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sabato 12 ottobre 2024

Come non deludere le attese delle donne

L’analisi di una consultrice della Segreteria del Sinodo

Come non deludere
le attese delle donne


Molte donne hanno grandi aspettative riguardo alla seconda sessione del Sinodo. In essa si dovranno raccogliere i molteplici frutti dei discernimenti nelle diverse fasi del processo sinodale e, in base ad essi, formulare le raccomandazioni per Papa Francesco. È un Sinodo particolarmente significativo per le donne visto che per la prima volta vi partecipano 85 donne, di cui 54 con voce e voto. Vediamo di seguito i contributi, in particolare delle donne, nelle diverse fasi del sinodo. Ci fanno capire che cosa desiderano, apprezzano e gradiscono, ma anche che cosa le ferisce e quali sono i loro sogni per la Chiesa.

In molti contributi delle Chiese locali in ogni parte del mondo si osserva che le donne sono le più impegnate nel processo sinodale. Durante questo percorso è emerso il bisogno di una conversione sinodale. Ciò significa generare una nuova cultura ecclesiale, «con nuove pratiche e strutture e abitudini», come indica il Documento di Lavoro per la Tappa Continentale. La conversione implica il rafforzamento della consapevolezza che in Cristo siamo tutti fratelli e sorelle e pertanto chiamati a promuovere rapporti d’interdipendenza e di reciprocità tra uomini e donne, che aiutino entrambi a crescere umanamente e nella fede. È degno di nota che nei diversi spazi di ascolto e di consultazione nel corso del processo sinodale, molte donne abbiano apprezzato le pratiche sinodali già esistenti in parrocchie, diocesi e altre realtà ecclesiali. Al tempo stesso, hanno parlato con molta libertà e franchezza «di una Chiesa che ferisce», come si legge nella Relazione di Sintesi. In molti contributi alle consultazioni sinodali si sottolinea che sono soprattutto il clericalismo e il maschilismo a ferire e a far soffrire perché escludono le donne dai processi decisionali e di discernimento e dalla partecipazione alle istanze di governo nella Chiesa che non richiedono l’aver ricevuto il sacramento dell’ordine e che pertanto, in teoria, sono aperti alle donne. Papa Francesco ha dato l’esempio con l’inclusione di donne nelle istanze di governo e di leadership della Chiesa, con la speranza che nel processo di conversione sinodale tale segno venga accolto in molte Chiese locali e ispiri pratiche simili. Come mostrano molti contributi al processo sinodale, il clericalismo e il maschilismo, che si caratterizzano per un uso inadeguato dell’autorità, ledono il rispetto reciproco e danneggiano la comunione. Nel processo sinodale si è compreso che la conversione richiesta è responsabilità di tutti i membri del popolo di Dio, visto che il clericalismo e il maschilismo si riscontrano non solo in presbiteri, ma anche e spesso in laici, laiche, religiose e religiosi.

Nella prima sessione del Sinodo, ad ottobre del 2023, grazie a vari interventi, si è riconosciuto che «quando nella Chiesa si ledono la dignità e la giustizia nei rapporti tra uomini e donne, risulta indebolita la credibilità dell’annuncio che indirizziamo al mondo». Tale osservazione, contenuta nella Relazione di Sintesi, mette in luce la vitale importanza che ha la cura dei rapporti tra uomini e donne nella Chiesa.

Grazie al soffio dello Spirito, protagonista del processo sinodale nelle sue diverse fasi, nella Chiesa abbiamo preso maggiormente coscienza del fatto che «in Cristo donne e uomini sono rivestiti della medesima dignità battesimale e ricevono in ugual misura la varietà dei doni dello Spirito» (cfr. Gal 3,27-28), come si legge nella Relazione di Sintesi. Pertanto, in una Chiesa sinodale, «uomini e donne sono chiamati a una comunione caratterizzata da una corresponsabilità non competitiva, da incarnare a ogni livello della vita della Chiesa» (Relazione di Sintesi).

Molte donne nutrono la ferma speranza per la seconda sessione del Sinodo che i loro contributi riguardo a una maggiore corresponsabilità tra donne e uomini nella Chiesa, basata sul riconoscimento e sull’apprezzamento dei diversi carismi e ministeri, non rimangano parole vuote. Ricordando che in Gesù la Parola si fece carne, ossia realtà concreta, visibile e tangibile, è importante che si formulino raccomandazioni concrete che promuovano l’attuazione dei diversi elementi necessari per una maggiore integrazione e corresponsabilità delle donne nella Chiesa. L’Instrumentum Laboris per la seconda sessione del Sinodo presenta in tal senso diversi elementi chiave; qui possiamo evidenziarne solo alcuni. Per ottenere una maggiore partecipazione delle donne ai processi di elaborazione e di presa di decisioni in parrocchie, diocesi e altre realtà ecclesiali, occorre promuovere una loro più ampia partecipazione. Ciò significa che le donne che sono già attive nei consigli e nelle commissioni corrispondenti devono incoraggiare altre donne qualificate a collaborare a queste istanze ecclesiali. Richiede inoltre la volontà delle rispettive autorità ecclesiali (parroci, vescovi, etc.) di aprire spazi per una maggiore partecipazione delle donne ai diversi ambiti e di creare attivamente le condizioni necessarie. Ciò vale in modo particolare per l’accesso delle donne a incarichi di responsabilità nelle diocesi e nelle istituzioni ecclesiastiche, il che deve essere promosso con decisione affinché più donne che possiedono le qualifiche richieste abbiano l’opportunità di accedere a tali incarichi in condizioni di parità rispetto agli uomini e in base alle disposizioni esistenti.

Un cambiamento verso una mentalità e una pratica sinodali richiede che teologhe e accompagnatrici spirituali siano incluse nell’insegnamento teologico e nella formazione integrale che ricevono i seminaristi. Solo con un lavoro formativo congiunto si potranno superare il clericalismo e il maschilismo e formare futuri presbiteri sinodali. Ciò comporta anche che si offra a più donne il sostegno necessario, comprese borse di studio, per poter studiare teologia e si faciliti l’inclusione di più teologhe nel corpo docente delle facoltà di teologia e in altri spazi di formazione nella fede; in tal modo più donne potranno condividere i loro doni nell’insegnamento e nel lavoro teologico.

Per accogliere e rispondere a queste e ad altre sfide occorre un cambiamento di mentalità, di atteggiamento e di modalità di rapporto. Oltre a ciò, occorre anche un cambiamento di strutture, di procedure e di mezzi atti a promuovere tra donne e uomini una cultura sinodale nella nostra Chiesa. Per ottenere nella pratica una partecipazione più piena delle donne ai diversi ambiti della Chiesa, è imprescindibile rivedere il diritto canonico vigente e apportare i cambiamenti e gli adeguamenti necessari per promuovere e rafforzare la sinodalità come una pratica vincolante.

In alcuni luoghi è stato chiesto che le donne abbiano accesso al diaconato come ministero ordinato. La questione è in fase di dibattito. È volontà esplicita del Papa che il tema, come pure alcune altre «questioni teologiche e canonistiche intorno a specifiche forme ministeriali», venga trattato in uno dei dieci gruppi di studio da lui istituiti. Molte donne nutrono la speranza che gli studi sui temi legati alla loro partecipazione nella Chiesa si realizzino in uno spirito di ascolto attivo, discernente e sinodale, «connesso alla più ampia riflessione sulla teologia del diaconato» (Relazione di Sintesi). Nella seconda sessione del Sinodo è previsto che tutti i gruppi di studio presentino un primo avanzamento; non è invece previsto lo svolgimento nell’aula sinodale di un dibattito ampio sui temi riservati ai gruppi, incluse le questioni legate alle donne.

In vista della seconda sessione del Sinodo, molte donne nutrono la speranza che sapremo camminare al ritmo dello Spirito, aperti allo straripare del suo amore creativo che cerca di trasformare le nostre menti e i nostri cuori affinché siamo sempre più una Chiesa nello Spirito di Gesù. La Chiesa si arricchirebbe molto con i doni delle donne che lo Spirito dà loro per il bene di tutta la Chiesa, il popolo di Dio, e della sua missione nel mondo.

