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venerdì 31 gennaio 2020

Cancelliamo quell'accordo! di Tonio Dell'Olio


Cancelliamo quell'accordo!
di Tonio Dell'Olio
Mosaico dei giorni - 31 gennaio 2020


Se non intervengono fatti nuovi da parte del governo, ovvero provvedimenti quantomeno di sospensione, domani si rinnova automaticamente e tacitamente l'accordo Italia-Libia per la gestione dei migranti nei campi di accoglienza/prigionia libici. In queste ore trapelano alcune interpretazioni secondo le quali si potrebbero negoziare nuovi termini dell'accordo anche dopo la scadenza, altri sostengono che in quel caso a carico dell'Italia ci sarebbero delle penali da pagare. Ma la verità è che il testo di quegli accordi sembra un segreto di Stato e nessuno l'ha mai letto (forse nemmeno chi l'ha firmato!) e soprattutto che sono proprio quegli accordi a produrre morte, violenze, sofferenze atroci e violazione dei diritti umani. Mille volte abbiamo ascoltato racconti raccapriccianti. Mille volte giovani migranti hanno testimoniato (talvolta documentato) le torture subite. Per questo siamo in molti a chiedere al governo di non rinnovare quel memorandum. Ci rivolgiamo al Presidente della Repubblica perché giunga fino a lui l'urlo senza voce del dolore dei disperati e con uno scatto di dignità umana intervenga direttamente a scongiurare la nostra complicità da questa violazione dei diritti umani su vasta scala. Sarebbe la maniera più nobile per onorare la Giornata della memoria appena celebrata e riscattarci dal giudizio severo con cui ci condanneranno le generazioni a venire.


«Questo è uno dei mali del nostro tempo: perdere la coscienza del peccato.» - Papa Francesco - S. Messa Cappella della Casa Santa Marta - (video e testo)


S. Messa - Cappella della Casa Santa Marta, Vaticano
31 gennaio 2020
inizio 7 a.m. fine 7:45 a.m. 

Papa Francesco:
“La mondanità è un lento scivolare nel peccato”


Una vita normale, tranquilla, un cuore che non si muove nemmeno dinanzi ai peccati più gravi, una mondanità che ruba la capacità di vedere il male che si compie. Papa Francesco, nell’omelia della Messa di venerdì 31 gennaio a Casa Santa Marta, ha riletto il passo tratto dal secondo libro di Samuele, incentrato sulla figura del re Davide, il «santo re Davide», che scivolando nella vita comoda dimentica di essere stato eletto da Dio. Davide come tanti uomini di oggi, gente che sembra buona, «che va a messa tutte le domeniche, che si dice cristiana» ma che ha perso «la coscienza del peccato»: uno dei mali, diceva Pio XII, del nostro tempo. Un tempo nel quale tutto si può fare, «un’atmosfera spirituale» dalla quale ravvedersi magari grazie al rimprovero di qualcuno o per «uno schiaffo» della vita.

Francesco si è soffermato sui peccati di Davide: il censimento del popolo e la vicenda di Urìa che fa uccidere, dopo aver messo incinta la moglie Betsabea. Lui sceglie l’assassinio perché il suo piano per rimettere a posto le cose, dopo l’adulterio, fallisce miseramente. «Davide — ha affermato il Papa — continuò la sua vita normale. Tranquillo. Il cuore non si mosse».

«Ma come il grande Davide, che è santo, che aveva fatto tante cose buone, che era tanto unito a Dio, è stato capace di fare quello? Questo non si fa da un giorno all’altro. Il grande Davide, lentamente è scivolato, lentamente. Ci sono dei peccati del momento: il peccato di ira, un insulto, che io non posso controllare. Ma ci sono dei peccati — ha sottolineato il Pontefice — nei quali si scivola lentamente, con lo spirito della mondanità. È lo spirito del mondo che ti porta a fare queste cose come se fossero normali. Un assassinio».

Lentamente è un avverbio che il Papa ha ripetuto spesso nella sua omelia. Spiega il modo in cui piano piano il peccato si impossessa dell’uomo approfittando della sua comodità. «Noi siamo tutti peccatori — ha proseguito Francesco — ma delle volte facciamo peccati del momento. Io mi arrabbio, insulto. Poi mi pento». A volte invece «ci lasciamo scivolare verso uno stato di vita dove... sembra normale». Normale, ad esempio, è «non pagare la domestica come si deve pagare», o chi lavora in campagna che viene retribuito la metà del dovuto. «Ma è gente buona, sembra, che fa questo, che va a messa tutte le domeniche, che si dice cristiana. Ma come mai tu fai questo? E altri peccati? Dico soltanto questo... Eh, perché — ha spiegato il Papa — sei scivolato in uno stato dove hai perso la coscienza del peccato. E questo è uno dei mali del nostro tempo. Pio XII lo aveva detto: perdere la coscienza del peccato. “Ma, si può fare tutto...”, e alla fine si passa una vita per risolvere un problema».

Il Papa ha spiegato che quanto accade a Davide non è una cosa antica e ricorda una recente vicenda accaduta in Argentina con alcuni giovani giocatori di rugby che hanno ucciso un compagno a botte, dopo una notte di movida. Ragazzi, afferma, diventati «un branco di lupi». Un fatto che apre interrogativi sull’educazione dei giovani, sulla società. C’è bisogno «tante volte di uno schiaffo dalla vita» per fermarsi, per stoppare quel lento scivolare nel peccato, c’è bisogno di una persona come il profeta Nathan, inviato da Dio a Davide, per fargli vedere il suo errore. «Pensiamo un po’: qual è l’atmosfera spirituale della mia vita? Sono attento, ho bisogno sempre di qualcuno che mi dica la verità, o no, credo di no? Ascolto il rimprovero di qualche amico, del confessore, del marito, della moglie, dei figli che mi aiuta un po’? Guardando questa storia di Davide — del Santo re Davide — chiediamoci: se un santo è stato capace di cadere così, stiamo attenti, fratelli e sorelle, anche a noi può accadere. Anche, domandiamoci: io in quale atmosfera vivo? Che il Signore — è stata l’esortazione di Papa Francesco — ci dia la grazia di inviarci sempre un profeta — può essere il vicino, il figlio, la mamma, il papà — che ci schiaffeggi un po’ quando stiamo scivolando in questa atmosfera dove sembra che tutto sia lecito».
(fonte: L'Osservatore Romano, articolo di Benedetta Capelli)

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Accordo del secolo? Trump e Netanyahu calpestano il diritto internazionale - Pax Christi Italia

Accordo del secolo? 
Trump e Netanyahu calpestano il diritto internazionale
Pax Christi Italia


Oggi di fronte al contesto destabilizzato dell’intero Medio Oriente Pax Christi, da anni impegnata con iniziative di solidarietà e denuncia nell’ambito della Campagna Ponti e non Muri, stigmatizza con forza il fatto che sulle popolazioni della Palestina storica piuttosto che il presunto “accordo del secolo” fra israeliani e palestinesi cada la “bomba del secolo”.

