebbe voluto Luca.

Che cosa ha significato per Luca essere ambasciatore in un Paese con una storia così travagliata? Come ha vissuto questo servizio?

Questo servizio lo stava vivendo come un’occasione di crescita umana e professionale, anche perché per lui era la prima volta da ambasciatore e sentiva quindi una grande responsabilità. Era pieno di entusiasmo e di motivazione. E devo dire che ad aiutarlo tanto è stato anche l’aver vissuto quella realtà stando in famiglia. Era una sfida, perché nel Paese l’ambasciatore mancava da un paio d’anni e quindi Luca doveva lavorare tanto soprattutto per ridare certezze agli italiani che vivevano lì. È arrivato con uno spirito positivo, pur conoscendo le complessità del Paese dove dilaga la sofferenza.

Nella biografia ufficiale Luca Attanasio, storia di un ambasciatore di pace del giornalista Fabio Marchese Ragona, con cui lei ha collaborato, afferma che suo marito «era l’ambasciatore di cui tutti avevano il numero di telefono». Qual era la sua migliore qualità?

Sapeva ascoltare bene le persone e aveva la forza anche di unirle. Luca riusciva sempre a trovare il modo per mettere d’accordo le persone, faceva una sintesi e raggiungeva sempre buoni traguardi. E poi era allegro e, pur trovandosi in situazioni difficili, riusciva ad affrontarle con positività, svolgendo il suo delicato compito rimanendo sempre se stesso. Usava bene il suo lavoro di diplomatico per essere utile agli altri.

Quanto ha influito nella formazione di Luca la frequentazione dell’oratorio, della parrocchia e il suo vivere la fede?

Secondo me hanno influito tanto, perché quegli insegnamenti lo hanno accompagnato anche da grande e li ha messi in pratica. Luca è sempre rimasto in contatto col suo parroco e con le persone che frequentavano con lui l’oratorio e la chiesa di Limbiate. Nella Repubblica Democratica del Congo, poi, si è ritrovato per lavoro a parlare e ascoltare spesso i missionari italiani sparsi per il Paese e che, con pochi mezzi, fanno grandi cose. Anche in questo caso li ascoltava con grande attenzione e cercava di capire quali fossero i loro bisogni.

Che Paese troverà Papa Francesco?

Troverà un popolo a cui serve tanto il suo messaggio di speranza e di pace. Troverà tanto entusiasmo e grande attesa da parte di tutti. Troverà sicuramente occhi di persone che soffrono, occhi che non hanno più lacrime per quello che stanno vivendo. Troverà un popolo che non andrà lasciato da solo, che ha bisogno di questa mano sicura che lo accompagni verso il futuro, perché vive una guerra tra le guerre dimenticate. E sono sicura che pregando insieme a questa gente, il Papa darà loro speranza e magari cambierà anche i cuori di tanti per tornare a vivere nella pace. Buona missione!
(fonte: L'Osservatore Romano, articolo di SILVINA PÉREZ 28/01/2023)

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Per approfondire vedi anche i post precedenti(all'interno dei post anche altri link):