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martedì 21 maggio 2024

L'odio in rete... solo una sparuta minoranza ma da non sottovalutare perché fa rumore e danno - Walter Veltroni: Olio di ricino digitale



L'odio in rete...
solo una sparuta minoranza ma da non sottovalutare
perché fa rumore e danno.

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Il Presidente della Repubblica entra su Instagram per commentare il video della bambina di Sala Consilina, affetta da un tumore e costretta a cure continue


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Walter Veltroni
Olio di ricino digitale

Il caso della bimba malata di tumore derisa da pochi hater. Ma è il momento di porsi delle domande

Asia, una bambina di 14 anni malata di tumore al rene, ha ricevuto un messaggio dal capo dello Stato che, in un tempo civile, non avrebbe mai dovuto raggiungerla. Sergio Mattarella ha voluto, con la sensibilità che gli è propria, scriverle allo scopo di consolarla per gli attacchi ricevuti sui social. «’Sta pelata», «Non ti odio ma lo sai che le persone sono tue amiche solo per il cancro di Wilms o cosa hai?», «Spero che ci rimani, in ospedale» e via dicendo.
Abbiamo visto recentemente video di persone che, di fronte al ferito di un incidente stradale, facevano selfie. O abbiamo letto degli insulti in rete a Liliana Segre.

Va detta una cosa, come avvertenza. Come al solito rischiamo di vedere la paglia e non la trave. La paglia sono le poche centinaia di persone che diffondono odio a piene mani, che sfogano la loro frustrazione insultando e augurando il male, che si accaniscono contro chi muore. Ci sono sempre stati. Qualcuno ricorderà, era nel millennio scorso, quando Radio Radicale lasciò aperta la sua segreteria telefonica e giunsero lì valanghe di improperi, insulti, minacce.

È paglia perché sono pochi e non dobbiamo, davvero non dobbiamo, pensare che rappresentino la maggioranza degli italiani. La loro violenza e rumorosità, la loro sfrontatezza li rende appetibili anche per i media tradizionali e così il loro pensiero, fatto di puro gergo dell’odio, si trasforma da periferico in centrale, quasi un nuovo «spirito del tempo» che si autoalimenta del proprio livore e viene legittimato come pensiero dominante. Sono minoranze, assolute minoranze, e non c’è nulla di più pericoloso, in una democrazia, che trasformare, poco importa che lo faccia la politica o la comunicazione, un linguaggio di odio praticato da pochi nel presunto pensiero generale di un Paese. La dittatura delle minoranze si afferma così e quella a cui stiamo assistendo è l’era dell’egemonia del linguaggio estremo, con la sua permanente visibilità, che schiaccia la cultura del dialogo e della complessità, la pacatezza e il riferimento a valori che hanno direttamente a che fare con il senso di umanità.

Sono pochi, i leoni da tastiera, nascosti dietro nomignoli ridicoli e un anonimato da furfanti, insultano le bambine malate o le donne che sono state nei campi di sterminio. Pochi, non dimentichiamolo e teniamoli dove devono essere, nel discorso pubblico. Speso non esistono neanche, sono indirizzi fasulli a quali non corrispondono non dico un cervello, ma neanche una carta d’identità. Pochi, ma possono far male. Per questo Mattarella ha fatto benissimo a intervenire. Se sono, o dovrebbero essere, considerati insignificanti come campione del pensiero diffuso, gli hater possono distruggere vite umane. E chi finisce sotto il loro olio di ricino digitale è completamente solo.

È possibile che chi ha scritto quelle cose a una ragazzina malata possa continuare a usare uno strumento di comunicazione, non debba essere almeno bandito da ogni social? Qui non c’entra, ovviamente, la libertà di opinione. Qui siamo alla violenza pura. L’obiettivo non è dire il proprio pensiero, è far male a un essere umano, meglio se fragile. Cosa faremmo se uno squinternato entrasse in un ospedale, nel reparto di oncologia pediatrica e cominciasse a insultare i piccoli malati? Invece sui social lo si può fare erga omnes, senza che nessuno chieda conto. La carta d’identità forse, più che a un loggionista della Scala, andrebbe domandata a chi tenta di avvelenare la vita di chi soffre.

E qui è la trave. È giunto il momento di porsi una domanda, culturale prima che altro. Dopo quasi venti anni dalla comparsa dello smartphone e dell’irruzione dei social, il mondo è migliorato? Non parlo della rete, la cui valenza positiva è evidente, parlo dei social. La domanda è: siamo più accoglienti, più tolleranti, più aperti al dialogo, più informati, più colti? O anche, per usare la beffarda parola chiave di questo mondo, siamo forse più «amici»?
Claudio Mencacci, psichiatra e co-presidente della Società Italiana di Neuropsicofarmacologia ha detto ieri sulle pagine dell’inserto Salute: «Oggi sappiamo anche che provocano alterazioni di molti processi di sviluppo dei bambini e degli adolescenti. Negli ultimi 10/12 anni, con l’introduzione degli smartphone nelle nostre vite, abbiamo visto crescere i problemi di salute mentale nei più giovani, con un aumento significativo di isolamento sociale e di frustrazione causato dalla iperstimolazione digitale, così come sono in crescita impressionante i disturbi psicopatologici sia nell’età scolare che preadolescenziale (colpiscono il 14% del target), fino a quella adolescenziale (che riguarda il 16-20% dei casi). …Solo le relazioni reali, non quelle virtuali, permettono di crescere e costruire un sé positivo ed equilibrato…. La sofferenza psichica dei ragazzi è insostenibile e non va mai sottovalutata».
Non sottovalutiamola, parliamone.
Se possibile, senza urlare.
(fonte: Corriere della sera 19/05/2024)