Con occhi di fede possiamo dire: grazie a Dio qualcosa di nuovo sta germogliando (cfr. Is 43,18) nella nostra Chiesa. Siamo chiamati a percepirlo, accoglierlo e coltivarlo con amore e dedizione.

di Birgit Weiler
Suore Missionarie Mediche, professoressa di Teologia presso la Pontificia Universidad Católica del Perú, consultrice della Segreteria generale del Sinodo
(fonte: DONNE CHIESA MONDO Ottobre 2024)


venerdì 11 ottobre 2024

Tonio Dell'Olio Finalmente una parola!


Tonio dell'Olio
 
Finalmente una parola!

PUBBLICATO IN MOSAICO DEI GIORNI L'11 OTTOBRE 2024

Era necessario che le forze armate israeliane arrivassero a minacciare l'incolumità di alcuni nostri connazionali perché potessero arrivare finalmente dal governo parole di condanna sull'operato di Israele!

"Non sono errori ma crimini di guerra" ha tuonato il ministro della difesa Crosetto. E non lo aveva mai fatto finora, non quando l'Idf ha causato decine e decine di migliaia di vittime nella Striscia di Gaza, non quando sono state bombardate scuole, moschee, chiese e ospedali, nemmeno quando un'intera popolazione è stata ridotta alla fame, senza cure mediche e a rischio continuo di epidemie. Il silenzio ha avvolto i rappresentanti del governo italico quando Israele ha violato la sovranità di altre nazioni per compiere azioni omicide. Nemmeno quando altri rappresentati della stessa Onu dei nostri caschi blu sono stati cacciati via dalla Striscia, s'è sentita una parola critica. Insomma c'è voluta la minaccia contro il nostro contingente in Libano perché finalmente il governo trovasse il coraggio della parola. Qualcuno dovrà ricordare anche ai ministri che il sangue che scorre nelle vene delle persone appartenenti a nazioni diverse, etnie, religioni, popoli ha sempre lo stesso colore.


Violenza. Il mondo è entrato nell’era del Castigo di Domenico Quirico

Violenza.
Il mondo è entrato
nell’era del Castigo
di Domenico Quirico




Siamo entrati nell’era del Castigo. Chi non ha qualcuno da punire severamente, e soprattutto definitivamente e senza mezze misure: i palestinesi e i libanesi complici «oggettivamente» degli assassini di Hamas ed Hezbollah, i persiani burattinai in turbante e zimarra nera di ogni perversione anti-occidentale, gli israeliani ultimi zeloti di un colonialismo senza pudore da 75 anni, gli ucraini “nazisti”e traditori della Santa Russia, i russi ammalati antropologicamente di espansionismo criminale e di prevaricazione planetaria eccetera eccetera.

Imperialismi grandi e microscopici ma pestiferi, intolleranze neppur troppo selettive, fanatismi religiosi e sciovinismi nazionalistici sgretolano le vecchie ortodossie delle dispute internazionali, sotto gli assalti sovversivi di Liquidatori decisi a eliminare il problema senza far troppe indagini sulle vittime. “Brain trust” di prepotenti che credono fermamente nel potere inumano della menzogna fanno a gara nel trasformare il momento punitivo in una sorta di idealismo: diamine, lottiamo per la nostra sicurezza… come osate? siamo la Resistenza… giù le mani, difendiamo l’Occidente libero… ammirate! costruiamo il Nuovo ordine perfetto…

Si vede ogni cosa sotto una luce offuscata dove la domanda fondamentale e che dovrebbe essere inaggirabile (qual è la differenza tra punizione e vendetta?), sfuma in opacità omicide. Il populismo penale che ha guadagnato consenso politico con la inesorabile severità del castigo, tambureggiando opinioni pubbliche fragili e disposte a farsi convincere non solo nelle terre della sharia, si estende alla politica internazionale. I pachidermici ottimismi del debutto del nuovo millennio (… la nostra civiltà assomiglia a un giardino che si deve valutare dalla qualità dei suoi fiori… l’Occidente ha reso più bello e vivibile il mondo…) si squagliano come castelli di ghiaccio lasciando dietro di sé solo un ammasso di fango: quarantamila morti a Gaza, centinaia di migliaia nelle trincee dell’Ucraina, i danni collaterali di venti anni americani in Afghanistan, dei francesi nel Sahel, milioni di profughi che aspettano di sapere «fino a nuovo avviso» dove forse non li bombarderanno…

Il castigo presuppone l’infliggere una sofferenza ma richiede anche altre condizioni: quella perentoria è che a patire sia solo colui o coloro che hanno commesso il reato. Se manca questo elemento, se il colpevole è collettivo o semplicemente presunto, scivoliamo inesorabilmente dal diritto alla vendetta. Applicare questo concetto a Gaza o alla Palestina determina dei produttivi e dolorosi distinguo. 
Per capirci: il conte di Montecristo punisce coloro che gli hanno distrutto la vita o applica solo una arzigogolata vendetta? Netanyahu e Israele puniscono i killer del 7 ottobre o si vendicano di tutti i palestinesi che vivono a Gaza, e dei libanesi che non per scelta sono conterranei del partito di dio? Ci basta la constatazione che castighi collettivi sono diventati normalità punitiva nel vicino oriente? Hamas liquida i partecipanti a un pacifico raduno musicale o kibuzzin annoverabili tra gli israeliani meno attratti da sogni escatologici di ricostruire il Terzo Tempio. I terroristi da settanta anni scelgono le fermate degli autobus e non le caserme. i governi israeliani, non solo quello di Netanyahu, da anni distruggono per rappresaglia le case dei presunti colpevoli, fanno raid indiscriminati a cui danno nomi beffardi («Margine di protezione») che provocano la morte anche di molte donne e bambini. 
Di fronte a tutto questo sarebbe pretendere troppo citare san Tommaso d’Aquino. Per lui la distinzione tra punizione e vendetta era contenuta nell’intenzione di chi corregge la colpa. Se il male del colpevole serve a trarne «godimento», singolare parola! è illecita; se invece punta a un bene, proteggere la sicurezza o redimere, è lecita. Con queste idee il povero Doctor Angelicus non sarebbe invitato in nessun talk show, accusato da destra e da manca di essere un collaborazionista.

L’era del Castigo spazza via il vecchio abbecedario della proporzione, dell’immaginare il giorno dopo, perfino i concetti di colpa e di rimorso. Tutti sono orgogliosi di quello che hanno commesso, la giustizia internazionale resta nelle scartoffie di paci provvisorie e sifilitiche. 
Bisogna castigare senza perder tempo nel distinguere popoli e jihadisti, povera gente e zar rosso bruni, innocenti e mestatori senza scrupoli. «Tutti sono in fondo complici e quindi colpevoli, credete a noi…» così tempestano innumerevoli macchinisti della locomotiva della Storia a est e a ovest. Non a caso si preferiscono, per punire, i bombardamenti, aerei, droni, missili: le vittime son coperte da nubi di polvere, periscono in scenografiche e anonime esplosioni da notte dei fuochi. Si mettono in conto punitivo anche carestie ed epidemie, altra modalità di castigo che lasciano sullo sfondo l’orma dell’assassino. Già: una volta che le teste son tagliate non ci si lamenterà per la perdita dei capelli, parola di Koba il terribile, uno che non aveva paura del numero delle vittime collaterali. 
Non si ha tempo oggi per ciarle intorno alla santità della vita umana. In fondo una totale sicurezza si può raggiungere soltanto in un cimitero. Ma la Giustizia?

(Fonte: “La Stampa”  - 9 ottobre 2024)

giovedì 10 ottobre 2024

PAPA FRANCESCO - Ciclo di Catechesi. Lo Spirito e la Sposa. - 8. «Tutti furono colmati di Spirito Santo». Lo Spirito Santo negli Atti degli Apostoli - Udienza generale del 9 ottobre 2024 (testo e video)

PAPA FRANCESCO - 
Ciclo di Catechesi. Lo Spirito e la Sposa. 

8. «Tutti furono colmati di Spirito Santo». 
Lo Spirito Santo negli Atti degli Apostoli 

Udienza generale del 9 ottobre 2024 
(testo e  video)


Il testo qui di seguito include anche parti non lette che sono date ugualmente come pronunciate.




Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Nel nostro itinerario di catechesi sullo Spirito Santo e la Chiesa, oggi facciamo riferimento al Libro degli Atti degli Apostoli.

Il racconto della discesa dello Spirito Santo a Pentecoste inizia con la descrizione di alcuni segni preparatori – il vento fragoroso e le lingue di fuoco –, ma trova la sua conclusione nell’affermazione: «E tutti furono colmati di Spirito Santo» (At 2,4). San Luca – che ha scritto gli Atti degli Apostoli – mette in luce che lo Spirito Santo è Colui che assicura l’universalità e l’unità della Chiesa. L’effetto immediato dell’essere “colmati di Spirito Santo” è che gli Apostoli «cominciarono a parlare in altre lingue» e uscirono dal Cenacolo per annunciare Gesù Cristo alla folla (cfr At 2,4ss).

Così facendo, Luca ha voluto mettere in risalto la missione universale della Chiesa, come segno di una nuova unità tra tutti i popoli. In due modi vediamo che lo Spirito lavora per l’unità. Da un lato, spinge la Chiesa verso l’esterno, perché possa accogliere un numero sempre maggiore di persone e di popoli; dall’altro lato, la raccoglie al suo interno per consolidare l’unità raggiunta. Le insegna a estendersi in universalità e a raccogliersi in unità. Universale e una: questo è il mistero della Chiesa.

Il primo dei due movimenti – l’universalità – lo vediamo in atto nel capitolo 10 degli Atti, nell’episodio della conversione di Cornelio. Il giorno di Pentecoste gli Apostoli avevano annunciato Cristo a tutti i giudei e gli osservanti della legge mosaica, a qualsiasi popolo appartenessero. Ci vuole un’altra “pentecoste”, molto simile alla prima, quella in casa del centurione Cornelio, per indurre gli Apostoli ad allargare l’orizzonte e far cadere l’ultima barriera, quella tra giudei e pagani (cfr At 10-11).

A questa espansione etnica si aggiunge quella geografica. Paolo – si legge sempre negli Atti degli Apostoli (cfr 16,6-10) – voleva annunciare il Vangelo in una nuova regione dell’Asia Minore; ma, è scritto, «lo Spirito Santo glielo aveva impedito»; voleva passare in Bitinia «ma lo Spirito di Gesù non lo permise». Si scopre subito il perché di questi sorprendenti divieti dello Spirito: la notte seguente l’Apostolo riceve in sogno l’ordine di passare in Macedonia. Il Vangelo usciva così dalla nativa Asia ed entrava in Europa.

Il secondo movimento dello Spirito Santo – quello che crea l’unità – lo vediamo in atto nel capitolo 15 degli Atti, nello svolgimento del cosiddetto concilio di Gerusalemme. Il problema è come far sì che l’universalità raggiunta non comprometta l’unità della Chiesa. Lo Spirito Santo non opera sempre l’unità in maniera repentina, con interventi miracolosi e risolutivi, come a Pentecoste. Lo fa anche – e nella maggioranza dei casi – con un lavorio discreto, rispettoso dei tempi e delle divergenze umane, passando attraverso persone e istituzioni, preghiera e confronto. In maniera, diremmo oggi, sinodale. Così infatti avvenne, nel concilio di Gerusalemme, per la questione degli obblighi della Legge mosaica da imporre ai convertiti dal paganesimo. La sua soluzione fu annunciata a tutta la Chiesa con le ben note parole: «Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi...» (At 15,28).

Sant’Agostino spiega l’unità operata dallo Spirito Santo con una immagine, divenuta classica: «Ciò che è l’anima per il corpo umano, lo Spirito Santo lo è per il corpo di Cristo che è la Chiesa» [1]. L’immagine ci aiuta a capire una cosa importante. Lo Spirito Santo non opera l’unità della Chiesa dall’esterno; non si limita a comandare di essere uniti. È Lui stesso il “vincolo di unità”. È Lui che fa l’unità della Chiesa.

Come sempre, concludiamo con un pensiero che ci aiuta a passare dall’insieme della Chiesa a ciascuno di noi. L’unità della Chiesa è l’unità tra persone e non si realizza a tavolino, ma nella vita. Si realizza nella vita. Tutti vogliamo l’unità, tutti la desideriamo dal profondo del cuore; eppure essa è tanto difficile da ottenere che, anche all’interno del matrimonio e della famiglia, l’unione e la concordia sono tra le cose più difficili da raggiungere e più ancora da mantenere.

Il motivo – per cui è difficile l’unità tra noi – è che ognuno vuole, sì, che si faccia l’unità, ma intorno al proprio punto di vista, senza pensare che l’altro che gli sta davanti pensa esattamente la stessa cosa circa il “suo” punto di vista. Per questa via, l’unità non fa che allontanarsi. L’unità di vita, l’unità di Pentecoste, secondo lo Spirito, si realizza quando ci si sforza di mettere al centro Dio, non sé stessi. Anche l’unità dei cristiani si costruisce così: non aspettando che gli altri ci raggiungano là dove noi siamo, ma muovendoci insieme verso Cristo.

Chiediamo allo Spirito Santo che ci aiuti ad essere strumenti di unità e di pace.


GUARDA IL VIDEO
Catechesi integrale




mercoledì 9 ottobre 2024

Orfani di profezia di Tonio Dell'Olio

Orfani di profezia 
di Tonio Dell'Olio



La sciagura più grande di cui restiamo vittime oggi è l'essere orfani di una vera profezia della pace.

Tutto il mondo sente l'urgenza di uno sguardo che vada oltre le macerie delle guerre diffuse e della violenza eletta a sistema. Non si tratta soltanto dei conflitti armati che torturano la vita di milioni di esseri umani del tutto inconsapevoli delle pretese ragioni della guerra, ma anche della violenza che buca la cronaca quotidiana, si affaccia prepotente nei Decreti di legge, fa scattare reazioni imprevedibili per motivi assolutamente banali, si accovaccia nella nostra mente come una delle vie di risoluzione dalle situazioni difficili. Ciò di cui ci sentiamo orfani non sono soltanto le voci autorevoli in grado di ribaltare il paradigma della guerra per riaffermare la luce del dialogo e dell'incontro ma anche di un diffuso sentimento di speranza che ci ridoni un respiro. La profezia della pace deve proporsi come cultura di popolo in grado di risvegliare l'istinto di sopravvivenza che porti a riconoscere altri esseri umani al di là dei confini mentali e non nemici. La stragrande maggioranza dei cittadini russi, ucraini, palestinesi, israeliani, congolesi, sudanesi, birmani… in un ipotetico referendum non voterebbero per il prosieguo dei bombardamenti o dei combattimenti ma per una soluzione diplomatica che garantisca la pace. Sono queste le voci (o il grido) che attende d'essere ascoltato e trasformato in politica mentre anche l'aria sembra rassegnata alla morte.

(Fonte: Mosaico dei giorni - 09.10.2024)

7 ottobre 2023, l’eccidio di Hamas. Quel ‘Diluvio’ avvicina la terza guerra mondiale di Gad Lerner

7 ottobre 2023, l’eccidio di Hamas.
Quel ‘Diluvio’ avvicina 
la terza guerra mondiale
di Gad Lerner



Svegliati dai messaggi WhatsApp dei parenti che ci giungevano da laggiù, lo abbiamo avvertito subito, all’alba di quel sabato mattina 7 ottobre di un anno fa, che stavamo vivendo un voltapagina della storia. Invasione in corso. Preceduti dal lancio di migliaia di missili fino a Gerusalemme e Tel Aviv, miliziani provenienti da Gaza avevano travolto la barriera alta 6 metri dotata di radar e sensori raggiungendo armi in pugno numerosi centri abitati. Erano i miliziani stessi a trasmettere al mondo intero le prime immagini della strage in corso, filmate coi GoPro fissati sui caschi dei motociclisti al seguito dei gipponi e dei deltaplani. Hamas, in un documento pubblicato tre mesi dopo, il 21 gennaio 2024, riconoscerà che “forse” vi furono degli eccessi “a causa del rapido collasso del sistema militare israeliano e del caos determinatosi lungo le aree di confine con Gaza”. Si contarono nei giorni successivi circa 1.200 morti e 250 sequestrati, il più piccolo dei quali aveva appena compiuto dieci mesi. Non si sa se sia ancora vivo.

