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domenica 31 luglio 2022

29/07/2022 VIAGGIO APOSTOLICO DI PAPA FRANCESCO IN CANADA - Conferenza stampa durante il volo di ritorno (foto, testo e video)

VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ FRANCESCO
IN CANADA
(24 - 30 LUGLIO 2022)

CONFERENZA STAMPA DEL SANTO PADRE
DURANTE IL VOLO DI RITORNO

Volo Papale
Venerdì, 29 luglio 2022






Matteo Bruni

Buonasera a tutti. Santità, sono stati giorni di pellegrinaggio e di penitenza in varie tappe con tanti incontri, gesti – questo ultimo, toccante, a Iqaluit. Questi giorni – lo ha detto Lei stesso – non si concludono nel lasciare questa terra, e anche in questo senso arriviamo a questo incontro con i giornalisti. Ma forse Lei vorrà dirci qualche parola prima ancora di incominciarlo …

Papa Francesco

Buona sera e grazie dell’accompagnamento vostro, del vostro lavoro qui. So che avete lavorato tanto, mi hanno detto come vi siete mossi. E grazie anche della compagnia. Grazie.

Matteo Bruni

La prima domanda, questa sera, è di Jessica Ka’Nhehsíio DEER, giornalista canadese di origine Inuit.

Jessica Ka’Nhehsíio DEER (CBC RADIO - CANADA INDIGENOUS)

In quanto discendente di un sopravvissuto di una scuola residenziale, so che i sopravvissuti e le loro famiglie vogliono vedere azioni concrete che seguano le Sue scuse, compreso il rifiuto della “dottrina della scoperta”. Considerando che questa è ancora inserita nella Costituzione e nei sistemi legali in Canada e negli Stati Uniti, dove le popolazioni indigene continuano a essere defraudate delle loro terre e private di potere, non è stata un’occasione perduta per fare una dichiarazione in tal senso durante il Suo viaggio in Canada?

Papa Francesco

Sull’ultima cosa, non capisco il problema…

Jessica Ka’Nhehsíio DEER

È nel fatto che le popolazioni indigene ancora oggi sono private di terre e potere, in forza di quelle Bolle papali e di questo concetto della dottrina della scoperta.

Quando parlo con persone indigene, loro dicono che quando le persone sono venute a colonizzare le Americhe, c’era questa dottrina della scoperta che dava in qualche modo forza all’idea che i popoli indigeni dei nuovi Paesi fossero inferiori rispetto ai cattolici. Questo è il modo in cui il Canada e gli Stati Uniti sono diventati “Paesi”.

Papa Francesco

Grazie per la domanda. Credo che questo sia un problema di ogni colonialismo. Anche oggi: le colonizzazioni ideologiche di oggi hanno lo stesso schema. Chi non entra nella sua via, è inferiore. Ma voglio andare più avanti, su questo. Erano considerati non solo inferiori: qualche teologo un po’ pazzo si domandava se avessero un’anima. Quando Giovanni Paolo II è andato in Africa, alla porta dove gli schiavi venivano imbarcati [Isola di Gorée, la porta del non ritorno], ha dato un segnale perché noi arrivassimo a capire il dramma, il dramma criminale: quella gente era buttata nella nave, in condizioni disastrose e poi erano schiavi in America. È vero che c’erano voci che parlavano chiaro, come Bartolomeo de las Casas, per esempio, Pedro Claver, ma erano la minoranza. La coscienza della uguaglianza umana è arrivata lentamente. E dico la coscienza, perché nell’inconscio ancora c’è qualcosa… Sempre noi abbiamo – mi permetto di dirlo – come un atteggiamento colonialista di ridurre la loro cultura alla nostra. È una cosa che ci viene dal modo di vivere sviluppato, nostro, e a volte perdiamo dei valori che loro hanno.

Per esempio: i popoli indigeni hanno un grande valore che è l’armonia con il Creato, e almeno alcuni che conosco lo esprimono nella parola vivere bene [bien vivir]. Questa parola non vuol dire, come intendiamo noi occidentali, passarla bene o fare la dolce vita, no. Vivere bene è custodire l’armonia. E questo per me è il grande valore dei popoli originari. L’armonia. Noi siamo abituati a ridurre tutto alla testa: invece i popoli originari – sto parlando in genere – sanno esprimersi in tre linguaggi: quello della testa, quello del cuore e quello delle mani. Ma tutti insieme e sanno avere questo linguaggio con il creato.

Poi, questo progressismo accelerato dello sviluppo un po’ esagerato, un po’ nevrotico che noi abbiamo, non è vero? Non parlo contro lo sviluppo: lo sviluppo è buono. Ma non è buono con l’ansia dello sviluppo sviluppo sviluppo… Guarda, una delle cose che la nostra civiltà sovrasviluppata, commerciale ha perso è la capacità della poesia: i popoli indigeni hanno quella capacità poetica. Non sto idealizzando.

Poi, questa dottrina della colonizzazione: è vero, è cattiva, è ingiusta. Anche oggi è usata, lo stesso, con guanti di seta, forse, ma è usata, oggi. Per esempio, alcuni vescovi di qualche Paese mi hanno detto: “Il nostro Paese, quando chiede un credito a un’organizzazione internazionale, ci mettono delle condizioni, anche legislative, colonialiste. Per darti il credito ti fanno cambiare un po’ il tuo modo di vivere”. Tornando alla colonizzazione nostra dell’America, quella degli inglesi, dei francesi, degli spagnoli, dei portoghesi: sono quattro [potenze coloniali] per le quali sempre c’è stato quel pericolo, anzi, quella mentalità “noi siamo superiori e questi indigeni non contano”, e questo è grave. Per questo dobbiamo lavorare in quello che tu dici: andare indietro e sanificare, diciamo così, quello che è stato fatto male, nella consapevolezza che anche oggi esiste lo stesso colonialismo. Pensa, per esempio, a un caso, che è universale e mi permetto di dirlo: penso al caso dei Rohingya, in Myanmar: non hanno diritto a cittadinanza, sono di un livello inferiore. Anche oggi. Thank you very much.

Matteo Bruni

La seconda domanda, Santità, viene da un’altra giornalista canadese, Brittany Hobson.

Brittany HOBSON (THE CANADIAN PRESS)

Buona sera, Papa Francesco. Mi chiamo Brittany Hobson, del Canadian Press. Spesso Lei ha detto che è necessario parlare in termini chiari, onesti, diretti e con parresia. Lei sa che la Commissione canadese per la verità e la riconciliazione ha descritto il sistema delle scuole residenziali come genocidio culturale, e questa espressione è stata corretta in genocidio semplicemente. Le persone che in questa scorsa settimana hanno ascoltato le Sue parole di scusa hanno lamentato il fatto che non sia stato usato il termine genocidio. Lei userebbe questo termine e riconoscerebbe che membri della Chiesa hanno partecipato a questo genocidio?

Papa Francesco

È vero, non ho usato la parola perché non mi è venuta in mente, ma ho descritto il genocidio e ho chiesto scusa, perdono per questo lavoro che è genocida. Per esempio, ho condannato questo pure: togliere i bambini, cambiare la cultura, cambiare la mente, cambiare le tradizioni, cambiare una razza, diciamo così, tutta una cultura. Sì, è una parola tecnica – genocidio – ma io non l’ho usata perché non mi è venuta in mente. Ma ho descritto che era vero, sì, era un genocidio, sì, sì, tranquilli. Tu dì che io ho detto che sì, è stato un genocidio. Thank you.

Matteo Bruni

L’altra domanda viene da Valentina Alazraki – la conosce bene – di Televisa.

