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martedì 31 dicembre 2024

"Un cuore che ascolta - lev shomea" n° 7 - 2024/2025 anno C

"Un cuore che ascolta - lev shomea"

"Concedi al tuo servo un cuore docile,
perché sappia rendere giustizia al tuo popolo
e sappia distinguere il bene dal male" (1Re 3,9)



Traccia di riflessione sul Vangelo
a cura di Santino Coppolino


MARIA SANTISSIMA MADRE DI DIO

Vangelo:

Come Maria a Nazareth (Lc 1,39), anche i pastori si mettono in cammino «in fretta» obbedendo all'invito dell'angelo. Disprezzati ed emarginati dalla società religiosa del tempo, i pastori erano considerati la feccia di Israele, peccatori senza speranza di salvezza, vera incarnazione del male, ed erano ritenuti la causa prima - unitamente a pubblicani e prostitute - del ritardato avvento del regno di Dio. «Chi trae un pastore da un fosso dentro al quale è caduto salva un idolatra»; così recita il Talmud, la sapienza rabbinica di Israele. Per il Vangelo, invece, i pastori diventano modelli di fede, ascoltatori e annunciatori della Parola loro affidata, autentici simboli della nascente comunità cristiana. Hanno ascoltato la Parola, l'hanno accolta, hanno creduto, hanno contemplato e, a loro volta, la proclamano. A noi, con Maria, non rimane che accogliere, come tesoro prezioso, la loro testimonianza, «serbando, meditando e confrontando la Parola nel nostro cuore». La conoscenza e la comprensione del Mistero-Progetto di Dio manifestatosi in Gesù avverrà attraverso l'ascolto fedele e orante della Parola del Vangelo. Solo così la nostra conversione - a noi stessi, alla Parola e al Padre - avrà il gusto dell'autenticità, poiché «dove è il nostro tesoro, là sarà anche il nostro cuore» (Lc 12,34).


MAURILIO ASSENZA: «Se il Signore non custodisce la città, invano veglia il custode» (Sal 127,1). Preghiera e politica oggi. (VIDEO INTEGRALE)

«Se il Signore non custodisce la città,
invano veglia il custode» (Sal 127,1).
Preghiera e politica oggi.
Maurilio Assenza

(VIDEO INTEGRALE)


20 novembre 2024 - Quinto e ultimo dei
Mercoledì della Spiritualità 2024
promossi dalla
Fraternità Carmelitana
di Barcellona P.G. (ME)


“La preghiera apre
la porta alla speranza”



1. Una dialettica aperta e complessa, da non semplificare ….

    Durante un convegno diocesano, mons. Giovanni Nervo, a chi chiedeva cosa fare nei rapporti con i politici, rispose: «Pregare per loro, pregare per noi!» Non era una battuta. Spiegò che la comunità cristiana e la politica hanno un rapporto dialettico, che nella preghiera trova il suo vertice. Anche nella Scrittura si trova l’invito a «pregare per coloro che ci governano» e, però, leggendo e rileggendo la Bibbia trovi precise distanze da ogni forma di idolatria, a iniziare dal potere politico esercitato in modo prepotente, che permettono di pensare la preghiera come un luogo in cui continuamente imparare a «dare a Dio quel che è di Dio» – il primato, l’adorazione, la fiducia massima, che apre a una speranza sicura radicata in un Dio affidabile nell’amore – e «a Cesare quel che è di Cesare» – un rapporto fatto di diritti e doveri e di rispetto delle leggi. Che permettono di cercare una giustizia legata alla valenza contestuale e contingente delle leggi, ma anche - grazie a quella comprensione delle Scritture in cui ci aiuta il magistero dei profeti - alla possibilità/necessità di miglioramento, in tensione verso la misura più alta della “giustizia di Dio” che può prevedere anche una motivata e coerente obiezione di coscienza.
..
5. Se i poveri sono luogo teologico

     Parola, eucaristia, poveri, fraternità sono le “cose essenziali della fede”, e quindi c’è da verificare anche questa valenza nel rapporto tra preghiera e politica. I poveri sono, come la Scrittura ci dice e l’assistenzialismo nega, un luogo teologico che impegna alla prossimità, entro cui la politica - intesa come servizio per il bene comune a partire dagli ultimi - diventa la «forma più alta di carità».

      Scrive ancora Mons. Crociata nella sua lettera pastorale sulla preghiera:

«Il credente discepolo di Gesù è uno che sente e coltiva una passione per il bene e la vita dell’umanità intera, a cominciare dai più vicini e, tra di essi, da quelli che si trovano in difficoltà, che fanno più fatica, che patiscono le ingiustizie degli uomini e le ingiurie delle malattie e delle avversità. Per questo quando egli prega, non si rende o, se lo è stato, non rimane avulso dai drammi dell’umanità vicina e lontana, e nemmeno dai suoi progetti e dalle sue speranze. Porta tutto dentro la sua preghiera, perché se crede davvero, sa che i drammi, le fatiche, le speranze del mondo intero toccano e trovano posto innanzitutto nel cuore di Dio. Il credente questo lo sa e non si sogna di chiudersi al cuore di Dio, perché sarebbe un affronto e un tradimento, ma con la preghiera lo fa suo e implora quel bene che il Padre vuole per tutti i suoi figli, nessuno escluso, arrivando a trasformare la sua preghiera in molla per agire, nei modi e nei tempi che sono consoni a ciascuno. La preghiera è luce e guida anche nell’esercizio della responsabilità civica e nell’impegno sociale e politico per il bene comune».

Non ci può essere evasione dalla storia, e quindi dalla politica, come scriveva La Pira:
«Non basta (come fa la stragrande maggioranza) dire: Signore Signore! Non basta essere iscritti all’Azione Cattolica (per fare i candidati) o alla d. c. (per fare i deputati e cercare favori); no: la politica è l’attività “religiosa” più alta, dopo quella dell’unione intima con Dio: perché è la guida dei popoli! Il mandato di Gesù a Pietro (pasci i miei agnelli) è anche, in certo modo, diretto ai capi politici: essi pure sono chiamati a “pascere” il popolo cristiano, che è popolo di Dio: mihi fecisti. (…) Una responsabilità immensa, un severissimo e durissimo servizio che si assume: non negotium sed ministerium».

Soprattutto, nella frequenza dei poveri attraverso relazioni che ne riconoscono la valenza teologica (la preferenza per loro rivela l’agire di Dio, da che parte sta Dio), noi impariamo le giuste distanze dei potenti e non dimentichiamo quella tensione escatologica che è essenziale al cristianesimo.
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Intervento integrale


Guarda i post degli incontri già pubblicati:
- il primo dei Mercoledì - Viviamo oggi in un mondo chiuso alla speranza? - Felice Scalia (VIDEO)

- il secondo dei Mercoledì - Nella notte della storia la preghiera apre alla speranza. A confronto con i testimoni della fede. - Alberto Neglia (VIDEO)

- il terzo dei Mercoledì - La preghiera del profeta Elia nei tempi di aridità spirituale (1Re 18,42-46; Gc 5,13-18) - Roberto Toni (VIDEO)


- il quarto dei Mercoledì - L’eucaristia nel naufragio della vita. L’esperienza dell’apostolo Paolo (At 27,35) - Gregorio Battaglia (VIDEO)

L’anno nuovo nel segno di Erode di Giuseppe Savagnone

L’anno nuovo 
nel segno di Erode
di Giuseppe Savagnone





La strage degli innocenti

Le luci e il clima festoso del Natale hanno fatto dimenticare ormai da tempo alla grande maggioranza delle persone, anche ai credenti, una delle feste liturgiche che la Chiesa cattolica celebra ogni anno il 28 dicembre, all’indomani della ricorrenza della nascita di Gesù, e che si collega strettamente ad essa, quella dei Santi Innocenti.

