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domenica 31 maggio 2020

«Eccomi, manda me» Il testo integrale del Messaggio di Papa Francesco per la Giornata Missionaria Mondiale 2020

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
PER LA GIORNATA MISSIONARIA MONDIALE 2020

«Eccomi, manda me» (Is 6,8)


Cari fratelli e sorelle,

Desidero esprimere la mia gratitudine a Dio per l’impegno con cui in tutta la Chiesa è stato vissuto, lo scorso ottobre, il Mese Missionario Straordinario. Sono convinto che esso ha contribuito a stimolare la conversione missionaria in tante comunità, sulla via indicata dal tema “Battezzati e inviati: la Chiesa di Cristo in missione nel mondo”.

In questo anno, segnato dalle sofferenze e dalle sfide procurate dalla pandemia da covid 19, questo cammino missionario di tutta la Chiesa prosegue alla luce della parola che troviamo nel racconto della vocazione del profeta Isaia: «Eccomi, manda me» (Is 6,8). È la risposta sempre nuova alla domanda del Signore: «Chi manderò?» (ibid.). Questa chiamata proviene dal cuore di Dio, dalla sua misericordia che interpella sia la Chiesa sia l’umanità nell’attuale crisi mondiale. «Come i discepoli del Vangelo siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca... ci siamo tutti. Come quei discepoli, che parlano a una sola voce e nell’angoscia dicono: “Siamo perduti” (v. 38), così anche noi ci siamo accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, ma solo insieme» (Meditazione in Piazza San Pietro, 27 marzo 2020). Siamo veramente spaventati, disorientati e impauriti. Il dolore e la morte ci fanno sperimentare la nostra fragilità umana; ma nello stesso tempo ci riconosciamo tutti partecipi di un forte desiderio di vita e di liberazione dal male. In questo contesto, la chiamata alla missione, l’invito ad uscire da se stessi per amore di Dio e del prossimo si presenta come opportunità di condivisione, di servizio, di intercessione. La missione che Dio affida a ciascuno fa passare dall’io pauroso e chiuso all’io ritrovato e rinnovato dal dono di sé.

Nel sacrificio della croce, dove si compie la missione di Gesù (cfr Gv 19,28-30), Dio rivela che il suo amore è per ognuno e per tutti (cfr Gv 19,26-27). E ci chiede la nostra personale disponibilità ad essere inviati, perché Egli è Amore in perenne movimento di missione, sempre in uscita da se stesso per dare vita. Per amore degli uomini, Dio Padre ha inviato il Figlio Gesù (cfr Gv 3,16). Gesù è il Missionario del Padre: la sua Persona e la sua opera sono interamente obbedienza alla volontà del Padre (cfr Gv 4,34; 6,38; 8,12-30; Eb 10,5-10). A sua volta Gesù, crocifisso e risorto per noi, ci attrae nel suo movimento di amore, con il suo stesso Spirito, il quale anima la Chiesa, fa di noi dei discepoli di Cristo e ci invia in missione verso il mondo e le genti.

«La missione, la “Chiesa in uscita” non sono un programma, una intenzione da realizzare per sforzo di volontà. È Cristo che fa uscire la Chiesa da se stessa. Nella missione di annunciare il Vangelo, tu ti muovi perché lo Spirito ti spinge e ti porta» (Senza di Lui non possiamo far nulla, LEV-San Paolo, 2019, 16-17). Dio ci ama sempre per primo e con questo amore ci incontra e ci chiama. La nostra vocazione personale proviene dal fatto che siamo figli e figlie di Dio nella Chiesa, sua famiglia, fratelli e sorelle in quella carità che Gesù ci ha testimoniato. Tutti, però, hanno una dignità umana fondata sulla chiamata divina ad essere figli di Dio, a diventare, nel sacramento del Battesimo e nella libertà della fede, ciò che sono da sempre nel cuore di Dio.

Già l’aver ricevuto gratuitamente la vita costituisce un implicito invito ad entrare nella dinamica del dono di sé: un seme che, nei battezzati, prenderà forma matura come risposta d’amore nel matrimonio e nella verginità per il Regno di Dio. La vita umana nasce dall’amore di Dio, cresce nell’amore e tende verso l’amore. Nessuno è escluso dall’amore di Dio, e nel santo sacrificio di Gesù Figlio sulla croce Dio ha vinto il peccato e la morte (cfr Rm 8,31-39). Per Dio, il male – persino il peccato – diventa una sfida ad amare e amare sempre di più (cfr Mt 5,38-48; Lc 23,33-34). Perciò, nel Mistero pasquale, la divina misericordia guarisce la ferita originaria dell’umanità e si riversa sull’universo intero. La Chiesa, sacramento universale dell’amore di Dio per il mondo, continua nella storia la missione di Gesù e ci invia dappertutto affinché, attraverso la nostra testimonianza della fede e l’annuncio del Vangelo, Dio manifesti ancora il suo amore e possa toccare e trasformare cuori, menti, corpi, società e culture in ogni luogo e tempo.

La missione è risposta, libera e consapevole, alla chiamata di Dio. Ma questa chiamata possiamo percepirla solo quando viviamo un rapporto personale di amore con Gesù vivo nella sua Chiesa. Chiediamoci: siamo pronti ad accogliere la presenza dello Spirito Santo nella nostra vita, ad ascoltare la chiamata alla missione, sia nella via del matrimonio, sia in quella della verginità consacrata o del sacerdozio ordinato, e comunque nella vita ordinaria di tutti i giorni? Siamo disposti ad essere inviati ovunque per testimoniare la nostra fede in Dio Padre misericordioso, per proclamare il Vangelo della salvezza di Gesù Cristo, per condividere la vita divina dello Spirito Santo edificando la Chiesa? Come Maria, la madre di Gesù, siamo pronti ad essere senza riserve al servizio della volontà di Dio (cfr Lc 1,38)? Questa disponibilità interiore è molto importante per poter rispondere a Dio: “Eccomi, Signore, manda me” (cfr Is 6,8). E questo non in astratto, ma nell’oggi della Chiesa e della storia.

Capire che cosa Dio ci stia dicendo in questi tempi di pandemia diventa una sfida anche per la missione della Chiesa. La malattia, la sofferenza, la paura, l’isolamento ci interpellano. La povertà di chi muore solo, di chi è abbandonato a se stesso, di chi perde il lavoro e il salario, di chi non ha casa e cibo ci interroga. Obbligati alla distanza fisica e a rimanere a casa, siamo invitati a riscoprire che abbiamo bisogno delle relazioni sociali, e anche della relazione comunitaria con Dio. Lungi dall’aumentare la diffidenza e l’indifferenza, questa condizione dovrebbe renderci più attenti al nostro modo di relazionarci con gli altri. E la preghiera, in cui Dio tocca e muove il nostro cuore, ci apre ai bisogni di amore, di dignità e di libertà dei nostri fratelli, come pure alla cura per tutto il creato. L’impossibilità di riunirci come Chiesa per celebrare l’Eucaristia ci ha fatto condividere la condizione di tante comunità cristiane che non possono celebrare la Messa ogni domenica. In questo contesto, la domanda che Dio pone: «Chi manderò?», ci viene nuovamente rivolta e attende da noi una risposta generosa e convinta: «Eccomi, manda me!» (Is 6,8). Dio continua a cercare chi inviare al mondo e alle genti per testimoniare il suo amore, la sua salvezza dal peccato e dalla morte, la sua liberazione dal male (cfr Mt 9,35-38; Lc 10,1-12).