Enzo Bianchi L'imperativo del desiderio

Enzo Bianchi
L'imperativo del desiderio 


La Repubblica - 13 Maggio 2024

Nel nostro vivere quotidiano risuona con insistenza crescente l’invito ad ascoltare, ad assecondare il desiderio. “Segui il tuo desiderio!” è l’imperativo martellante, soprattutto quando ci si rivolge alle nuove generazioni.

Sì, ogni umano è homo desiderans, conosce la forza e l’esperienza del desiderio che lo abita come una pulsione. Il desiderio è un sentimento personale, intimo, che scaturisce dal profondo della persona, ma nello stesso tempo a volte si mostra come una dominante, un daimon che tende a superare la soglia oltre la quale non può più essere governato. Noi siamo abitati dal desiderio e possiamo essere posseduti dal desiderio fino all’alienazione. Il nostro desiderio può accrescersi fino a diventare pretesa di possesso, di consumo, di appropriazione di quelle cose o persone che lo hanno destato in noi. Comprendiamo allora il comandamento: “Non desidererai la casa del tuo prossimo. Non desidererai la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo né la sua schiava, né il suo bue né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo!” (Esodo 20,17; Deuteronomio 5,21).

Proprio il verbo presente in questo comando, chamed, esprime un desiderio da soddisfare che è già azione, movimento teso a realizzare un desiderio così forte che spinge a possedere, a impossessarsi, e quindi a rubare. La cupidigia è una forza che travolge il soggetto e lo porta a realizzare il suo desiderio senza tener conto degli altri e del limite che contraddistingue ogni azione umana. Avviene in questa seduzione una perdita della libertà: appare il falso antropologico dell’idolo, al quale va la soggezione dell’uomo.

Comprendiamo quindi l’ossessiva predicazione dei profeti contro la cupidigia: da cosa nascono i litigi, le violenze, il furto, l’ingiustizia, l’oppressione del povero e le guerre nei rapporti tra popoli? Il profeta Michea denuncia quanti “sono avidi di terreni e li usurpano, di case e se le prendono”; Isaia maledice “quelli che aggiungono casa a casa e terreno a terreno fino a essere i soli proprietari”; Amos minaccia “quanti vivono nella corruzione e nell’illegalità”. La condanna del desiderio senza limiti, del desiderio che non tiene conto degli altri e della giustizia, attraversa tutta la profezia.

Occorre dunque una vera educazione del desiderio, perché soprattutto da come viviamo il desiderio dipendono le nostre relazioni, le nostre storie d’amore, i rapporti che instauriamo nella società. Nella vita personale come nella vita nella polis occorre saper “desiderare” e occorre saper “non desiderare!”. È significativo che il premio Nobel per l’economia del 2001, Joseph Stiglitz, abbia pubblicato il libro Le trionphe de la cupidité per illustrare l’attuale situazione economica mondiale e la sua crisi: all’origine e al cuore di questa crisi c’è la cupidigia del denaro che richiede al mercato di diventare l’idolo indiscusso. C’è una voracità legittimata, che ha impregnato la mentalità della nostra società e impedisce ogni promozione della giustizia e dell’uguaglianza. Di fronte alla pulsione del desiderio non ci si domanda cosa è giusto fare, ma piuttosto come possiamo soddisfare il nostro desiderio! E così si apre lo spettacolo della corruzione, per un lusso senza freni, per un’ostentata festa dei potenti, per un arrogante esercizio del potere.

Il divieto del comandamento non chiede di spegnere il desiderio, ma di discernere sempre se esso, una volta appagato, apporta vita, comunicazione, creatività, o se apporta alienazione e schiavitù; se è desiderio non contro gli altri e senza gli altri, ma desiderio in vista di una vita buona e bella, vissuta nell’onestà e nella giustizia.
(blog dell'autore)



lunedì 20 maggio 2024

Papa Francesco a Verona 18/05/2024: Incontro con i detenuti (cronaca/sintesi, foto, testo e video)

VISITA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
A VERONA 

Sabato, 18 maggio 2024

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11.45 Terminato l’incontro in Arena, il Santo Padre raggiunge in auto la Casa Circondariale di Montorio
Il Santo Padre è accolto da:
- Dottoressa Francesca Gioieni, Direttore
- Dott. Mario Piramide, Direttore della Polizia Penitenziaria
Nella Casa Circondariale il Santo Padre saluta gli Agenti di Polizia Penitenziaria, i Detenuti, e i Volontari
*Discorso del Santo Padre
13.00 Segue il pranzo con i Detenuti


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INCONTRO CON GLI AGENTI DI POLIZIA PENITENZIARIA, I DETENUTI E I VOLONTARI

Casa Circondariale di Montorio (Verona)

Papa Francesco: "voglio invitarvi a non cedere allo sconforto. 