La storia, narrata nel vangelo di Matteo, è nota: il re Erode, allarmato da quanto i magi gli hanno riferito sulla nascita in Bethlem di un misterioso “re dei Giudei”, quando si accorge che essi, malgrado le sue raccomandazioni, non torneranno per informarlo sull’identità del suo possibile concorrente al trono, decide di mettersi al sicuro mandando i propri soldati ad uccidere tutti i bambini del villaggio dai due anni in giù.

Un racconto che ci appare rappresentativo della bestiale violenza a cui la logica del potere può condurre chi lo assolutizza. Forse, però, dovremmo chiederci se il mondo, dopo duemila anni, non sia ancora alle prese con il triste fantasma di Erode e se la nostra giusta reazione non rischi di essere un alibi per distogliere gli occhi dal presente di cui siamo protagonisti e in una certa misura responsabili.


Bambini deportati e massacrati

Perché i bambini continuano ad essere le vittime innocenti dei conflitti che oggi travagliano il nostro pianeta e dei giochi di potere che ne sono l’origine. Emblematico ciò che è accaduto in Ucraina.

All’inizio dell’aggressione di Putin, una delle prime misure degli invasori è stata la deportazione di almeno 20.000 bambini ucraini, che sono stati strappati alle loro famiglie e portati con la forza in Russia, dove si sta cercando di cancellare ogni legame con la loro patria e di trasformarli a tutti gli effetti in russi.

È questa «deportazione illegale di popolazione (bambini)» il «crimine di guerra» menzionato nel mandato di arresto emesso il 23 marzo 2023 dalla Corte penale internazionale nei confronti di Vladimir Putin.

Non meno impressionante quello che sta accadendo nella guerra che da ormai più di un anno infuria tra Israele ed Hamas. Già nell’attacco di Hamas del 7 ottobre, tra le vittime civili israeliane si contavano anche 33 minori uccisi e circa 30 rapiti.

Testimonianza di una spietatezza che non rispetta neppure l’infanzia e che disonora chi se ne rende responsabile. I piccoli sono ancora in mano ai terroristi. Un video recentemente diffuso dall’organizzazione islamica attraverso i suoi canali social mostra uomini armati che tengono in braccio o spingono nei passeggini i bambini presi in ostaggio.

Ancora più drammatici sono i numeri della strage che, in reazione a quel massacro, si sta perpetrando da più di un anno nella Striscia di Gaza. Dall’inizio della guerra al luglio scorso i bambini vittime dalle bombe e delle azioni di terra dell’esercito israeliano erano 16.456, ma da allora ne sono morti altri. Una nota dell’UNICEF di metà dicembre riferiva che solo dall’inizio di novembre sono stati uccisi una media di quattro al giorno.

«Questa guerra è una guerra contro i bambini», ha denunziato il responsabile dell’UNRWA, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, sottolineando che, secondo i dati, il numero di quelli uccisi nella Striscia di Gaza in soli quattro mesi supera il numero di bambini uccisi in tutti i conflitti del mondo negli ultimi quattro anni.

Senza contare quelli morti a causa della mancanza di cibi e di medicinali, per il blocco effettuato dallo Stato ebraico e indicato come «crimine di guerra» nel mandato di arresto della stessa Corte penale internazionale, questa volta nei confronti del premier israeliano Netanyahu.


Noi spettatori e protagonisti della strage

C’è però una inquietante differenza rispetto al caso della violenza dei russi contro i piccoli ucraini e di quella di Hamas nei confronti dei bambini israeliani – entrambe ampiamente deprecate da tutti – , ed è che a Gaza il massacro si svolge, da quattordici mesi, sotto gli occhi indifferenti delle democrazie occidentali, (ad eccezione di Spagna e Irlanda), le quali fin dall’inizio forniscono ad Israele la copertura politica e le armi per la sua campagna, limitandosi a rivolgere di tanto in tanto vaghi inviti al rispetto dei diritti umani, fingendo di non vedere che essi sono stati ormai da tempo calpestati.

Ancora più evidenti sono le responsabilità dei paesi “progrediti” nella violenza contro i bambini nella sempre più rigida chiusura delle loro frontiere al flusso dei migranti.

Pioniera e sostenitrice di questa linea è la premier italiana Giorgia Meloni, il cui governo si è prodigato fin dall’inizio per contrastare i viaggi verso l’Italia ostacolando e rendendo più difficile il salvataggio dei naufraghi nel Mediterraneo da parte delle navi delle ONG.

Quanti bambini sono morti a causa di queste misure di “difesa dei confini”? Solo nei primi mesi del 2023 l’UNICEF parlava di 289. Ma ogni settimana giungono notizie di altri naufragi, in cui almeno alcuni dei morti sono minori.

Per non parlare di quelli che, grazie agli accordi di Roma con la Libia e la Tunisia, sono trattenuti in condizioni disumane nei lager creati da questi paesi per impedirne la partenza verso l’Italia.

Ora il modello Meloni viene apprezzato e fatto proprio anche da altri paesi europei, che si stanno prodigando nell’alzare muri e nel creare lager di smistamento per i rimpatri.

Quanto agli Stati Uniti, Trump, in coerenza col proprio programma elettorale, è sul punto di realizzare la «più grande deportazione di massa di migranti illegali». Non disponiamo del numero dei bambini coinvolti in queste operazioni, ma non è azzardato presumere che sia elevato.

Un ultimo capitolo di questa odierna “strage degli innocenti” è il progressivo assurgere della libertà delle donne di abortire ad emblema della loro emancipazione e della loro recuperata dignità. Quello che dovrebbe essere considerato un doloroso trauma, da affrontare come estremo rimedio a situazioni di estremo pericolo per la gestante e per il bambino, è stato invece inserito di recente nella Costituzione francese «in riconoscimento del diritto delle donne di disporre liberamente del proprio corpo», come ha orgogliosamente dichiarato il primo ministro Gabriel Attal su X. E poco dopo il Parlamento europeo ha votato a favore dell’inserimento di un’analoga normativa nella Carta dei diritti fondamentali dell’UE.

L’embrione, il feto, sono ancora privi di una vita biografica – e questo certamente li differenzia dai bambini già nati – , ma ne hanno una biologica che, secondo la scienza, li qualifica a tutti gli effetti come esseri umani. Considerarli “disponibili” ad ogni manipolazione, come semplici parti del corpo materno, secondo le parole del primo ministro francese, equivale a dire che la terra è piatta e che il sole ruota intorno alla terra.

La libertà delle donne non può prevalere sul diritto a vivere di altri esseri umani. Ed è una triste mistificazione farla risiedere nel diritto di uccidere i propri figli, invece che in quello di essere aiutate dalla comunità civile ad averli e a mantenerli dignitosamente.

No, non è un mondo per bambini. Si capisce anche dal fatto che ne nascono sempre di meno. Mentre nei paesi poveri i bambini sono accolti come una benedizione, l’Occidente evoluto fa sempre meno figli, ossessionato dalla paura di dover dividere la propria libertà e la propria ricchezza con i nuovi venuti, quasi fossero clandestini indesiderati anche loro.


Alla viglia del nuovo anno

Il 28 dicembre, la festa liturgica della strage degli innocenti, precede di soli tre giorni l’imminente capodanno, con cui comincia un 2025 che, da questo punto di vista, non sembra promettere niente di buono.

Nel nuovo anno i piccoli ucraini torneranno alle loro case? I bambini israeliani ostaggio di Hamas saranno finalmente liberati? Smetterà l’esercito dello Stato ebraico di uccidere e di affamare quelli palestinesi? Si permetterà ai migranti di portare i loro figli a vivere in ambienti più sicuri, dove farli crescere al riparo dalle guerre e dalla fame? Si prenderà coscienza che anche i bambini non ancora nati hanno il diritto avere un futuro?