Lo sgancio dell’ordigno, come usa oggi, viene pilotato da remoto, dalla Casa Bianca e sono seduti ai comandi due capi di stato e di governo: Trump e Netanyahu, entrambi trincerati in difesa da imputazioni che li vedono rinviati a giudizio per corruzione ed abuso di potere. Nonostante questo, ad essi viene concesso, di fronte all’audience mondiale, di fare strame del Diritto Internazionale, sia di quello sancito dopo i due terribili conflitti mondiali, sia di quello faticosamente costruito dall’ONU nei suoi 75 anni di storia attraverso le Risoluzioni dell’Assemblea e del suo Consiglio di Sicurezza.

Vengono infatti cancellati d’un colpo:

il diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese sulla propria terra;

il divieto assoluto di procedere a conquiste territoriali con mezzi militari;

l’obbligo della Potenza occupante, in questo caso Israele, di garantire alla popolazione sotto occupazione i diritti umani fondamentali dal diritto alla vita, all’acqua, al cibo, al lavoro, alla salute, alla libertà di movimento e perfino al diritto di resistere con ogni mezzo legittimo alla prevaricazione ed all’abuso che accompagnano ogni occupazione.

Viene negato il diritto a tornare alle proprie case dopo esserne stati espulsi con le armi e le azioni intimidatorie e terroristiche.

Viene negato il diritto al risarcimento per le espropriazioni subite.

Viene legittimato il fatto che un muro lungo 700 km rinchiuda 5 milioni di persone private di diritti e di possibilità di vita dignitosa in una condizione di “apartheid” peggiore del modello sudafricano del XX secolo.

Viene sequestrata, a puro beneficio di uno stato che definisce se stesso con la denominazione religiosa di “ebraico”, la città di Gerusalemme, patrimonio comune alle tre religioni monoteiste.

La questione riguardante il riconoscimento di questi diritti e la cessazione di ogni violazione in atto viene ridotta a mercimonio: si propone ad un popolo intero la rinuncia a tutto questo in cambio di denaro o beni materiali concessi oggi ad arbitrio dell’occupante.

Viene in tal modo alimentato un malcontento dovuto alla perdurante e confermata offesa alla dignità delle persone foriero di tumulti che saranno come al solito repressi dalla Potenza occupante con la consueta sproporzionata violenza, sempre utilizzata, nonostante le denunce ed i moniti dell’ONU.

Pax Christi pone quindi all’attenzione di chi ha a cuore la pace fondata sulla giustizia ed il rispetto del Diritto, l’esistenza di una “questione israeliana”, che determina conseguenze destabilizzanti ben oltre lo scenario geopolitico mediorientale.

Una questione che ci riguarda perché non può essere consentito che vi sia al mondo una “zona franca” dove il diritto viene impunemente e gravemente violato e quindi delegittimato di fronte al mondo intero

Deve essere chiaro che chi si pone fuori dal concerto delle Nazioni che si sono date un Diritto Internazionale da rispettare, costituisce per la pace nel mondo un fattore di rischio globale.

Tavarnuzze, 30 Gennaio 2020 
                                                                                                                 Pax Christi Italia

Contatti:
Segreteria Nazionale di Pax Christi: 055/2020375 – info@paxchristi.itwww.paxchristi.it
Coordinatore Nazionale di Pax Christi: d. Renato Sacco 348/3035658 renatosacco1@gmail.com
Campagna Ponti e non muri: Norberto Julini 347776089 


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Servizio TG2000


IL "PIANO DI PACE" DI TRUMP, 
UNA PRESA IN GIRO PER I PALESTINESI

Il progetto - propaganda pura e semplice - del presidente Usa è tutto sbilanciato dalla parte degli israeliani. Per gli altri prevede il simulacro di uno Stato, dimezzato, spezzettato, cacciato da Gerusalemme, confinato nelle terre più aride. E nessun diritto al ritorno per i profughi della diaspora.
...

La memoria a metà di Enzo Bianchi


Fotogramma del film Schindler's List - La lista di Schindler, di Steven Spielberg, 1993.

La memoria a metà
di Enzo Bianchi




È tornato il “giorno della memoria”, ricorrenza istituzionalizzata per non dimenticare ciò che è accaduto, la catastrofe (Shoah) per milioni di persone, soprattutto ebrei, ma anche zingari, scarti della società, quelli che risultavano “diversi”.

Nel fare questa memoria, vissuta in modo sempre più superficiale, si assiste anche a una banale semplificazione: si dice che sono stati solo i nazisti tedeschi, imbevuti di quella folle ideologia, a scegliere il male assoluto. E così si dimentica che alla Shoah hanno contribuito, in modi diversi ma con piena responsabilità, anche gli altri europei, e tra di essi innanzitutto noi italiani. I nazisti non avrebbero potuto realizzare i loro progetti di sterminio se non avessero beneficiato di collaboratori, di quanti cioè denunciavano e spiavano, di quelli che vedevano ma preferivano non dire nulla e lasciare che tutto avvenisse. Se invece si prosegue sulla strada di questa semplificazione, la Shoah rischia di diventare solo narrazione e oggetto di memoria pubblica, un evento da ricordare tra gli altri. E se noi conosciamo l’inferno attraverso le testimonianze, non possiamo dimenticare che gli ebrei, l’inferno, l’hanno vissuto.