Celebrare la Giornata Missionaria Mondiale significa anche riaffermare come la preghiera, la riflessione e l’aiuto materiale delle vostre offerte sono opportunità per partecipare attivamente alla missione di Gesù nella sua Chiesa. La carità espressa nelle collette delle celebrazioni liturgiche della terza domenica di ottobre ha lo scopo di sostenere il lavoro missionario svolto a mio nome dalle Pontificie Opere Missionarie, per andare incontro ai bisogni spirituali e materiali dei popoli e delle Chiese in tutto il mondo per la salvezza di tutti.

La Santissima Vergine Maria, Stella dell’evangelizzazione e Consolatrice degli afflitti, discepola missionaria del proprio Figlio Gesù, continui a intercedere per noi e a sostenerci.

Roma, San Giovanni in Laterano, 31 maggio 2020, Solennità di Pentecoste

Franciscus


«Lo Spirito ci ama e conosce il posto di ognuno nel tutto: per Lui non siamo coriandoli portati dal vento, ma tessere insostituibili del suo mosaico.» Papa Francesco Omelia Pentecoste 31/05/2020 (foto, testo e video)

SANTA MESSA NELLA SOLENNITÀ DI PENTECOSTE
Basilica di San Pietro - Cappella del Santissimo Sacramento
Domenica, 31 maggio 2020








OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

«Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito» (1 Cor 12,4). Così scrive ai Corinzi l’apostolo Paolo. E prosegue: «Vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio» (vv. 5-6). Diversi e uno: San Paolo insiste a mettere insieme due parole che sembrano opporsi. Vuole dirci che lo Spirito Santo è quell’uno che mette insieme i diversi; e che la Chiesa è nata così: noi, diversi, uniti dallo Spirito Santo.

Andiamo dunque all’inizio della Chiesa, al giorno di Pentecoste. Guardiamo gli Apostoli: tra di loro c’è gente semplice, abituata a vivere del lavoro delle proprie mani, come i pescatori, e c’è Matteo, che era stato un istruito esattore delle tasse. Ci sono provenienze e contesti sociali diversi, nomi ebraici e nomi greci, caratteri miti e altri focosi, visioni e sensibilità differenti. Tutti erano differenti. Gesù non li aveva cambiati, non li aveva uniformati facendone dei modellini in serie. No. Aveva lasciato le loro diversità e ora li unisce ungendoli di Spirito Santo. L’unione – l’unione di loro diversi – arriva con l’unzione. A Pentecoste gli Apostoli comprendono la forza unificatrice dello Spirito. La vedono coi loro occhi quando tutti, pur parlando lingue diverse, formano un solo popolo: il popolo di Dio, plasmato dallo Spirito, che tesse l’unità con le nostre diversità, che dà armonia perché nello Spirito c’è armonia. Lui è l’armonia.

Veniamo a noi, Chiesa di oggi. Possiamo chiederci: “Che cosa ci unisce, su che cosa si fonda la nostra unità?”. Anche tra noi ci sono diversità, ad esempio di opinioni, di scelte, di sensibilità. Ma la tentazione è sempre quella di difendere a spada tratta le proprie idee, credendole buone per tutti, e andando d’accordo solo con chi la pensa come noi. E questa è una brutta tentazione che divide. Ma questa è una fede a nostra immagine, non è quello che vuole lo Spirito. Allora si potrebbe pensare che a unirci siano le stesse cose che crediamo e gli stessi comportamenti che pratichiamo. Ma c’è molto di più: il nostro principio di unità è lo Spirito Santo. Lui ci ricorda che anzitutto siamo figli amati di Dio; tutti uguali, in questo, e tutti diversi. Lo Spirito viene a noi, con tutte le nostre diversità e miserie, per dirci che abbiamo un solo Signore, Gesù, un solo Padre, e che per questo siamo fratelli e sorelle! Ripartiamo da qui, guardiamo la Chiesa come fa lo Spirito, non come fa il mondo. Il mondo ci vede di destra e di sinistra, con questa ideologia, con quell’altra; lo Spirito ci vede del Padre e di Gesù. Il mondo vede conservatori e progressisti; lo Spirito vede figli di Dio. Lo sguardo mondano vede strutture da rendere più efficienti; lo sguardo spirituale vede fratelli e sorelle mendicanti di misericordia. Lo Spirito ci ama e conosce il posto di ognuno nel tutto: per Lui non siamo coriandoli portati dal vento, ma tessere insostituibili del suo mosaico.

Torniamo al giorno di Pentecoste e scopriamo la prima opera della Chiesa: l’annuncio. Eppure vediamo che gli Apostoli non preparano una strategia; quando erano chiusi lì, nel Cenacolo, non facevano la strategia, no, non preparano un piano pastorale. Avrebbero potuto suddividere la gente in gruppi secondo i vari popoli, parlare prima ai vicini e poi ai lontani, tutto ordinato... Avrebbero anche potuto aspettare un po’ ad annunciare e intanto approfondire gli insegnamenti di Gesù, per evitare rischi... No. Lo Spirito non vuole che il ricordo del Maestro sia coltivato in gruppi chiusi, in cenacoli dove si prende gusto a “fare il nido”. E questa è una brutta malattia che può venire alla Chiesa: la Chiesa non comunità, non famiglia, non madre, ma nido. Egli apre, rilancia, spinge al di là del già detto e del già fatto, Lui spinge oltre i recinti di una fede timida e guardinga. Nel mondo, senza un assetto compatto e una strategia calcolata si va a rotoli. Nella Chiesa, invece, lo Spirito garantisce l’unità a chi annuncia. E gli Apostoli vanno: impreparati, si mettono in gioco, escono. Un solo desiderio li anima: donare quello che hanno ricevuto. È bello quell’inizio della Prima Lettera di Giovanni: “Quello che noi abbiamo ricevuto e abbiamo visto, diamo a voi” (cfr 1,3).

Giungiamo finalmente a capire qual è il segreto dell’unità, il segreto dello Spirito. Il segreto dell’unità nella Chiesa, il segreto dello Spirito è il dono. Perché Egli è dono, vive donandosi e in questo modo ci tiene insieme, facendoci partecipi dello stesso dono. È importante credere che Dio è dono, che non si comporta prendendo, ma donando. Perché è importante? Perché da come intendiamo Dio dipende il nostro modo di essere credenti. Se abbiamo in mente un Dio che prende, che si impone, anche noi vorremo prendere e imporci: occupare spazi, reclamare rilevanza, cercare potere. Ma se abbiamo nel cuore Dio che è dono, tutto cambia. Se ci rendiamo conto che quello che siamo è dono suo, dono gratuito e immeritato, allora anche noi vorremo fare della stessa vita un dono. E amando umilmente, servendo gratuitamente e con gioia, offriremo al mondo la vera immagine di Dio. Lo Spirito, memoria vivente della Chiesa, ci ricorda che siamo nati da un dono e che cresciamo donandoci; non conservandoci, ma donandoci.