Vorremmo poter rispondere positivamente a queste domande, ma non possiamo. E non dipende da noi. A ognuno di noi spetta però continuare a parlare, a scrivere, a lottare come possiamo – come stiamo facendo – per denunciare e combattere con tutte le forze la triste ombra di Erode che si stende sul nostro mondo civilizzato.

(fonte: Tuttavia - 27/12/2024)

lunedì 30 dicembre 2024

"Natale è la gloria di Dio che si fa piccolo e ci mostra che la vera gloria ... La gloria non è nel potere ma nel servire." Matteo Zuppi

"Natale è la gloria di Dio che si fa piccolo
e ci mostra che la vera gloria ...
La gloria non è nel potere ma nel servire."  
Matteo Zuppi

25.12.2024 - Bologna, Cattedrale

L’Arcivescovo nel pomeriggio del giorno di Natale ha celebrato la Messa in Cattedrale.

“Egli è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza, e tutto sostiene con la sua parola potente”, abbiamo ascoltato. Ecco il mistero del Natale, che mostra la sua gloria possibile, concreta, umana, che rivela quell’immagine di Dio che ogni persona porta dentro di sé. È vero anche per noi che abbiamo ricevuto “grazia su grazia”. Ce ne accorgiamo? Le sappiamo riconoscere o ne facciamo un diritto, un nostro possesso? Dovremmo ogni giorno ricordarci le grazie che continuiamo a ricevere di persone, opportunità, conferme. Farlo ci libererebbe dal sentirci protagonisti oppure dal lamentarci, come se non avessimo le opportunità per fare grandi cose.

Natale è la gloria di Dio che si fa piccolo e ci mostra che la vera gloria delle persone non è nel possesso, nell’umiliare il prossimo, nell’autosufficienza, nel penoso esibizionismo, così volgare e diffuso, umiliante per il proprio io. La gloria non è nel potere ma nel servire. Questo non è solo quello che ci insegna Gesù, ma è la sapienza umana che ci aiuta a capire qual è la vera grandezza delle persone. La gloria si rivela nella relazione con il prossimo, nel voler bene.

E Dio insegna da subito che il voler bene non ha confini, è possibile a tutti, tanto che si lascia avvicinare dai pastori. Ecco l’impronta della sua sostanza, perché lo spirituale e il materiale non si oppongono, anzi! Non dobbiamo cercare una dimensione spirituale cancellando l’umanità concreta, fuori da noi e dalla storia, o quegli angelismi di cui parla spesso Papa Francesco. Non sono la nostra umanità concreta, il nostro limite, l’inadeguatezza ad essere pericolosi per lo spirito!

Quelli che non accolgono Gesù sono proprio i suoi, chi pensa di aver già capito tutto. L’impronta della sua sostanza è molto concreta, come ho visto oggi alla Dozza, dove ho contemplato tanta speranza che conforta nella disperazione e scioglie l’inevitabile durezza provocata da molti fallimenti e delusioni date, ma anche dalla disumanità del sovraffollamento, dell’inedia, della mancanza di speranza per la loro vita, tradendo il fine stesso del carcere che è quello della rieducazione.

Nell’Eucarestia, oggi con i carcerati, quanta consolazione, quanta commozione per un amore immeritato, tanto più grande del nostro cuore e del nostro peccato! L’impronta della sua sostanza l’ho incontrata al pranzo con tanto prossimo, un vero pranzo di prossimità, nella Chiesa dell’Annunziata, dove si è condiviso il pane del cielo sulla tavola dell’altare e quello della terra, dove lo spirituale si trasforma e genera quello materiale. Ho visto realizzata quell’alleanza sociale per la speranza, inclusiva e non ideologica, indicata dalla Bolla di indizione del Giubileo, per iniziative in carcere “volte ad aiutare le persone a recuperare fiducia in se stesse e nella società; percorsi di reinserimento nella comunità a cui corrisponda un concreto impegno nell’osservanza delle leggi. È un richiamo antico, che proviene dalla Parola di Dio e permane con tutto il suo valore sapienziale nell’invocare atti di clemenza e di liberazione che permettano di ricominciare”. Ecco la forza del Natale, che permette a tutti noi di ricominciare sia in termini personali sia come Chiesa e anche come città degli uomini. Certo, ci interroga che il mistero della “vita”, che è “luce degli uomini”, “venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto”. Come è possibile? Come avviene che lo lasciamo fuori dalla porta del nostro cuore a bussare e non gli apriamo? Perché siamo storditi e ingannati dal materialismo pratico che ci fa credere onnipotenti e autosufficienti. Pensiamo che trovare noi stessi significhi chiudersi e non aprirsi, che l’altro, ad iniziare da Gesù, sia un fastidio, un limite e non amore. Finiamo per essere prigionieri della paura e dell’orgoglio tanto da voler possedere la vita e nutrirla possedendo il prossimo.

Anche la Chiesa stessa può essere condizionata dalla paura che provoca l’irrigidimento di alcuni sul passato, disordinate fughe in avanti, facili dilazioni, prudenze, il continuare a fare quello che “si è sempre fatto in quel modo”, vista corta in molti. Ripartire semplicemente da questo bambino, dal verbo che si fa carne anche con la nostra carne, rimetterlo al centro con tutto il suo amore disarmato e il sorprendente affidarsi a noi. Gesù non smette di avere speranza. Il primo perseverante è proprio Lui. A quanti lo hanno accolto ha dato “il potere di diventare figli di Dio”.

L’accoglienza vuol dire sia ascolto sia fraternità per tutti, servizio ai più piccoli. Se noi non amiamo con il nostro amore, la speranza di Dio ci sfugge e si perde e Natale non genera qualcosa di nuovo. La speranza richiede la nostra partecipazione, quella personale, la nostra intima decisione che però ci unisce alla comunione dei fratelli e delle sorelle. Ricordiamoci il monito a non farci chiamare maestri, perché «voi tutti siete fratelli». Ringraziamo la luce del Natale, perché è amore più forte delle tenebre dell’indifferenza, «dell’occhio per occhio, dente per dente» che genera altro sangue, con rappresaglie e rovine che discendono collegate a catena, come un “perpetuo obbligo d’ignobile onore”. La sua luce diventa nostra e chiede di incarnarsi in noi. È affidata a noi.

Deve essere custodita. Domenica inizia per noi il Giubileo. Parleremo di speranza, di essere pellegrini di speranza in un mondo fatalista, rinunciatario tanto da avere paura della vita. Questa luce, umana e divina, nostra e sua, mia e nostra, non viene per benedire felicità individuali drammaticamente esposte alle pandemie, alle tenebre che spengono tutta la vita.

Faccio mia la preghiera di Grandmaison che contiene concrete indicazioni per conservare la luce del Natale e nascere a figli, e quindi a fratelli suoi e tra di noi, e vedere e far vedere la gloria umana e divina di Dio. La speranza va difesa contro il male che cerca di confonderci, di renderci fatalisti, fragili, come persone che con facilità smettono di cercare quello che non c’è.

“Santa Maria, madre di Dio, conservammo un cuore di fanciullo, puro e limpido come acqua di sorgente. Ottienimi un cuore semplice che non si ripieghi ad assaporare le proprie tristezze; un cuore magnanimo nel donarsi, facile alla compassione; un cuore fedele e generoso, che non dimentichi alcun bene e non serbi rancore di alcun male. Formami un cuore dolce e umile, che ami senza esigere di essere riamato, contento di scomparire in altri cuori sacrificandosi davanti al tuo figlio divino; un cuore grande e indomabile, che nessuna ingratitudine lo possa chiudere e nessuna indifferenza lo possa stancare; un cuore tormentato dalla gloria di Gesù Cristo, ferito dal suo amore con una ferita che non rimargini se non in cielo”. 
Sia così.