Mai era successo niente di simile dal 1948, anno di fondazione dello Stato d’Israele. Dove avevano fallito gli eserciti regolari degli Stati arabi confinanti, ad umiliare gli apparati di sicurezza israeliani, con inaudita efficacia, era stato un movimento fondamentalista islamico sunnita, Hamas, che in nome della religione teorizza la necessità del martirio, ovvero il terrorismo suicida, praticato in Medio Oriente per la prima volta dai seguaci degli ayatollah sciiti iraniani.

Chi ha scambiato gli uomini di Hamas per partigiani rivoluzionari, avanguardia di un popolo in lotta per la propria liberazione nazionale, davvero prende un grosso abbaglio (le donne, le madri, man mano che questa guerra s’inferocisce sono sempre più ignorate e ridotte ai margini). Lo stesso pomeriggio del 7 ottobre il capo politico di Hamas, Ismail Haniye – che viveva in Qatar e che per la verità risulta non fosse informato dell’operazione “Diluvio al-Aqsa”, così come non lo erano i vertici di Teheran – lanciò un proclama alla gente di Gaza: preparatevi, dovrete versare molto sangue, un sacrificio necessario a ottenere la ricompensa divina, la liberazione della nostra terra. Haniye verrà ucciso con omicidio mirato proprio in Iran l’estate scorsa, subito rimpiazzato da Yahya Sinwar. Ma aveva previsto come il premier israeliano Netanyahu sarebbe caduto nella trappola.

Umiliato nella sua promessa di “una pace basata sulla forza”, cioè sull’occupazione militare e sulla sottomissione di cinque milioni di palestinesi tra Cisgiordania e Gaza, nel giro di pochi giorni Netanyahu scatenò addosso agli abitanti imprigionati nella Striscia un’operazione militare per annientare Hamas; trasformatasi subito e premeditatamente in una criminale carneficina perpetrata sotto gli occhi indignati del mondo intero. Oltre 40 mila palestinesi morti, Gaza ridotta in macerie, Hamas ridimensionata sul piano militare ma, benché invisa a gran parte della popolazione, molto rafforzata politicamente.

Un doppio disastro, che a onde concentriche espande quel conflitto locale non solo trascinandovi l’intero Medio Oriente dallo Yemen al Libano all’Iran, ma trasformandolo nel focolaio di una possibile guerra mondiale. Un anno dopo, ancora imbottigliato a Gaza, il governo estremista di Netanyahu s’illude di vincere la guerra balistica a migliaia di chilometri di distanza dando una spallata definitiva all’Iran, non bastandogli l’inconclusa sfida mortale agli Hezbollah che sta martoriando il Libano.

Poniamo che nell’immediato appiccare questo incendio dia all’establishment israeliano la sensazione di aver ristabilito la deterrenza. Ma credono che l’Israele del futuro possa vivere in sicurezza schiacciando sotto un tallone di ferro i palestinesi? Credono cioè che esportare la guerra rimuova la guerra domestica di cui anche i recenti attentati terroristici, non fosse bastato il 7 ottobre, segnalano la ripresa? Le lacerazioni interne alla società israeliana si sono acuite, nonostante la recente euforia isterica seguita all’omicidio mirato di Nasrallah.

Dodici mesi dopo Israele è un posto meno sicuro per chi ci vive. Più isolato e screditato nelle relazioni internazionali. Sempre meno democratico al suo interno: un’etnocrazia ebraica, oltre che disonorevole, è un passo verso la perdizione. Ma lo stesso, sia ben chiaro, si può dire dei palestinesi sui quali a partire dal 7 ottobre si è abbattuto l’anno più nero della loro storia.

Quel giorno non ha cambiato la vita solo agli ebrei e agli arabi, agli immigrati che s’immedesimano nella sofferenza dei palestinesi e agli studenti che contestano il suprematismo occidentale. Hanno perso tutti, quel giorno. Abbiamo perso tutti. Affermare con lo spargimento di sangue l’impossibilità della convivenza fra due popoli che non hanno nessun altro posto in cui andare, è stato l’apice di un fanatismo contagioso che ci conduce passo a passo verso un mondo peggiore.

(Fonte: “Il Fatto Quotidiano”  - 7 ottobre 2024)

martedì 8 ottobre 2024

Paura di respirare

Paura di respirare

Tra guerre, eccidi, violenze e omicidi, l'aria viene meno e si rischia di soffocare. Quale via d'uscita da questa "bolla" angosciante?


«Il tuo cervello è nel panico … non sei abituata a respirare sott’acqua …
ti sta dicendo che sei sommersa … che questo è tutto e non c’è via d’uscita.
Invece, tu continua a respirare, … continua a respirare!», Sean Penn, in Daddio (2023)

Mi sono imbattuto in un film come non ne vedevo da tempo. Due soli attori: un uomo e una donna dentro un taxi che chiacchierano per una intera notte. Si conoscono, si confidano, si aiutano, si benedicono, si congedano. La protagonista femminile, appena atterrata all’aeroporto JFK di New York dopo una visita alla sorella, prende un taxi guidato da un uomo, Clark, con il quale inizia una lunga conversazione. Daddio, questo è il titolo della pellicola, è tutto nel loro conversare: della vita, degli amori, dei propri successi e fallimenti, di un aborto che fa ancora piangere e di tanti altri sogni che, come quel bambino, non sono mai nati. Si viene a sapere che la donna ha una relazione con un uomo sposato e che Clark cerca di dissuaderla dal continuare. Si tratta infatti di una relazione dove l’erotismo prevale sull’amore e che pertanto non potrà reggere agli umori e all’usura del tempo. Le battute finali della lunga conversazione sono straordinarie perché descrivono lo stato d’animo della donna: il panico dentro una vita che la sommerge ed è per lei come «respirare sott’acqua». Ne sente il bisogno disperato, ma allo stesso tempo ha «paura di respirare» perché respirare – quando si è sommersi – significa morire.

Non poteva esserci immagine più efficace per descrivere questo tempo storico, in Italia come in Cambogia. Respirare si deve, ma respirare quest’aria significa morire. Mette panico perché è spesso aria di guerra e noi dentro quest’aria non riusciamo a sentirci come “pesci nell’acqua”! Nondimeno, il dialogo tra i protagonisti si conclude con una potente ingiunzione: «tu continua a respirare, … tu, continua a respirare!» quasi vi fosse ancora una speranza.

Talvolta le nostre vite sono così, sommerse e senza via d’uscita. Sommerse di messaggi e di immagini, di pareri e di ricette, di emozioni e di reazioni, di chiacchiere e di prediche che a forza di respirare (solo) questo e tutto questo, si muore! Si muore di noia o di cattiveria, di passione o di dolore, di paura o di rancore, si muore. La chiamano infosfera quando a parlare è un filosofo oppure infocrazia [1] quando a farne uso è un politico o un governo o un qualsiasi sistema di potere che fabbrica verità, diffonde notizie, crea panico sapendo che per la maggior parte di noi ormai essere liberi non significa più pensare e poi agire, quanto piuttosto cliccare e poi postare. Ora, dentro questi orizzonti non possiamo essere ingenui e non riconoscere che la disinvoltura con la quale si uccide lungo la striscia di Gaza, e si tace, è la stessa con la quale a Paderno Dugnano si stermina una famiglia anche se è la propria. E la disinvoltura con la quale si umilia la vita su tutti i fronti fin dal suo concepimento è la stessa che ha indotto una giovane donna della provincia di Parma ad occultare i propri figli, partoriti e poi subito uccisi. O la disinvoltura con la quale si promuove l’azzardo e qualsiasi altra banalità commerciale è la stessa con la quale si disfano amori come fossero usa e getta. Quelle migliaia di notizie e immagini diffuse, quelle migliaia di armi comprate o vendute, quel banale qualunquismo a buon mercato prima o poi arrivano – sono già arrivati! – anche nelle nostre case, nelle nostre scuole, nelle vie dei nostri paesi: stesse scene, stesse armi, stesse violenze, stesse morti.