La vita è sempre degna di essere vissuta, sempre! 

e c’è sempre speranza per il futuro"

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Lasciata l’Arena, il Papa ha raggiunto in automobile, salutato da migliaia di persone lungo il percorso, la Casa circondariale di Montorio per l’incontro con i detenuti, un appuntamento ormai fisso nei programmi delle visite papali. E, come in altre occasioni, è stato un momento di grande intensità e commozione. Ad accoglierlo all’ingresso Francesca Gioieni, direttore del carcere, e Mario Piramide, direttore della Polizia penitenziaria.

Durante il tragitto verso il luogo dell’incontro con i detenuti, il campo di calcio, il Pontefice ha salutato i familiari delle guardie carcerarie, i volontari, un centinaio, che svolgono il loro servizio, tra i quali quelli legati alla cappellania del carcere, e gli operatori socio-sanitari, gli agenti di custodia, fermandosi spesso a parlare con alcuni di loro.

Poi, appena l’auto elettrica su cui viaggiava è spuntata da dietro un edificio, è esploso l’entusiasmo dei 550 detenuti, tra cui 50 donne, che lo attendevano sul prato: più della metà sono stranieri e molti sono musulmani.

Il Papa è passato tra i vari settori salutando praticamente tutti, stringendo mani, ascoltando le loro domande, rispondendo alle sollecitazioni. Alcune detenuti gli hanno offerto dei fiori.

In un clima di forte emozione, dopo un brano eseguito da un gruppo musicale formato da detenuti, ha parlato la direttrice, poi è stata la volta di un detenuto che ha letto un breve saluto.

Subito dopo il Pontefice ha tenuto il suo discorso nel quale, facendo anche un riferimento ai casi di suicidio avvenuti nel carcere, ha invitato i presenti a «non cedere alla sconforto», perché «la vita è sempre degna di essere vissuta... anche quando tutto sembra spegnersi».

Al termine alcuni detenuti hanno consegnato al Papa un cesto in cui sono stati raccolti pensieri e lettere, e una formella con la scritta, carica di speranza nel futuro e nella possibilità di una rinascita personale, “Io credo in”. La stessa raffigurata in un grande murale realizzato per l’occasione nella sala in cui Francesco si è poi fermato a pranzo con 96 ospiti del carcere — era presente anche l’imam Mohsen Khochtali, membro del consiglio islamico di Verona — mentre altri 12 hanno invece prestato servizio ai tavoli. A sua volta il Papa ha donato al carcere un quadro raffigurante una Madonna con Bambino.

Aver deciso di pranzare in questo luogo è l’ennesima testimonianza della particolare attenzione di Francesco verso il mondo del carcere.

«Quello trascorso qui dal Pontefice è il tempo più lungo tra i diversi momenti dei questa visita a Verona», fa notare il cappellano, fra’ Paolo Crivelli, riprendendo un concetto sottolineato dal saluto del detenuto, e che ci racconta anche i vari momenti dell’attesa di questo incontro: «Il primo, dopo l’annuncio, è stato quello dell’indifferenza: i detenuti sono abituati a crearsi aspettative che poi vanno deluse, lasciando un grande senso di frustrazione. Il secondo è stato di rabbia, ovvero la convinzione che sarebbero stati esclusi da questo momento, e il lavoro è stato quello di far capire che invece il Papa sarebbe venuto per loro. Il terzo e ultimo è stato invece il fermento, ovvero la consapevolezza che i protagonisti sarebbero stati loro, che loro sarebbero stati al centro dell’attenzione. E questa — sottolinea il cappellano — è una cosa straordinaria per quanti hanno bisogno di riscoprire il loro valore come persone umane, di riscoprire il senso della dignità perduta».

Un lavoro di presa di coscienza e di valorizzazione, dunque, che, nel segno dell’inclusione, ha trovato spazio in altri momenti di questa giornata. Gli allestimenti in legno disposti sul palco dell’Arena di Pace sono stati infatti prodotti nella falegnameria che Reverse cooperativa impresa sociale gestisce all’interno del carcere dal 2016, e realizzati con materiali naturali, utilizzando legno proveniente da scarti produttivi e da filiera controllata, pensati per il riutilizzo.

Anche i tessuti scelti per i cuscini delle sedute sono stati realizzati nel laboratorio di sartoria della Casa circondariale, grazie al progetto Quid, cooperativa dedicata alla moda sostenibile e all’inclusione sociale. Il tutto nell’ambito di un progetto dedicato alla formazione con l’obiettivo di diffondere competenze, dignità del lavoro, fiducia in se stessi in vista di un pieno reinserimento nella società.

E un po’ di carcere, per così dire, sarà presente anche alla messa pomeridiana, che concluderà la visita e che viene celebrata da Francesco nello stadio Bentegodi: le ostie che verranno utilizzate sono infatti state realizzate dai detenuti di Castelfranco Emilia, grazie a un progetto della cooperativa Giorni nuovi.

Dopo il pranzo nella Casa circondariale il Papa si è recato al vescovado di Verona per una breve visita all’anziana madre di monsignor Pompili.
(fonte: L'Osservatore Romano, articolo di Gaetano Vallini 18/05/2024)

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DISCORSO DEL SANTO PADRE 



Cari sorelle e fratelli, buongiorno!