Leggi anche:
- Omelia Messa della Notte di Natale


Natale, giovinezza di Dio di Bruno Forte

Natale, giovinezza di Dio
di + Bruno Forte,
Padre Arcivescovo Diocesi di Chieti Vasto




        Ai credenti, che celebrano nel Natale la festa della giovinezza sempre nuova di Dio e del Suo amore per noi, la domanda di speranza si impone in maniera prioritaria, assoluta: se Natale vuol dire che Dio non è stanco degli uomini e sa ricominciare sempre da capo con loro e per loro, è più che mai urgente che la fede non si esaurisca nell'esteriorità ripetitiva della tradizione né si arrenda alla logica dominante del consumismo, proprio di questi giorni. 

       Il dono che il mondo chiede a Natale non può ridursi alla somma dei tanti doni segnati dall'effimero, ma è quel dono, che non passa e dà significato alla vita, il dono che Dio ha voluto accendere nel cuore dell'uomo e del tempo facendosi uomo e che rende sempre nuovo e vivo fra noi nel pane di vita. Natale, oggi e più che mai, vuol dire speranza. Per questo è apparsa “la grazia di Dio, apportatrice di salvezza”: per questo ci è offerto il pane eucaristico - vero pane della speranza -, perché tutti possiamo “rinnegare l’empietà e i desideri mondani e vivere con sobrietà, giustizia e pietà in questo mondo, nell’attesa della beata speranza della manifestazione della gloria del nostro Dio e salvatore, Gesù Cristo” (Tito, 2,12s). 

       Perciò, non esito a chiedere al divino Bambino, per tutti noi e per l’intera nostra comunità ecclesiale e civile, come per tutta la famiglia umana, il dono di venire a noi e in ciascuno di noi come anticipazione del futuro, speranza credibile e certa, affidabile e bella, quale nessun altro potrebbe dare al nostro cuore inquieto. Natale sia speranza nuova nei cuori, audacia di riconoscere le ragioni che rendono la vita degna di essere vissuta. Natale sia scelta nuova di pace, che rifiuti la legge della forza per scegliere la forza della legge e - per costruire la pace - anteponga a ogni altra la via fondata sull’impegno per la giustizia e sul dialogo nell’offerta reciproca del perdono. Natale sia la sorpresa di imparare nuovamente a rispettarci ed amarci, al servizio dell’unica causa del bene comune, con particolare attenzione ai più deboli e a chi soffre di più (penso specialmente a quanti patiscono le conseguenze del drammatico terremoto del 6 Aprile scorso). Natale sia incontro nuovo con Colui, che è in persona la luce del mondo, la luce della vita, e che la Chiesa – come luna baciata dai suoi raggi solari – irradia nella notte del mondo. Sia Natale la festa della giovinezza di Dio e della nostra giovinezza in Lui, celebrata nel mistero del Suo avvento in noi e fra di noi e nel dono dei nostri cuori a Lui. Per questo, invoco con voi e per voi il Dio che viene, unica, vera speranza del mondo: 

Vieni, giovinezza di Dio, 
nel muto silenzio della nostra incapacità
 di lasciarci amare da Te e di amarci! 

Vieni nella caducità della vita, 
nella fatica dei giorni, 
nel dolore del tempo, 
nella solitudine del cuore. 
Innamoraci di Te, che vieni, 
innamorato di noi.
Fa' che per Te, umile Dio, 
convertito alla fragilità della creatura, 
siamo capaci del gesto nuovo dell'amore, 
della resa di chi, perdutamente, 
si consegna a Te, l'Amato che non delude 
e non deluderà mai... 

Allora, si scioglierà la lingua del cuore
e cederà la resistenza dolorosa dell'anima.
Il muto silenzio si farà parola,
e il cuore arderà nuovo
nel fuoco divorante del Tuo Amore.
Vieni, speranza del mondo,
giovinezza dell'anima, consumata giustizia,
intramontabile pace. 
Fa’ di noi i prigionieri della speranza:
e l'intera vita nostra Ti venga incontro
con segni inequivocabili d'attesa. 
Amen. Alleluia! 

Buon Natale di luce e di speranza a tutti

(fonte: sito della Diocesi)

Papa Francesco «Il dialogo è un elemento importante per una famiglia! Una famiglia che non comunica non può essere una famiglia felice.» Angelus 29/12/2024 (foto, testo e video)

ANGELUS

Piazza San Pietro
Domenica, 29 dicembre 2024


Cari fratelli e sorelle, buona domenica!

Oggi festeggiamo la Santa Famiglia di Nazaret. Il Vangelo racconta di quando Gesù dodicenne, al termine del pellegrinaggio annuale a Gerusalemme, fu smarrito da Maria e Giuseppe, che lo ritrovarono dopo nel Tempio a discutere con i dottori (cfr Lc 2,41-52). L’evangelista Luca rivela lo stato d’animo di Maria che chiede a Gesù: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo» (v. 48). E Gesù le risponde: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?» (v. 49).

È una esperienza quasi abituale, di una famiglia che alterna momenti tranquilli ad altri drammatici. Sembra la storia di una crisi familiare, una crisi dei nostri giorni, di un adolescente difficile e di due genitori che non riescono a capirlo. Fermiamoci a guardare questa famiglia. Sapete perché la Famiglia di Nazaret è un modello? Perché è una famiglia che dialoga, che si ascolta, che parla. Il dialogo è un elemento importante per una famiglia! Una famiglia che non comunica non può essere una famiglia felice.

È bello quando una madre non inizia con il rimprovero, ma con una domanda. Maria non accusa e non giudica, ma cerca di capire come accogliere questo Figlio così diverso attraverso l’ascolto. Nonostante questo sforzo, il Vangelo dice che Maria e Giuseppe «non compresero ciò che aveva detto loro» (v. 50), a dimostrazione che nella famiglia è più importante ascoltare che capire. Ascoltare è dare importanza all’altro, riconoscere il suo diritto di esistere e pensare autonomamente. I figli hanno bisogno di questo. Pensate bene, voi genitori, ascoltate i figli hanno bisogno!

Un momento privilegiato di dialogo e di ascolto in famiglia è quello dei pasti. È bello stare insieme a tavola e parlare. Questo può risolvere tanti problemi, e soprattutto unisce le generazioni: figli che parlano con i genitori, nipoti che parlano con i nonni… Mai restare chiusi in se stessi o, peggio ancora, con la testa sul cellulare. Questo non va… mai, mai questo. Parlare, ascoltarsi, questo è il dialogo che fa bene e che fa crescere!

La Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe è santa. Eppure abbiamo visto che anche i genitori di Gesù non sempre capivano. Possiamo riflettere su questo, e non meravigliamoci se qualche volta in famiglia ci succede di non capirci. Quando ci capita chiediamoci: ci siamo ascoltati tra noi? Affrontiamo i problemi ascoltandoci a vicenda o ci chiudiamo nel mutismo, a volte nel risentimento, nell’orgoglio? Ci prendiamo un po’ di tempo per dialogare? Quello che oggi possiamo imparare dalla Santa Famiglia è l’ascolto reciproco.

Affidiamoci alla Vergine Maria e chiediamo per le nostre famiglie il dono dell’ascolto.

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Dopo l'Angelus

Cari fratelli e sorelle!

Un cordiale benvenuto a tutti voi, romani e pellegrini. Oggi rivolgo un saluto speciale alle famiglie qui presenti e a quelle collegate da casa attraverso i mezzi di comunicazione. La famiglia è la cellula della società, è un tesoro prezioso da sostenere e tutelare!