Certo, sappiamo bene che stragi, massacri, pulizie etniche e genocidi sono stati perpetrati prima e dopo, anche negli ultimi decenni, ma non dovremmo mai dimenticare l’unicità della Shoah: in essa sono stati sterminati non dei nemici, non dei diversi per etnia, non dei nomadi, ma semplicemente uomini e donne in quanto ebrei, figli di Israele, che anche noi italiani abbiamo imparato a odiare, diventando incapaci di riconoscere e difendere la dignità di ogni altro essere umano in quanto tale. Se in Italia i “giusti tra le nazioni” sono stati riconosciuti in numero di circa cinquecento, quanti sono stati ingiusti perché non dissero nulla ma collaborarono alla catastrofe? Quanti furono i credenti cristiani che, anziché vedere negli ebrei dei fratelli e sorelle nella fede, non vollero accorgersi di nulla, o a causa di un viscerale antigiudaismo giudicarono questo sterminio l’adempimento di un giudizio di Dio?
Per questo ritengo sia stolta la domanda “Dov’era Dio ad Auschwitz?”, che andrebbe piuttosto declinata come “Dov’era l’uomo, dov’era l’umanità?”. Il giorno della memoria è giorno della vergogna. Non dobbiamo fare domande su Dio, bensì su di noi, e farcele ancora oggi. Nella convinzione che, se c’è qualche speranza, essa può affermarsi solo a partire dall’umanità nella quale continuano ad esservi dei giusti: pochi uomini e donne che, credendo che il male non è onnipotente, sanno opporre resistenza. Sì, la giornata della memoria dev’essere un’occasione per scrutare e vedere quello che ancora oggi e qui viene perpetrato contro l’insopprimibile dignità degli esseri umani.

Sono nato durante la Shoah e sono cresciuto senza mai dimenticarla. Ma ora, a differenza di ieri, confesso che ho paura: forme inedite, ma sempre nutrite da odio e follia, si affacciano al nostro orizzonte come intolleranza, disprezzo e violenza, verso quelli che giudichiamo “diversi” e indegni di vivere con noi.

Pubblicato su: La Repubblica 27/01/2020


giovedì 30 gennaio 2020

«Chiediamo al Signore la grazia di vivere cristianamente, soprattutto di non aver paura della croce» - Papa Francesco - S. Messa Cappella della Casa Santa Marta - (video e testo)



S. Messa - Cappella della Casa Santa Marta, Vaticano
30 gennaio 2020
inizio 7 a.m. fine 7:45 a.m. 

Papa Francesco:
“La misura di ogni giudizio”


È ricca di frasi e consigli di Gesù la pagina proposta dal Vangelo di Marco (Mc 2, 21-25) nella liturgia di giovedì 30 dicembre. Papa Francesco ne ha scelto uno tra tutti, per soffermarsi a riflettere in un dialogo costante con i fedeli riuniti nella cappella di Casa Santa Marta: «Con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi».

Tutti, ha esordito il Pontefice, devono fare i conti con la vita, sia nel presente, sia soprattutto alla fine dell’esistenza; e questa frase di Gesù «dice proprio come sarà quel momento», ovvero come sarà il giudizio. Perché — ha proseguito Francesco — se il passo delle Beatitudini e l’analogo capitolo 25 del Vangelo di Matteo mostrano «le cose che dobbiamo fare» — il come farle, lo «stile con il quale dovremo vivere» — la “misura” «è quello che il Signore dice qui».

Quindi con una serie di domande il Papa ha chiarito: «Con quale misura io misuro gli altri? Con quale misura misuro me stesso? È una misura generosa, piena di amore di Dio o è una misura di basso livello?». E «con questa misura — ha rimarcato — sarò giudicato, non sarà un’altra: quella, proprio quella che faccio io».

E ancora il Pontefice si è chiesto: «A che livello ho posto la mia asticella? Ad un livello alto?» e ha invitato a soffermarsi a pensare, non solo e tanto «alle cose buone che facciamo» ma «allo stile continuo» della vita di ognuno.

Ognuno — ha fatto notare Francesco ai fedeli presenti — ha infatti uno stile, «un modo di misurare se stesso, le cose e gli altri» e sarà lo stesso che il Signore userà con gli uomini. Quindi — ha chiarito — chi misura con egoismo, così sarà misurato; chi non ha pietà e pur di arrampicarsi nella vita «è capace di calpestare la testa di tutti», sarà giudicato allo stesso modo, cioè «senza pietà».

A questo il Pontefice ha contrapposto dunque lo stile di vita del cristiano, spiegando quale sia il modello. «E come cristiano – è stata la sua riflessione — io mi domando qual è la pietra di riferimento, la pietra di paragone per sapere se sono in un livello che Gesù vuole? È la capacità di umiliarmi, è la capacità di subire le umiliazioni». Al cristiano che non è capace di sopportare le umiliazioni, ha ribadito il Papa, «manca qualcosa. È un cristiano» che Francesco ha definito “di vernice” o “per interesse”. E in proposito ha spiegato: «Ma perché padre questo? Perché lo ha fatto Gesù», che «annientò se stesso, dice Paolo: Annientò se stesso fino alla morte e alla morte di croce. Lui era Dio ma non si aggrappò a quello: annientò se stesso. Questo — ha concluso il Papa — è il modello da seguire».

Quindi come esempio di uno stile di vita definito “mondano” e incapace di seguire il modello di Gesù, il Pontefice ha citato le “lamentele” che gli riferiscono i vescovi quando hanno difficoltà a trasferire i sacerdoti nelle parrocchie perché ritenute “di categoria inferiore” e non superiore come ambirebbero e dunque vivono il trasferimento come una punizione. Ecco dunque come riconoscere il «mio stile», il «mio modo di giudicare» — ha commentato il Papa — dal comportamento assunto davanti alle umiliazioni: «Un modo di giudicare mondano, un modo di giudicare peccatore, un modo di giudicare imprenditoriale, un modo di giudicare cristiano».

Così riprendendo ancora la frase del Vangelo del giorno: «Con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi», Francesco si è soffermato sullo stile di Gesù, paragonandolo, ancora una volta, alla misura mondana. «Se è una misura cristiana — ha affermato — che segue Gesù, nella sua strada, con la stessa sarò giudicato, con molta, molta, molta pietà, con molta compassione, con molta misericordia. Ma se la mia misura è mondana e soltanto uso la fede cristiana — sì, faccio, vado a messa, ma vivo come mondano — sarò misurato con quella misura».