Daddio ci dice invece, con l’inutilità dell’arte, che respirare è conversare in profondità. Che una notte a chiacchierare dentro un taxi può sprigionare un amore che non chiede sesso e una luce che dissolve anche la tenebra più densa. Quella tenebra che è non-sguardo, non-parola, non-volto [2] dentro un mutismo che sa pensare solo la morte nell’impronunciabile addensarsi del niente mentre si è ancora “vivi”. So di rischiare la vita dicendo che il venir meno di suore con i loro asili e di preti con le loro prediche, di cortili con i loro pulcini e di campanili con i loro rintocchi, di sedi di partito con i loro dibattiti e di circoli con le loro bocce, sta cambiando l’Italia. E so anche che a questo punto qualcuno potrebbe scendere in campo con il patriarcato come l’origine di tutti i mali: ben venga, discutiamone! So però che a otto anni ero in cantiere con mio padre e questo mi ha aiutato. Se succedesse oggi gli arriverebbe una pur legittima denuncia per sfruttamento di minori! Eppure quelle giornate di lavoro hanno introdotto nel mio vocabolario la parola “fatica” che, da sola, se la si sa portare, fa miracoli su tutti i fronti. E ha introdotto nei miei sogni la Cambogia che, da sola, se la si sa amare, sa restituire a tutti i veicoli, anche i più sgangherati, una seconda chance. W l’usato!

«La storia mostra che quando, per qualche ragione, vengono meno i principi che assicurano la propria identità, l’invenzione di un nemico è il dispositivo che permette – anche se in maniera precaria e in ultima analisi rovinosa – di farvi fronte» [3]. Questo vale in casa con i propri cari, in ufficio con i propri colleghi, su tutti i fronti di questo mondo fin dai tempi di Caino e Abele. Perché il senso, quando lo si è perso e l’adrenalina, quando si è vuoti, tornano solo se riattivati. Per questo, ormai, «l’invenzione di un nemico contro il quale combattere con ogni mezzo è […] il solo modo di colmare l’angoscia crescente di fronte a tutto ciò in cui non si crede più». Ci si deve inventare un nemico perfino in casa quando si è estranei gli uni gli altri, come ovunque quando non si hanno più risorse interiori – umane e divine – per credere, sperare, amare. Dopo di che: stesse scene, stesse armi, stesse violenze, stesse morti.

Provare invece a credere che respirare è conversare e che il respiro del corpo e dell’anima si riacciuffa in una notte, creando amici non nemici, può farci uscire dalla tenebra. Allora sì, «tu continua a respirare!».
____________________

[1] Byung-chul Han, Infocrazia. Le nostre vite manipolate dalla rete, Torino 2023.
[2] Cf., S. Petrosino, «La tenebra ovvero l’apocalisse del male», in Vita e Pensiero, 4/2024, 99-103, qui 102.
[3] https://www.quodlibet.it/giorgio-agamben-l-u2019invenzione-del-nemico

(fonte: Vino Nuovo, articolo di Alberto Caccaro 30/09/2024)


lunedì 7 ottobre 2024

L’odio e la violenza non avranno l’ultima parola

L’odio e la violenza non avranno l’ultima parola

A un anno dal terribile attacco di Hamas, che ha scatenato la durissima reazione di Israele, condividiamo la lettera di una missionaria comboniana della comunità di Betania: «È difficile immaginare il dopo. Ogni sera le notizie sembrano cancellare questa possibilità di speranza, eppure è quello che siamo chiamate a fare e testimoniare. L’odio e la violenza non avranno l’ultima parola»


Carissime amiche e amici,

grazie innanzitutto per la vicinanza che ci consentite di percepire malgrado la distanza.

Abbiamo accolto volentieri l’invito di poter condividere con voi alcuni pensieri in questo tempo dove noi in Terra Santa viviamo l’esperienza dolorosa e faticosa di una strana guerra.

Sì, strana… perché ad esempio qui in Gerusalemme noi non ne facciamo esperienza diretta: le scuole sono ricominciate, il lavoro continua e l’unico reale segnale dell’anomalia è la mancanza dei pellegrini che da tutto il mondo hanno sempre inondato queste antiche strade e i luoghi santi.

Vivendo qui a Gerusalemme non possiamo dire di avere paura. I missili dell’altra sera sono stati più una curiosità che vera e propria paura; anche se le sirene della città, le strade completamente vuote, hanno sicuramente avuto un impatto anche su di noi. Ma poi, il giorno dopo la vita è ricominciata come se nulla fosse successo.

Eppure a un centinaio di chilometri da noi, a Gaza, il 95% delle costruzioni sono distrutte, un popolo è costretto a vivere da rifugiato “interno”… che poi oramai cosa significa? Vivere sulla spiaggia? Buttarsi direttamente in mare?

Eppure nel vicino Libano si fa esperienza dell’incursione di un esercito straniero.

Eppure dall’altra parte del muro, nei territori occupati, i coloni sono sempre più violenti e sempre meno sanzionati dalle autorità. Così villaggi e popolazioni locali vengono minacciate in continuazione, gli ulivi pronti per la raccolta vengono distrutti.

Certamente non dimentichiamo la profonda ferita del popolo israeliano che ha vissuto il 7 ottobre come reminiscenza di una possibilità di sterminio, come una ferita al proprio cuore.

Ci sono però altre storie importanti che dobbiamo raccontare: la resilienza di un popolo che vive nell’apartheid ma che ha deciso di non fuggire, di resistere, di continuare a vivere; la forza del popolo di Gaza che continua a vivere malgrado le condizioni sempre più disumane in cui è costretto; l’opposizione a un’ideologia che nega il diritto all’altro e all’altra di vivere, da qualunque parte ci si trovi.

È difficile immaginare il dopo. Ogni sera le notizie sembrano cancellare questa possibilità di speranza, eppure è quello che siamo chiamate a fare e testimoniare.

Siamo qui nella speranza e nella convinzione che ci sarà un dopo, che sarà difficile e doloroso ma l’odio e la violenza non avranno l’ultima parola. Siamo qui nella fede che ci sarà la possibilità di costruire una Terra Santa migliore, un Israele, una Palestina in cui si può vivere in pace e nella mutua accoglienza.

Certamente non sarà facile e ci vorrà tanto tanto sforzo ma è l’unica vera soluzione possibile. E i segnali ci sono, piccoli, nascosti… La continua amicizia tra individui e gruppi israeliani e palestinesi, la lotta non violenta dei rabbini per i diritti umani che sostengono e accompagnano famiglie e villaggi beduini minacciati, il rifiuto alle armi di alcuni giovani israeliani che preferiscono la prigione all’uccisione, l’impegno delle chiese cristiane nel dialogo con ebrei e mussulmani….

La pace non è solo un dono, la pace è una costruzione faticosa, laboriosa e lenta e mentre i governanti dei diversi paesi e popoli coinvolti continuano a portare avanti i loro interessi personali o di gruppo, che mostrano il pochissimo rispetto verso la loro stessa gente perché non lavorano per la risoluzione del conflitto, tante persone desiderano la pace, pregano per la pace, sognano la pace.

Sappiamo che la strada è lunga, ma occorre continuare a percorrere la strada della pace e noi, suore missionarie comboniane, siamo qui proprio per sostenere e accompagnare coloro che vogliono continuare a sperare, coloro che già si impegnano per una realtà migliore. Siamo qui per continuare a sognare insieme la pace.

Il 10 ottobre ricorre l’anniversario del transito di S. Daniele Comboni. Avremo una celebrazione il 13 ottobre, domenica, qui a casa nostra a Betania alle ore 17 Messa presieduta da Mons. Shomali, Vicario episcopale per Gerusalemme. Vi ricorderemo.

Suor Mariolina Cattaneo
(fonte: Mondo e Missione 07/10/2024)


Papa Francesco scrive un'accorata lettera ai cattolici del Medio Oriente “Sono con voi…”.

Papa Francesco scrive un'accorata lettera ai cattolici del Medio Oriente “Sono con voi…”. 