Cari fratelli e sorelle, guardiamoci dentro e chiediamoci che cosa ci ostacola nel donarci. Ci sono, diciamo, tre nemici del dono, i principali: tre, sempre accovacciati alla porta del cuore: il narcisismo, il vittimismo e il pessimismo. Il narcisismo fa idolatrare se stessi, fa compiacere solo dei propri tornaconti. Il narcisista pensa: “La vita è bella se io ci guadagno”. E così arriva a dire: “Perché dovrei donarmi agli altri?”. In questa pandemia, quanto fa male il narcisismo, il ripiegarsi sui propri bisogni, indifferenti a quelli altrui, il non ammettere le proprie fragilità e i propri sbagli. Ma anche il secondo nemico, il vittimismo, è pericoloso. Il vittimista si lamenta ogni giorno del prossimo: “Nessuno mi capisce, nessuno mi aiuta, nessuno mi vuol bene, ce l’hanno tutti con me!”. Quante volte abbiamo sentito queste lamentele! E il suo cuore si chiude, mentre si domanda: “Perché gli altri non si donano a me?”. Nel dramma che viviamo, quant’è brutto il vittimismo! Pensare che nessuno ci comprenda e provi quello che proviamo noi. Questo è il vittimismo. Infine c’è il pessimismo. Qui la litania quotidiana è: “Non va bene nulla, la società, la politica, la Chiesa…”. Il pessimista se la prende col mondo, ma resta inerte e pensa: “Intanto a che serve donare? È inutile”. Ora, nel grande sforzo di ricominciare, quanto è dannoso il pessimismo, il vedere tutto nero, il ripetere che nulla tornerà più come prima! Pensando così, quello che sicuramente non torna è la speranza. In questi tre – l’idolo narcisista dello specchio, il dio-specchio; il dio-lamentela: “io mi sento persona nelle lamentele”; e il dio-negatività: “tutto è nero, tutto è scuro” – ci troviamo nella carestia della speranza e abbiamo bisogno di apprezzare il dono della vita, il dono che ciascuno di noi è. Perciò abbiamo bisogno dello Spirito Santo, dono di Dio che ci guarisce dal narcisismo, dal vittimismo e dal pessimismo, ci guarisce dallo specchio, dalle lamentele e dal buio.

Fratelli e sorelle, preghiamolo: Spirito Santo, memoria di Dio, ravviva in noi il ricordo del dono ricevuto. Liberaci dalle paralisi dell’egoismo e accendi in noi il desiderio di servire, di fare del bene. Perché peggio di questa crisi, c’è solo il dramma di sprecarla, chiudendoci in noi stessi. Vieni, Spirito Santo: Tu che sei armonia, rendici costruttori di unità; Tu che sempre ti doni, dacci il coraggio di uscire da noi stessi, di amarci e aiutarci, per diventare un’unica famiglia. Amen.

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Il Papa ai sacerdoti romani: nella tempesta non avete abbandonato il gregge


Il Papa ai sacerdoti romani: 
nella tempesta non avete abbandonato il gregge

In una lettera indirizzata al clero romano, Francesco ricorda le molteplici ferite causate dalla pandemia: "Come comunità presbiterale non siamo stati estranei a questa realtà e non siamo stati a guardarla alla finestra", il distanziamento ha rafforzato "il senso di appartenenza"


Quella di Francesco è la lettera di un vescovo ai sacerdoti della propria diocesi, a pastori del popolo di Dio che hanno toccato con mano il dolore della gente a causa dell’emergenza sanitaria. Una crisi imprevedibile ogni giorno accompagnata da numeri, percentuali e statistiche che avevano “nomi, volti, storie condivise”. “Come comunità presbiterale - scrive il Papa - non siamo stati estranei a questa realtà e non siamo stati a guardarla alla finestra; inzuppati dalla tempesta che infuriava, voi vi siete ingegnati per essere presenti e accompagnare le vostre comunità: avete visto arrivare il lupo e non siete fuggiti né avete abbandonato il gregge”. 

Rafforzato il senso di appartenenza

Papa Francesco avrebbe voluto incontrare il clero romano in questo tempo pasquale e celebrare insieme ai sacerdoti della sua diocesi la Messa crismale. Ma non essendo possibile una celebrazione “di carattere diocesano”, il Pontefice ha scelto di rivolgersi con una lettera ad ogni presbitero “per essere più vicino”, “condividere e confermare il cammino”. Francesco riferisce di aver ricevuto per posta elettronica o per telefono, durante l’attuale tempo di pandemia, le testimonianze di molti sacerdoti su “questa situazione imprevista e sconcertante”. “Sebbene fosse necessario mantenere il distanziamento sociale - sottolinea il Papa - questo non ha impedito di rafforzare il senso di appartenenza, di comunione e di missione”.

Come i primi discepoli

Le parole di Francesco, rivolte ai sacerdoti romani, si legano all’esperienza della “prima comunità apostolica”, che pure “visse momenti di confinamento, isolamento, paura e incertezza”. “Trascorsero cinquanta giorni tra l’immobilità, la chiusura, e l’annuncio incipiente che avrebbe cambiato per sempre la loro vita”. I discepoli furono poi sorpresi da Gesù che disse loro: “Pace a voi!”. Anche in questo tempo - scrive il Papa citando la Costituzione pastorale “Gaudium et spes” - sentiamo che “le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore”.

“Sebbene fosse necessario mantenere il distanziamento sociale questo non ha impedito di rafforzare il senso di appartenenza, di comunione e di missione.”

Tra insicurezze e paure

Dopo il drammatico periodo vissuto, si apre ora “una nuova fase” - aggiunge il Papa - che richiede “saggezza, lungimiranza e impegno comune” in modo che “gli sforzi e i sacrifici fatti finora non siano vani”. Una pagina nuova dopo un tempo funestato dal dolore e dall’insicurezza: “Abbiamo patito la perdita repentina - scrive Francesco - di familiari, vicini, amici, parrocchiani, confessori, punti di riferimento della nostra fede”. “Abbiamo visto i volti sconsolati di coloro che non hanno potuto stare vicino e dire addio ai propri cari nelle loro ultime ore”. Il tempo del lutto è stato anche quello dello sconforto. “Abbiamo visto la sofferenza e l’impotenza – sottolinea il Papa - degli operatori sanitari”. “Tutti abbiamo sentito l’insicurezza e la paura di lavoratori e volontari”.

Solitudine e isolamento

Le difficoltà provocate dalla pandemia hanno generato non solo sofferenze fisiche. “Abbiamo ascoltato e visto le difficoltà e i disagi - scrive il Papa - del confinamento sociale: la solitudine e l’isolamento soprattutto degli anziani; l’ansia, l’angoscia e il senso di non-protezione di fronte all’incertezza lavorativa e abitativa; la violenza e il logoramento nelle relazioni”. “La paura ancestrale del contagio è tornata a colpire con forza. Abbiamo condiviso anche le angoscianti preoccupazioni di intere famiglie che non sanno cosa mettere nei piatti la prossima settimana”.

Ci siamo sentiti confusi e indifesi

Alle preoccupazioni si sono aggiunti limiti umani ingranditi da una situazione nuova e ignota. “Abbiamo sperimentato – osserva Papa Francesco - la nostra stessa vulnerabilità e impotenza”. “Frastornati da tutto ciò che accadeva, abbiamo sentito in modo amplificato la precarietà della nostra vita e degli impegni apostolici”. “L’imprevedibilità della situazione ha messo in luce la nostra incapacità di convivere e confrontarci con l’ignoto, con ciò che non possiamo governare o controllare e, come tutti, ci siamo sentiti confusi, impauriti, indifesi”. “Viviamo anche quella rabbia sana e necessaria che ci spinge a non farci cadere le braccia di fronte alle ingiustizie”.

Abbiamo vissuto l’ora del pianto del Signore

La pandemia ha posto pastori e popolo di Dio davanti a sfide nuove. “La complessità di ciò che si doveva affrontare - spiega il Papa nella lettera - non tollerava ricette o risposte da manuale; richiedeva molto più di facili esortazioni o discorsi edificanti, incapaci di radicarsi e assumere consapevolmente tutto quello che la vita concreta esigeva da noi”. “Possiamo dire che abbiamo vissuto comunitariamente l’ora del pianto del Signore”.