Il mio pensiero va alle tante famiglie in Corea del Sud che oggi sono in lutto a seguito del drammatico incidente aereo. Mi unisco in preghiera per i superstiti e per i morti.

E preghiamo anche per le famiglie che soffrono a causa delle guerre: nella martoriata Ucraina, in Palestina, in Israele, nel Myanmar, in Sudan, Nord Kivu, preghiamo per tutte queste famiglie in guerra.

Saluto i fedeli di Pero-Cerchiate, il gruppo del Decanato di Varese, i giovani di Cadoneghe e di San Pietro in Cariano; i ragazzi della Cresima di Clusone, Chiuduno, Adrara San Martino e Almenno San Bartolomeo; gli Scout di Latina, di Vasto e di Soviore. E saluto i ragazzi dell’Immacolata!

A tutti auguro una buona domenica e una serena fine d’anno. Per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!

Guarda il video

domenica 29 dicembre 2024

Preghiera dei Fedeli - Fraternità Carmelitana di Pozzo di Gotto (ME) - SANTA FAMIGLIA DI GESÙ, MARIA E GIUSEPPE ANNO C

Fraternità Carmelitana 
di Pozzo di Gotto (ME)

Preghiera dei Fedeli


SANTA FAMIGLIA DI GESÙ, MARIA E GIUSEPPE ANNO C

29 dicembre 2024

Per chi presiede

Fratelli e sorelle, assumendo la nostra condizione umana, Gesù ci ha narrato il volto del Padre. Restando uniti a Lui, il Figlio in cui il Padre si compiace, anche noi possiamo sentirci figli e con libertà innalzare a Dio le nostre preghiere, invocando insieme:

R/   Gloria a Te, Signore 

  

Lettore


- Si rafforzi, o Padre, la fede della tua Chiesa, di tutto il popolo di Dio. La luce del tuo Santo Spirito la guidi per i sentieri tortuosi e tenebrosi della storia umana ed allo stesso tempo le faccia comprendere che la perdita di sicurezza, di privilegi non è necessariamente la fine della Chiesa, ma che forse può essere l’inizio di una vita più radicata nel Vangelo. Per questo ti invochiamo.

- Sii vicino, o Padre, a tutte le comunità cristiane, che in varie parti del mondo conoscono la sofferenza, la persecuzione, l’abbandono della propria terra a motivo della loro fede nel tuo Figlio Gesù. Dona loro perseveranza per continuare ad amare e a sognare un’umanità, che sappia ritrovare la via del dialogo e dell’accoglienza reciproca. Per questo ti invochiamo.

- Ti affidiamo, o Padre, la vita, i sogni, le sofferenze sofferte dai tanti migranti, uomini, donne e bambini, che si ritrovano ad essere facile preda dei vari trafficanti di esseri umani. Ti affidiamo, inoltre, le famiglie dell’Ucraina, della Palestina, della Siria e del Libano sconvolte dalla guerra. Sii Tu il loro protettore. Per questo ti invochiamo.

- Sostieni, o Padre, le nostre famiglie, perché come chiesa domestica, sappiano costruire un’autentica comunità nell’ascolto della Parola, nella preghiera, nella fede, nell’amore e nel rispetto reciproco, ed essere segno di luce e di speranza nei quartieri in cui abitano. Per questo ti invochiamo.

- Ti affidiamo, o Padre, le famiglie che vivono in difficoltà economiche e quelle che vivono relazioni difficili e conflittuali: possano trovare aiuto e solidarietà, consigli sapienti, speranza e misericordia. Per questo ti invochiamo.

- Davanti a te, o Padre, ricordiamo i nostri parenti e amici defunti [pausa di silenzio]; ricordiamo anche le vittime della violenza nelle famiglie, come pure le famiglie distrutte dalla guerra, dal terrorismo e dalla mafia. Tutti possano trovare consolazione e pace nella contemplazione del tuo Volto di Luce. Per questo ti invochiamo.


Per chi presiede

O Dio, che in Gesù, Giuseppe e Maria ci hai donato una viva immagine della tua eterna comunione d’amore, rinnova in ogni comunità cristiana e in ogni famiglia le meraviglie del tuo Spirito, perché tutti possano essere testimoni del tuo legame d’amore sponsale con l’umanità. Per Cristo nostro Signore. AMEN.


"Un cuore che ascolta - lev shomea" n° 6 - 2024/2025 anno C

"Un cuore che ascolta - lev shomea"

"Concedi al tuo servo un cuore docile,
perché sappia rendere giustizia al tuo popolo
e sappia distinguere il bene dal male" (1Re 3,9)



Traccia di riflessione sul Vangelo
a cura di Santino Coppolino


SANTA FAMIGLIA DI GESÙ, MARIA E GIUSEPPE

Vangelo:
Lc 2,41-52

Il brano del Vangelo di questa Domenica è un anticipo del viaggio pasquale di Gesù, dove l'evangelista traccia con forza, utilizzando la tecnica dell'inclusione, un completo disegno circa il futuro di Gesù che rivela la follia della sua Sapienza, che lo condurrà al dono totale di sé. Così come le fasce e la mangiatoia (Lc 2,6-7) sono speculari alla sindone e al sepolcro (Lc 24,53), allo stesso modo la salita della Santa Famiglia a Gerusalemme fa riferimento alla "Aliyyà di Pasqua", l'ultimo pellegrinaggio che Gesù compirà nella città santa dove verrà assassinato. I tre giorni durante i quali Gesù si smarrisce ed è ritrovato nel tempio, sono il preludio dei tre giorni trascorsi nel sepolcro e della resurrezione. «Gesù ritrovato nel tempio che ascolta e interroga i sapienti è l'icona del Crocifisso Risorto che interroga e istruisce i discepoli aprendo la loro mente alla comprensione delle Scritture» (cit.). Dopo questo evento Gesù farà ritorno a Nazareth, luogo della normalità e del quotidiano, rimanendovi trent'anni nel più assoluto nascondimento. E' un mistero / progetto di una vita vissuta nel silenzio più assoluto, il grande disegno di Dio, quello di assumere la nostra esistenza in tutte le situazioni concrete. Proprio per questo motivo - e a ragione - San Paolo potrà affermare che Gesù «pur essendo di natura divina, non ritenne una rapina l'essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo la condizione di schiavo e diventando simile agli uomini» (Fil 2,6-7)   
  

sabato 28 dicembre 2024

INDISSOLUBILE MA NON INFRANGIBILE - Il Vangelo oggi ci ricorda le fatiche dell’amore. ... Non siamo sempre comprensibili per l’altro, ma sempre abbracciabili. - Santa Famiglia anno C - Commento al Vangelo a cura di P. Ermes Maria Ronchi

INDISSOLUBILE MA NON INFRANGIBILE
 

 Il Vangelo oggi ci ricorda le fatiche dell’amore. ...
Non siamo sempre comprensibili per l’altro,
ma sempre abbracciabili.


I genitori di Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero (...). Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava (...). Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro (...). Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini. Lc 2, 41-52

 
INDISSOLUBILE MA NON INFRANGIBILE
 
Il Vangelo oggi ci ricorda le fatiche dell’amore. ... Non siamo sempre comprensibili per l’altro, ma sempre abbracciabili.


Festa difficile, questa. Perché oggi la famiglia sta male, perfino la sua definizione è in crisi: tradizionale, allargata, monoparentale, plurale, di fatto, biologica, affidataria.

L’ Amoris Laetitia di Francesco mi viene incontro, e mi sorprende perchè incomincia non cercando il fondamento del matrimonio cristiano, ma con un semplice racconto:

Fin dall’inizio la Bibbia è popolata di storie d’amore complicato, con la famiglia di Adamo ed Eva e il suo carico di violenza, ma anche con la vita che, caparbia, continua.