Papa Francesco oggi 7 ottobre, anniversario del giorno in cui "un anno fa è divampata la miccia dell’odio; (che) non si è spenta, ma è deflagrata in una spirale di violenza, nella vergognosa incapacità della comunità internazionale e dei Paesi più potenti di far tacere le armi e di mettere fine alla tragedia della guerra", scrive un'accorata lettera a tutti i cattolici del Medio Oriente.

Ripete ben sette volte "Sono con voi..." per far sentire la sua vicinanza e non solo ai cattolici "ma anche a tutti gli uomini e le donne di ogni confessione e religione che in Medio Oriente soffrono per la follia della guerra"

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LETTERA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AI CATTOLICI DEL MEDIO ORIENTE


Cari fratelli e sorelle,

penso a voi e prego per voi. Desidero raggiungervi in questo giorno triste. Un anno fa è divampata la miccia dell’odio; non si è spenta, ma è deflagrata in una spirale di violenza, nella vergognosa incapacità della comunità internazionale e dei Paesi più potenti di far tacere le armi e di mettere fine alla tragedia della guerra. Il sangue scorre, come le lacrime; la rabbia aumenta, insieme alla voglia di vendetta, mentre pare che a pochi interessi ciò che più serve e che la gente vuole: dialogo, pace. Non mi stanco di ripetere che la guerra è una sconfitta, che le armi non costruiscono il futuro ma lo distruggono, che la violenza non porta mai pace. La storia lo dimostra, eppure anni e anni di conflitti sembrano non aver insegnato nulla.

E voi, fratelli e sorelle in Cristo che dimorate nei Luoghi di cui più parlano le Scritture, siete un piccolo gregge inerme, assetato di pace. Grazie per quello che siete, grazie perché volete rimanere nelle vostre terre, grazie perché sapete pregare e amare nonostante tutto. Siete un seme amato da Dio. E come un seme, apparentemente soffocato dalla terra che lo ricopre, sa sempre trovare la strada verso l’alto, verso la luce, per portare frutto e dare vita, così voi non vi lasciate inghiottire dall’oscurità che vi circonda ma, piantati nelle vostre sacre terre, diventate germogli di speranza, perché la luce della fede vi porta a testimoniare l’amore mentre si parla d’odio, l’incontro mentre dilaga lo scontro, l’unità mentre tutto volge alla contrapposizione.

Con cuore di padre mi rivolgo a voi, popolo santo di Dio; a voi, figli delle vostre antiche Chiese, oggi “martiriali”; a voi, semi di pace nell’inverno della guerra; a voi che credete in Gesù «mite e umile di cuore» (Mt 11,29) e in Lui diventate testimoni della forza di una pace non armata.

Gli uomini oggi non sanno trovare la pace e noi cristiani non dobbiamo stancarci di chiederla a Dio. Perciò oggi ho invitato tutti a vivere una giornata di preghiera e digiuno. Preghiera e digiuno sono le armi dell’amore che cambiano la storia, le armi che sconfiggono il nostro unico vero nemico: lo spirito del male che fomenta la guerra, perché è «omicida fin da principio», «menzognero e padre della menzogna» (Gv 8,44). Per favore, dedichiamo tempo alla preghiera e riscopriamo la potenza salvifica del digiuno!

Ho nel cuore una cosa che voglio dire a voi, fratelli e sorelle, ma anche a tutti gli uomini e le donne di ogni confessione e religione che in Medio Oriente soffrono per la follia della guerra: vi sono vicino, sono con voi.

Sono con voi, abitanti di Gaza, martoriati e allo stremo, che siete ogni giorno nei miei pensieri e nelle mie preghiere.

Sono con voi, forzati a lasciare le vostre case, ad abbandonare la scuola e il lavoro, a vagare in cerca di una meta per scappare dalle bombe.

Sono con voi, madri che versate lacrime guardando i vostri figli morti o feriti, come Maria vedendo Gesù; con voi, piccoli che abitate le grandi terre del Medio Oriente, dove le trame dei potenti vi tolgono il diritto di giocare.

Sono con voi, che avete paura ad alzare lo sguardo in alto, perché dal cielo piove fuoco.

Sono con voi, che non avete voce, perché si parla tanto di piani e strategie, ma poco della situazione concreta di chi patisce la guerra, che i potenti fanno fare agli altri; su di loro, però, incombe l’indagine inflessibile di Dio (cfr Sap 6,8).

Sono con voi, assetati di pace e di giustizia, che non vi arrendete alla logica del male e nel nome di Gesù «amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano» (Mt 5,44).

Grazie a voi, figli della pace, perché consolate il cuore di Dio, ferito dal male dell’uomo. E grazie a quanti, in tutto il mondo, vi aiutano; a loro, che curano in voi Cristo affamato, ammalato, forestiero, abbandonato, povero e bisognoso, chiedo di continuare a farlo con generosità. E grazie, fratelli vescovi e sacerdoti, che portate la consolazione di Dio nelle solitudini umane. Vi prego di guardare al popolo santo che siete chiamati a servire e a lasciarvi toccare il cuore, lasciando, per amore dei vostri fedeli, ogni divisione e ambizione.

Fratelli e sorelle in Gesù, vi benedico e vi abbraccio con affetto, di cuore. La Madonna, Regina della pace, vi custodisca. San Giuseppe, Patrono della Chiesa, vi protegga.

Fraternamente,
FRANCESCO

Roma, San Giovanni in Laterano, 7 ottobre 2024.


Tonio dell'Olio Nella mente degli uomini


Tonio dell'Olio
 
Nella mente degli uomini

PUBBLICATO IN MOSAICO DEI GIORNI IL 7 OTTOBRE 2024


"Poiché le guerre nascono nella mente (spirito) degli uomini, 
è nella mente (spirito) degli uomini che devono essere poste le difese della pace".

Così esordisce l'atto costitutivo dell'Unesco firmato a Londra nel 1945. 
Chiediamo se, in quest'ultimo anno di odi, massacri, crudeltà e violenze consumatesi in quello spicchio di mondo che si chiamano Israele e Palestina, tutto ciò si è verificato. 

La miccia appiccata proprio un anno fa dall'atto terroristico di Hamas è stata brutale e spietata. Si è abbattuta peraltro proprio contro una parte della popolazione israeliana tra le più dialoganti con il mondo palestinese. E la risposta è stata la più grande carneficina di questo secolo, la cancellazione di fatto dalla cartina geografica dei territori occupati della Cisgiordania, i bombardamenti e l'invasione del Libano e non sappiamo cos'altro ancora. 

Ma tutto il resto del mondo cos'ha fatto? Come ha reagito? In quale direzione ha operato? Come ha pensato di intervenire per fermare il massacro in atto ovvero la risposta sproporzionata e terroristica di Israele così come la violenza del terrorismo di quella parte marcia della popolazione palestinese? Quali sanzioni o misure ha elaborato a danno degli aggressori? Negoziati, mediazioni, azioni diplomatiche sono state davvero dispiegate senza risparmio e senza riserve? 

È questo l'esame di coscienza cui siamo chiamate/i nella giornata di oggi. Oltre che lasciarci ognuna/o tormentare da quell'incipit della Carta dell'Unesco.


Papa Francesco «Care sorelle, cari fratelli, l’amore è esigente, sì, ma è bello, e più ce ne lasciamo coinvolgere, più scopriamo, in esso, la vera felicità.» Angelus 06/10/2024 (testo e video)

ANGELUS

Piazza San Pietro
Domenica, 6 ottobre 2024



Cari fratelli e sorelle, buona domenica!

Oggi nel Vangelo della liturgia (cfr Mc 10,2-16) Gesù ci parla dell’amore coniugale. Come già altre volte, alcuni farisei gli fanno una domanda provocatoria su un tema controverso: il ripudio della moglie da parte del marito. Vorrebbero trascinarlo in una polemica, ma Lui non ci sta, anzi coglie l’occasione per richiamare la loro attenzione su un discorso più importante: il valore dell’amore tra uomo e donna.

Al tempo di Gesù la condizione della donna nel matrimonio era di grande svantaggio rispetto a quella dell’uomo: il marito poteva cacciare, ripudiare la moglie, anche per motivi futili, e ciò veniva giustificato con interpretazioni legalistiche delle Scritture. Per questo il Signore riconduce i suoi interlocutori alle esigenze dell’amore. Ricorda loro che donna e uomo sono stati voluti dal Creatore uguali nella dignità e complementari nella diversità, per poter essere l’uno per l’altra aiuto, compagnia, ma al tempo stesso stimolo e sfida a crescere (cfr Gen 2,20-23).