Tutti sulla stessa barca

Il Pontefice sottolinea che “in tali circostanze non è facile trovare la strada da percorrere”. “La pandemia non conosce aggettivi, confini e nessuno può pensare di cavarsela da solo. Siamo tutti colpiti e coinvolti”. “La narrativa di una società della profilassi, imperturbabile e sempre pronta al consumo indefinito è stata messa in discussione, rivelando la mancanza di immunità culturale e spirituale davanti ai conflitti”.

Spianare strade nuove

Guardando al futuro, Francesco ricorda che “sarà indispensabile sviluppare un ascolto attento ma pieno di speranza, sereno ma tenace, costante ma non ansioso che possa preparare e spianare le strade che il Signore ci chiama a percorrere”. “Sappiamo che dalla tribolazione e dalle esperienze dolorose non si esce uguali a prima. Dobbiamo essere vigilanti e attenti”. La strada da percorrere non è esente da rischi: “Esposti e colpiti personalmente e comunitariamente nella nostra vulnerabilità e fragilità e nei nostri limiti - scrive il Santo Padre - corriamo il grave rischio di ritirarci e di stare a ‘rimuginare’ la desolazione che la pandemia ci presenta, come pure di esasperarci in un ottimismo illimitato”.

Una nuova comunità apostolica

La pandemia è anche una occasione di rinnovamento. Certamente, aggiunge il Papa, “avremmo preferito che tutto ciò che è accaduto non fosse successo”. Ma ogni tempo “è adatto per l’annuncio della pace, nessuna circostanza è priva della grazia”. Il Signore “è stato in grado di trasformare ogni logica e dare un nuovo significato alla storia e agli eventi”. “La sua presenza in mezzo al confinamento e alle assenze forzate annuncia, per i discepoli di ieri come per noi oggi, un nuovo giorno capace di mettere in discussione l’immobilità e la rassegnazione e di mobilitare tutti i doni al servizio della comunità”. “Con la sua presenza, il confinamento è diventato fecondo dando vita alla nuova comunità apostolica”.

Il tempo del Signore

La fede, scrive il Papa, ci permette “una realistica e creativa immaginazione” e “ci invita ad instaurare un tempo sempre nuovo: il tempo del Signore”. Francesco esorta i sacerdoti a lasciarsi guidare dal Risorto. “Se una presenza impalpabile è stata in grado di scompaginare e ribaltare le priorità e le apparentemente inamovibili agende globali che tanto soffocano e devastano le nostre comunità e nostra sorella terra, non temiamo che sia la presenza del Risorto a tracciare il nostro percorso, ad aprire orizzonti e a darci il coraggio di vivere questo momento storico e singolare”. “Un pugno di uomini paurosi è stato capace di iniziare una corrente nuova, annuncio vivo del Dio con noi. Non temete”.

Lasciarsi sorprendere dal Risorto

Francesco esorta i sacerdoti a lasciarsi sorprendere ancora una volta dal Risorto. “Che sia Lui, dal suo costato ferito, segno di quanto diventa dura e ingiusta la realtà, a spingerci a non voltare le spalle alla dura e difficile realtà dei nostri fratelli”. “Che sia Lui a insegnarci ad accompagnare, curare e fasciare le ferite del nostro popolo, non con timore ma con l’audacia e la prodigalità evangelica della moltiplicazione dei pani; con il coraggio, la premura e la responsabilità del samaritano; con la gioia e la festa del pastore per la sua pecora ritrovata; con l’abbraccio riconciliante del padre che conosce il perdono; con la pietà, la delicatezza e la tenerezza di Maria di Betania; con la mansuetudine, la pazienza e l’intelligenza dei discepoli missionari del Signore”.

Mettiamo le fragilità nelle mani del Signore

La lettera del Papa ai sacerdoti romani si conclude con una esortazione: “Lasciamo che sia la Pasqua, che non conosce frontiere, a condurci creativamente nei luoghi dove la speranza e la vita stanno combattendo, dove la sofferenza e il dolore diventano uno spazio propizio per la corruzione e la speculazione, dove l’aggressività e la violenza sembrano essere l’unica via d’uscita”. “Mettiamo nelle mani piagate del Signore come offerta santa - scrive infine il Papa - la nostra fragilità, la fragilità del nostro popolo, quella dell’umanità intera”.
(fonte: Vatican News, articolo di Amedeo Lomonaco 30/05/2020)



#IoCelebroACasa - #Pentecoste 2020 -

#IoCelebroACasa - Pentecoste 2020 - 
Celebrazione Domestica
Sussidi per la celebrazione personale, familiare e per bambini.

Dal sito Insieme sulla stessa barca -Chiesa e futuro


Nel pieno della pandemia da covid-19 abbiamo celebrato il triduo pasquale nelle nostre case con il sussidio #iocelebroacasa. Vogliamo ora concludere questo tempo pasquale insieme, con la celebrazione della Pentecoste. Abbiamo perciò preparato due proposte di preghiera: la prima è pensata per adulti e giovani, in contesto di vita familiare o per celebrazioni in piccolo gruppo; la seconda, per famiglie con bambini, per una loro piena partecipazione. 

I due itinerari hanno un’origine e un carattere ecumenico: sono stati preparati da alcuni componenti del gruppo “insiemesullastessabarca” (Alessandro Cortesi, Andrea Grillo, Simone Morandini, Serena Noceti, Morena Baldacci), da appartenenti al movimento Pax Christi (Rosa Siciliano, Tonio dell’Olio, Massimo Feré), dai pastori Lidia Maggi, William e Ulrike Jourdan.
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Presentazione 
Pentecoste è festa di apertura, di gioia per il grano nuovo, di porte spalancate, di confini abbattuti, di lingue diverse che s’incrociano e si comprendono. Celebrare la festa di Pentecoste chiusi a casa appare un controsenso: ma nel tempo della pandemia ancora in atto la proposta di questo sussidio desidera essere un aiuto per accogliere il dono dello Spirito nella dimensione domestica. Lo Spirito è soffio di vita sul dolore, sulle paure e sulle angustie di questi giorni pesanti, apre speranza di ricominciare, di cambiamenti possibili nella pace per l’umanità intera a cui in questo tempo ci siamo sentiti legati in modo particolare. Questa traccia è stata preparata insieme da un gruppo ecumenico e vorrebbe accompagnare a vivere insieme questa festa componendo un mosaico inedito, di differenze e armonie. All’inizio il gesto del respirare insieme ad un breve canone di Taizé e all’invocazione sono segno della nostra attesa, della disponibilità al darsi dello Spirito, amore riversato nei cuori. L’ascolto della Parola guida ad accogliere il dono della Pasqua che si rinnova. Gesù il crocifisso risorto viene e sta in mezzo ai suoi, alita su di loro e dona la pace, il perdono: una nuova creazione ha inizio. Anche nelle nostre case, oggi. Il gesto del bacio scambiato nel soffio e la professione del Credo ci accompagnano a ridire la gioia del dono del Consolatore che ci rende familiari di Dio, figlie e figli aperti all’ospitalità. A conclusione l’invocazione ‘Vieni santo Spirito’, il segno della pace, la preghiera del Padre nostro e il gesto di spalancare la porta di casa conducono ad accogliere quanto lo Spirito suscita nell’intimo, lui il grande suggeritore, per coltivare compassione per l’umanità ferita, compiere scelte di riconciliazione, aprire percorsi di giustizia e custodia della terra. Il semplice canto che richiama il sogno ecumenico di Taizé e ritma la veglia è motivo di cura delle ferite di questo tempo difficile, preghiera di invocazione e affidamento e ci richiama ad essere parabola di comunione.
...
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"Un cuore che ascolta lev shomea" - n. 30/2019-2020 (A)