Ringrazio la Signora Direttrice per la sua accoglienza, e il senso dell’umorismo! Il sorriso fa tanto bene. Ringrazio tutti voi, per il calore, la festa e l’affetto che mi mostrate. Un saluto va inoltre a tutti coloro che lavorano in questo istituto: agenti di custodia, educatori, operatori sanitari, personale amministrativo, volontari. Voglio salutare anche a tutti coloro che stanno guardando dalle finestre: un saluto a tutti voi! Ci tenevo molto a incontrarvi, tutti insieme.

Per me entrare in un carcere è sempre un momento importante, perché il carcere è un luogo di grande umanità. Sì, è un luogo di grande umanità. Di umanità provata, talvolta affaticata da difficoltà, sensi di colpa, giudizi, incomprensioni, sofferenze, ma nello stesso tempo carica di forza, di desiderio di perdono, di voglia di riscatto, come ha detto Duarte nel suo discorso.

E in questa umanità, qui, in tutti voi, in tutti noi, è presente oggi il volto di Cristo, il volto del Dio della misericordia e del perdono. Non dimenticate questo: Dio perdona tutto e perdona sempre, in questa umanità, qui, in tutti voi. Questo senso di guardare il Dio della misericordia.

Conosciamo la situazione delle carceri, spesso sovraffollate – nella mia terra, pure -, con conseguenti tensioni e fatiche. Per questo voglio dirvi che vi sono vicino, e rinnovo l’appello, specialmente a quanti possono agire in questo ambito, affinché si continui a lavorare per il miglioramento della vita carceraria. Una volta, una signora che lavorava nelle carceri e aveva un bel rapporto con le detenute – però era un carcere femminile –, una mamma di famiglia, molto umana la signora, mi ha detto che lei era devota a una santa. “Ma quale santa?” – “Santa Porta” – “Perché?” – “È la porta della speranza”. E tutti voi dovete guardare a questa porta della speranza. Non c’è vita umana senza orizzonti. Per favore, non perdere gli orizzonti, che si vedranno attraverso quella porta della speranza.

Seguendo le cronache del vostro istituto, con dolore ho appreso che purtroppo qui, recentemente, alcune persone, in un gesto estremo, hanno rinunciato a vivere. È un atto triste, questo, a cui solo una disperazione e un dolore insostenibili possono portare. Perciò, mentre mi unisco nella preghiera alle famiglie e a tutti voi, voglio invitarvi a non cedere allo sconforto, a guardare la porta come la porta della speranza. La vita è sempre degna di essere vissuta, sempre!, e c’è sempre speranza per il futuro, anche quando tutto sembra spegnersi. La nostra esistenza, quella di ciascuno di noi, è importante – noi non siamo materiale di scarto, l’esistenza è importante –, è un dono unico per noi e per gli altri, per tutti, e soprattutto per Dio, che mai ci abbandona, e che anzi sa ascoltare, gioire e piangere con noi e perdonare sempre. Con Lui al nostro fianco, con il Signore al nostro fianco, possiamo vincere la disperazione. E, come ha detto la direttrice, Dio è uno: le nostre culture ci hanno insegnato a chiamarlo con un nome, con un altro, e a trovarlo in maniere diverse, ma è lo stesso padre di tutti noi. È uno. E tutte le religioni, tutte le culture, guardano all’unico Dio con modalità differenti. Mai ci abbandona. Con Lui al nostro fianco, possiamo vincere la disperazione e vivere ogni istante come il tempo opportuno per ricominciare. Ricominciare. C’è una bella canzone piemontese che cercherò di tradurre in italiano che dice così – la cantano gli alpini –: “Nell’arte di ascendere, quello che importa non è non cadere, ma non rimanere caduto”. E a tutti noi che lavoriamo in questo carcere, anche come volontari, ai famigliari, a tutti noi, dico una cosa: è lecito guardare una persona dall’alto in basso soltanto una sola volta: per aiutarlo a sollevarsi. Perciò, nei momenti peggiori, non chiudiamoci in noi stessi: parliamo a Dio del nostro dolore e aiutiamoci a vicenda a portarlo, tra compagni di cammino e con le persone buone che ci troviamo al fianco. Non è debolezza chiedere aiuto, no: facciamolo con umiltà e fiducia e umanità. Tutti abbiamo bisogno gli uni degli altri, e tutti abbiamo diritto a sperare, al di là di ogni storia e di ogni errore o fallimento. È un diritto la speranza, che mai delude. Mai.

Tra pochi mesi inizierà l’Anno Santo: un anno di conversione, di rinnovamento e di liberazione per tutta la Chiesa; un anno di misericordia, in cui deporre la zavorra del passato e rinnovare lo slancio verso il futuro; in cui celebrare la possibilità di un cambiamento, per essere e, dove necessario, tornare ad essere veramente noi stessi, donando il meglio. Sia anche questo un segno che ci aiuti a rialzarci e a riprendere in mano, con fiducia, ogni giorno della nostra vita.

Cari amiche e cari amici, grazie per questo incontro. Vi dico la verità: mi fa bene. Voi mi state facendo bene, grazie. Continuiamo a camminare insieme, perché l’amore ci unisce al di là di ogni tipo di distanza. Vi ricordo nella preghiera e vi chiedo, per favore, di pregare per me: a favore, non contro! Pregate per me. E non dimenticate: “Nell’arte di salire quello che importa non è non cadere, ma non rimanere caduto”. Grazie.