Ecco allora che la preghiera emersa a chiusura dell’omelia di Francesco è la richiesta della grazia di «vivere cristianamente e soprattutto di non avere paura della croce, delle umiliazioni, perché questa è la strada che Lui ha scelto per salvarci» ed è anche ciò che «garantisce che la mia misura è cristiana: la capacità di portare la croce, la capacità di subire qualche umiliazione».

(fonte: L'Osservatore Romano, articolo di Gabriella Ceraso)

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Massimo Del Bene, il chirurgo che cura le vittime dei lager libici: "Sono persone che vanno salvate e curate come se fossero i nostri figli"

Massimo Del Bene, il chirurgo che cura le vittime dei lager libici:
 "Sono persone che vanno 
salvate e curate 
come se fossero i nostri figli"

La toccante testimonianza del dottor Massimo Del Bene, direttore del reparto di Chirurgia plastica e della mano dell'Ospedale San Gerardo di Monza) che cura i migranti scappati dagli orrori dei lager libici. (Trasmissione "Bel tempo si spera" di TV2000  del 30.01.2020)

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«Le Beatitudini sono la “carta d’identità” del cristiano... Gesù non impone niente, ma svela la via della felicità... sono la strada per raggiungere la gioia.» Papa Francesco Udienza Generale 29/01/2020 (foto, testo e video)

UDIENZA GENERALE
Aula Paolo VI
Mercoledì, 29 gennaio 2020

“Le Beatitudini contengono la carta d’identità del cristiano, perché delineano il volto di Gesù stesso, il suo stile di vita”. Lo ha detto Papa Francesco, che ha iniziato oggi in Aula Paolo VI, davanti a 7mila persone, una nuova serie di catechesi, che ha come oggetto le Beatitudini nel Vangelo di Matteo, testo che apre il “Discorso della montagna” e che “ha illuminato la vita dei credenti e anche di tanti non credenti”. 
Il Santo Padre nel suo breve percorso prima di cominciare la catechesi si è soffermato, come sempre, salutando e accarezzando i bambini e scambiando brevi battute con i tanti gruppi di giovani presenti.

Al termine, nei saluti in varie lingue ai pellegrini, il Pontefice saluta i fedeli di lingua araba, in particolare quelli arrivati dal Medio Oriente, e spiega che «vivere le Beatitudini non richiede gesti eclatanti. Guardiamo a Gesù: non ha lasciato nulla di scritto, non ha costruito nulla di imponente. E quando ci ha detto come vivere non ha chiesto di innalzare grandi opere o di segnalarci compiendo gesta straordinarie. Ci ha chiesto di realizzare una sola opera d’arte: quella della nostra vita. Le Beatitudini sono allora una mappa di vita: non domandano azioni sovraumane, ma di imitare Gesù nella vita di ogni giorno».

Salutando i pellegrini polacchi ricorda che domenica prossima si celebra la festa della Presentazione di Gesù al Tempio e la Giornata mondiale della vita consacrata: «Preghiamo per le religiose e i religiosi che si dedicano a Dio e ai fratelli nel servizio quotidiano, secondo il proprio carisma, affinché siano sempre fedeli testimoni dell’amore salvifico di Cristo. Preghiamo anche per le nuove vocazioni alla vita consacrata. Benedico di cuore voi, le vostre famiglie e le vostre comunità. Sia lodato Gesù Cristo». 















Catechesi sulle Beatitudini: 1. Introduzione

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Iniziamo oggi una serie di catechesi sulle Beatitudini nel Vangelo di Matteo (5,1-11). Questo testo che apre il “Discorso della montagna” e che ha illuminato la vita dei credenti anche di tanti non credenti. È difficile non essere toccati da queste parole di Gesù, ed è giusto il desiderio di capirle e di accoglierle sempre più pienamente. Le Beatitudini contengono la “carta d’identità” del cristiano - questa è la nostra carta d’identità -, perché delineano il volto di Gesù stesso, il suo stile di vita.

Ora inquadriamo globalmente queste parole di Gesù; nelle prossime catechesi commenteremo le singole Beatitudini, una a una.

Anzitutto è importante come avvenne la proclamazione di questo messaggio: Gesù, vedendo le folle che lo seguono, sale sul dolce pendio che circonda il lago di Galilea, si mette a sedere e, rivolgendosi ai discepoli, annuncia le Beatitudini. Dunque il messaggio è indirizzato ai discepoli, ma all’orizzonte ci sono le folle, cioè tutta l’umanità. È un messaggio per tutta l’umanità.

Inoltre, il “monte” rimanda al Sinai, dove Dio diede a Mosè i Comandamenti. Gesù inizia a insegnare una nuova legge: essere poveri, essere miti, essere misericordiosi… Questi “nuovi comandamenti” sono molto più che delle norme. Infatti, Gesù non impone niente, ma svela la via della felicità – la sua via – ripetendo otto volte la parola “beati”.

Ogni Beatitudine si compone di tre parti. Dapprima c’è sempre la parola “beati”; poi viene la situazione in cui si trovano i beati: la povertà di spirito, l’afflizione, la fame e la sete della giustizia, e via dicendo; infine c’è il motivo della beatitudine, introdotto dalla congiunzione “perché”: “Beati questi perché, beati coloro perché …” Così sono le otto Beatitudini e sarebbe bello impararle a memoria per ripeterle, per avere proprio nella mente e nel cuore questa legge che ci ha dato Gesù.

Facciamo attenzione a questo fatto: il motivo della beatitudine non è la situazione attuale ma la nuova condizione che i beati ricevono in dono da Dio: “perché di essi è il regno dei cieli”, “perché saranno consolati”, “perché erediteranno la terra”, e così via.

Nel terzo elemento, che è appunto il motivo della felicità, Gesù usa spesso un futuro passivo: “saranno consolati”, “riceveranno in eredità la terra”, “saranno saziati”, “saranno perdonati”, “saranno chiamati figli di Dio”.

Ma cosa vuol dire la parola “beato”? Perché ognuna della otto Beatitudini incomincia con la parola “beato”? Il termine originale non indica uno che ha la pancia piena o se la passa bene, ma è una persona che è in una condizione di grazia, che progredisce nella grazia di Dio e che progredisce sulla strada di Dio: la pazienza, la povertà, il servizio agli altri, la consolazione … Coloro che progrediscono in queste cose sono felici e saranno beati.