"Un cuore che ascolta - lev shomea"
Concedi al tuo servo un cuore docile,
perché sappia rendere giustizia al tuo popolo
e sappia distinguere il bene dal male" (1Re 3,9)

Traccia di riflessione
sul Vangelo della domenica
di Santino Coppolino



Traccia di riflessione sul Vangelo della domenica
a cura di Santino Coppolino

V DOMENICA DI PENTECOSTE  (ANNO A) 

Vangelo:


"Shalom Alejem" è il saluto del Risorto, la pienezza di tutte le benedizioni che il Padre ha profuso sull'umanità, è il dono della Pace, il frutto di un amore che vince la morte e che il mondo ancora non conosce. Gesù si rende presente "nel mezzo", nel profondo del cuore della sua comunità come l'unico e solo punto di riferimento e fattore di unità. Le mani e il fianco feriti, segni visibili del suo amore per noi, sono le sorgenti inesauribili della nostra salvezza. Adesso che "tutto è compiuto", Gesù mantiene la sua promessa e ci fa dono del suo Spirito, la stessa vita di Dio che ha animato la sua esistenza e che ora è donata anche a noi, perché anche noi, come Lui e in Lui, possiamo diventare figli di Dio e fratelli fra di noi. E' la Pentecoste che sotto la croce ci era stata consegnata come anticipo (19, 30). Il Paraclito che si era posato sull'Agnello di Dio (1,31-32) ora avvolge e santifica anche noi perché anche noi possiamo essere capaci di proseguire la sua opera di riconciliazione nel mondo. E' il dono per eccellenza, il dono dei doni, quello che ci dà la forza di rinunciare alle seduzioni del potere e della violenza, che ci abilita a parlare la lingua dell'amore per ogni uomo anche per il nemico, l'unica lingua che tutti siamo in grado di comprendere.

sabato 30 maggio 2020

Fedeltà al proprio dono - Commento al Vangelo - DOMENICA DI PENTECOSTE (A) a cura di P. Ermes Ronchi

Fedeltà al proprio dono
 Lo Spirito fa della mia diversità una vera ricchezza.


I commenti di p. Ermes al Vangelo della domenica sono due:
  • il primo per gli amici dei social
  • il secondo pubblicato su Avvenire
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati». Giovanni 20,19–23

per i social


Lo Spirito scende singolarmente su ognuno, e ciascuno deve essere fedele al proprio dono!

Ancora e sempre Pentecoste: quando ti senti perdonato e amato, e forse ancora di più dopo il tuo errore, è lui, lo Spirito. Quando davanti alla prova senti nascere l’umile rete di forza e pace, è ancora lui, lo Spirito.

Mentre erano chiuse le porte per paura dei Giudei… ecco qualcosa che ribalta gli apostoli, che rovescia come un guanto quel gruppetto bloccato dietro porte sprangate. Qualcosa ha trasformato uomini barcollanti in persone danzanti di gioia, “ubriache” di coraggio: è lo Spirito, fiamma, vento, terremoto su realtà pericolanti e sbagliate, che lascia in piedi solo ciò che è davvero solido.

È accaduta la Pentecoste e si è sbloccata la vita! Quando segui le tue paure, la vita si chiude sempre. Paralizzata.

I discepoli hanno paura anche di se stessi, e di come lo hanno rinnegato.

Eppure Gesù viene.

In quel luogo manca l’aria, si respira dolore e una comunità si sta ammalando.

Eppure Gesù viene.

Papa Francesco continua a ripetere che una chiesa chiusa, ripiegata, paurosa, è una chiesa malata.

Eppure Gesù viene.

Perché il respiro di Dio non sopporta gli schemi, e la loro logica matematica. La casa fu piena di un vento che accese il cuore, sposò una libertà, consacrò una diversità.

E’ proprio dello Spirito dare ad ogni creatura una genialità propria, una santità unica, fatta solo per me. Io non devo essere l’opposto di me stesso, per essere santo: mi è stata data una manifestazione specifica dello Spirito. Egli fa della mia diversità una vera ricchezza.

Com’è possibile? Questo accade perché egli scende singolarmente su ognuno, e ciascuno deve essere fedele al proprio dono!

E se tu fallisci, se non realizzi ciò che puoi essere, ne verrà una disarmonia nel mondo intero, un rallentamento di tutto il cosmo verso la vita. Siamo perennemente immersi, e in viaggio, verso Dio.

A noi cosa compete? Accogliere quel respiro che ci trasforma, perché il mio piccolo io deve dilatarsi nell’infinito io divino.

E poi la missione: coloro a cui perdonerete saranno perdonati, coloro a cui non perdonerete non saranno perdonati.

Il perdono è l’impegno dei benedetti dallo Spirito, donne e uomini, grandi e bambini.

Perdonate, che vuol dire: piantate piccole oasi di pace nei deserti di violenza; create strade di avvicinamenti, aprite porte e sentieri, e le paure spariranno. “Perdonare significa de-creare il male” (Raimon Panikkar).

E infine gioca al rialzo, offre un di più: alitò su di loro e disse: ricevete lo Spirito Santo.

In quella stanza chiusa e dall’aria stagnante, entra il grande, ampio e profondo ossigeno del cielo.

Ancora e sempre il respiro di Dio che non sopporta gli schemi.

E come un tempo il Creatore respirava su Adamo, così ora Gesù soffia vita regalandoci il suo modo unico, originale, di amare e spalancare orizzonti, diversi e speciali, per ognuno di noi.

per Avvenire

La Pentecoste non si lascia recintare dalle nostre parole (…)




Pentecoste (A) "Il dono dello Spirito alla Chiesa e all’umanità" a cura della Fraternità Carmelitana di Barcellona P.G.

Domenica di Pentecoste (A) 
"Il dono dello Spirito 
alla Chiesa e all’umanità"
a cura della Fraternità Carmelitana
di Barcellona P.G.


1. Con Maria in attesa dello Spirito (sabato, vigilia di Pentecoste)
Con la Pentecoste la Pasqua del Signore Gesù giunge al compimento. Infatti il dono dello Spirito è il frutto più bello e più maturo della Pasqua, perché riceviamo lo Spirito del Signore come compagno di viaggio del nostro cammino della vita:
- è lui che ci rende figli e fratelli;
- è lui che ci dona la sua sapienza e i suoi carismi;
- è lui che ci aiuta ad ascoltare con l’intelligenza della fede la Parola di Dio e ci aiuta, alla luce della stessa Parola, a saper discernere “i segni dei tempi”, i segni della presenza di Dio che opera nella storia;
- è lui, l’Artista iconografo del Padre (S. Agostino), che nel Battesimo e nella Confermazione “disegna” il nostro volto rendendolo somigliante al volto di Cristo;
- è lui che ci costituisce tempio dello Spirito, ovvero è lui che fa della nostra esistenza umana il luogo della sua presenza nel mondo.