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Guarda il video del discorso


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PAROLE A BRACCIO NEL CARCERE ALLA CONSEGNA DEI DONI

E adesso io darò un dono al carcere. Lo darò alla direttrice. Questo dono… Ho pensato a una virtù che Dio ha, e che noi dimentichiamo, no? Perché Dio ha tre virtù principali: vicinanza, compassione e tenerezza. Dio è vicino a tutti noi, Dio è compassionevole e Dio è tenero. E ho pensato alla tenerezza – non si parla tanto della tenerezza –, ho pensato a questo dono: la Madonna con il bambino che è proprio un gesto di tenerezza. E ho pensato anche che la figura di Maria è una figura comune sia al cristianesimo sia ai musulmani, è una figura comune, ci unisce tutti.

Adesso vorrei darvi la benedizione, ma la darò in silenzio, così ognuno la riceve da Dio nella modalità che crede. Un minuto di silenzio e do la benedizione a tutti voi.

Benedizione

Che il Signore vi benedica, vi aiuti ad andare avanti sempre, vi consoli nella tristezza e sia il vostro compagno nella gioia. Amen.

Buon pranzo e arrivederci!

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Guarda il video integrale

Papa Francesco a Verona 18/05/2024: Incontro "Arena di Pace - Giustizia e Pace si baceranno" (cronaca/sintesi, foto, testo e video)

VISITA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
A VERONA 

Sabato, 18 maggio 2024

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9.45 Il Santo Padre si trasferisce in auto all’Arena
10.15 ARENA: Il Santo Padre presiede l’Incontro "Arena di Pace - Giustizia e Pace si baceranno"
*Il Santo Padre risponde ad alcune domande


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Un israeliano e un palestinese insieme per una testimonianza di perdono

La speranza di pace nel gesto fraterno di Maoz e Aziz


Un’immagine: l’abbraccio di Maoz Inon, israeliano, i cui genitori sono stati uccisi dell’assalto terroristico di Hamas il 7 ottobre, e di Aziz Sarah, palestinese, che nella guerra seguita a quell’attacco feroce ha perso il fratello, con Papa Francesco al termine della loro commovente testimonianza.

Un momento: il silenzio chiesto dal Pontefice subito dopo le loro parole; un silenzio rotto solo dal Santo Padre per invocare il dono e il coraggio della pace, affinché cessino la guerra in Terra Santa e tutti gli altri conflitti che insanguinano il mondo.

È quanto porteranno nel cuore e nella memoria le 12.500 persone che sabato mattina erano presenti all’interno dell’Arena per l’incontro più atteso della vista del Pontefice a Verona. Qui si sono dati appuntamento i rappresentanti di diverse realtà della società civile organizzata, dei movimenti popolari italiani e internazionali per partecipare all’“Arena di pace 2024”.

Per una volta, dunque, non sono state le arie di un’opera lirica a levarsi dall’antico e suggestivo anfiteatro romano, ma gli appelli alla pace lanciati, sul palco o in video, da quanti hanno preso la parola per portare la propria testimonianza a questo importante incontro; particolarmente emozionante quella dell’anziano filosofo Edgar Morin da un letto di ospedale.

Appelli ai quali si è aggiunto quello conclusivo, forte e accorato, di Francesco dopo aver ascoltato le testimonianze dei due giovani imprenditori, che hanno parlato abbracciati e che alla fine sono stati salutati da una standing ovation, e dopo gli appelli rivoltogli in alcuni video da donne e mamme ebree e palestinesi.

Prima di questo toccante momento che ha unito il dolore di due popoli vittime della guerra, il Papa ha risposto ad alcune domande che hanno ripreso le riflessioni emerse dai cinque tavoli tematici — migrazioni, ambiente/creato, lavoro ed economia, disarmo, democrazie e diritti — sui quali si sono incentrati gli incontri di preparazione a questo evento, l’ultimo dei quali ieri alla Fiera di Verona.

Un appuntamento particolarmente atteso, questo con il Papa — il terzo della mattinata — che al suo arrivo nell’anfiteatro scaligero, finalmente illuminato da un caldo sole estivo dopo alcuni giorni di pioggia intensa, è stato accolto da un’ovazione che ha costretto don Luigi Ciotti, fondatore di Libera, a interrompere il suo intervento, ripreso quando il Papa ha raggiunto il palco, affiancato dal vescovo di Verona, monsignor Domenico Pompili, e da padre Alex Zanotelli.

A condurre l’incontro — introdotto da un breve video con un brano dell’intervento tenuto da don Tonino Bello all’“Arena di pace 1989” — il presentatore televisivo Amadeus, che ha introdotto i vari interventi e gli intermezzi musicali: un brano tratto dal Simon Boccanegra di Giuseppe Verdi, eseguito da Cecilia Gasdia, soprintendente della Fondazione Arena di Verona, che al pianoforte ha accompagnato tre cantanti lirici, e un brano del cantautore Luciano Ligabue.

Tra i vari momenti, la recita del salmo 85 — dal quale è stato tratto il tema dell’“Arena di pace” e della visita “Giustizia e pace si baceranno” — letto dall’attore veronese Matteo Martari, accompagnato da una coreografia e da un brano eseguito al piano e cantato dalla Gasdia.

