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venerdì 31 marzo 2023

Domani Papa Francesco lascia il Gemelli e così potrà presiedere i riti della Settimana Santa - Oggi pomeriggio ha battezzato un bambino nel reparto di oncologia pediatrica

Domani Papa Francesco lascia il Gemelli 
e così potrà presiedere i riti della Settimana Santa - Oggi pomeriggio ha battezzato un bambino nel reparto di oncologia pediatrica.


Papa Francesco: Bruni, domani il rientro a Santa Marta
"La giornata di ieri è trascorsa bene, con un normale decorso clinico"


"La giornata di ieri è trascorsa bene, con un normale decorso clinico.
Nella serata Papa Francesco ha cenato, mangiando la pizza, insieme a quanti lo assistono in questi giorni di degenza ospedaliera: con il Santo Padre erano presenti i medici, gli infermieri, gli assistenti ed il personale della Gendarmeria".

Lo comunica il direttore della Sala stampa vaticana, Matteo bruni Questa mattina dopo aver fatto colazione, ha letto alcuni quotidiani ed ha ripreso il lavoro - aggiunge -. Il rientro a casa Santa Marta di Sua Santità è previsto nella giornata di domani, all'esito dei risultati degli ultimi accertamenti di questa mattina".

"Posso confermare che, essendo prevista la sua uscita dall'ospedale nella giornata di domani, è prevista la presenza di Papa Francesco in piazza San Pietro domenica per la celebrazione eucaristica della Domenica delle Palme, Passione del Signore", ha reso noto ancora Bruni.
(fonte: Ansa 31/03/2023)

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Il Papa al Gemelli visita i bimbi di oncologia pediatrica
e battezza un neonato

Rosari, uova di cioccolato e un libro sulla nascita di Gesù i doni che Francesco ha distribuito ai piccoli pazienti, durante la visita durata mezz'ora nel reparto che già aveva visitato durante il ricovero del 2021.

(foto Sir)

Il Pontefice ha anche amministrato il Battesimo al piccolo Miguel Angel, di poche settimane. Alla mamma ha detto: "Quando vai in parrocchia, di' che l'ha battezzato il Papa"




“Come si chiama?”. “Miguel Angel”. “Miguel Angel io ti battezzo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”. Prima di lasciare domani il Gemelli, dove è degente da mercoledì per una bronchite, il Papa - come nel 2021, quando era ricoverato dopo l’operazione al colon - non ha voluto far mancare la visita ai bambini ricoverati nel reparto di oncologia pediatrica nell’ospedale, situato dirimpetto alla zona del suo ricovero. Una visita di mezz’ora in un luogo di profondo dolore, stemperato dall’allegria dei colori, delle pareti disegnate e dei giocattoli.

Il Battesimo a Miguel Angel

Papa Bergoglio ha distribuito regali e carezze, ha scambiato parole e battute con le mamme dei bambini e salutato medici e infermieri. Infine ha battezzato Miguel Angel di poche settimane, avvolto da coperte nella culletta mobile, che svegliato dagli spruzzi d’acqua benedetta che il Papa prendeva dalla bacinella reniforme, è scoppiato in un pianto a dirotto. “È la sua risposta!”, ha scherzato una infermiera. Francesco ha cercato di calmarlo accarezzandogli con il dito naso e labbra, poi l’ha benedetto sulla fronte, sotto lo sguardo della mamma. Alla donna, giovanissima, il Pontefice ha detto: “È già cristiano. Quando vai in parrocchia, di' che l’ha battezzato il Papa”.

Il Papa accarezza il piccolo Miguel Angel

Regali e benedizioni

Benedizioni Papa Francesco le ha elargite anche agli altri pazienti che combattono contro un male che mai dovrebbe toccare il corpo di un bambino e pure ai loro genitori che assistono quotidianamente i figli nelle cure e terapie. A loro – informa il direttore della Sala Stampa vaticana, Matteo Bruni - ha donato Rosari, uova di cioccolato e copie del libro “Nacque Gesù a Betlemme di Giudea…”, un piccolo volume edito da Apostolato di Preghiera che racconta ai bambini la nascita di Gesù come riportata nel Vangelo di Matteo e di Luca.