1. A motivo di questo dono prezioso per la vita cristiana, la Chiesa, in analogia alla veglia pasquale, propone alla vigilia della Domenica di Pentecoste una veglia di preghiera con Maria, la Madre di Gesù, per prepararci a ricevere il dono dello Spirito.
In questa veglia riviviamo l’esperienza che gli apostoli, i discepoli e le discepole di Gesù, insieme con Maria, la Madre di Gesù (in tutto forse centoventi persone: cf. At 1,15), vissero nella stanza al piano superiore, cioè nel cenacolo, perseveranti e concordi nella preghiera, in attesa del giorno di Pentecoste, il giorno del dono dello Spirito (cf. Atti degli Apostoli, 1,12-14).
La presenza di Maria, ieri come oggi, è significativa: ella, che ha già ricevuto lo Spirito Santo che l’ha resa gravida nel grembo della presenza di Gesù (cf. Lc 1,35), ora evangelizza la Chiesa, preparandola ad accogliere lo Spirito nella preghiera e nell’ascolto della Parola di Dio e, in particolare, del vangelo di Gesù, di quel Gesù che lei ha conosciuto da vicino, perché ne è stata la madre e la discepola.

E, allora, questo sabato con Maria, la Madre di Gesù, nella liturgia domestica ascoltiamo le seguenti letture bibliche:


- Genesi 11,1-9. Ci parla della torre di Babele, simbolo della pretesa idolatrica dell’uomo che calpesta la sana diversità di lingue e culture dei popoli per poterli dominare e assoggettarli. Dio disperdendo i popoli, salva la ricchezza delle loro lingue e culture, perché a Dio non piace l’uniformità, ma la convivialità delle differenze.
- Esodo 19,3-8.16-20. Ci parla del dono dell’Alleanza di comunione tra Dio e il suo popolo. A tale dono il popolo di Dio è chiamato a rispondere con l’impegno di essere fedele.
- Ezechiele 37,1-14. Siamo di fronte alla visione di un ammasso desolante di ossa aride. Lo Spirito del Signore, che è Spirito di vita, è capace di liberare l’umanità dalle sue molteplici aridità e di donarle il gusto e il senso della vita.
- Gioele 3,1-5. Lo Spirito del Signore rende adulti e corresponsabili uomini e donne, giovani e anziani, figli e figlie, donando loro la capacità di essere profeti, cioè di ascoltare e testimoniare con la vita e con le parole la Parola di Dio e ciò che la stessa Parola compie nella nostra storia.
- Romani 8,22-27. Nel Battesimo siamo stati salvati. Però il dono della salvezza deve crescere in noi, non in modo infantile, ma da uomini e donne adulti nella fede. È lo Spirito del Signore che ci aiuta a compiere questo cammino di maturazione – se noi lo vogliamo…

- Giovanni 7,37-39. Lo Spirito effuso con la Pasqua alimenta in noi la sete di salvezza, di amore e di giustizia per tutta l’umanità.

    La camera alta è tutta splendore:
    la sua pietà ci raduni ancora,
    in unità qui convengano i popoli.

    Madre, rivelaci il grande principio
    poiché d’allora già eri evocata
    quando le cose nel Verbo creava.

    Madre disponi pur noi ad accoglierlo,
    a rivestirlo di splendida carne,
    resi fecondi con te dallo Spirito.

    O Madre, fa’ che la chiesa continui
    la sua preghiera concorde, unanime,
    perché continui lo Spirito a scendere.

    O Madre, sia Pentecoste perenne,
    e il santo fuoco consumi ogni male,
    sia come il vento una libera chiesa.

   Tu del creato la santa bellezza,
   tu della fine dei tempi figura,
   tu l’arca viva dell’unico uomo.
                     (Davide Turoldo)

2. Preghiamo (dalla Liturgia)
O Dio, che apri la tua mano e sazi di bene ogni vivente, effondi il tuo Santo Spirito; fa’ scaturire fiumi d’acqua viva nella Chiesa, raccolta con Maria in perseverante preghiera, perché quanti ti cercano possano estinguere la sete di verità e di giustizia. Per Cristo nostro Signore. AMEN.

2. Domenica di Pentecoste
1. Ascolto orante del vangelo di Giovanni (20,19-23). Entriamo nella nostra liturgia domestica e apriamo con fiducia il vangelo di Giovanni al cap. 20. Facciamo una breve pausa di silenzio, chiedendo allo Spirito che ci apra alla comprensione di questo scritto che contiene la Parola di Dio per noi oggi.
Adesso leggiamo attentamente e con calma la pagina del cap. 20 dal verso 19 fino al verso 23.

2. L’evento della Pentecoste come dono dello Spirito è il compimento della Pasqua del Signore. Perciò nel vangelo di Giovanni si narra che la sera di quello stesso giorno, cioè il giorno della Risurrezione, il giorno ottavo “che ha fatto il Signore per noi” (cf. Sal 118,24), Gesù Risorto si manifesta ai discepoli e soffia su di loro il suo Spirito (cf. Gv 20,22). È il soffio creativo di Dio, che in Cristo Gesù rende nuova l’esistenza umana e tutta la creazione (cf Sap 15,11), è il soffio che apre all’umanità un nuovo futuro.


Per questo dopo aver soffiato sui discepoli, Gesù Risorto affida loro il mandato di annunciare il perdono e la riconciliazione, anzi di porre loro stessi nel mondo gesti di perdono, di essere loro stessi nel mondo operatori di riconciliazione. Sì, i discepoli, che con la manifestazione del Risorto, hanno sperimentato nella loro esistenza che cosa significa essere perdonati e riconciliati – infatti il Risorto quando si manifesta loro, le prime parole che dice sono parole di pace (cf. Gv 20,19.21.26) –, adesso da persone riappacificate e riconciliate devono assumersi la responsabilità di uscire nel mondo e di porre a loro volta gesti di pace e di riconciliazione.
Da qui comprendiamo che soltanto la pace e la riconciliazione dona un futuro a questo nostro mondo, apre nella nostra storia sentieri di speranza e nelle coscienze di tutti sentimenti di fiducia. Certo è un impegno che interpella la responsabilità delle nostre azioni e delle nostre parole, perché, lo sappiamo, parole e gesti di violenza, di odio razziale, etnico e religioso, di omofobia e di misoginia, sono come pietre che uccidono alla pari delle armi.
Ecco: accogliere il dono dello Spirito Santo, significa impegnarsi per un mondo più umano, più vivibile, più rispettoso della dignità di ogni persona, di ogni cultura, di ogni etnia, più rispettoso del creato e dell’ambiente in cui viviamo.
Per questo il giorno di Pentecoste, la Chiesa, accogliendo lo Spirito, è inviata ad annunciare il vangelo nel rispetto e nel prendersi cura di ogni creatura, di ogni popolo e cultura (leggi la prima lettura: At 2,1-11). E anche per questo che l’apostolo Paolo ci ricorda che i doni, i carismi che abbiamo ricevuto sono doni di Dio Trinità, e perciò vanno coltivati per il bene di tutti, poiché il cristiano non vive per se stesso, ma per il Signore (cf. Rm 14,7-8) e per il suo Corpo che è la Chiesa e l’umanità (leggi seconda lettura: 1Cor 12,3b-7.12-13).

   Signore, donaci sempre il tuo Spirito
   per sentire quello che tu senti,
   per essere quello che tu vuoi,
   per giudicare come tu giudichi;
   solo così possiamo sciogliere o legare
   quello che tu stesso sciogli e leghi.
                    (Davide Turoldo)
Apriamo adesso il Libro dei Salmi e preghiamo con il Salmo 103, il Salmo che canta l’amore di Dio per l’umanità, quell’amore che ci viene donato per mezzo dello Spirito Santo (cf. Rm 5,5).