Dio, per donarsi a noi, sceglie spesso delle strade impensabili, magari quelle dei nostri limiti, delle nostre lacrime, delle nostre sconfitte. È la gioia pasquale di cui parlano i fratelli orientali, quella che ha le stimmate ma è viva, ha attraversato la morte e ha fatto esperienza della potenza di Dio. Le Beatitudini ti portano alla gioia, sempre; sono la strada per raggiungere la gioia. Ci farà bene prendere il Vangelo di Matteo oggi, capitolo quinto, versetto da uno a undici e leggere le Beatitudini - forse alcune volte in più, durante la settimana - per capire questa strada tanto bella, tanto sicura della felicità che il Signore ci propone.

Guarda il video della catechesi

Saluti:
...
* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. ...

Saluto infine i giovani, gli anziani, gli ammalati e gli sposi novelli. L’esempio di santità di san Giovanni Bosco, che ricordiamo venerdì prossimo quale Padre e Maestro della gioventù, conduca soprattutto voi, cari giovani, a realizzare i vostri progetti futuri, non escludendo il piano che Dio ha su ciascuno. Preghiamo san Giovanni Bosco perché ognuno trovi nella vita la sua strada, quello che Dio vuole per noi. 

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Nasce "La Via Libera" il nuovo giornale su mafia, corruzione, immigrazione e ambiente - Video di presentazione di don Ciotti - 'Costruire un mondo realmente diverso' editoriale di Luigi Ciotti

Nasce "La Via Libera" 
il nuovo giornale su
 mafia, corruzione, immigrazione e ambiente


Guarda il video di presentazione di don Ciotti 

Nasce il 28 gennaio “La Via Libera”, rivista bimestrale e progetto online.


Costruire un mondo realmente diverso

Era una scommessa Narcomafie, continua a esserlo lavialibera. Questa rivista è diversa da quella che realizzammo nel 1993, pochi mesi dopo Capaci e via d'Amelio, ma lo spirito è, nella continuità, lo stesso: uscire dai recinti e dagli schemi per andare verso l'altro e l'altrove, parole che racchiudono anche il senso della venticinquesima Giornata della memoria e dell'impegno, che si terrà quest'anno a Palermo.

Editoriale di  Luigi Ciotti
Direttore editoriale lavialibera

Torniamo in Sicilia – da dove, idealmente, siamo partiti, prima con Narcomafie poi con Libera – per sottolineare anche simbolicamente la necessità di un altro approccio, di un nuovo sguardo. Sempre nella continuità, ovvero nel “qui ed ora” dell’impegno.

Sì, perché uscire dai recinti e dagli schemi non è deviare o defilarsi ma, all’opposto, cercare la vita là dove si trasforma, là dove genera il nuovo, il diverso. È cercare la vita per essere e restare vivi. Il sapere umano è l’effetto di quest’infinito cercare, e solo un sapere che si misura coi propri limiti, che non smette di cercare l’altro e l’altrove diventa conoscenza, cioè sapere di vita. Se manca questa spinta al comprendere e all’approfondire, il sapere rischia di cristallizzarsi in schema o, peggio, di costruire castelli in aria, costruzioni teoriche che se da un lato tengono lontani i dubbi e le inquietudini, dall’altro allontanano dalla vita e non permettono di coglierne i processi, i cambiamenti e il senso.

Come Narcomafie, anche lavialibera nasce da una vitale inquietudine delle coscienze, da un’antica familiarità coi dubbi, compagni di viaggio scomodi, esigenti, ma certo più attivi e lungimiranti delle certezze. Allora fu il bisogno di parlare di mafie fuori dall’imperante logica dell’emergenza, studiando le realtà criminali in tutti i loro aspetti e nella loro azione costante, diffusa e distruttiva anche quando non sfociava nell’omicidio o nell’attentato. Oggi è il bisogno di analizzare i cambiamenti dei fenomeni mafiosi in relazione alle impetuose trasformazioni globali, mutamenti avvenuti spesso contestualmente, a conferma non solo della capacità di adattamento delle organizzazioni criminali ma anche – fenomeno non meno inquietante – del progressivo slittamento del cosiddetto mondo civile e del sistema politico-economico che lo governa verso logiche, se non strettamente criminali, criminogene.

Oggi non si può più parlare di mafie senza mettere in luce la profonda connivenza del sistema mafioso con quello dell’accumulazione indiscriminata del capitale. Stessi gli obbiettivi: potere e ricchezza. Ma sempre più simili anche i metodi: se le mafie possono attingere sempre meno a quella «riserva di violenza» che rappresenta un carattere imprescindibile perché siano riconosciute e condannate in sede giudiziaria, non è per sopraggiunti scrupoli morali, ma perché in un mondo in cui il denaro conta più della libertà e della giustizia, la corruzione – cioè il potere del denaro – è la chiave che non solo apre ogni porta, ma la apre senza fare rumore né attivare allarmi, vista anche l’interessata assistenza di chi dovrebbe impedire il passaggio.

In questo siamo stati, nel nostro piccolo, profetici. Se Libera chiedeva gia nel 1995 che la legge sull’uso sociale dei beni confiscati alle mafie fosse estesa anche ai beni dei corrotti – proposta che incontrò sordità e resistenze a più livelli – fu perché già allora, col Paese fresco reduce da Tangentopoli, ci parve evidente quello che troppi non vollero vedere e che oggi per fortuna qualcuno inizia a riconoscere: che combattere le mafie senza contrastare con uguale forza la corruzione é come svuotare l’oceano con un secchiello, per di piu bucato.

Tornando a lavialibera e alla sua scommessa – che continueremo a condividere con preziosi e antichi compagni di viaggio come la Federazione nazionale della stampa, Articolo 21, l’Usigrai e quanti altri si vorranno aggiungere – l’impianto della rivista ricalca in buona parte quello di Narcomafie nei temi, nella presenza in ciascun numero di un dossier accurato, nelle pagine dedicate alle inchieste e in quelle di riflessione e approfondimento. Ma il progetto prevede, oltre al cartaceo bimestrale, un sito web quotidianamente alimentato, una traduzione in lingua straniera dei contenuti, una presenza ragionata e rispettosa sui social – luoghi di una comunicazione spesso squinternata e offensiva.