L'ultimo atto è stato un gesto: dopo il suo intervento finale, il Papa ha firmato la copia dell'appello delle mamme palestinesi e israeliane portatagli da Maoz e Aziz.

Prima e dopo il momento con la presenza del Pontefice, la mattinata ha visto alternarsi testimonianze e riflessioni a intermezzi più leggeri, grazie alle esibizioni di artisti di livello internazionale.

“Arena di pace 2024” non è un evento isolato, ma un percorso iniziato a giugno 2023, promosso dalla diocesi e da alcune riviste cattoliche italiane, che riprende l’esperienza delle “Arene di pace” degli anni Ottanta e Novanta, grazie anche alla spinta delle congregazioni missionarie che qui a Verona sono molte e di antica tradizione. Una iniziativa poi interrotta e che rinasce dalla presa d’atto di quella “terza guerra mondiale a pezzi” di cui ha parlato più volte proprio Papa Francesco e dall’urgenza di interrogarsi su come può essere intesa la pace nel contesto odierno e su quali processi si possono intraprendere per costruirla.

E da oggi alle riflessioni emerse grazie a esperti e attivisti si aggiungono quelle di Francesco che, con le sue risposte, ha delineato ulteriormente la strada da seguire, sottolineando la sfida di «risvegliare nei giovani la passione per la partecipazione».
(fonte: L'Osservatore Romano, articolo di Gaetano Vallini 18/05/2024)


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Da Verona l’appello del Papa a non essere spettatori della guerra 
ma seminatori di speranza e di pace

Il coraggio di abbracciarsi



Dinanzi a Francesco la toccante testimonianza di fraternità 
di un palestinese e di un israeliano

Il coraggio di abbracciarsi: coinvolto in un toccante gesto di fraternità da due uomini, uno palestinese e uno israeliano, che pur avendo entrambi perso famigliari a causa del conflitto in Terra Santa hanno voluto testimoniare le attese di pace dei rispettivi popoli, Papa Francesco lascia proprio la consegna del “coraggio di abbracciarsi” come primo messaggio dell’intensa mattinata vissuta sabato 18 maggio a Verona. La partecipazione all’incontro “Arena di pace” è il momento culminante di una serie di appuntamenti iniziati con il clero e i consacrati nella basilica di San Zeno, proseguiti con i bambini e con i giovani nell’omonimo piazzale antistante e conclusisi, dopo l’intenso e appassionato dialogo nell’Arena simbolo della città scaligera, nel carcere di Montorio. Pronunciato proprio nel penitenziario il quarto e ultimo discorso della mattina, nel pomeriggio Francesco celebra nello stadio Bentegodi la messa con cui si conclude la sua giornata in terra veronese.

La Chiesa ha bisogno di perdono per portare a tutti la carezza di Dio, ha detto al clero, alle consacrate e ai consacrati poco dopo l’arrivo in elicottero nella diocesi veneta, per la seconda volta in questa regione nel giro di tre settimane, dopo la visita a Venezia lo scorso 28 aprile. Conversando quindi con il coloratissimo e festante “esercito” delle nuove generazioni, Papa Bergoglio ha spiegato come essere segno di pace in un mondo in guerra. Lungo ed articolato il dialogo intessuto in seguito nell’anfiteatro romano con i partecipanti all’“Arena di pace” avente per tema «Giustizia e pace si baceranno». Da ultimo Francesco ha pranzato con i detenuti della casa circondariale esortandoli a «non cedere allo sconforto» perché «la speranza è un diritto» per tutti.

Leggi anche:
(fonte: L'Osservatore Romano 18/05/2024)

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Guarda il video integrale


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Vedi anche i post precedenti:

SOLENNITÀ DI PENTECOSTE 19/05/2024 - Papa Francesco Omelia: «Lo Spirito ci dà la forza per andare avanti e chiamare tutti con gentilezza, ci dà la gentilezza di accogliere tutti.» - Regina Caeli: «Oggi, festa di Pentecoste, preghiamo lo Spirito Santo, Amore del Padre e del Figlio, perché crei armonia nei cuori, armonia nelle famiglie, armonia nella società, armonia nel mondo intero» (foto, testo e video)

SOLENNITÀ DI PENTECOSTE

Domenica, 19 maggio 2024

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SANTA MESSA 

Basilica di San Pietro



Forte e dolce. Potente e gentile. Papa Francesco, per definire lo Spirito Santo nell’omelia della Messa di Pentecoste nella Basilica di San Pietro, ricorre ad immagini che sembrerebbero opporsi tra di loro e invece sono espressione dell’azione che proprio lo Spirito soffia in noi e alimenta la missione della Chiesa. Il “paraclito” che trasforma i cuori, rende anche audaci nel diffondere il messaggio del Vangelo a tutti.







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OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO


Il racconto della Pentecoste (cfr At 2,1-11), ci mostra due ambiti dell’azione dello Spirito Santo nella Chiesa: in noi e nella missione, con due caratteristiche: la forza e la gentilezza.