Maria Valentina ALAZRAKI CRASTICH (TELEVISA)

Papa Francesco, buona sera. Supponiamo che questo viaggio in Canada sia stato anche un test, una prova per la Sua salute, per quelle che Lei questa mattina ha definito “limitazioni fisiche”. Allora volevamo sapere: dopo questa settimana, cosa ci può dire dei Suoi futuri viaggi? Se vuole continuare a viaggiare così? Se ci saranno dei viaggi che non può fare per queste limitazioni oppure se magari dopo una settimana pensa che l’operazione al ginocchio potrebbe risolvere di più la situazione e viaggiare in una maniera… come prima?

Papa Francesco

Grazie. Non so… Non credo che possa andare con lo stesso ritmo dei viaggi di prima. Credo che alla mia età e con questa limitazione devo risparmiare un po’ per poter servire la Chiesa o, al contrario, pensare alla possibilità di farmi da parte. Questo con tutta onestà. Non è una catastrofe, si può cambiare Papa, si può cambiare, non c’è problema! Ma credo che devo limitarmi un po’ con questi sforzi. L’intervento chirurgico al ginocchio non va, non va nel mio caso. I tecnici dicono di sì, ma c’è tutto il problema dell’anestesia: io ho subito dieci mesi fa più di sei ore di anestesia e ancora ci sono le tracce. Non si gioca, non si scherza con l’anestesia. E per questo si pensa che non sia del tutto conveniente. Ma io cercherò di continuare a fare dei viaggi ed essere vicino alla gente, perché credo che sia un modo di servire, la vicinanza. Ma più di questo non mi viene di dire. Speriamo… In Messico non è previsto… ancora!

Maria Valentina ALAZRAKI

E Kazakhstan? E se va in Kazakhstan, non dovrebbe anche andare in Ucraina, magari, se va in Kazakhstan?

Papa Francesco

Io ho detto che in Ucraina vorrei andarci. Vediamo adesso cosa trovo quando vedo a casa. Il Kazakhstan, per il momento, mi piacerebbe andare: è un viaggio tranquillo, senza tanto movimento, è un congresso di religioni. Ma per il momento, tutto rimane. Devo andare anche in Sud Sudan prima che nel Congo, perché è un viaggio con l’Arcivescovo di Canterbury e con il Vescovo della Chiesa di Scozia, tutti e tre insieme, come tutti e tre abbiamo fatto il ritiro di due anni fa. Poi il Congo. Ma sarà l’anno prossimo, perché c’è la stagione delle piogge… Vediamo. Io ho tutta la buona volontà, ma vediamo la gamba cosa dice.

Matteo Bruni

La prossima domanda Santità è di Caroline Pigozzi, di Paris Match.

Caroline Pigozzi

Buonasera Santo Padre, stamattina ha incontrato nell’arcivescovado, come ogni volta che si reca in un Paese, i membri locali della Compagnia di Gesù, la sua famiglia. Nove anni fa, tornando dalla GMG in Brasile, le avevo chiesto, il 28 luglio 2013, se si sentiva ancora gesuita. La risposta fu positiva. Il 4 dicembre scorso Lei ha spiegato, dopo aver visto ad Atene i gesuiti della Grecia: “Quando uno avvia un processo deve lasciare che si sviluppi, che un’opera cresca e poi ritirarsi. Ogni gesuita deve fare così, nessuna opera gli appartiene perché è del Signore”. Santo Padre, questa dichiarazione potrebbe anche un giorno essere valida per un Papa gesuita?

Papa Francesco

Credo di sì, sì.

Caroline Pigozzi

Vuol dire che potrebbe ritirarsi come i gesuiti?

Papa Francesco

Sì, sì, è una vocazione.

Caroline Pigozzi

Di essere Papa o di essere gesuita?

Papa Francesco

Che il Signore dica. Il gesuita cerca – cerca, non lo fa sempre, non può, cerca – di fare la volontà del Signore, anche il Papa gesuita deve fare lo stesso. Quando il Signore parla, se il Signore ti dice “vai avanti”, tu vai avanti; se il Signore ti dice “vai all’angolo”, te ne vai all’angolo. Ma è il Signore che…

Caroline Pigozzi

Ma quello che dice vuol dire che si aspetta la morte a quel punto…

Papa Francesco

Ma tutti noi aspettiamo la morte!

Caroline Pigozzi

No, ma voglio dire, non si ritira prima…

Papa Francesco

Quello che il Signore dica. Il Signore può dire: “Dimettiti”. È il Signore che comanda. Una cosa su Sant’Ignazio, questo è importante: quando uno era stanco, malato, diceva a Sant’Ignazio: “Io non posso fare la preghiera”, e lui dispensava dalla preghiera. Ma mai dispensava dall’esame di coscienza: due volte al giorno guardare cosa è successo… Non è questione di peccati o non peccati, no: “Quale spirito mi ha mosso oggi?”. La nostra vocazione diceva: cercare cosa è successo oggi. Se io – questa è un’ipotesi – vedo che il Signore mi dice qualcosa, un’ispirazione di quello o dell’altro, devo fare un discernimento per vedere cosa chiede il Signore. E può darsi che il Signore mi vuole mandare all’angolo, è cosa sua, è Lui che comanda. Questo credo che è il modo religioso di vivere di un gesuita: stare nel discernimento spirituale per prendere delle decisioni, per scegliere vie di lavoro e anche scegliere gli impegni. Il discernimento è chiave nella vocazione del gesuita. Questo è importante. Sant’Ignazio in questo era molto fermo, perché è stata la sua propria esperienza del discernimento spirituale che lo ha portato alla conversione. E gli esercizi spirituali sono davvero una scuola di discernimento. Così, il gesuita dev’essere per vocazione un uomo di discernimento, discernere le situazioni, discernere la propria coscienza, discernere le decisioni da prendere. E per questo dev’essere aperto a qualsiasi cosa che il Signore gli chieda. Questa è un po’ la nostra spiritualità.

Caroline Pigozzi

Ma Lei si sente più Papa o più gesuita adesso?

Papa Francesco

Mai ho fatto quella misura! Mai l’ho fatta! Io mi sento servitore del Signore, con l’abitudine gesuita, perché non esiste una spiritualità papale, quella non esiste. Ogni Papa porta avanti la propria spiritualità. Pensa a san Giovanni Paolo II, con quella bella spiritualità mariana che aveva, l’aveva prima e l’aveva da Papa. Pensa a tanti Papi che hanno portato avanti la propria spiritualità. Il papato non è una spiritualità, è un lavoro, è una funzione, è un servizio, ma ognuno lo porta avanti con la propria spiritualità, con il proprio grazie, con la propria fedeltà e anche con i propri peccati. Ma non c’è una spiritualità papale, per questo non c’è confronto tra la spiritualità gesuitica e la spiritualità papale perché questa seconda non esiste. Hai capito? Grazie, grazie.

Matteo Bruni

Un’altra domanda, Santità, viene da una giornalista tedesca, Severina BARTONITSCHEK, dell’Agenzia di stampa cattolica tedesca.

Severina Elisabeth BARTONITSCHEK (CIC)

Buona sera. Santo Padre, ieri ha parlato anche della fraternità della Chiesa, di una comunità che sa ascoltare e entrare in dialogo, che promuove una qualità buona delle relazioni. Ma qualche giorno fa c’è stata la dichiarazione della Santa Sede sul Cammino sinodale della Germania, senza firma. Pensa che questo modo di comunicare contribuisce oppure è un ostacolo per il dialogo?