Il tutto, come detto, senza smettere di cercare 'pensieri nuovi e parole diverse' – come recita il sottotitolo della testata – nella consapevolezza che, come ripetiamo da anni, le mafie non sono un “mondo a parte” ma parte del nostro mondo. E che dunque è impossibile sconfiggerle senza una radicale rivoluzione politica, sociale, culturale. L’analisi e la denuncia delle mafie non può più insomma eludere quella di fenomeni che hanno offerto alle mafie terreno fertile, agganci e opportunità: le ingiustizie sociali, le disuguaglianze, una politica che ha sostituito i diritti coi privilegi e un’economia che ha elevato il profitto a valore assoluto, anche quando significa povertà e morte di milioni di persone.

Stimoli e spunti preziosi ce li ha offerti la Laudato sì, l’enciclica di Papa Francesco sull’ambiente. Pagine che con straordinaria lucidità analizzano le cause della crisi occidentale – crisi politica, economica, ma prima ancora etica, civile e culturale – facendola risalire a quel 'paradigma tecnocratico' che ha guidato la politica e l’economia nella distruzione dell’ambiente e nello sfascio dei diritti, con il conseguente riaffiorare di fascismi, razzismi e sovranismi, isole che rischiano di diventare continenti di disumanità e ingiustizia, macerie dell’ideale europeo, sogno di un mondo capace di pace e convivenza.

Cercheremo allora di parlare di mafie nello specifico ma anche come aspetti di un male più vasto che ci chiama tutti in causa e che non può essere contrastato solo con la lotta al crimine organizzato. Perché il richiamo del Papa a non scindere crisi sociale e crisi ambientale in quanto facce di un’unica medaglia deve tradursi in un’etica della condivisione e della corresponsabilità, cioè nella consapevolezza che non si può più parlare del “noi” senza mettere radicalmente in gioco “l’io”, cioé la nostra stessa vita. Ovvero che non possiamo cambiare il contesto se, contestualmente, non cambiamo noi stessi, incarnando il cambiamento che desideriamo.

Fuori e dentro, società e individuo, impegno sociale e formazione di sé sono interdipendenti, bisognosi l’uno dell’altro. Quando si parla di 'nuovo umanesimo' e questa strada che dobbiamo immaginare. Una strada difficile, in gran parte inesplorata e impervia, ma necessaria per costruire un mondo realmente diverso, senza mafie e tutto cio che le rende possibili. Una strada che lavialibera non vuole solo percorrere ma anche, nel suo piccolo, costruire.



La rivista
Gen/Feb 2020 - Numero 1

Mafia siciliana.
Cosa cova



mercoledì 29 gennaio 2020

Il memorabile discorso di Liliana Segre al Parlamento Europeo - Video integrale


Il memorabile discorso di Liliana Segre al Parlamento Europeo


La senatrice a vita, sopravvissuta ad Auschwitz, interviene al Parlamento europeo, in occasione dell'evento in commemorazione del 75esimo Anniversario della Liberazione del Campo di Auschwitz. "All'ingresso ho visto le bandiere colorate di tanti stati affratellati al Parlamento europeo, dove si parla , si discute, ci si guarda negli occhi. Non è stato sempre così" 


Segre al Parlamento Europeo:
 "Ancora oggi qualcuno nega l'Olocausto, 
ma è impossibile dimenticare il male altrui"

"La Giornata della Memoria è una giornata a volte ripetuta troppo, dandole un'importanza che in fondo...Non è vero che Auschwitz sia stato liberato quel giorno" dice Liliana Segre nel corso del suo intervento (di cui diamo versione video integrale) a Bruxelles. 

"L'Armata rossa è entrata nel campo ed è molto bella la descrizione che fa Primo Levi ne "La tregua" di questi quattro soldati che russi che aprono e si trovano davanti- senza liberare perché i nazisti se ne erano andati da qualche giorno- questo spettacolo incredibile al momento ai loro occhi. Poi più tardi, molto più tardi, diventò uno spettacolo incredibile per chi lo volle guardare. Qualcuno non lo vuole guardare nemmeno adesso, perché dice che non è vero- e "lo stupore per il male altrui": sono queste ancora parole di Primo Levi. Questo stupore per il male altrui, nessuno che è stato prigioniero ad Auschwitz lo ha mai potuto dimenticare in ogni secondo della sua vita. Lo stupore perché altre persone che non sono pazze, che non vengono da un mondo lontano, ma sono tuoi fratelli europei, hanno pensato per te". 

 "Il Parlamento europeo e la mia non estinzione mi sembrano lo stesso miracolo" 
"Il razzismo strutturale c'è ancora. La gente mi chiede perché c'è ancora l'antisemitismo. Perché c'è sempre stato. E' insito nell'animo dei poveri di spirito. Arrivano i momenti più adatti, in cui è più facile far finta di niente, guardare il proprio cortile" dice ancora Segre di fronte alla plenaria di Bruxelles. "Il Parlamento europeo e la mia non-estinzione mi sembrano in questo momento lo stesso miracolo. 
Quando parlo con i ragazzi è mio dovere di testimone parlare, e non posso che parlare di me: magra, scheletrita, disperata, sola, e non la posso più sopportare. Sento che se non smetto di parlare di quella ragazza, e non mi dedico a godere delle grandi gioie della mia famiglia ritrovata, non lo potrò più fare comunque perché non ce la farò più". 

Ora faccio fatica a ricordare, voglio stare con la mia famiglia 
"Da trent'anni parlo nelle scuole e sento una difficoltà psichica molto forte di continuare. E' mio dovere di testimoniare", ma ormai "da tre anni sento di essere io che salto fuori dalle mie memorie, quella ragazzina magra, denutrita, disperata, sola e non la posso più sopportare" dice, spiegando la scelta di interrompere gli incontri pubblici con gli studenti. "Sono la nonna di me stessa e sento che se non la smetto di parlare, se non mi ritiro, quel tempo che mi resta a ricordare da sola e a pensare alle grandi gioie della mia famiglia ritrovata, non lo potrò più fare comunque perché non ce la farò più". "Sento che i ricordi di quella ragazzina che sono stata non mi danno pace: quella ragazzina lì che ha fatto la marcia della morte, che ha brucato nei letamai e non piangeva più è un'altra da me e io sono anche la nonna di me stessa ed è una sensazione che non mi abbandona".