L’azione dello Spirito in noi è forte, come simboleggiano i segni del vento e del fuoco, che spesso nella Bibbia sono associati alla potenza di Dio (cfr Es 19,16-19). Senza questa forza, non riusciremmo mai a sconfiggere il male, né a vincere i desideri della carne di cui parla San Paolo, a vincere quelle pulsioni dell’anima: l’impurità, l’idolatria, le discordie, le invidie … (cfr Gal 5,19-21): con lo Spirito si possono vincere, Lui ci dà la forza per farlo, perché Lui entra nel nostro cuore “arido, rigido e gelido” (cfr Sequenza Veni Sancte Spiritus). Quelle pulsioni rovinano le nostre relazioni con gli altri e dividono le nostre comunità, e Lui entra nel cuore e guarisce tutto.

Ce lo mostra anche Gesù, quando, spinto dallo Spirito, si ritira per quaranta giorni nel deserto (cfr Mt 4,1-11) per essere tentato. E in quel tempo anche la sua umanità cresce, si rafforza e si prepara alla missione.

Contemporaneamente, l’agire del Paraclito in noi è anche gentile: è forte e gentile. Il vento e il fuoco non distruggono né inceneriscono quello che toccano: l’uno riempie la casa in cui si trovano i discepoli e l’altro si posa delicatamente, in forma di fiammelle, sul capo di ciascuno. E anche questa delicatezza è un tratto dell’agire di Dio che ritroviamo tante volte nella Bibbia.

Ed è bello vedere come la stessa mano robusta e callosa che prima ha dissodato le zolle delle passioni, poi delicatamente, messe a dimora le pianticelle della virtù, le “bagna”, le “cura” (cfr Sequenza) e le protegge con amore, perché crescano e si irrobustiscano, e noi possiamo gustare, dopo la fatica del combattimento contro il male, la dolcezza della misericordia e della comunione con Dio. Così è lo Spirito: forte, ci dà la forza per vincere, e anche delicato. Si parla dell’unzione dello Spirito, lo Spirito ci unge, è con noi. Come dice una bella preghiera della Chiesa antica: «La tua mitezza rimanga, o Signore, con me e così i frutti del tuo amore!» (Odi di Salomone, 14,6).

Lo Spirito Santo, disceso sui discepoli e fattosi vicino – cioè “paraclito” – agisce trasformando i loro cuori e infondendo in essi un’«audacia che li spinge a trasmettere agli altri la loro esperienza di Gesù e la speranza che li anima» (S. Giovanni Paolo II, Enc. Redemptoris missio, 24). Come testimonieranno poi Pietro e Giovanni davanti al Sinedrio, quando si pretenderà di imporre loro di «non parlare in alcun modo né di insegnare nel nome di Gesù» (At 4,18); essi risponderanno: «Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato» (v. 20). E per rispondere questo hanno la forza dello Spirito Santo.

E questo è importante anche per noi, che abbiamo avuto in dono lo Spirito nel Battesimo e nella Confermazione. Dal “cenacolo” di questa Basilica, come gli Apostoli, siamo inviati, oggi specialmente, ad annunciare il Vangelo a tutti, andando «sempre oltre, non solo in senso geografico, ma anche al di là delle barriere etniche e religiose, per una missione veramente universale» (Redemptoris missio, 25). E grazie allo Spirito possiamo e dobbiamo farlo con la stessa forza e con la stessa gentilezza.

Con la stessa forza: cioè, non con prepotenza e imposizioni – il cristiano non è prepotente, la sua forza è un’altra, e la forza dello Spirito –, nemmeno coi calcoli e colle furbizie, ma con l’energia che viene dalla fedeltà alla verità, che lo Spirito insegna ai nostri cuori e fa crescere in noi. E così noi ci arrendiamo allo Spirito, non ci arrendiamo alla forza del mondo, ma continuiamo a parlare di pace a chi vuole la guerra, a parlare di perdono a chi semina vendetta, a parlare di accoglienza e solidarietà a chi sbarra le porte ed erige barriere, a parlare di vita a chi sceglie la morte, a parlare di rispetto a chi ama umiliare, insultare e scartare, a parlare di fedeltà a chi rifiuta ogni legame, confondendo la libertà con un individualismo superficiale, opaco e vuoto. Senza lasciarci intimorire dalle difficoltà, né dalle derisioni, né dalle opposizioni che, oggi come ieri, non mancano mai nella vita apostolica (cfr At 4,1-31).

E nello stesso tempo in cui agiamo con questa forza, il nostro annuncio vuol essere gentile, per accogliere tutti. Non dimentichiamo questo: tutti, tutti, tutti. Non dimentichiamo quella parabola degli invitati a festa che non sono voluti andare: “Andate agli incroci delle strade e portate tutti, tutti, tutti, buoni e cattivi, tutti” (cfr Mt 22,9-10). Lo Spirito ci dà la forza per andare avanti e chiamare tutti con gentilezza, ci dà la gentilezza di accogliere tutti.

Tutti noi, fratelli e sorelle, abbiamo tanto bisogno di speranza, che non è ottimismo, no, è un’altra cosa. Abbiamo bisogno di speranza. La speranza la si raffigura come un’ancora, lì, alla riva, e noi, aggrappati alla corda, verso la speranza. Abbiamo bisogno di speranza, abbiamo bisogno di alzare gli occhi su orizzonti di pace, di fratellanza, di giustizia e di solidarietà. È questa l’unica via della vita, non ce n’è un’altra. Certo, purtroppo, spesso non appare facile, anzi a tratti si presenta tortuosa e in salita. Ma noi sappiamo che non siamo soli: abbiamo questa sicurezza che con l’aiuto dello Spirito Santo, con i suoi doni, insieme possiamo percorrerla e renderla sempre più percorribile anche per gli altri.