Un legame ideale c’è, ma le nostre storie non lo sono; infatti il matrimonio è indissolubile, ma non infrangibile! Alcune volte fallisce, si spezza e a terra rimangono solo briciole taglienti.

Il Vangelo oggi ci ricorda le fatiche dell’amore. Racconta la storia di un adolescente difficile, di due genitori che non capiscono che cosa ha in testa. Ma ecco tre spiragli:

Il primo: tuo padre e io ti cercavamo, insieme. Questa parola è sempre più rara nelle nostre case, dove spesso neppure a tavola si sta insieme.

Secondo: parlarsi. Di fronte ai genitori che domandano c’è un figlio che ascolta e risponde in modo duro, ma parla. Impegno primario: far viaggiare la parola, comunicare.

Se ci sono cose difficili da dire, a non parlarne lo diventano ancora di più. Gesù sta al dialogo perché i suoi genitori ci sono e si vogliono bene, e sono queste due sole cose a importare ai figli. Sempre.

Terzo: sconfinare oltre gli affetti di casa.

Non sapevate che devo occuparmi delle cose del Padre mio? I figli non sono nostri, appartengono alla loro vocazione, alla loro idea di futuro che nemmeno in sogno potremo visitare (Gibran).

Un figlio non deve strutturare la sua vita in funzione del cortile di casa. È come fermare la ruota della creazione. Gesù lo dice chiaro. L’ho imparato da voi: tu mamma che ascolti il mormorio degli angeli, tu padre che parti e poi torni, fidandoti di un sogno.

Una quarta lezione: Ma essi non compresero...

I genitori non hanno i figli che avevano immaginato, ma neppure i figli hanno i genitori che hanno sempre sognato.

Scesero insieme a Nazaret. Si riparte, nonostante tutto.

Sono santi, sono profeti, sono il top del paese, eppure, come noi, non si capiscono tra loro.

Si può crescere in bontà e in saggezza anche legati ai perché inquieti di mio figlio.

Si può crescere in virtù e grazia anche sottomessi al dolore di non capire e di non essere capiti. Non siamo sempre comprensibili per l’altro, ma sempre abbracciabili.

Ecco perché al tempio Dio preferisce la casa. E’ lì che abbiamo imparato il vero nome dell’amore, primo vero catechismo.

Quelle stragi di bambini che accadono anche oggi

Quelle stragi di bambini che accadono anche oggi

Oggi, purtroppo, non sono finite le morti e le violenze verso gli innocenti: sarà bene farne memoria, almeno oggi, nel nostro mondo distratto


«Un grido è stato udito in Rama, un pianto e un lamento grande; Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata, perché non sono più» (Mt 2, 18).

Così recita un versetto del Vangelo di Matteo, che rievoca una profezia pronunciata da Geremia, per descrivere lo strazio e il grande dolore per l’uccisione dei bambini di Betlemme dai due anni in giù; è la nota “strage degli innocenti”, perpetrata da Erode per invidia e ira contro il «neonato re dei Giudei», cioè Gesù, come era stato chiamato dai Magi. Immaginiamo lo strazio e “l’inconsolabilità” delle mamme di questi piccoli innocenti di fronte a tale atrocità che aveva loro strappato, in un attimo e all’improvviso, il frutto del loro grembo…
Nel corso della storia dell’umanità questa non è l’unica strage di innocenti, sia per morte cruenta di essi, sia perché hanno subito diverse forme di violenza e sopraffazione fisica e psicologica: pensiamo, per esempio, ai tanti bambini sterminati nei campi di concentramento nazisti dove la cosiddetta “innocenza” tipica di quell’età è stata irrimediabilmente devastata e annientata.
E oggi ci sono ancora le “stragi degli innocenti”? Sì, certo… lo sono quelle che si verificano dove sono in atto delle guerre, lo sono quelle dei bambini ucraini uccisi dalle bombe e dai missili ‘piovuti’ sulle loro case o che vivono nei sotterranei, in preda a paure e incubi, che esprimono nei loro disegni. Lo sono, queste stragi, quelle nei confronti dei bambini palestinesi; lo sono anche nei confronti dei bambini ebrei trucidati nell’eccidio del 07 ottobre 2023: tutte vittime di un’assurda guerra di odio che affonda le sue radici nell’incomprensione e nelle sopraffazioni reciproche fra i due popoli, palestinese e israeliano. Vittime, anche se non con la morte ma soprattutto a livello psicologico/comportamentale, sono quei bambini/e che subiscono abusi sessuali il cui fenomeno si chiama pedofilia; o ancora quelli/e che vengono maltrattati in qualche modo dagli adulti, magari proprio nell’ambito familiare, che dovrebbe essere un rifugio sicuro e protettivo.

Vittime sono i bambini/e che vengono sfruttati nel cosiddetto ‘lavoro minorile’ fenomeno che si verifica in certe parti del mondo; vittime sono i ‘bambini-soldato’, come succede in certi conflitti magari dimenticati… Infanzia negata, infanzia bruciata: possono sembrare frasi retoriche, ma sono cruda realtà, purtroppo!
Vittime sono pure i bambini e le bambine migranti, che approdano, dai barconi, sulle coste dell’Occidente e dell’Italia in particolare, sempre che non anneghino prima nel mare in tempesta (come non ricordare il naufragio di Cutro del febbraio 2023 o quella terribile immagine di Alan Kurdi, il bambino esanime sulla spiaggia, bagnato dalle onde!).
Questa dei migranti è un’infanzia che sbarca con gli occhi pieni di paura, smarrita verso un futuro pieno di incognite; significativa anche della solitudine che provano è l’immagine di quella ragazzina di dodici anni arrivata, unica sopravvissuta, pochi giorni fa, a Lampedusa…

Sì, allora ci sono anche oggi le “stragi degli innocenti”, sia perché i bambini perdono la vita, sia perché feriti nel corpo e nell’anima e si verifica ancora “lo strazio delle madri”! Tornando al Vangelo, ricordando come Gesù avesse una predilezione particolare per i bambini («Lasciate che i bambini vengano a me»), rammentiamo anche il suo duro monito e la sua condanna nei confronti di coloro che fanno del male, irreparabile o meno, ai bambini: «Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono, è meglio per lui che gli si metta una macina da asino al collo e venga gettato nel mare» (Mc 9, 42).
(fonte: Vino Nuovo, articolo di Vezio Zaffaroni 28/12/2024)


Enzo Bianchi Il vero messaggio di Natale

Enzo Bianchi
Il vero messaggio di Natale


La Repubblica - 23 dicembre 2024

Siamo alla vigilia della festa del Natale, da sempre sentita come festa capace di suscitare incontri, festa in cui si condivide la tavola, si sta insieme a quelli che si amano. Eppure, va anche riconosciuto, è festa sempre meno cristiana, per pochi è ancora memoria di un Dio che ha voluto diventare uomo nascendo da una donna in una capanna nella campagna di Betlemme. Sono i cristiani stessi che l’hanno paganizzata, permettendo che le si associassero contenuti anche buoni provenienti dalla mondanità, perché la loro fede è sempre più debole: così si è lasciato posto al sentimentalismo, al folklore, alla favola.

I bambini crescono senza un’educazione a cogliere nell’evento natalizio la povertà, la debolezza di un Dio che vuole stare con noi, Immanu-el; piuttosto il Natale è diventato l’occasione per scambiarsi doni, esporre luci scintillanti nelle case e per le strade, fare vacanze in montagna.

E comunque pochi sentono la contraddizione tra ciò che si celebra e la verità di quello che stiamo vivendo nell’attuale momento storico: una guerra che continua nell’Europa orientale tra due popoli fratelli; una carneficina che si consuma e pesa, con donne e bambini innocenti inconsapevoli del perché di tanta barbarie scatenata da Israele; una endemica sepoltura di corpi di migranti nel centro del Mediterraneo.