Papa Francesco

Prima di tutto, quel comunicato lo ha fatto la Segreteria di Stato, è stato uno sbaglio non dire sotto… Credo che si diceva “Comunicato della Segreteria di Stato” ma non sono sicuro. Ma è stato uno sbaglio non firmare come Segreteria di Stato, uno sbaglio di ufficio, non di cattiva volontà. Questo sull’ultima cosa. E sul sogenannter synodaler Weg, sul cammino sinodale, io scrissi una lettera – da solo l’ho fatta, un mese con preghiera, riflessione, consultazioni –, e ho detto tutto quello che dovevo dire sul Cammino sinodale, più di quello non dirò. Quello è il Magistero papale sul Cammino sinodale, quella lettera che scrissi due [tre] anni fa. Ho scavalcato la Curia, perché non ho fatto consultazioni, niente. Ho fatto come un cammino mio, anche come pastore per una Chiesa che sta cercando un cammino, come fratello, come padre, come credente, l’ho fatto così. E questo è il mio messaggio. So che non è facile, ma lì è tutto, in quella lettera. Grazie.

Matteo Bruni

La prossima domanda è di Ignazio Ingrao di Raiuno.

Ignazio Ingrao (RAI - TG1)

L’Italia sta attraversando un momento difficile che desta preoccupazione anche a livello internazionale. C’è la crisi economica, la pandemia, la guerra e ora ci troviamo anche senza un governo. Lei è il Primate d’Italia: nel telegramma al Presidente Mattarella per il suo compleanno ha parlato di un Paese segnato da non poche difficoltà e chiamato a scelte cruciali. Come ha vissuto la caduta di Draghi?

Papa Francesco

Prima di tutto io non voglio immischiarmi nella politica interna italiana. Secondo: Nessuno può dire che il presidente Draghi non fosse un uomo di alta qualità internazionale. È stato presidente della Banca Centrale Europea, una buona carriera, diciamo così. E poi ho fatto una domanda soltanto a uno dei miei collaboratori: “Dimmi, quanti governi ha avuto l’Italia in questo secolo?”. E mi ha detto: “20”. Questa è la mia risposta.

Ignazio Ingrao

Ma Lei che appello fa alle forze politiche in vista di queste difficili elezioni?

Papa Francesco

Responsabilità. Responsabilità civica.

Matteo Bruni

Grazie Santità, grazie Ignazio. E la prossima domanda è di Claire Giangravè, del Religion News Service, una giornalista.

Claire Giangravè (RELIGION NEWS SERVICE)

Salve, Santo Padre, buonasera. Molti cattolici, ma anche molti teologi, credono che sia necessario uno sviluppo nella dottrina della Chiesa per quanto riguarda gli anticoncezionali. Sembrerebbe che anche il suo predecessore, Giovanni Paolo I, pensasse che un divieto totale magari necessitasse di una riconsiderazione. Lei cosa pensa al riguardo, nel senso: è aperto, insomma ad una rivalutazione in questo senso? O esiste una possibilità per una coppia di considerare gli anticoncezionali?

Papa Francesco

Ho capito, questa è una cosa molto puntuale. Sappiate che il dogma, la morale, è sempre in una strada di sviluppo, ma sviluppo nello stesso senso. Per utilizzare una cosa che è chiara, credo di averlo detto altre volte qui, per lo sviluppo di una questione morale, uno sviluppo teologico, diciamo così, o dogmatico, c’è una regola che è chiarissima e illuminante, l’ho detto altre volte: quello che ha fatto Vincenzo di Lérins, nel secolo V, era un francese. Dice che la vera dottrina, per andare avanti, per svilupparsi, non deve essere quieta, si sviluppa ut annis consolidetur, dilatetur tempore, sublimetur aetate. Cioè si consolida con il tempo, si dilata e si consolida e diventa più ferma ma sempre progredendo. È per questo che il dovere dei teologi è la ricerca, la riflessione teologica. Non si può fare teologia con un “no” davanti. Poi sarà il Magistero a dire: “No, sei andato oltre, torna”. Ma lo sviluppo teologico deve essere aperto, i teologi ci sono per questo. E il Magistero deve aiutare a capire i limiti. Sul problema degli anticoncezionali, so che è uscita una pubblicazione, su questo tema e altri temi matrimoniali. Sono gli atti di un congresso e nel congresso ci sono le “ponenze”, poi discutono fra loro e fanno le proposte. Dobbiamo essere chiari: questi che hanno fatto questo congresso hanno fatto il loro dovere, perché hanno cercato di andare avanti nella dottrina, ma in senso ecclesiale, non fuori, come ho detto con quella regola di Vincenzo di Lérins. Poi il Magistero dirà: “Sì va bene” – “Non va bene”.

Ma tante cose sono chiamate in causa. Pensa per esempio alle armi atomiche: oggi ho ufficialmente dichiarato che l’uso e il possesso delle armi atomiche è immorale. Pensa alla pena di morte: prima la pena di morte, sì… Adesso posso dire che siamo vicino all’immoralità, perché la coscienza morale si è sviluppata bene…

Per essere chiaro: quando il dogma o la morale si sviluppa, sta bene, ma in quella direzione, con le tre regole di Vincenzo di Lérins. Credo che questo sia molto chiaro: una Chiesa che non sviluppa in senso ecclesiale il suo pensiero, è una Chiesa che va indietro. E questo è il problema di oggi, di tanti che si dicono “tradizionali”. No, non sono tradizionali, sono “indietristi”, vanno indietro, senza radici. Sempre è stato fatto così, nel secolo scorso è stato fatto così. E l’“indietrismo” è un peccato, perché non va avanti con la Chiesa. Invece la tradizione - diceva qualcuno, credo che l’ho detto in uno dei discorsi -, la tradizione è la fede viva dei morti. Invece per questi “indietristi” che si dicono tradizionalisti è la fede morta dei viventi. La tradizione è proprio la radice di ispirazione per andare avanti nella Chiesa. E sempre questo è verticale. L’“indietrismo” è andare indietro, è sempre chiuso. È importante capire bene il ruolo della tradizione, che è sempre aperta, come le radici dell’albero, e l’albero cresce così... Un musicista aveva una frase molto bella, Gustav Mahler diceva: la tradizione in questo senso è la garanzia del futuro, è la garanzia, non è un pezzo da museo. Se tu concepisci la tradizione chiusa, questa non è la tradizione cristiana. Sempre è il succo delle radici che ti porta avanti, avanti, avanti… Per questo, per quello che tu dici, bisogna pensare e portare avanti la fede e la morale, e finché va nella direzione delle radici, del succo, va bene. Con queste tre regole di Vincenzo di Lérins che ho menzionato.

Matteo Bruni

C’è ancora una domanda da parte di Eva Fernandez di Cope.

Eva Fernandez (Cadena Cope)

Santo Padre, alla fine di agosto abbiamo un Concistoro. Ultimamente molti Le hanno chiesto se ha pensato di dimettersi, non si preoccupi, questa volta non glielo chiederemo, ma siamo curiosi, Santo Padre: ha mai pensato quali caratteristiche vorrebbe che avesse il suo successore?

Papa Francesco

Questo è un lavoro dello Spirito Santo, sai? Io non oserei mai pensare… Lo Spirito Santo questo lo sa fare meglio me, è meglio di tutti noi. Perché ispira le decisioni al Papa, sempre ispira. Perché è vivo nella Chiesa, non si può concepire la Chiesa senza lo Spirito Santo, è Colui che fa le differenze, fa anche il chiasso - pensa alla mattina di Pentecoste – ma poi fa l’armonia. È importante parlare di “armonia” più che di “unità”. Unità, ma armonia, non come cosa fissa. Lo Spirito Santo ti dona un'armonia che è progressiva, che va avanti. A me piace quello che San Basilio dice dello Spirito Santo: “Ipse armonia est”, “Lui è l’armonia”. È armonia perché prima ti fa il chiasso con la differenza dei carismi. Lasciamo questo lavoro allo Spirito Santo. Sulle mie dimissioni, vorrei ringraziare di un bell'articolo che ha fatto una di voi, su tutti i segnali che potrebbero condurre a una dimissione e tutti i segni che stanno apparendo. Questo è un bel lavoro giornalistico, un giornalista che poi alla fine dà un’opinione. Vedere anche i segnali, non solo le dichiarazioni; quel linguaggio sotterraneo che anche dà dei segnali. Saper leggere i segnali o almeno fare uno sforzo di interpretazione che può essere questo o può essere quell’altro, questo è un bel lavoro vostro e ringrazio tanto.