2. Intercessioni
Nel battesimo ognuno di noi è stato unto con l’olio dello Spirito. È Lui che impregna i nostri pensieri e ci sigilla nella nostro appartenenza all’umanità gloriosa del Signore Gesù. Confidenti in Dio Padre, innalziamo le nostre preghiere ed insieme invochiamo la venuta dello Spirito:

            R/ Vieni, Spirito Consolatore

- Spirito del Padre e del Figlio, Tu che sei soffio, fuoco, acqua, abbraccia tutta la Chiesa dispersa in mezzo ai popoli. Rinnovala dal di dentro, falle il dono di una parola vera, perché possa annunciare in tutti i linguaggi umani l’Evangelo della paternità di Dio così come si è rivelata in Cristo Gesù. Invochiamo insieme.

- Spirito Santo, luce dei cuori, illumina le menti di chi ha responsabilità di guida nella Chiesa, di papa Francesco come di tutti i vescovi. Dona loro coraggio e apertura di cuore, perché nella Chiesa tutti si cresca nella corresponsabilità, e le donne, finora escluse da ogni ministerialità, possano ritrovare il loro vero posto, uscendo, così, da un ruolo di subalternità. Invochiamo insieme.

- Spirito Santo, soffio del Padre e del Figlio, padre dei poveri e datore di ogni bene, sostieni la vita dei numerosi popoli segnati dalla guerra, dalla carestia e dalla fame, come lo Yemen, la Siria, il Sud-Sudan, il Sahel africano. Suscita nel mondo profeti e testimoni, che spingano i vari responsabili politici a cercare non la potenza del proprio paese, ma la solidarietà e la cooperazione con tutti. Invochiamo insieme.

- Vieni, o Spirito e riempi della tua presenza energica e delicata l’intimo delle nostre case. Piega ogni durezza dei cuori, rinnova l’amore coniugale affievolito, dona alle nostre famiglie la capacità di dialogare, di donarsi il perdono reciproco e di saper pregare insieme. Invochiamo insieme.

- Davanti al Figlio Gesù, che dalla Croce ci dona il Soffio del suo Spirito, assieme ai nostri parenti e amici defunti, ci ricordiamo delle vittime del coronavirus [pausa di silenzio, e poi riprendere a leggere ]; ci ricordiamo anche delle vittime sul lavoro, sulla strada e dell’omofobia. Su tutti scenda la pace e la consolazione dello Spirito. Invochiamo insieme.

- Pregare il Padre Nostro…

- Concludere con la seguente preghiera:

Compi per noi, o Dio nostro Padre, la promessa del tuo Figlio Gesù: invia il Consolatore, il Fuoco dello Spirito che purifica e rinnova la sua Chiesa, e accende fra tutti gli uomini desideri e progetti di amore, di giustizia e di pace. Te lo chiediamo per Cristo nostro Signore. AMEN


Leggi anche:
- PREGARE IN FAMIGLIA - Preparare in casa l’“angolo della preghiera” a cura della Fraternità Carmelitana di Barcellona P.G.

Francesco, in un libro i pensieri sulla vita dopo la pandemia (testo integrale scaricabile)


Francesco, in un libro i pensieri sulla vita dopo la pandemia

Nel volume edito dalla Libreria Editrice Vaticana sono raccolti otto interventi del Pontefice nei primi mesi dell’anno segnati dal diffondersi della pandemia di coronavirus. A guidare la lettura, la prefazione del cardinale Michael Czerny, sottosegretario della Sezione Migranti del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, che illustra il pensiero unitario del Pontefice, il suo sguardo al futuro dell’umanità colmo di amore e speranza


Nell’ambito della riflessione che spesso il Papa, in questi mesi d’inizio del 2020, ha dedicato alla crisi del coronavirus, il volume "La vita dopo la pandemia" (scarica qui la copia del libro) racchiude otto testi significativi che “ci aiutano a capire - spiega il cardinale Michael Czerny nella Prefazione - con chi il Pontefice ha parlato e come, cosa abbia detto e perché". L’arco di tempo va dal 27 marzo - giorno dell’Urbi et orbi durante il momento straordinario di preghiera in tempo di epidemia svoltosi sul Sagrato della Basilica di San Pietro - al 22 aprile giorno dell’udienza generale per la 50ª Giornata Mondiale della Terra, passando attraverso la Lettera del 30 marzo a Roberto Andrés Gallardo, presidente del Comitato Panamericano dei giudici per i diritti sociali; il Messaggio Urbi et orbi del giorno di Pasqua; la Lettera ai Movimenti Popolari, del 12 aprile, e poi ancora l’intervento scritto da Papa Francesco per la rivista spagnola Vida Nueva; l’omelia pronunciata nella Domenica della Divina Misericordia del 19 aprile fino ad arrivare al saluto al mondo dei Giornali di strada dello scorso 21 aprile.

Un unico messaggio con due obiettivi

Un percorso che potrebbe essere letto “come un unico sviluppo” del pensiero di Francesco e “come un ricco messaggio all'umanità”, con due obiettivi: “suggerire una direzione, delle chiavi di lettura e delle linee-guida per ricostruire un mondo migliore” dopo la crisi che stiamo vivendo, e “seminare speranza”, nutrita dalla fede, in mezzo a tanto smarrimento.

Lo stile e la sfida del Papa

Tutti gli scritti, inoltre, condividono lo stile dell’Urbi et orbi, cioè invitano “all’ascolto tutta l’umanità in modo inclusivo”. In essi, scrive il cardinale Czerny nella Prefazione, “il Papa parla ai bisogni e alle sofferenze delle persone nelle loro svariate situazioni locali in un modo molto personale, sentito, impegnato e pieno di speranza”. Sono messaggi “realmente universali”, non solo perché il “virus minaccia tutti” ma “soprattutto perché il mondo post-COVID-19 deve essere realizzato da tutti” e inoltre, gli otto testi mostrano un approccio “caldo e inclusivo”. Francesco, “lega tutti insieme nella comune umanità e nello spirito”, “sfida tutti a osare di fare del bene, a fare meglio”.

Il Papa si mette in ascolto, si fa solidale

Rivolgendosi direttamente a tutti e a ciascuno, non “dall’alto” o in astratto, papa Francesco - fa notare il cardinale Czerny - “allunga la mano con affetto paterno e compassione per far propria la sofferenza e il sacrificio di tante persone”. Parla ai capi di Stato e di governo incoraggiandoli ad agire in favore del bene comune; esprime gratitudine e affetto a chi lavora per garantire i servizi essenziali necessari in tempo di pandemia, ma, in questa raccolta “ascolta e guarda” anche i molti “invisibili”. Lo fa scrivendo, a Pasqua, ai Movimenti popolari, o ancora rivolgendo un breve messaggio al Mondo dei giornali di strada e ai loro venditori, che sono per lo più homeless. “È probabilmente - nota il cardinale Czerny - la prima volta che queste persone sono prese in considerazione e per di più salutate con rispetto”. E con ciascuno Francesco si fa solidale.

Visione, impegno e azione

Dunque, cosa vuole dire il Papa, e perché, si chiede il cardinale Czerny?
Visione, impegno e azione, col sostegno della preghiera: questa è la prospettiva che viene alla luce.
Se da una parte Francesco, in questi scritti, mette in guardia da un virus che “infetta molti più di noi rispetto al Covid -19” ed è “l’egoismo degli interessi particolari”, la “competizione” - modello che la pandemia ha dimostrato ancora di più essere “insostenibile”- dall’altra sprona a “rimuovere le disuguaglianze, a risanare l’ingiustizia che mina l’umanità” e a riconoscersi “membri di un’unica famiglia” e “abitanti dell’unica e sola casa comune”.