(fonte: Rai News)


Omelia p. Gregorio Battaglia (VIDEO) - III Domenica T.O. / A - 26/01/2020


Omelia p. Gregorio Battaglia


 III Domenica del Tempo Ordinario / A - 

26/01/2020

Fraternità Carmelitana
di Barcellona Pozzo di Gotto

... Gesù è maestro nell'ascolto della Parola di Dio, Lui dobbiamo guardare, perché Lui ci insegna ad ascoltare la volontà del Padre e ci insegna a saper stare in questo mondo...
Lui ci viene incontro e viene ad abitare i luoghi più impensabili che noi rifuggiremo... e forse i luoghi più impensabili sono i luoghi dove è più forte l'anelito a ritrovare noi stessi: "chi sono io?" e Lui dice: "tu appartieni a quel Padre, quel Padre che è Padre mio e Padre vostro, Padre tuo, e anche tu sei chiamato a ritrovare la tua vera dignità" perciò dice Gesù "Convertitevi, ritornate a quello che è il legame vero, riscopri tu la tua vera essenza, tu sei figlio!" ...
Dio Padre non può sopportare che una sua creatura, un suo figlio possa perdersi e noi siamo chiamati a manifestarlo, intanto a prendere coscienza che siamo figli, figli di questo Padre. Ma essere figli significa ... scoprirsi fratelli e sorelle ...
Il Signore ci aiuti a diventare suoi discepoli ... e portare quest'umanità al vero senso della vita che non è quello di odiare, ma è quello di donare, di creare relazioni, di essere capaci di suscitare in noi e attorno a noi una vera custodia dell'altro; l'altro mi interessa perché è mio fratello e non lo posso peredere, lo devo riportare al Padre ...

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«Quando manca la gioia nel nostro cuore, non c’è fecondità... La Chiesa andrà avanti soltanto con evangelizzatori gioiosi, pieni di vita.» - Papa Francesco - S. Messa Cappella della Casa Santa Marta - (video e testo)

S. Messa - Cappella della Casa Santa Marta, Vaticano
28 gennaio 2020
inizio 7 a.m. fine 7:45 a.m. 

Papa Francesco:
“Prigionieri delle formalità”


È il sentimento di gioia dell’essere cristiani che Papa Francesco ha posto al centro della sua omelia alla Messa a Casa Santa Marta di martedì mattina, 28 gennaio. Lo spunto gli è stato offerto dalla prima Lettura del giorno, tratta dal secondo libro di Samuèle, in cui si racconta di Davide e di tutto il popolo d’Israele in festa per il ritorno dell’Arca dell’Alleanza a Gerusalemme.

L’arca era stata rapita, ha ricordato il Pontefice, e il suo ritorno «è una gioia grande per il popolo». Il popolo sente che Dio gli è vicino e fa festa. E il re Davide è con lui, si mette alla testa della processione, fa un sacrificio immolando un giovenco e un ariete grasso. Con il popolo poi grida, canta e balla «con tutte le forze».

«Era una festa: la gioia del popolo di Dio perché Dio era con loro. E Davide? Balla. Balla davanti al popolo, — ha affermato il Papa — esprime la sua gioia senza vergogna; è la gioia spirituale dell’incontro con il Signore: Dio è tornato da noi, e questo ci dà tanta gioia. Davide non pensa che è il re e che il re deve essere distaccato dalla gente, la “sua maestà”, con la distanza». Infatti «Davide ama il Signore — ha proseguito Francesco —, è felice per questo evento di portare l’arca del Signore. Esprime questa felicità, questa gioia, ballando e sicuramente anche cantava come tutto il popolo».

Il Pontefice ha poi fatto notare che succede anche a noi di sentire la gioia «quando siamo con il Signore» e, magari in parrocchia o nei paesi, la gente fa festa. Cita poi un altro episodio della storia di Israele, quando venne ritrovato il libro della legge al tempo di Neemia e anche allora «il popolo piangeva di gioia», continuando anche a casa a festeggiare.

Il testo del profeta Samuele continua descrivendo il rientro di Davide nella sua casa dove trova una delle mogli, Mical, la figlia di Saul. Lei lo accoglie con disprezzo. Vedendo il re ballare si era vergognata di lui e lo rimprovera dicendogli: «Ma ti sei vergognato ballando come un volgare, come uno del popolo?». E Papa Francesco ha osservato: «È il disprezzo della religiosità genuina, della spontaneità della gioia con il Signore. E Davide le spiega: “Ma guarda, era motivo di gioia questo. La gioia nel Signore, perché abbiamo portato l’arca a casa!”. Ma lei lo disprezza. E dice la Bibbia che questa signora — si chiamava Mical — non ha avuto figli per questo». Difatti «il Signore l’ha punita. Quando manca la gioia in un cristiano, — ha commentato il Pontefice — quel cristiano non è fecondo; quando manca la gioia nel nostro cuore, non c’è fecondità».

Papa Francesco ha quindi sottolineato che la festa non si esprime solo spiritualmente, ma diventa condivisione. Davide, quel giorno, dopo la benedizione, aveva distribuito «una focaccia di pane per ognuno, una porzione di carne arrostita e una schiacciata di uva passa», perché ognuno festeggiasse nella propria casa. «La Parola di Dio non si vergogna della festa», ha affermato Francesco, prima di proseguire: «È vero, a volte il pericolo della gioia è andare oltre e credere che questo è tutto. No: questa è l’aria di festa». E in proposito ha ricordato che san Paolo VI nella sua esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, parla di questo aspetto ed esorta alla gioia.