Matteo Bruni

Allora, forse un’ultima domanda da parte di Phoebe Natanson di ABC.

Phoebe Natanson (ABC NEWS)

Scusi, Santo Padre, lo so che ha avuto molte domande di questo tipo, ma volevo chiedere, in questo periodo, con le difficoltà della salute e tutto, Le è venuto in mente l’idea che può darsi fosse il momento di ritirarsi? Ha avuto dei problemi che Le hanno fatto pensare a questo? Ci sono stati dei momenti difficili che Le hanno fatto pensare a questo?

Papa Francesco

La porta è aperta, è una delle opzioni normali, ma fino ad oggi non ho bussato a quella porta, non ho detto: “Andrò in questa stanza”. Non ho sentito di pensare a questa possibilità. Ma forse questo non vuol dire che dopodomani non ci cominci a pensare, no? Ma in questo momento sinceramente no. Anche questo viaggio è stato un po’ il test… È vero che non si può fare viaggi in questo stato, si deve forse cambiare un po’ lo stile, diminuire, pagare i debiti dei viaggi che ancora si devono fare, risistemare… Ma sarà il Signore a dirlo. La porta è aperta, questo è vero.

E poi, prima di congedarmi, vorrei parlare di una cosa che per me è molto importante. Il viaggio qui in Canada era molto legato alla figura di Sant’Anna. Ho detto alcune cose sulle donne, ma soprattutto sulle anziane, sulle mamme e sulle nonne. E ho sottolineato una cosa che è chiara: la fede va trasmessa “in dialetto”, e il dialetto – l’ho detto chiaramente – materno, il dialetto delle nonne. Noi abbiamo ricevuto la fede in quella forma dialettale femminile, e questo è molto importante: il ruolo della donna nella trasmissione della fede e nello sviluppo della fede. È la mamma o la nonna a insegnare a pregare, è la mamma o la nonna a spiegare le prime cose che il bambino non capisce della fede. E io oso dire che questa trasmissione “dialettale” della fede è femminile. Qualcuno può dirmi: ma teologicamente come lo spiega? Perché, dirò, quella che trasmette la fede è la Chiesa e la Chiesa è donna, la Chiesa è sposa; la Chiesa non è maschio, la Chiesa è donna. E noi dobbiamo entrare in questo pensiero della Chiesa donna, della Chiesa madre, che è più importante di qualsiasi fantasia ministeriale maschilista o qualsiasi potere maschilista. La Chiesa mater, la maternità della Chiesa. Quella che è la figura della Madre del Signore. È importante in questo senso sottolineare l’importanza nella trasmissione della fede di questo dialetto materno. Ho scoperto questo leggendo ad esempio il martirio dei Maccabei (cfr 2 Mac 7): per due o tre volte dice che la mamma dava loro coraggio in dialetto materno. La fede va trasmessa in dialetto. E quel dialetto lo parlano le donne. Questa è la grande gioia della Chiesa, perché la Chiesa è donna, la Chiesa è sposa. Questo ho voluto dirlo chiaramente pensando a Sant’Anna. Grazie, grazie della pazienza. Grazie dell’ascolto, riposatevi e buon viaggio. Grazie!

Matteo Bruni

Grazie a Lei, Santità, grazie a Lei.

Guarda il video


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Vedi anche il post precedente:



30/07/2022 VIAGGIO APOSTOLICO DI PAPA FRANCESCO IN CANADA (24 - 30 LUGLIO 2022) - Il viaggio del Papa in Canada raccontato in un minuto (video)

VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ FRANCESCO
IN CANADA
(24 - 30 LUGLIO 2022)

Sabato, 30 luglio 2022


Il viaggio del Papa in Canada raccontato in un minuto

In un video, i sei giorni del 37.mo viaggio apostolico di Papa Francesco attraverso la terra canadese, da ovest ad est e poi a nord verso l'Artico. Un "pellegrinaggio penitenziale" in cui il Papa ha ribadito indignazione e vergogna per la partecipazione di molti cristiani al sistema delle scuole penitenziali strumento di assimilazione culturale che ha causato devastanti conseguenze nelle popolazioni indigene. Un percorso per riprendere a camminare insieme verso riconciliazione e guarigione



"Un cuore che ascolta - lev shomea" n. 39/2021-2022 anno C

"Un cuore che ascolta - lev shomea"

"Concedi al tuo servo un cuore docile,
perché sappia rendere giustizia al tuo popolo
e sappia distinguere il bene dal male" (1Re 3,9)



Traccia di riflessione sul Vangelo
a cura di Santino Coppolino

 XVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

Vangelo:


«I miei frutti ... i miei granai ... i miei beni ... la mia vita!». Avidità, brama di possesso, cupidigia, sono espressione dell'egoismo degli uomini, che si manifesta nel possedere di più: «Io... io... io... il mio lavoro, la mia ricchezza, il mio comfort: che mi interessa degli altri?» (cit.). L'accumulo dei beni è il maldestro tentativo che da sempre l'uomo mette in atto per salvare la propria vita dalla minaccia sempre incombente della miseria e dalla morte. E' quello che Gesù chiama: «il lievito dei farisei». La nostra vita non dipende dai beni che accumuliamo, ma ha la sua fonte nel Padre, per questo siamo suoi figli e fratelli fra di noi. Se, invece, facciamo dipendere la nostra esistenza dalle cose che possediamo Dio non è più nostro Padre e gli altri diventano dei pericolosi concorrenti. I beni sono doni della munificenza del Signore per la vita di tutti e tali devono rimanere, perché possiamo condividerli con i fratelli. Possediamo realmente solo ciò che condividiamo; quello invece che tratteniamo per noi ci possiede, come un idolo che pianta le sue venefiche radici nel nostro cuore e pian piano ci conduce alla morte. La lezione che Gesù offre ad ognuno di noi è di fondamentale importanza sia per il possidente stupido (gr. àfron = senza cervello) che per la Comunità dei credenti. Tutte le volte che lo dimentichiamo, l'Eden, il Giardino della vita, torna nuovamente ad essere un deserto di morte.


sabato 30 luglio 2022

SENZA NOME, SENZA ABBRACCI - Alla fine dei giorni, sulla colonna dell'avere troveremo solo ciò che abbiamo avuto il coraggio di mettere nella colonna del dare. - XVIII Domenica Tempo Ordinario Anno C - Commento al Vangelo a cura di P. Ermes Ronchi

SENZA NOME, SENZA ABBRACCI
 

Alla fine dei giorni, sulla colonna dell'avere
troveremo solo ciò che abbiamo avuto il coraggio
di mettere nella colonna del dare.

 

I commenti di p. Ermes al Vangelo della domenica sono due:
  • il primo per gli amici dei social
  • il secondo pubblicato su Avvenire

In quel tempo, uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?».
E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede».

Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio». Lc 12,13-21

per i social

SENZA NOME, SENZA ABBRACCI
Un uomo ricco aveva avuto un raccolto abbondante.
Quell’anno la sua campagna era stata generosa, ed egli ragionava tra sé: «Come faccio? Ho troppo! Demolirò i miei magazzini e ne ricostruirò di più grandi».

Scrive san Basilio: E poi cosa farai? Demolirai ancora e ancora ricostruirai?
Con cura costruire, poi con cura demolire: cosa c'è di più insensato, di più inutile?
Demolire per ricostruire, è la logica delle guerre.

