La Repubblica - 09 dicembre 2024
Nella mia giovinezza, quando frequentavo e sostavo sovente a Parigi nel quartiere latino, vivevo l'impulso impellente ad andare nella cattedrale di Notre Dame. Amavo contemplare il suo ergersi sull’Île de France, le sue torri, la guglia e l'abside. Passeggiavo sul sagrato da solo o con amici e quando mi rifugiavo al suo interno trovavo antri silenziosi e solitari in cui pregare. Notre Dame era per tutti noi, soprattutto provenienti dall’estero, più che un monumento un simbolo della fede cristiana e della nostra coscienza europea. Più tardi ho avuto la grazia di predicare in Notre Dame a migliaia di cattolici e alle Conférences de Carême con grandissima emozione.
Perciò ho amato questo monumento culmine dell’arte dell'Europa delle cattedrali e quando nel 2019 ha preso fuoco ed è caduta tra le fiamme la guglia così caratteristica come molti ho sofferto fino alle lacrime. Molti cristiani erano accorsi a pregare attorno alla basilica, altri a vedere quello spettacolo che li trafiggeva per quel che significava culturalmente e artisticamente. Ma ancora una volta i francesi hanno mostrato la loro serietà nell'adempiere le promesse e nei giorni scorsi abbiamo nuovamente potuto contemplare Notre Dame a lavori di restauro conclusi, più splendente che mai, luminosa come non l’avevamo mai vista e con le sue vetrate colorate, terse e raggianti.
Le porte di Notre Dame sono state aperte dall’arcivescovo di Parigi e dietro a lui sono entrati i vescovi e il presidente Macron che si era assunto personalmente l’impegno della straordinaria impresa del restauro. Per la chiesa si tratta di un evento importante perché la cattedrale è il centro della chiesa locale, là dove il vescovo presiede all'unità ed è la guida più alta e determinante del popolo di Dio.
Al momento dell’incendio, in un'ora in cui si cominciava a percepire la gravità in cui era entrata la crisi della chiesa cattolica, Andrea Riccardi con intelligenza intitolava un suo libro: “La chiesa brucia?”, e in molti vedevano in quell’incendio una metafora della situazione drammatica del cattolicesimo nel continente europeo sempre più scristianizzato, mentre in alcuni paesi si registrava addirittura un’ostilità nei confronti del cristianesimo. L’incendio di Notre Dame era diventato l'immagine dell’agonia della cristianità, così come il crollo delle Twin Towers a New York era stato letto come l’icona del crollo di una civiltà. In quell’occasione è anche emersa da parte di molte componenti della società – governanti, intellettuali, opinionisti – una consapevolezza che pareva se non dissolta in gran parte assopita: quella del legame tra patrimonio artistico e coscienza comune, tra beni culturali e storia collettiva.
Quel rogo di Notre Dame non era forse anche il simbolo della condizione dell'Europa e di quell'umanesimo che in passato aveva dato forma al suo spirito anche innalzando un’autentica “cattedrale della bellezza”? Tomaso Montanari ha scritto: “Non brucia solo un luogo sacro dei cattolici: brucia il nostro spirito fatto pietra e fatto arte. Brucia una delle cose grandi fatte dall’uomo su questa terra”.
Sì, cose grandi fatte dall'uomo su questa terra e che perciò, come tutte le cose umane, restano sempre fragili.
Proprio in questi giorni dell’inaugurazione di Notre Dame restaurata, mentre ne vengono diffuse le immagini accompagnate da parole di stupore e meraviglia, nella liturgia cattolica risuonano le parole di Gesù ai discepoli che gli avevano detto: “Maestro, guarda che pietre e che costruzioni!”. Gesù aveva risposto: “Vedete queste grandi costruzioni? Non sarà lasciata qui pietra su pietra che non venga distrutta”. Parole che ci suggeriscono oggi che anche quando avvengono una crisi, una distruzione, il cristianesimo non fa che risorgere!
(fonte: blog dell'autore)
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Vedi anche alcuni dei nostri post pubblicati nei giorni dell'incendio...