Infine il Pontefice ha rimarcato che «La Chiesa non andrà avanti, il Vangelo non andrà avanti con evangelizzatori noiosi, amareggiati. No. — ha insistito il Papa — Andrà avanti soltanto con evangelizzatori gioiosi, pieni di vita. La gioia nel ricevere la Parola di Dio, la gioia di essere cristiani, la gioia di andare avanti, la capacità di fare festa senza vergognarsi e non essere come questa signora, Mical, cristiani formali, cristiani prigionieri delle formalità». Che il Signore, ha concluso Francesco, «ci dia la grazia della gioia e anche la grazia di gioire con il popolo di Dio».
(fonte: L'Osservatore Romano, articolo di Adriana Masotti)

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martedì 28 gennaio 2020

Non si va in pensione dal Vangelo - Congresso "La ricchezza degli anni" (Roma 29/31 gennaio)


Non si va in pensione dal Vangelo

· Presentato il primo congresso internazionale di pastorale per gli anziani ·

In un mondo che insegue i miti dell’efficienza, del guadagno e della produttività, qual è il posto degli anziani? Chi porta con sé il bagaglio degli anni è un peso o il custode di una ricchezza? E se in questo tempo l’anziano viene emarginato e scartato finanche dalla propria famiglia, non sarà la Chiesa a dovere e a voler essere la famiglia degli anziani?

È quanto si chiederanno, cercando risposte comuni, circa 550 esperti e operatori pastorali che si riuniranno dal 29 al 31 gennaio a Roma, presso l’Augustinianum, per il primo congresso internazionale di pastorale per gli anziani, organizzato dal Dicastero per i laici, la famiglia e la vita e significativamente intitolato: «La ricchezza degli anni». L’iniziativa è stata illustrata ai giornalisti nel corso di un incontro svoltosi la mattina di martedì 28 gennaio nella Sala stampa della Santa Sede.

«Il nostro desiderio — ha detto Vittorio Scelzo, uno dei responsabili del nuovo ufficio della pastorale per gli anziani creato all’interno del Dicastero — è di far sì che l’insistenza magisteriale del Papa su questo tema e il lavoro che tante associazioni, movimenti e persone fanno nella vita quotidiana per il sostegno agli anziani diventino una cultura stabile e diffusa a livello della vita della Chiesa».

La società contemporanea, infatti, appare sempre più messa in difficoltà e in imbarazzo da un fenomeno che è sotto gli occhi di tutti: il notevole incremento della popolazione di età pari o superiore ai 65 anni, che arriverà a contare, entro il 2050, oltre un miliardo e mezzo di persone. Ma ciò che agli occhi del mondo sembra un “problema”, come è visto e vissuto dalla Chiesa?

Più e più volte Papa Francesco si è soffermato su questa realtà. Lo scorso dicembre, ad esempio, parlando ai membri dell’Associazione nazionale lavoratori anziani ricevuti in udienza, invitava a considerare la vecchiaia come «la stagione del dono e del dialogo» e a contrastare lo «stereotipo tradizionale dell’anziano: malato, invalido, dipendente, isolato, assediato da paure, lasciato da parte, con una identità debole per la perdita di un ruolo sociale». Continui sono stati gli appelli del Pontefice a costruire «con tenacia una società diversa, più accogliente, umana e inclusiva, che non ha bisogno di scartare chi è debole nel corpo e nella mente».

Come anticipato ai giornalisti da alcuni dei partecipanti al congresso, la tre giorni romana è un’occasione per condividere e conoscere esperienze da ogni latitudine. Il fenomeno dell’invecchiamento della popolazione, infatti, non tocca solo i paesi ricchi. Non a caso solo il 10 per cento dei congressisti iscritti, infatti, è italiano. Perciò viene spiegato anche, ad esempio, cosa significa vivere da anziani in Africa, dove la famiglia tradizionale è in crisi. Si condividono esperienze come quelle della Pastoral da pessoa idosa in Brasile, del movimento Vita ascendente in Spagna o della associazione Comunità Giovanni xxiii in Italia e in 43 paesi dei vari continenti.

«Da questo incontro — ha spiegato Scelzo — non ci aspettiamo che escano linee pastorali già ben definite. Sicuramente, però, inizieremo a mettere quanti si dedicano agli anziani, in rete tra loro e con rappresentanze più istituzionali, come le conferenze episcopali, affinché tutto questo diventi patrimonio condiviso della Chiesa». Bisogna, ha aggiunto, «fare in modo che la generosità di alcuni diventi la cultura di tutti».

Il congresso, che si apre nel pomeriggio di mercoledì 29 con la relazione introduttiva del cardinale prefetto Kevin Farrell, è articolato in tre sessioni tematiche: la prima dedicata al contrasto della cultura dello scarto, la seconda al rapporto tra generazioni all’interno delle famiglie e, infine, la terza durante la quale verrà evidenziato il ruolo, all’interno della Chiesa, di chi è “più ricco di anni”.

«Vorremmo — ha spiegato Scelzo — che si risvegliasse negli anziani la consapevolezza di essere loro stessi protagonisti. Il Papa ha detto “Non dovete tirare i remi in barca” e davvero tante persone, libere dagli impegni di lavoro, possono dare tanto alla Chiesa, possono essere comunicatori del Vangelo». Ma il congresso è anche un’occasione per crescere nella consapevolezza che tante persone hanno bisogno di aiuto per trovare un senso spirituale alla stagione che stanno vivendo: «L’età, si sta progressivamente allungando, e a questi anni in più che si aggiungono come prospettiva di vita va dato un senso cristiano. Non si va mai in pensione dal Vangelo».

Poi c’è il grande tema della cultura dello scarto. Per la Chiesa, ha sottolineato Scelzo, è inaccettabile pensare che ci siano persone letteralmente abbandonate negli istituti. E ha anticipato una delle tante “provocazioni” che potrebbero scaturire dal congresso «A Roma, ad esempio, ci sono 400 istituti di riposo per anziani e 350 parrocchie. Non potrebbe ogni parrocchia impegnarsi a far visita e a coinvolgere gli anziani soli che vengono ospitati in tali strutture?». Fondamentale è, in definitiva, nutrire la consapevolezza che là dove gli anziani non hanno più una famiglia, possono trovarla nelle comunità ecclesiali.

Presentazione del Congresso "La ricchezza degli anni" nella sala stampa della Santa Sede

Alla presentazione del Congresso "La ricchezza degli anni" ha partecipato anche Daniela Drei, dell’Associazione Comunità Giovanni XXIII, che ha illustrato il progetto “La casa dei nonni”, un centro diurno in cui gli anziani sono visti come nonni e sono accolti da operatori e volontari qualificati. Si tratta di una iniziativa nata a Forlì dalla collaborazione fra la Comunità e la Parrocchia Santa Maria Ausiliatrice


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