L’uomo senza nome si era avvicinato alla giusta intuizione: ho troppo. Ma poi la sua mente ha preso la strada sbagliata, che punta dritto in seno alla solitudine.
Come i due fratelli da cui nasce la parabola, che avviano la contesa, il conflitto sulla base della proprietà. “Dì a mio fratello che divida con me l'eredità”.
Gesù si rifiuta di fare l’arbitro, essere fratelli è un’altra cosa.

Un ricco si illude di avere in tasca la felicità, che invece dipende da due cose: non può essere solitaria e ha a che fare con il dono.
Non c'è nessuno attorno a quest'uomo.
Nessun nome, nessun volto, nessuno nella casa, nessuno nel cuore. Solo in mezzo al deserto a ripetere ossessivamente un unico aggettivo: mio. Miei i raccolti, miei i magazzini, miei i beni, mia la vita, mia l’anima. Davvero la sua vita dipende dai suoi beni, ruota attorno ad essi.

Stregoneria dell'io, dove nessun altro esiste; nessun affetto che sia sincero.
Si vive così solo per abbracciare la propria solitudine, il denaro si è mangiato il nome e l’anima. Nessuno entra nel suo orizzonte senza aperture, senza brecce e senza abbracci. Con le sue scelte è già morto agli altri, e gli altri per lui.

Stolto, lo chiama Gesù, non perché cattivo, ma perché poco intelligente. Ha investito sul prodotto sbagliato, sul possesso e non sulle persone.
Stolto! Questa notte dovrai restituire la tua vita.
Tristezza che Gesù prova per l'uomo della parabola, la cui morte è solo il prolungamento di azioni senza saggezza. Morte che ha già fatto il nido nella sua casa, nel suo cuore indifferente.

Alla fine dei giorni, sulla colonna dell'avere troveremo solo ciò che abbiamo avuto il coraggio di mettere nella colonna del dare.
Vuoi vita piena, felicità vera? Non andare al mercato delle cose, che promettono ciò che non possono mantenere.
Sposta il tuo desiderio su altro, desidera dell'altro, sogna un tempo dove l'evidenza non sia solo materiale. Gli unici beni da accumulare per stare bene sono relazioni buone, libere e liberanti.
Allora, se non dai beni, da cosa dipende la vita? Da una triplice cura: della tua interiorità, delle persone accanto a te e della casa comune. Triplice cura da attingere dalla Sorgente che non verrà mai meno. Allora, più vivo di così non sarai mai.

per Avvenire

Siamo ricchi solo di ciò che sappiamo condividere (...)

Leggi su Avvenire


29/07/2022 VIAGGIO APOSTOLICO DI PAPA FRANCESCO IN CANADA - QUÉBEC: Incontro privato con i gesuiti del Canada e poi con gli Indigeni - IQALUIT: Incontro privato con un gruppo di ex alunni degli istituti residenziali e poi con giovani e anziani. (cronaca, foto, testi e video)

VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ FRANCESCO
IN CANADA
(24 - 30 LUGLIO 2022)

Venerdì, 29 luglio 2022

QUÉBEC - IQALUIT – ROMA 

9:00Incontro privato con i membri della Compagnia di Gesù presso l'Arcivescovado a Québec
10:45Incontro con una Delegazione di Indigeni presenti in Québec presso l'Arcivescovado a Québec
12:45Partenza in aereo dall’Aeroporto Internazionale di Québec per Iqaluit
15:50Arrivo all'Aeroporto di Iqaluit
16:15Incontro privato con alcuni alunni delle ex Scuole residenziali nella scuola elementare a Iqaluit
17:00Incontro con i giovani e con gli anziani nel piazzale della scuola elementare a Iqaluit
18:15Cerimonia di congedo presso l’Aeroporto di Iqaluit
18:45Partenza in aereo dall’Aeroporto di Iqaluit per Roma

L’ultimo giorno di Papa Francesco in Canada è diviso in due momenti. L’incontro con i capi indigeni a Quebec, preceduto da una udienza privata ai gesuiti locali, e poi, quando ormai in Italia è notte, l’appuntamento con il popolo Inuit ai confini del circolo polare artico. Da lì il rientro a Roma, a bordo di un Airbus Ita Airways, con arrivo previsto nel primo mattino di questo sabato.


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Francesco tra i gesuiti del Canada, Spadaro:
una conversazione libera e diretta

Domande e risposte sui temi del viaggio e della realtà canadese nel consueto incontro con i confratelli che fanno parte della Compagnia di Gesù in Canada, a poche ore dal trasferimento a Iqualit

Il Papa e i gesuiti del Canada nell'Arcivescovado di Quèbec (Vatican Media)

Un'ora circa di dialogo con 15 gesuiti oltre al cardinale Michael Czerny, canadese e membro della Compagnia di Gesù, iniziato prima delle 9, in anticipo rispetto al previsto, e terminato con un dono. Al centro i temi della Chiesa e della terra candese. Così padre Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica, sintetizza l'incontro privato avvenuto nella sede arcivescovile in Québec tra il Papa e i gesuiti nell'ultimo giorno del viaggio. Presenti anche alcuni gesuiti provenienti da Haiti, visto che l'isola fa parte della provincia canadese.


Incontro fraterno

"Come sempre - fa sapere padre Spadaro - Papa Francesco durante i suoi viaggi apostolici incontra i gesuiti per un momento fraterno, molto semplice e informale, fatto di domande e di risposte, una conversazione molto libera e diretta. Il Papa ha affrontato temi che riguardano la Chiesa in generale e ovviamente anche questa nazione, il Canada e il motivo per il quale lo ha visitato, approfondendo l'uno e l'altro. La cosa che colpisce è che questi incontri sono la prima cassa di risonanza dei viaggi apostolici in cui può conversare su quello che è avvenuto dato che i gesuiti hanno partecipato a tutto ciò che lui ha vissuto personalmente. Un incontro allora molto caloroso, che lo ha portato spesso a sorridere di gusto, ma anche ad affrontare questioni molto serie con la dovuta calma".
Doni e preghiere

"L'incontro si è concluso - aggiunge Spadaro - con una preghiera comune e con la foto di gruppo. I gesuiti hanno donato al Papa il quadro di una farfalla e su questo hanno scherzato, un segno bello di comunione e di profonda sintonia spirituale con questo Paese".
(fonte: Vatican News, articolo di Gabriella Ceraso 29/07/2022)


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INCONTRO CON UNA DELEGAZIONE DI INDIGENI PRESENTI IN QUÉBEC 

SALUTO DEL SANTO PADRE

Québec, Arcivescovado  

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Vi saluto cordialmente e vi ringrazio per essere venuti qui da diversi luoghi. La vastità di questa terra fa pensare alla lunghezza del percorso di guarigione e riconciliazione che stiamo affrontando insieme. In effetti, la frase che ci ha accompagnato da marzo, da quando i delegati indigeni mi hanno fatto visita a Roma, e che caratterizza la mia visita qui tra di voi, è Camminare Insieme: Walking Together / Marcher Ensemble.

Sono venuto in Canada come amico per incontrarvi, per vedere, ascoltare, imparare, apprezzare come vivono le popolazioni indigene di questo Paese. Non sono venuto come turista, sono venuto come fratello, a scoprire in prima persona i frutti buoni e cattivi prodotti dai membri della famiglia cattolica locale nel corso degli anni. Sono venuto in spirito penitenziale, per esprimervi il dolore che portiamo nel cuore come Chiesa per il male che non pochi cattolici vi hanno arrecato appoggiando politiche oppressive e ingiuste nei vostri riguardi. Sono venuto come pellegrino, con le mie limitate possibilità fisiche, per muovere ulteriori passi in avanti con voi e per voi: perché si prosegua nella ricerca della verità, perché si progredisca nel promuovere percorsi di guarigione e di riconciliazione, perché si vada avanti a seminare speranza per le future generazioni di indigeni e di non indigeni, che desiderano vivere insieme fraternamente, in armonia.