Che sguardo abbiamo su questa realtà? Perché ci voltiamo dall’altra parte per non sentirci disturbati da un’azione mortifera nella quale noi occidentali siamo implicati responsabilmente?

Eppure il messaggio di questa festa è chiaro: una famiglia irregolare e anomala, Maria che risulta come una ragazza madre che aspetta un bambino nella speranza che il suo sposo, Giuseppe, lo riconosca come figlio secondo la legge. Non trovano posto nel caravanserraglio mentre sono in viaggio alla volta di Betlemme, e così in una grotta, come una partoriente clandestina, Maria dà alla luce il neonato in una mangiatoia. Questo bambino nasce come ciascuno di noi è nato: non fa miracoli, né si compiono eventi straordinari attorno a lui. Grida, piange, si attacca al seno di sua madre. E qui il vero cristiano fa silenzio e adora perché è convinto che quel bambino è Dio, il suo Dio, il nostro Dio che si è fatto umanissimo per camminare con noi, piangere con noi, soffrire con noi senza mai abbandonarci, neanche nell’ora della morte, quando ci prenderà tra le sue braccia. Questa è la fede scandalosa, come sarà scandalosa la morte in croce di questo Gesù appeso al legno, nudo, maledetto da Dio e dagli uomini, compagno di chi scende all’inferno.

Celebrare il Natale è una cosa seria e sarebbe l’occasione per i veri cristiani, senza sentirsi migliori e senza prendere le distanze dagli altri, di mostrare la differenza cristiana, che consiste semplicemente nella speranza che questo uomo nato a Betlemme e morto a Gerusalemme ci farà transitare oltre la morte.

Ma chi si dice cristiano, e lo proclama (e sarebbe meglio non dirlo mai a voce alta o in campagne pubblicitarie), e non ha capito che questa festa ci impegna alla compassione umana, alla pietà, alla responsabilità verso chi è nel bisogno o addirittura soccombe e muore, costui anche se è assolto dalla giustizia umana deve ricordare che Natale è un giudizio divino su ciascuno di noi e sulle nostre scelte di oggi. Non si può andare al presepe, chiedere che si faccia anche in luoghi pubblici e alzare barriere, muri che escludono. Questa è cattiveria che il messaggio di Natale giudica!
(fonte: blog dell'autore)


venerdì 27 dicembre 2024

Papa Francesco «Subito dopo il Natale, la liturgia celebra Santo Stefano, il primo martire. ... Purtroppo anche oggi ci sono, in varie parti del mondo, molti uomini e donne perseguitati, a volte fino alla morte, a causa del Vangelo.» Angelus 26/12/2024 (testo e video)

FESTA DI SANTO STEFANO PROTOMARTIRE

PAPA FRANCESCO

ANGELUS

Piazza San Pietro
Giovedì, 26 dicembre 2024



Cari fratelli e sorelle, buona festa! Buona festa a tutti.

Oggi, subito dopo il Natale, la liturgia celebra Santo Stefano, il primo martire. Il racconto della sua lapidazione si trova negli Atti degli Apostoli (cfr 6,8-12; 7,54-60) e ce lo presenta mentre, morendo, prega per i suoi uccisori. E questo ci fa riflettere: infatti, anche se a prima vista Stefano sembra subire impotente una violenza, in realtà, da uomo veramente libero, continua ad amare anche i suoi uccisori e ad offrire la sua vita per loro, come Gesù (cfr Gv 10,17-18; Lc 23,34); offre la vita perché si pentano e, perdonati, possano avere in dono la vita eterna.

In questo modo, il diacono Stefano ci appare come testimone di quel Dio che ha un solo grande desiderio: «che tutti gli uomini siano salvati» (1Tm 2,4) – questo è il desiderio del cuore di Dio –, e che nessuno vada perduto (cfr Gv 6,39; 17,1-26). Stefano è testimone di quel Padre – il nostro Padre – che vuole il bene e solo il bene per ciascuno dei suoi figli, e sempre; il Padre che non esclude nessuno, il Padre che non si stanca mai di cercarli (cfr Lc 15,3-7), e di riaccoglierli quando, dopo essersi allontanati, ritornano pentiti a Lui (cfr Lc 15,11-32) e il Padre che non si stanca di perdonare. Ricordate questo: Dio perdona sempre e Dio perdona tutto.

Torniamo a Stefano. Purtroppo anche oggi ci sono, in varie parti del mondo, molti uomini e donne perseguitati, a volte fino alla morte, a causa del Vangelo. Anche per loro vale quello che abbiamo detto di Stefano. Non si lasciano uccidere per debolezza, né per difendere un’ideologia, ma per rendere tutti partecipi del dono di salvezza. E lo fanno in primo luogo per il bene dei loro uccisori: per i loro uccisori … e pregano per loro.

Ce ne ha lasciato un esempio bellissimo il Beato Christian de Chergé, che chiamava il suo uccisore “amico dell’ultimo minuto”.

Chiediamoci allora, ognuno di noi: sento io il desiderio che tutti conoscano Dio e tutti si salvino? So volere il bene anche di chi mi fa soffrire? Mi interesso e prego per tanti fratelli e sorelle perseguitati a causa della fede?

Maria, Regina dei Martiri, ci aiuti ad essere testimoni coraggiosi del Vangelo per la salvezza del mondo.

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Dopo l'Angelus

Cari fratelli e sorelle,

rinnovo a tutti voi gli auguri di Santo Natale. In questi giorni ho ricevuto tanti messaggi e segni di vicinanza. Grazie. Desidero di cuore ringraziare tutti: ogni persona, ogni famiglia, le parrocchie e le associazioni. Grazie a tutti!

Ieri sera è iniziata la Festa delle luci, Hanukkah, celebrata per otto giorni dai nostri fratelli e sorelle ebrei nel mondo, ai quali invio il mio augurio di pace e fraternità.

E saluto tutti voi, romani e pellegrini dall’Italia e da vari Paesi! Penso che in molti abbiate fatto il percorso giubilare che conduce alla Porta Santa della Basilica di San Pietro. È un bel segno, un segno che esprime il senso della nostra vita: andare incontro a Gesù, che ci ama e ci apre il suo Cuore per farci entrare nel suo Regno di amore, di gioia e di pace. Stamattina ho aperto una Porta Santa, dopo quella di San Pietro, nel carcere romano di Rebibbia. È stata come, per così dire, “la cattedrale del dolore e della speranza”.

Una delle azioni che caratterizzano i Giubilei è la remissione dei debiti. Incoraggio pertanto tutti a sostenere la campagna di Caritas Internationalis intitolata “Trasformare il debito in speranza”, per sollevare i Paesi oppressi da debiti insostenibili e promuovere lo sviluppo.

La questione del debito è legata a quella della pace e del “mercato nero” degli armamenti. Basta colonizzare i popoli con le armi! Lavoriamo per il disarmo, lavoriamo contro la fame, contro le malattie, contro il lavoro minorile. E preghiamo, per favore, per la pace nel mondo intero! La pace nella martoriata Ucraina, in Gaza, Israele, Myanmar, Nord Kivu e in tanti Paesi che sono in guerra.

Auguro a tutti una bella giornata di festa. Per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!