E perché ciò avvenga, sottolinea la necessità che il loro dono reciproco sia pieno, coinvolgente, senza “mezze misure” – questo è l’amore –, che sia l’inizio di una vita nuova (cfr Mc 10,7; Gen 2,24), destinata a durare non “fino a quando mi va”, ma per sempre, accogliendosi reciprocamente e vivendo uniti come “una carne sola” (cfr Mc 10,8; Gen 2,24). Certo, questo non è facile, richiede fedeltà, anche nelle difficoltà, richiede rispetto, sincerità, semplicità (cfr Mc 10,15). Richiede di essere disponibili al confronto, a volte alla discussione, quando ci vuole, ma sempre pronti al perdono e alla riconciliazione. E mi raccomando: marito e moglie, litigate quanto volete, a patto che si faccia la pace prima che finisca la giornata! Sapete perché? Perché la guerra fredda del giorno dopo è pericolosa. “E mi dica, Padre, come si fa la pace?” – “Basta una carezza, così”, ma mai andare a finire la giornata senza fare la pace.

Non dimentichiamo, poi, che per gli sposi è essenziale essere aperti al dono della vita, al dono dei figli, che sono il frutto più bello dell’amore, la benedizione più grande di Dio, fonte di gioia e di speranza per ogni casa e tutta la società. Fate figli! Ieri ho avuto una grande consolazione. Era il giorno della Gendarmeria, ed è venuto un gendarme con i suoi otto figli! Era bellissimo vederlo. Per favore, aperti alla vita, quello che Dio manda.

Care sorelle, cari fratelli, l’amore è esigente, sì, ma è bello, e più ce ne lasciamo coinvolgere, più scopriamo, in esso, la vera felicità. E adesso ognuno si chieda nel suo cuore: com’è il mio amore? È fedele? È generoso? È creativo? Come sono le nostre famiglie? Sono aperte alla vita, al dono dei figli?

La Vergine Maria aiuti gli sposi cristiani. Ci rivolgiamo a lei in unione spirituale con i fedeli radunati presso il Santuario di Pompei per la tradizionale Supplica alla Madonna del santo Rosario.

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Dopo l'Angelus

Cari fratelli e sorelle!

Domani sarà passato un anno dall’attacco terroristico contro la popolazione in Israele, alla quale rinnovo la mia vicinanza. Non dimentichiamo che ancora ci sono molti ostaggi a Gaza, per i quali chiedo l’immediata liberazione. Da quel giorno il Medio Oriente è precipitato in una sofferenza sempre più grave, con azioni militari distruttive che continuano a colpire la popolazione palestinese. Questa popolazione sta soffrendo tantissimo a Gaza e negli altri territori. Si tratta perlopiù di civili innocenti, tutta gente e che deve ricevere tutti gli aiuti umanitari necessari. Chiedo un cessate il fuoco immediato su tutti i fronti, compreso il Libano. Preghiamo per i libanesi, specialmente per gli abitanti del sud, costretti a lasciare i loro villaggi.

Faccio appello alla comunità internazionale, affinché si metta fine alla spirale della vendetta e non si ripetano più gli attacchi, come quello compiuto dall’Iran qualche giorno fa, che possono far precipitare quella Regione in una guerra ancora più grande. Tutte le Nazioni hanno il diritto di esistere in pace e sicurezza, e i loro territori non devono essere attaccati o invasi, la sovranità dev’essere rispettata e garantita dal dialogo e dalla pace, non dall’odio e dalla guerra.

In questa situazione, è più che mai necessaria la preghiera. Oggi pomeriggio tutti andremo alla Basilica di Santa Maria Maggiore a invocare l’intercessione della Madre di Dio; e domani sarà giornata di preghiera e digiuno per la pace nel mondo. Uniamoci con la forza del Bene contro le trame diaboliche della guerra.

Sono vicino alle popolazioni della Bosnia ed Erzegovina colpite dalle alluvioni. Il Signore accolga i defunti, conforti i familiari e sostenga quelle comunità.

Saluto voi, romani e pellegrini dall’Italia e da tanti Paesi. In particolare, saluto la banda musicale di Cabañas (El Salvador) – poi li sentiremo suonare –, i fedeli polacchi devoti del Santuario della Madonna della Misericordia nella diocesi di Radom, e quelli venuti dalla Martinica. Saluto il gruppo di pellegrini del Santuario della Vergine della Rivelazione alle Tre Fontane, che oggi porteranno la statua della Madonna da San Pietro a questo Santuario mariano di Roma, pregando per la pace. Saluto gli ex-alunni del Seminario Minore “Poggio Galeso” di Taranto; saluto l’Associazione Teatro Patologico di Roma, la banda della Scuola “Sacra Famiglia” di Cremona e i partecipanti alla manifestazione “Fiabaday”, che operano per l’eliminazione delle barriere architettoniche.

E adesso sono lieto di annunciare che l’8 dicembre prossimo terrò un concistoro per la nomina di nuovi Cardinali. La loro provenienza esprime l’universalità della Chiesa che continua ad annunciare l’amore misericordioso di Dio a tutti gli uomini della terra. L’inserimento dei nuovi Cardinali nella Diocesi di Roma, inoltre, manifesta l’inscindibile legame tra la Sede di Pietro e le Chiese particolari diffuse nel mondo. Ecco i nomi dei nuovi Cardinali:

- S.E. Mons. Angelo Acerbi, Nunzio Apostolico;

- S.E. Mons. Carlos Gustavo Castillo Mattasoglio, Arcivescovo di Lima, Perù;

- S.E. Mons. Vicente Bokalic Iglic, C.M., Arcivescovo di Santiago del Estero, Primate di Argentina;

- S.E. Mons. Cabrera Gerardo Cabrera Herrera, O.F.M., Arcivescovo di Guayaquil, Ecuador;

- S.E. Mons. Natalio Chomalí Garib, Arcivescovo di Santiago del Cile, Cile;

- S.E. Mons. Tarcisio Isao Kikuchi, S.V.D, Arcivescovo di Tokyo, Giappone;

- S.E. Mons. Pablo Virgilio Siongco David, Vescovo di Kalookan, Filippine;

- S.E. Mons. Ladislav Nemet, S.V.D., Arcivescovo di Beograd -Smederevo, Serbia;

- S.E. Mons. Jaime Spengler, O.F.M, Arcivescovo di Porto Alegre;

- S.E. Mons. Ignace Bessi Dogbo, Arcivescovo di Abidjan, Costa d’Avorio;

- S.E. Mons. Jean-Paul Vesco, O.P., Arcivescovo di Alger, Algeria;

- S.E. Mons. Paskalis Bruno Syukur, O.F.M, Vescovo di Bogor, Indonesia;

- S.E. Mons. Joseph Mathieu, O.F.M. Conv., Arcivescovo di Teheran Ispahan, Iran;

- S.E. Mons. Roberto Repole, Arcivescovo di Torino, Italia;

- S.E. Mons. Baldassare Reina, da oggi Vicario Generale per la Diocesi di Roma;

- S.E. Mons. Francis Leo, Arcivescovo di Toronto, Canada;

- S.E. Mons. Rolandas Makrickas, Arciprete Coadiutore della Basilica Papale di Santa Maria Maggiore;

- S.E. Mons. Mykola Bychok, C.Ss.R., Eparca di Saints Peter and Paul di Melbourne degli Ucraini;

- Rev.do Padre Timothy Peter Joseph Radcliffe, O.P, teologo;

- Rev.do Padre Fabio Baggio, C.S., Sotto-Segretario del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale;

- Mons. George Jacob Koovakad, Officiale della Segretario di Stato, responsabile dei Viaggi papali.

Preghiamo per i nuovi Cardinali, affinché confermando la loro adesione a Cristo, Sommo Sacerdote misericordioso e fedele, mi aiutino nel ministero di Vescovo di Roma per il bene di tutto il santo popolo di Dio.

E a tutti voi auguro una buona domenica. E per favore non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!