Ma vorrei dirvi, ormai prossimo alla conclusione di questo intenso pellegrinaggio, che, se sono venuto animato da questi desideri, ritorno a casa molto più arricchito, perché porto nel cuore il tesoro impareggiabile fatto di persone e di popolazioni che mi hanno segnato; di volti, sorrisi e parole che rimangono dentro; di storie e luoghi che non potrò dimenticare; di suoni, colori ed emozioni che vibrano fortemente in me. Davvero posso dire che, mentre vi ho fatto visita, sono state le vostre realtà, le realtà indigene di questa terra, a visitare il mio animo: mi sono entrate dentro e mi accompagneranno sempre. Oso dire, se me lo permettete, che ora, in un certo senso, mi sento anch’io parte della vostra famiglia, e ne sono onorato. Il ricordo della festa di Sant’Anna, vissuta insieme a diverse generazioni e a tante famiglie indigene, rimarrà indelebile nel mio cuore. In un mondo purtroppo così spesso individualista, quanto è prezioso quel senso di familiarità e di comunità che presso di voi è tanto genuino! E quanto è importante coltivare bene il legame tra i giovani e gli anziani, e custodire un rapporto sano e armonioso con l’intero creato!

Cari amici, vorrei affidare al Signore quanto abbiamo vissuto in questi giorni e il prosieguo del cammino che ci attende; e affidarli anche alla cura premurosa di chi sa custodire ciò che nella vita conta: penso alle donne, e a tre donne in particolare. Anzitutto a Sant’Anna, di cui ho potuto avvertire la tenerezza e la protezione, venerandola insieme a un popolo di Dio che riconosce e onora le nonne. In secondo luogo penso alla Santa Madre di Dio: nessuna creatura merita più di lei di essere definita pellegrina, perché sempre, anche oggi, anche ora, è in cammino: in cammino tra Cielo e terra, per prendersi cura di noi per conto di Dio e per condurci per mano a suo Figlio. E infine, la mia preghiera e il mio pensiero sono andati spesso in questi giorni a una terza donna dalla presenza mite che ci ha accompagnati, e i cui resti sono conservati non lontano da qui: mi riferisco a santa Kateri Tekakwitha. La veneriamo per la sua vita santa, ma non potremmo pensare che la sua santità di vita, connotata da una dedizione esemplare nella preghiera e nel lavoro, nonché dalla capacità di sopportare con pazienza e dolcezza tante prove, sia stata resa possibile anche da certi tratti nobili e virtuosi ereditati dalla sua comunità e dall’ambiente indigeno in cui crebbe?

Queste donne possono aiutare a mettere insieme, a tornare a tessere una riconciliazione che garantisca i diritti dei più vulnerabili e sappia guardare la storia senza rancori né dimenticanze. Due di loro, la Santissima Vergine Maria e Santa Kateri, hanno ricevuto da Dio un progetto di vita e, senza domandare ad alcun uomo, hanno detto “sì” con coraggio. Queste donne avrebbero potuto rispondere male a tutti coloro che si opponevano a quel progetto, oppure rimanere soggette alle norme patriarcali del tempo e rassegnarsi, senza lottare per i sogni che Dio stesso aveva impresso nelle loro anime. Non fecero questa scelta, ma con mansuetudine e fermezza, con parole profetiche e gesti decisi si aprirono la strada e adempirono ciò a cui erano state chiamate. Che esse benedicano il nostro cammino comune, intercedano per noi, per questa grande opera di guarigione e riconciliazione tanto gradita a Dio. Io vi benedico di cuore. E vi chiedo, per favore, di continuare a pregare per me.

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Il Papa all’estremo Nord, tappa a Iqaluit per l’incontro con gli Inuit
Francesco ha lasciato intorno alle 13 (ora canadese) Québec per partire verso la capitale dello Stato di Nunavut, dove è atterrato intorno alle 15.40. Incontro privato con un gruppo di ex alunni degli istituti residenziali presso la Nakasuk Elementary School e, poi, nello spiazzale con giovani e anziani. Subito dopo il congedo e la partenza per Roma


Trecento chilometri a sud del Circolo Polare Artico, sud-est dell’isola di Griffin, vicino alla foce del fiume Sylvia Grinnell. D’inverno la temperatura media si aggira attorno ai 25 gradi sotto zero, le minime possono scendere spesso al di sotto dei 40 gradi. È Iqaluit, la capitale del territorio di Nunavut, il cui nome in lingua inuktitut significa “luogo di molti pesci”. Qui si conclude oggi il “pellegrinaggio penitenziale” di Papa Francesco in Canada.

Insieme agli ex alunni delle scuole residenziali

Ultima tappa prima della partenza a Roma, per incontrare - dopo Métis e First Nations - la più grande comunità di Inuit (circa 3.900 membri su quasi 8 mila abitanti), popolazione indigena delle coste dell’America, distribuita dalla Groenlandia all’Alaska, e presente anche all’estremità della penisola dei Ciukci, in Siberia. A Iqaluit Papa Francesco ha avuto anche un colloquio in forma riservata con un gruppo di ex alunni delle scuole residenziali, dove nello scorso secolo si sono consumati abusi psicologici e spirituali a danno di bambini indigeni, vittime di “devastanti” politiche di assimilazione che hanno visto responsabilità anche da parte della Chiesa.

Francesco con gli ex alunni delle scuole residenziali

Un volo di circa 3 ore

Nella ex baia per la caccia delle balene, ex base aerea militare degli Usa, dove a causa del permafrost, il sottosuolo perennemente congelato, nessuna pianta supera i 20 cm di altezza, il Pontefice è arrivato intorno alle 15.40, ora canadese. Aveva lasciato Québec alle 12.57. L’aereo papale ha sorvolato per circa tre ore laghi e colline, la tundra e la famosa “strada verso il nulla”, un lungo viale così chiamato dagli abitanti di Iqaluit perché non porta da nessuna parte. Nel locale aeroporto il Papa è stato accolto dal vescovo di Churchill-Hudson Bay, monsignor Anthony Wiesław Krótki, Omi, e da cinque autorità locali, tra cui una donna indigena.

Pellegrino per la guarigione

Iqaluit, Frobisher Bay dal 1955 al 1987, è probabilmente una delle mete della terra più lontane mai toccate dal Papa in un viaggio apostolico. Jorge Mario Bergoglio, come ha detto stamane alla delegazione di autoctoni del Québec incontrati in Arcivescovado, vi si è recato “come pellegrino, con le mie limitate possibilità fisiche” perché “si prosegua nella ricerca della verità, si progredisca nel promuovere percorsi di guarigione e di riconciliazione, perché si vada avanti a seminare speranza per le future generazioni di indigeni e di non indigeni”.

Una veduta di Iqaluit

Dialogo riservato

L'incontro con il gruppo di ex alunni degli istituti residenziali - al quale era presente anche la governatrice generale del Canada, Mary May Simon - si è svolto in meno di un'ora nella Nakasuk Elementary School, una delle quattro scuole primarie della città. Un edificio dalla forma ispirata a un igloo, bianco, trapezoidale, ermetico, con pochissime finestre, tutte a oblò. È stato costruito con un blocco in fibra di vetro nel 1973 e intitolato al primo residente stabile di Iqaluit, un inuk nato nei territori del Nord-Ovest, ricordato come fondatore della capitale di Nunavut negli anni ’70. Quando cioè, andata via l’aviazione americana va via, l’allora Frobisher Bay diventa centro amministrativo, di comunicazione e trasporto del governo canadese per l’Artico orientale. Nel 1976, l’Inuit Tapirisat of Canada (ITC) propone la creazione del territorio di Nunavut, “la nostra terra” in lingua inuktitut. Nel 1987, l’insediamento torna al suo nome originale.