GIUBILEO 2025 - APERTURA DELLA PORTA SANTA E S. MESSA ALLA CASA CIRCONDARIALE DI REBIBBIA - Papa Francesco «Non perdere la speranza. È questo il messaggio che voglio darvi; a tutti, a tutti noi. Io il primo. Tutti. Non perdere la speranza. La speranza mai delude. Mai.» Omelia 26/12/2024 (cronaca,foto, testo e video)

SANTO STEFANO, PRIMO MARTIRE

APERTURA DELLA PORTA SANTA E SANTA MESSA
ALLA CASA CIRCONDARIALE DI REBIBBIA

Casa Circondariale di Rebibbia, Roma
Giovedì, 26 dicembre 2024


Papa Francesco ha aperto la Porta Santa al carcere di Rebibbia, un gesto simbolico voluto fortemente del Pontefice per coinvolgere tutta la popolazione carceraria del mondo nel Giubileo della speranza.

Ad accoglierlo al suo arrivo anche il ministro della Giustizia Carlo Nordio che ha poi partecipato alla Messa.

Il Papa ha varcato la Porta Santa a piedi (e non sulla sedia a rotelle come era accaduto nella basilica di San Pietro).
Accanto a lui il vescovo ausiliare di Roma mons. Benoni Ambarus.

Nella sua omelia, interamente pronunciata a braccio, Francesco ha invitato tutti a tenere "le finestre spalancate, le porte spalancate, soprattutto la porta del cuore".
Quindi ha ripetuto l'invito a tenere "sempre il cuore aperto". Riferendosi alla Porta Santa del carcere, il Papa ha spiegato: oggi "abbiamo spalancato questa", "questo è un segnale della porta del nostro cuore".
E, concludendo l'omelia, il pontefice ha detto: "Vi auguro un grande Giubileo, vi auguro molta pace, molta pace. E tutti i giorni prego per voi. Davvero eh.. non è un modo di dire. Penso a voi e prego per voi. E voi pregate per me".

Il Papa, al termine della messa a Rebibbia, ha salutato uno ad uno i presenti. Molti i sorrisi, il Pontefice ha avuto per ciascuno una parola e sembrava molto contento di questo evento che aveva fortemente voluto.
Le Porte Sante in questo Giubileo ordinario sono infatti solo quattro, quelle delle basiliche papali a Roma, ma Bergoglio ha voluto che fosse simbolicamente aperta una Porta Santa anche in un carcere.

Ad accompagnare il Papa c'era anche il pro prefetto del Dicastero per l'Evangelizzazione, mons. Rino Fisichella. I presenti all'interno della cappella, tra detenuti, volontari e agenti della polizia penitenziaria, erano trecento. Altri trecento hanno seguito la cerimonia dall'esterno.
Tra le autorità che hanno salutato il Papa alla fine della messa c'era il sindaco di Roma Roberto Gualtieri e il presidente del Cnel Renato Brunetta. Al termine della liturgia, Francesco ha ricevuto alcuni doni dai detenuti: dagli uomini del Nuovo Complesso, la riproduzione in miniatura della porta della Chiesa del Padre Nostro, creata all'interno del laboratorio "Metamorfosi" utilizzando i legni dei barconi dei migranti; dalle donne di Rebibbia femminile, un cesto contenente olio, biscotti, ceramiche e bavaglini, frutto del loro lavoro.
Anche l'Amministrazione Penitenziaria ha omaggiato il Papa con un quadro: un dipinto che raffigura un Cristo salvifico realizzato dall'artista Elio Lucente, ex poliziotto penitenziario.

Il pontefice ha salutato tutte le persone che erano all'interno e poi, prima di andare via, alcune all'esterno. All'uscita indossava una sciarpa che gli è stata donata alla fine della celebrazione a Rebibbia. Prima di andare via ha anche visitato il presepe realizzato dai detenuti nel quale è raffigurato un San Giuseppe che disegna il mondo.

Parlando con le tv, all'uscita del carcere, il Papa ha ricordato che "ogni volta che vengo in carcere la prima domanda che mi faccio è perché loro e non io...perché ognuno di noi può scivolare, l'importante è non perdere la speranza, aggrapparsi all'ancora della speranza e aprire, spalancare il cuore e aggrapparsi alla corda dell'ancora".
Poi, alla domanda se abbia parlato con il ministro della Giustizia Carlo Nordio di quei gesti di clemenza per i detenuti, chiesti nella Bolla di indizione del Giubileo, il Pontefice - secondo quanto riferisce Tv2000 - ha risposto: "No, di questo non abbiamo parlato. Ho parlato dei detenuti oggi". "Il giorno del giudizio saremo giudicati su questo: ero in carcere e mi hai visitato".
Infine una nota di colore. Alla domanda se in questi giorni avesse mangiato un po' di panettone, Papa Francesco ha risposto: "Sì, un pochettino".

Francesco è poi tornato in Vaticano.
















 




L'intervista di Cristiana Caricato di Tv2000 a Papa Francesco nel giorno di Santo Stefano
Guarda il video

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 OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO



Care sorelle e cari fratelli, buongiorno e buon Natale!

Ho voluto spalancare la Porta, oggi, qui. La prima l’ho aperta a San Pietro, la seconda è vostra. È un bel gesto quello di spalancare, aprire: aprire le porte. Ma più importante è quello che significa: è aprire il cuore. Cuori aperti. E questo fa la fratellanza. I cuori chiusi, quelli duri, non aiutano a vivere. Per questo, la grazia di un Giubileo è spalancare, aprire e, soprattutto, aprire i cuori alla speranza. La speranza non delude (cfr Rm 5,5), mai! Pensate bene a questo. Anche io lo penso, perché nei momenti brutti uno pensa che tutto è finito, che non si risolve niente. Ma la speranza non delude mai.

A me piace pensare alla speranza come all’àncora che è sulla riva e noi con la corda stiamo lì, sicuri, perché la nostra speranza è come l’àncora sulla terraferma (cfr Eb 6,17-20). Non perdere la speranza. È questo il messaggio che voglio darvi; a tutti, a tutti noi. Io il primo. Tutti. Non perdere la speranza. La speranza mai delude. Mai. Delle volte la corda è dura e ci fa male alle mani … ma con la corda, sempre con la corda in mano, guardando la riva, l’àncora ci porta avanti. Sempre c’è qualcosa di buono, sempre c’è qualcosa che ci fa andare avanti.

La corda in mano e, secondo, le finestre spalancate, le porte spalancate. Soprattutto la porta del cuore. Quando il cuore è chiuso diventa duro come una pietra; si dimentica della tenerezza. Anche nelle situazioni più difficili – ognuno di noi ha la propria, più facile, più difficile, penso a voi – sempre il cuore aperto; il cuore, che è proprio quello che ci fa fratelli. Spalancate le porte del cuore. Ognuno sa come farlo. Ognuno sa dove la porta è chiusa o semichiusa. Ognuno sa.

Due cose vi dico. Primo: la corda in mano, con l’àncora della speranza. Secondo: spalancate le porte del cuore. Abbiamo spalancato questa, ma questo è un simbolo della porta del nostro cuore.

Vi auguro un grande Giubileo. Vi auguro molta pace, molta pace. E tutti i giorni prego per voi. Davvero. Non è un modo di dire. Penso a voi e prego per voi. E voi pregate per me. Grazie.


Parole a braccio dopo la Benedizione finale

Adesso non dimentichiamo due cose che dobbiamo fare con le mani. Primo: aggrapparsi alla corda della speranza, aggrapparsi all’àncora, alla corda. Mai lasciarla. Secondo: spalancare i cuori. Cuori aperti. Che il Signore ci aiuti in tutto questo. Grazie.

Parole a braccio pronunciate al termine della S. Messa

Prima di finire, faccio gli auguri di un buon anno a tutti. Che il prossimo anno sia migliore di questo. Ogni anno deve essere migliore. Poi, da qui, voglio salutare i detenuti che sono rimasti in cella, che non sono potuti venire. Un saluto a tutti e a ognuno di voi.

E non dimenticate: aggrapparsi all’àncora. Le mani aggrappate. Non dimenticatevene. Buon anno a tutti. Grazie.

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