Rinnoviamo, fratelli e sorelle, la nostra fede nella presenza, accanto a noi, del Consolatore, e continuiamo a pregare:

Vieni, Spirito Creatore, illumina le nostre menti,
riempi della tua grazia i nostri cuori, guida i nostri passi,
dona al nostro mondo la tua pace.
Amen.


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REGINA CAELI

Piazza San Pietro


Cari fratelli e sorelle, buona festa di Pentecoste, buongiorno!

Oggi, Solennità della Pentecoste, celebriamo la discesa dello Spirito Santo su Maria e sugli Apostoli. Nel Vangelo della liturgia Gesù parla dello Spirito Santo e dice che Egli ci insegna “tutto ciò che ha udito” (cfr Gv 16,13). Ma cosa significa questa espressione? Che cosa ha udito lo Spirito Santo? Di cosa ci parla?

Ci parla con parole che esprimono sentimenti meravigliosi, come l’affetto, la gratitudine, l’affidamento, la misericordia. Parole che ci fanno conoscere un rapporto bello, luminoso, concreto e duraturo come è l’Amore eterno di Dio: le parole che il Padre e il Figlio si dicono. Sono proprio le parole trasformanti dell’amore, che lo Spirito Santo ripete in noi, e che ci fa bene ascoltare, perché queste parole fanno nascere e fanno crescere nel nostro cuore gli stessi sentimenti e gli stessi propositi: sono parole feconde.

Per questo è importante che ci nutriamo ogni giorno delle Parole di Dio, delle Parole di Gesù, ispirate dallo Spirito. E tante volte dico: leggere un pezzo del Vangelo, avere un Vangelo piccolo, tascabile e portarlo con noi, approfittando dei momenti favorevoli. Il sacerdote e poeta Clemente Rebora, parlando della sua conversione, scriveva nel diario: «E la Parola zittì chiacchiere mie!» (Curriculum vitae) La Parola di Dio zittisce le nostre chiacchiere superficiali e ci fa dire parole serie, parole belle, parole gioiose. «E la Parola zittì chiacchiere mie». Ascoltare la Parola di Dio fa tacere le chiacchiere. Ecco come dare spazio in noi alla voce dello Spirito Santo. E poi nell’Adorazione – non dimentichiamo la preghiera di adorazione in silenzio – specialmente quella semplice, silenziosa, come è l’adorazione. E lì dire dentro di noi parole buone, dirle al cuore per poterle dire agli altri, dopo, gli uni per gli altri. E così si vede che vengono dalla voce del Consolatore, dello Spirito.

Care sorelle e fratelli, leggere e meditare il Vangelo, pregare in silenzio, dire parole buone, non sono cose difficili, no, le possiamo fare tutti. Sono più facili che insultare, arrabbiarsi… E allora ci chiediamo: che posto hanno queste parole nella mia vita? Come posso coltivarle, per mettermi meglio in ascolto dello Spirito Santo, e diventarne un’eco per gli altri?

Maria, presente a Pentecoste con gli Apostoli, ci renda docili alla voce dello Spirito Santo.

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Dopo il Regina Caeli

Cari fratelli e sorelle!

Lo Spirito Santo è Colui che crea l’armonia, l’armonia! E la crea a partire da realtà differenti, a volte anche conflittuali. Oggi, festa di Pentecoste, preghiamo lo Spirito Santo, Amore del Padre e del Figlio, perché crei armonia nei cuori, armonia nelle famiglie, armonia nella società, armonia nel mondo intero; che lo Spirito faccia crescere la comunione e la fraternità tra i cristiani delle diverse Confessioni; doni ai governanti il coraggio di compiere gesti di dialogo, che conducano a porre fine alle guerre. Le tante guerre di oggi: pensiamo all’Ucraina – il mio pensiero va in particolare alla città di Kharkiv, che ha subito un attacco due giorni fa –; pensiamo alla Terra Santa, alla Palestina, a Israele; pensiamo a tanti posti dove ci sono le guerre. Che lo Spirito porti i responsabili delle nazioni e tutti noi ad aprire porte di pace.

Esprimo la mia gratitudine per l’accoglienza e l’affetto dei veronesi, ieri: sono stati bravi, i veronesi! Grazie, grazie. In modo particolare penso al carcere di Verona, penso alle detenute, ai detenuti che mi hanno testimoniato ancora una volta che dietro le mura di un carcere palpitano vita, umanità e speranza. A tutto il personale penitenziario, e in particolare alla direttrice, Dr.ssa Francesca Gioieni, va il mio sentito “grazie”.

Saluto tutti voi, pellegrini di Roma e di diverse parti d’Italia e del mondo. In particolare saluto quelli di Timor-Leste – vi verrò a trovare presto! –, quelli della Lettonia e dell’Uruguay; come pure la comunità paraguayana di Roma, che festeggia la Virgen de Caacupé, e la Missione cattolica portoghese di Lucerna.

Saluto i ragazzi dell’Immacolata; saluto le Suore che sono lì, brave! Saluto i fedeli di Benevento, Porto Azzurro e Terracina, e l’Istituto “Caterina di Santa Rosa” di Roma.

Auguro a tutti buona domenica. Per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!

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