La Nakasuk Elementary School, dove avverrà l'incontro del Papa con gli ex alunni delle scuole residenziali

A Iqaluit l'accordo di rivendicazione di terre indigene

La città viene ricordata anche come teatro della firma, nel maggio del 1993, del più importante accordo di rivendicazione di terre indigene nella storia del Canada, il Nunavut Land Claims Agreement. Dopo la divisione dei Territori del Nord-Ovest in due territori distinti, il 1° aprile 1999, Iqaluit diventa capitale di Nunavut e le viene concesso lo status di città dal governo federale il 19 aprile 2001. Ad Iqaluit è presente infatti la sede del governo del territorio e l’Assemblea legislativa di Nunavut. Papa Francesco ha incontrato le autorità nella Sala Vip dell’aeroporto ma solo per pochi istanti. Centro della visita è infatti l’incontro con gli ex alunni di queste scuole istituite nel 1883, dove, secondo il Rapporto della Commissione per la Verità e la Riconciliazione, pubblicato nel 2015, oltre 150 mila bambini sono morti a causa di malattie, malnutrizione, maltrattamenti e vessazioni, mirate a cancellare ogni traccia della propria cultura originaria.

Incontro con giovani e anziani

In una sala Jorge Mario Bergoglio ha ascoltato storie e testimonianze. Tutto è avvenuto lontano da telecamere e obiettivi fotografici. È pubblico, invece, l’incontro nel piazzale antistante la scuola elementare con i giovani e gli anziani, dove il Papa viene accolto da un rappresentante della comunità tra balli, musiche e i katajjaq, i tradizionali canti gutturali delle donne.

Il Papa, da un semplice palco con una tenda bianca, pronuncia l’ultimo dei suoi discorsi del viaggio, poi dopo la preghiera del Padre Nostro e la benedizione, alle 18.15 si recherà in aeroporto per la ripartenza per Roma.

Panorama di Iqaluit
(fonte: Vatican News, articolo di Salvatore Cernuzio 29/07/2022)

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INCONTRO CON I GIOVANI E CON GLI ANZIANI

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Piazzale della scuola elementare a Iqaluit
Venerdì, 29 luglio 2022


Cari fratelli e sorelle, buonasera!

Saluto cordialmente la Signora Governatore Generale e tutti voi, felice di incontrarvi. Vi ringrazio per le vostre parole, così come per i canti, le danze e le musiche, che ho tanto apprezzato!

Poco fa ho ascoltato diversi di voi, ex-alunni delle scuole residenziali: grazie per quanto avete avuto il coraggio di dire, condividendo grandi sofferenze, che non avrei immaginato. Ciò ha ridestato in me l’indignazione e la vergogna che mi accompagnano da mesi. Anche oggi, anche qui, vorrei dirvi che sono molto addolorato e desidero chiedere perdono per il male commesso da non pochi cattolici nelle scuole che hanno contribuito alle politiche di assimilazione culturale e di affrancamento. Mamianak [Mi dispiace]. Mi è tornata alla mente la testimonianza di un anziano, il quale descriveva la bellezza del clima che regnava nelle famiglie indigene prima dell’avvento del sistema delle scuole residenziali. Paragonava quella stagione, in cui nonni, genitori e figli stavano armoniosamente insieme, alla primavera, quando gli uccellini cantano felici attorno alla mamma. Ma all’improvviso – diceva – il canto si è fermato: le famiglie sono state disgregate, i piccoli portati via, lontani dal loro ambiente; su tutto è calato l’inverno.

Tali parole, mentre provocano dolore, suscitano anche scandalo; ancora di più se le confrontiamo con la Parola di Dio, il quale comandò: «Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà» (Es 20,12). Questa possibilità non c’è stata per tante vostre famiglie, è venuta meno quando i figli sono stati separati dai genitori e il proprio Paese è stato avvertito come pericoloso ed estraneo. Quelle assimilazioni forzate rievocano un’altra pagina biblica, il racconto del giusto Nabot (cfr 1 Re, 21), che non voleva cedere la vigna ereditata dai suoi padri a chi, governando, era disposto a usare ogni mezzo pur di strappargliela. E vengono pure alla mente quelle parole forti di Gesù contro chi scandalizza i piccoli e disprezza uno solo di loro (cfr Mt 18,6.10). Quanto male nello spezzare i legami tra genitori e figli, nel ferire gli affetti più cari, nel danneggiare e scandalizzare i piccoli!

Cari amici, siamo qui con la volontà di percorrere insieme un tragitto di guarigione e di riconciliazione che, con l’aiuto del Creatore, ci aiuti a fare luce sull’accaduto e a superare il passato oscuro. A proposito di sconfiggere l’oscurità, anche ora, come nel nostro incontro di fine marzo, avete acceso il qulliq. Esso, oltre a dare luce durante le lunghe notti invernali, permetteva, diffondendo calore, di resistere al rigore del clima: era dunque essenziale per vivere. Anche oggi permane un bellissimo simbolo di vita, di un vivere luminoso che non si arrende alle oscurità della notte. Così siete voi, testimonianza perenne della vita che non si spegne, di una luce che risplende e che nessuno è riuscito a soffocare.

Sono colmo di gratitudine per l’opportunità di essere qui nel Nunavut, all’interno dell’Inuit Nunangat. Ho provato a immaginare, dopo il nostro incontro a Roma, questi luoghi vasti che abitate da tempi immemorabili e che per altri sarebbero ostili. Voi avete saputo amarli, rispettarli, custodirli e valorizzarli, tramandando di generazione in generazione valori fondamentali, quali il rispetto per gli anziani, un genuino senso di fraternità e la cura per l’ambiente. C’è una bella e armoniosa corrispondenza tra voi e la terra che abitate, perché anch’essa è forte e resiliente, e risponde con tanta luce al buio che per gran parte dell’anno la avvolge. Ma pure questa terra, come ogni persona e popolazione, è delicata e occorre prendersene cura. Prendersi cura, tramandare la cura: a questo in particolare sono chiamati i giovani, sostenuti dall’esempio degli anziani! Cura per la terra, cura per le persone, cura per la storia.

Vorrei allora rivolgermi a te, giovane Inuit, futuro di questa terra e presente della sua storia. Vorrei dirti, citando un grande poeta: «Ciò che hai ereditato dai padri, riconquistalo se vuoi possederlo davvero» (J.W. von Goethe, Faust, I, Nacht). Non basta vivere di rendita, occorre riconquistare quanto si è ricevuto in dono. Non temere, dunque, di ascoltare e riascoltare i consigli dei più anziani, di abbracciare la tua storia per scriverne pagine nuove, di appassionarti, di prendere posizione davanti ai fatti e alle persone, di metterti in gioco! E per aiutarti a far risplendere la lampada della tua esistenza, vorrei darti anch’io, come fratello anziano, tre consigli.

Il primo: cammina verso l’alto. Abiti queste vaste regioni del nord. Che esse ti ricordino la tua vocazione a tendere verso l’alto, senza lasciarti trascinare in basso da chi vuol farti credere che sia meglio pensare solo a te stesso e usare il tempo che hai unicamente per il tuo svago e i tuoi interessi. Amico, non sei fatto per vivacchiare, per passare le giornate bilanciando doveri e piaceri, sei fatto per librarti verso l’alto, verso i desideri più veri e belli che porti nel cuore, verso Dio da amare e il prossimo da servire. Non pensare che i grandi sogni della vita siano cieli irraggiungibili. Sei fatto per spiccare il volo, per abbracciare il coraggio della verità e promuovere la bellezza della giustizia, per “elevare la tua tempra morale, essere compassionevole, servire gli altri e costruire relazioni” (cfr Inunnguiniq Iq Principles 3-4), per seminare pace e cura dove ti trovi; per accendere l’entusiasmo di chi ti vive accanto; per andare oltre, non per livellare tutto quanto.