Guarda il video

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Papa Francesco: "O Maria, Madre nostra... ora ti supplichiamo: accogli il nostro grido! ... vieni a soccorrerci in questi tempi oppressi dalle ingiustizie e devastati dalle guerre..."

Papa Francesco: 
"O Maria, Madre nostra... ora ti supplichiamo: 
accogli il nostro grido! ... vieni a soccorrerci in questi tempi oppressi dalle ingiustizie e devastati dalle guerre..."


Nella Basilica di Santa Maria Maggiore, ancora una volta, oggi domenica 6 ottobre, c'è Papa Francesco, per elevare alla Madonna "un'accorata supplica di pace".

Il momento di preghiera, annunciato dallo stesso pontefice il 2 ottobre scorso nella Messa celebrata per l’apertura della XVI assemblea generale ordinaria del sinodo dei vescovi, ha visto la partecipazione di numerosi membri della stessa assise, di una ventina di cardinali, di molti fedeli che già dal primo pomeriggio erano assiepati dietro le transenne in attesa di entrare.
Al termine della recita del Santo Rosario per la pace, da lui presieduto, dopo aver contemplato i misteri gloriosi, e prima di impartire la benedizione, il Papa ha recitato una preghiera, più che una invocazione un “grido” del popolo di Dio a Colei che conosce “i dolori e le fatiche che in quest’ora appesantiscono il nostro cuore”, per implorare l'intercessione della Madre di Cristo “perché cessino le divisioni, le liti e le guerre tra i popoli”

Di seguito il testo integrale della sua preghiera.

O Maria, Madre nostra, siamo nuovamente qui davanti a te. 
Tu conosci i dolori e le fatiche che in quest’ora appesantiscono il nostro cuore. 
Noi alziamo lo sguardo a te, ci immergiamo nei tuoi occhi 
e ci affidiamo al tuo cuore.

Anche a te, o Madre, la vita ha riservato difficili prove e umani timori, 
ma sei stata coraggiosa e audace: 
hai affidato tutto a Dio, hai risposto a Lui con amore, 
hai offerto te stessa senza risparmiarti. 
Come intrepida Donna della carità, in fretta ti sei recata ad aiutare Elisabetta, 
con prontezza hai colto il bisogno degli sposi durante le nozze di Cana; 
con fortezza d’animo, sul Calvario hai rischiarato di speranza pasquale la notte del dolore. 
Infine, con tenerezza di Madre hai dato coraggio ai discepoli impauriti nel Cenacolo e, con loro, hai accolto il dono dello Spirito.

E ora ti supplichiamo: accogli il nostro grido! 
Abbiamo bisogno del tuo sguardo amorevole 
che ci invita ad avere fiducia nel tuo Figlio Gesù. 
Tu che sei pronta ad accogliere le nostre pene 
vieni a soccorrerci in questi tempi oppressi dalle ingiustizie e devastati dalle guerre, 
tergi le lacrime sui volti sofferenti di quanti piangono la morte dei propri cari, 
ridestaci dal torpore che ha oscurato il nostro cammino 
e disarma i nostri cuori dalle armi della violenza, 
perché si avveri subito la profezia di Isaia: 
«Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; 
una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione, 
non impareranno più l’arte della guerra» (Is 2,4).

Rivolgi il tuo sguardo materno alla famiglia umana, 
che ha smarrito la gioia della pace e ha perso il senso della fraternità. 
Intercedi per il nostro mondo in pericolo, perché custodisca la vita e rigetti la guerra, si prenda cura di chi soffre, dei poveri, degli indifesi, degli ammalati e degli afflitti, e protegga la nostra Casa Comune.

Invochiamo da te la misericordia di Dio o Regina della pace! 
Converti gli animi di chi alimenta l’odio, 
silenzia il rumore delle armi che generano morte, 
spegni la violenza che cova nel cuore dell’uomo 
e ispira progetti di pace nell’agire di chi governa le Nazioni.

O Regina del santo Rosario, 
sciogli i nodi dell’egoismo e dirada le nubi oscure del male. 
Riempici con la tua tenerezza, sollevaci con la tua mano premurosa 
e dona a noi figli la tua carezza di Madre, 
che ci fa sperare nell’avvento di nuova umanità dove 
« … il deserto diventerà un giardino e il giardino sarà considerato una selva. 
Nel deserto prenderà dimora il diritto e la giustizia regnerà nel giardino. 
Praticare la giustizia darà pace…» (Is 32,15-17).

O Madre, Salus Populi Romani, prega per noi!


domenica 6 ottobre 2024

Preghiera dei Fedeli - Fraternità Carmelitana di Pozzo di Gotto (ME) - XXVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO B

Fraternità Carmelitana 
di Pozzo di Gotto (ME)

Preghiera dei Fedeli

XXVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO B

6 ottobre 2024 


Per chi presiede

Fratelli e sorelle, nel suo disegno di amore Dio nostro Padre e nostra Madre ha voluto che il suo Figlio Gesù si rivestisse della nostra carne umana, della nostra estrema fragilità e piccolezza creaturale. È Lui che ci insegna a non aver vergogna della nostra piccolezza, ma a saperla abbracciare e così poter costruire relazioni di vera fraternità. Con fiducia innalziamo al Signore Gesù le nostre preghiere ed insieme diciamo:

R/   Asoltaci, Signore

  

Lettore

- Tu, Signore Gesù, hai voluto legare a Te la tua Chiesa con vincoli sponsali. Riversa su di essa con abbondanza il tuo Santo Spirito, perché sia pronta ogni giorno a corrispondere al tuo amore gratuito e fedele, lasciandosi coinvolgere nel tuo amore appassionato per questa umanità, che anela alla fraternità universale, ma non ne conosce la via. Preghiamo.

- A Te, Signore Gesù, affidiamo questo secondo momento del Sinodo dei Vescovi che si celebra a Roma. Dona loro e a papa Francesco il coraggio e l’intelligenza spirituale di aprire vie nuove, affinché tutta la Chiesa nella varietà delle comunità locali si presenti al mondo come modello possibile di comunione e di valorizzazione di ogni carisma e dono. Preghiamo.

- Ti preghiamo, Signore Gesù, per tutte le coppie e per tutte le famiglie, che sperimentano nel loro quotidiano quanto sia difficile e faticoso vivere la comunione e portare con responsabilità i pesi gli uni degli altri. Dona agli sposi cristiani la piena consapevolezza di cosa significhi avere Te come partner e con Te poter distillare una goccia di amore dentro un mondo fatto di odio e di violenza, di rifiuto ed emarginazione dell’altro diverso per genere, etnia, cultura e religione. Preghiamo.

- Il nostro pensiero e la nostra preghiera oggi va ancora alla terra di Palestina, percorsa da un odio fratricida, che sembra non conoscere confini. Dona, Signore Gesù, un po’ di intelligenza ai governanti di Israele, che dicono di fare della Torah – dono di Dio per orientare il cammino di fede del suo popolo – la legge fondamentale dello Stato, ma che non provano alcun senso di colpa di fronte allo sterminio del popolo palestinese che sta di fronte a loro. Preghiamo.

- Ti affidiamo, Signore Gesù, il nostro Paese e quanti hanno responsabilità di governo. Dona loro la capacità di prendere a cuore la sorte dei più deboli e degli svantaggiati. Fa’ che la politica esca dall’ossessione securitaria per concentrarsi di più sui veri bisogni del Paese come la sanità, la scuola e il lavoro. Preghiamo.

- Ti ricordiamo, o Signore Gesù, i nostri parenti e amici defunti [pausa di silenzio]; ti ricordiamo ancora le vittime sul lavoro, le vittime del femminicidio e dell’omofobia. Concedi a tutti di contemplare il tuo Volto di Sposo fedele e compassionevole. Preghiamo.


Per chi presiede

Accogli, Signore Gesù, la nostra preghiera: dona alle nostre comunità e alle nostre famiglie la capacità di ricominciare e di rinnovarsi sempre nell’amore e nella fiducia reciproca. Te lo chiediamo perché tu sei lo Sposo fedele della tua Chiesa e dell’Umanità, che vivi con il Padre e lo Spirito Santo nei secoli dei secoli. AMEN.