Di fronte alla pandemia abbiamo ampiamente sperimentato la nostra “interconnessione nella vulnerabilità e abbiamo riposto in gran parte con determinazione e solidarietà”, dunque è possibile cambiare, è possibile una “conversione permanente”, risoluta e solidale, che ci permetta di affrontare “minacce maggiori e dagli effetti più duraturi”.

Il coraggio di aprire nuove strade e di non tornare indietro

Ecco quanto chiede Francesco: troppo facile sarebbe tornare a vivere come prima. Il Papa “ci chiede - si legge nell’introduzione del cardinale Czerny - di mostrare coraggio nell'innovazione, sperimentando nuove soluzioni e intraprendendo nuove strade”. Chiede di “sfidare e cambiare le industrie attuali, riconoscere il lavoro informale, rafforzare il lavoro dell’assistenza sanitaria” rispondendo a carenze e errori che la pandemia ha reso evidenti e di non dare nulla per scontato a partire dall’importanza dello “stare insieme”. Perché “reinvestire nei combustibili fossili, nell'agricoltura a monocoltura e nella distruzione della foresta pluviale quando sappiamo che aggravano la nostra crisi ambientale? Perché ricominciare con l'industria delle armi con il suo terribile spreco di risorse e l’inutile distruzione?”. Non si può tornare indietro ai sistemi che mettono in pericolo il mondo intero. La nostra vita - rimarca ancora il cardinale Czerny - dopo la pandemia non deve essere una replica di ciò che è stato prima. Serve una “nuova era di solidarietà”.

La forza della preghiera

E parte integrante di questa lotta contro le disuguaglianze e per alternative sostenibili nei confronti della vita - anche questo ce lo ha indicato il Papa nei mesi trascorsi - è la preghiera. E lui stesso ci ha insegnato, nell’Adorazione straordinaria del 27 marzo in Piazza San Pietro, che preghiera significa ascolto, affidamento, contemplazione, croce e fragilità, e infine disponibilità a dire il nostro Sì ogni giorno, come Maria.

È la preghiera la via per essere discepoli e missionari oggi, per riuscire ad amare nelle diverse circostanze, per camminare verso una diversa visione del mondo, per riorientare il nostro sguardo alla speranza.

E la speranza è l’augurio che il Papa rivolge in questa raccolta ad ogni lettore a ogni comunità e società, dicendo: «Prego per voi, prego con voi e chiedo a Dio nostro Padre di benedirvi, di colmarvi del suo amore, e di proteggervi lungo il cammino, dandovi quella forza che ci permette di non cadere e che non delude: la speranza».




(fonte: Vatican News, articolo di Gabriella Ceraso)

Perché preghiamo durante una pandemia globale di Blase J. Cupich e Nathanael Symeonides

Perché preghiamo 
durante una pandemia globale
di Blase J. Cupich e Nathanael Symeonides



In tempi di grande incertezza, inevitabilmente affiorano brevi momenti significativi che ci invitano a vedere la situazione presente in modo diverso.

Uno di questi momenti è stato catturato in una foto recente di due uomini in preghiera. Guardando più da vicino si nota che uno dei due è ebreo e l’altro musulmano, entrambi paramedici in Israele. È difficile discernere l’insostenibile pressione e l’insopportabile tristezza che i due operatori probabilmente hanno vissuto. Ma sono lì insieme, uniti in una missione comune e al centro di un luogo di pace prima di riprendere volontariamente un’altra straziante giornata di lavoro.

Non è insolito che le persone ricorrano alla preghiera in tempi difficili. Di recente un economista dell’università di Copenaghen ha rilevato che è aumentato il numero di persone che si rivolgono alla religione per affrontare la situazione, mentre le ricerche di preghiere via internet lo scorso mese hanno raggiunto quella che è la cifra record degli ultimi cinque anni. Certamente i tempi difficili non sono campo esclusivo della preghiera. Molti pregano con gratitudine per l’abbondanza nella loro vita, ad esempio un buon lavoro, un fisico sano, uno stretto gruppo di amici.

Mentre incoraggiamo la pratica quotidiana della preghiera a Dio, apprezziamo anche il rinascere della preghiera, seppur motivato dai tempi difficili. Spesso è nelle avversità che l’orazione diventa più preziosa per chi la pratica. Quando i muri sembrano schiacciarci, costringendoci a fare i conti con la nostra mortalità, la preghiera può liberarci creando uno spazio che ci consente di trovare la serenità sul modo in cui dovremmo vivere il tempo che ci è concesso su questa terra. Anche se la frase “Non stare lì così, fai qualcosa!” è giusta, riteniamo che sia giusto anche il contrario: “Non fare semplicemente qualcosa, resta lì in preghiera!”.

Pratica antichissima, la preghiera è largamente riconosciuta e al tempo stesso profondamente fraintesa. Alcuni hanno usato la preghiera come mezzo, cercando solo un’apparenza esteriore di pietà, altri l’hanno usata come bastone per mettere in dubbio la pietà di quelli che non hanno mai incontrato. Di fatto, se la preghiera viene ridotta a un mero intrattenimento, non si conosceranno mai il suo significato e il suo fine, né si comprenderanno i suoi benefici.

Un buon modo per capire la preghiera è vederla come un prisma dove si scopre qualcosa di veramente unico a seconda di come lo si osserva. La preghiera ci aiuta a conoscere meglio noi stessi e a lavorare sulle nostre numerose mancanze. Ma la preghiera ci aiuta anche ad allontanarci da noi stessi e a concentrarci sui bisogni altrui. Aiuta a renderci umili attraverso l’accettazione del dato di fatto che abbiamo molto meno controllo sugli eventi della vita di quanto riteniamo. Ci ricorda anche che, mentre siamo individui che pensano e agiscono liberamente, le nostre scelte possono incidere — e lo fanno — su la comunità più ampia della quale facciamo parte. Fondamentalmente la preghiera ci aiuta ad agire e a diventare le persone che siamo chiamate a essere. Come disse una volta Madre Teresa: «La preghiera che passa all’azione diventa amore, e l’amore che si trasforma in azione diventa servizio».

Come guide religiose di fedi diverse, la preghiera ci aiuta a rivelare le risposte alle domande che gravano su di noi. Certo, a volte le risposte che cerchiamo non sono subito chiare. Quando ciò accade, continuiamo a pregare. E attraverso le nostre preghiere comprendiamo che raramente esiste una linea retta tra le questioni con cui ci confrontiamo e le risposte che desideriamo. A diventare importante è essere lì, in preghiera.

Mentre in tutto il Paese la gente scorre gli elenchi in internet per mantenersi occupata nel confinamento, è nostro profondo desiderio che la preghiera aiuti a mostrare alle persone come vivere il tempo sulla terra, una parte del quale consiste nell’agire in solidarietà per dare aiuto e consolazione a quanti soffrono.

Il paramedico musulmano e quello ebreo che si vedono pregare nella foto non avrebbero mai immaginato di svolgere il loro servizio durante una pandemia globale. E tuttavia trovano il coraggio di alzarsi ogni mattina e di continuare a servire chi ha bisogno. Corrono il rischio di ammalarsi e perfino di morire. Ma trovano la grazia di pregare e la forza per svolgere il loro lavoro. Sanno che le persone dipendono da loro.

Per questi due paramedici e per tutti i soccorritori, per gli operatori sanitari e i funzionari eletti, per i malati e le loro famiglie, per coloro che sono morti noi continuiamo a pregare. 

di Blase J. Cupich*
e Nathanael Symeonides**
*Cardinale, Arcivescovo di Chicago
**Metropolita greco-ortodosso Primate della Metropolia di Chicago

(Pubblicato su L'Osservatore Romano del 29.05.2020)