Ma – potresti dirmi – vivere così è più arduo che volare. Certo, non è facile, perché è sempre in agguato quella “forza di gravità spirituale” che spinge per trascinarci in basso, paralizzare i desideri, affievolire la gioia. Allora, pensa alla rondine dell’artico che noi chiamiamo “charrán”: essa non lascia che i venti contrari o gli sbalzi di temperatura le impediscano di andare da un’estremità all’altra della terra; a volte sceglie vie che non sono dirette, accetta deviazioni, si adatta a certi venti… ma sempre mantiene chiara la meta, sempre va verso la destinazione. Incontrerai gente che proverà ad azzerare i tuoi sogni, che ti dirà di accontentarti di poco, di lottare solo per quel che ti conviene. Allora ti chiederai: perché devo darmi da fare per quello in cui gli altri non credono? E ancora: come posso decollare all’interno di un mondo che sembra scendere sempre più in basso tra scandali, guerre, imbrogli, mancanza di giustizia, distruzione dell’ambiente, indifferenza nei riguardi dei più deboli, delusioni da parte di chi dovrebbe dare l’esempio? Di fronte a queste domande, qual è la risposta?

Vorrei dire a te, giovane, a te, fratello, sorella giovane: tu sei la risposta. Tu, fratello, tu, sorella. Non solo perché se ti arrendi hai già perso in partenza, ma perché il futuro è nelle tue mani. Sono nelle tue mani la comunità che ti ha generato, l’ambiente in cui vivi, la speranza dei tuoi coetanei, di chi, anche senza chiedertelo, attende da te il bene originale e irripetibile che puoi immettere nella storia, perché “ciascuno di noi è unico” (cfr Principle 5). Il mondo che abiti è la ricchezza che hai ereditato: amalo, come ti ha amato chi ti ha dato la vita e le gioie più grandi, come ti ama Dio, che per te ha creato ciò che di bello esiste e non smette di fidarsi di te nemmeno per un brevissimo istante. Egli crede nei talenti che ti ha dato. Ogni volta che lo cerchi comprenderai come la via che ti chiama a percorrere tende sempre verso l’alto. Lo avvertirai quando guarderai il cielo pregando e soprattutto quando alzerai lo sguardo al Crocifisso. Capirai che Gesù dalla croce non ti punta mai il dito contro, ma ti abbraccia e ti incoraggia, perché crede in te anche quando tu hai smesso di credere in te stesso. Allora non perdere mai la speranza, lotta, metticela tutta e non te ne pentirai. Vai avanti nel cammino, “passo dopo passo verso il meglio” (cfr Principle 6). Imposta il navigatore della tua esistenza verso una meta grande, verso l’alto!

Il secondo consiglio: vieni alla luce. Nei momenti di tristezza e sconforto, pensa al qulliq: contiene un messaggio per te. Quale? Che esisti per venire alla luce ogni giorno. Non solo il giorno della tua nascita, quando non dipese da te, ma ogni giorno. Quotidianamente sei chiamato a portare nel mondo una luce nuova, quella dei tuoi occhi, del tuo sorriso, del bene che tu e solo tu puoi aggiungervi. Nessun altro può farlo. Ma, per venire alla luce, c’è da lottare ogni giorno con l’oscurità. Sì, c’è uno scontro quotidiano tra luce e tenebre, che non avviene là fuori da qualche parte, ma dentro ciascuno di noi. La via della luce domanda scelte di cuore coraggiose contro il buio delle falsità, chiede di “sviluppare buone abitudini per vivere bene” (cfr Principle 1), di non inseguire scie luminose che spariscono in fretta, fuochi d’artificio che lasciano solo fumo. Sono «illusioni, parodie della felicità», come disse qui in Canada San Giovanni Paolo II: «Non vi è forse tenebra più fitta di quella che si insinua nell’animo dei giovani quando falsi profeti estinguono in essi la luce della fede, della speranza, dell’amore» (Omelia nella XVII Giornata Mondiale della Gioventù, Toronto, 28 luglio 2002). Fratello, sorella, Gesù ti è vicino e desidera illuminare il tuo cuore per farti venire alla luce. Lui ha detto: «Io sono la luce del mondo» (Gv 8,12), ma ha anche detto ai suoi discepoli: «Voi siete la luce del mondo» (Mt 5,14). Anche tu, dunque, sei luce del mondo e lo diventerai sempre di più, se lotti per allontanare dal cuore il triste buio del male.

Per imparare a farlo, c’è da apprendere un’arte continua, che richiede di “superare le difficoltà e le contraddizioni attraverso una continua ricerca di soluzioni” (cfr Principle 2). È l’arte di separare ogni giorno la luce dalle tenebre. Per creare un mondo buono, dice la Bibbia, Dio cominciò proprio così, separando la luce dalle tenebre (cfr Gen 1,4). Anche noi, se vogliamo diventare migliori, dobbiamo imparare a distinguere la luce dalle tenebre. Da dove si comincia? Puoi iniziare chiedendoti: che cosa mi appare luccicante e seducente, ma poi mi lascia dentro un grande vuoto? Questo è tenebra! Che cosa, invece, mi fa bene e mi lascia pace nel cuore, anche se prima mi chiede di uscire da certe comodità e dominare certi istinti? Questo è luce! E – mi domando ancora – qual è la forza che ci permette di separare dentro di noi la luce dalle tenebre, che ci fa dire “no” alle tentazioni del male e “sì” alle occasioni di bene? È la libertà. Libertà che non è fare tutto quello che mi pare e mi piace; non è quello che posso fare nonostante gli altri, ma per gli altri; non è totale arbitrio, ma responsabilità. La libertà è il dono più grande che il nostro Padre nei cieli ci ha dato insieme alla vita.

Infine, il terzo consiglio: fai squadra. I giovani fanno grandi cose insieme, non da soli. Perché voi giovani siete come le stelle del cielo, che qui brillano in modo stupendo: la loro bellezza nasce dall’insieme, dalle costellazioni che compongono, e che danno luce e orientamento alle notti del mondo. Anche voi, chiamati alle altezze del cielo e a splendere in terra, siete fatti per brillare insieme. Bisogna permettere ai giovani di fare gruppo, di stare in movimento: non possono passare le giornate isolati, tenuti in ostaggio da un telefono! I grandi ghiacci di queste terre mi fanno venire in mente lo sport nazionale del Canada, l’hockey su ghiaccio. Come riesce il Canada a conquistare tutte quelle medaglie olimpiche? Come hanno fatto Sarah Nurse o Marie-Philip Poulin a segnare tutti quei gol? L’hockey coniuga bene disciplina e creatività, tattica e fisicità; ma a fare la differenza è sempre lo spirito di squadra, presupposto indispensabile per affrontare le imprevedibili circostanze di gioco. Fare squadra significa credere che per raggiungere grandi obiettivi non si può andare avanti da soli; occorre muoversi insieme, avere la pazienza di intessere fitte reti di passaggi. Significa pure lasciare spazio agli altri, uscire velocemente quand’è il proprio turno e fare il tifo per i compagni. Ecco lo spirito di squadra!

Amici, camminate verso l’alto, venite alla luce ogni giorno, fate squadra! E fate tutto questo nella vostra cultura, nel bellissimo linguaggio Inuktitut. Vi auguro, ascoltando gli anziani e attingendo alla ricchezza delle vostre tradizioni e della vostra libertà, di abbracciare il Vangelo custodito e tramandato dai vostri antenati e di incontrare il volto Inuk di Gesù Cristo. Io vi benedico di cuore e vi dico: qujannamiik! [grazie!]

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