Francesco lascia una dedica al reparto

La visita nello stesso reparto nel 2021

Al termine della visita, dopo aver lasciato una dedica su un foglio bianco, Papa Francesco ha fatto ritorno al proprio appartamentino del decimo piano - il famoso “Vaticano III” così coniato da Giovanni Paolo II - che lo ospita da mercoledì 29 marzo, da dopo i primi accertamenti che hanno stabilito il ricovero, e che lo ha ospitato nel 2021 dopo l’intervento chirurgico per la stenosi diverticolare. E proprio due anni fa, un Papa convalescente in sedia a rotelle aveva voluto recarsi nell’Ala D stesso reparto oncologico, attirato dalla musica che proveniva da quelle stanze.

A suonare per i bambini della sezione oncologica c’era quel giorno Ambrogio Sparagna e l’Orchestra Popolare Italiana, che in quel periodo portavano in giro per l’Italia un progetto di 15 concerti realizzati dalla Fondazione Musica per Roma in collaborazione con la Caritas capitolina. Il Papa aveva voluto partecipare a quel momento di festa che allevia le sofferenze troppo grandi che colpiscono corpi troppo piccoli e che non hanno una risposta. O meglio, l’unica risposta, come ha detto in tante occasioni lo stesso Francesco, sono solo il silenzio e le lacrime.
(fonte: Vatican News, articolo di Salvatore Cernuzio 31/03/2023)

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Parole di ottimismo che arrivano dal cardinale Giovanni Battista Re, decano del collegio cardinalizio (colui a cui spetta presiedere il conclave): "In base alle informazioni che ho io - ha detto - il Santo Padre uscirà domani dal Gemelli, così potrà presiedere i riti". "Con il Papa - continua Re - in ogni celebrazione ci sarà un cardinale celebrante al quale spetteranno le incombenze all'altare. Il cardinale Sandri celebrerà la domenica delle Palme, io - conclude Re - la domenica di Pasqua. Il Papa sarà presente per l'Urbi et Orbi e leggerà il messaggio."


Intenzione di preghiera per il mese di Aprile 2023: Preghiamo per una cultura della nonviolenza. (video, testo in italiano e riflessioni)

Intenzione di preghiera per il mese di Aprile 2023

Preghiamo per una cultura della nonviolenza.


No alla violenza, no alla guerra, no alle armi: Papa Francesco invoca una cultura di pace

A 60 anni dalla pubblicazione dell’enciclica Pacem in terris di san Giovanni XXIII, Francesco rinnova il suo messaggio e denuncia che “la guerra è una follia, è fuori dalla ragione”.
Il Video del Papa di aprile è un appello a costruire una cultura della pace, “che passa per un sempre minore ricorso alle armi”, perché “una pace duratura può essere solo una pace senza armi”.
Francesco invita a fare della “nonviolenza, sia nella vita quotidiana che nelle relazioni internazionali, una guida per il nostro agire”.

Guarda il video

Il testo in italiano del videomessaggio del Papa

Vivere, parlare e agire senza violenza
non significa arrendersi, né perdere, né rinunciare a nulla. 
È aspirare a tutto.

Come disse 60 anni fa San Giovanni XXIII nell'enciclica Pacem in terris, 
la guerra è una follia, è fuori dalla ragione. 

Ogni guerra, ogni scontro armato, finisce con l’essere sempre una sconfitta per tutti. 
Facciamo crescere una cultura della pace.

Ricordiamoci che, anche nei casi di legittima difesa, l'obiettivo è la pace. 
E che una pace duratura può essere solo una pace senza armi. 

Facciamo della nonviolenza, sia nella vita quotidiana che nelle relazioni internazionali, 
una guida per il nostro agire. 

E preghiamo per una maggiore diffusione di una cultura della nonviolenza, 
che passa per un sempre minore ricorso alle armi, 
sia da parte degli Stati che dei cittadini.


“Facciamo crescere una cultura della pace”, chiede con forza Papa Francesco. Questo è il suo appello nel Video del Papa di aprile, con l’intenzione di preghiera che il Santo Padre affida a tutta la Chiesa cattolica attraverso la Rete Mondiale di Preghiera del Papa.

L’11 aprile ricorre il 60.esimo anniversario della pubblicazione dell’enciclica Pacem in terris scritta da Papa Giovanni XXIII e sottotitolata “Sulla pace fra tutte le genti, fondata nella verità, nella giustizia, nell’amore e nella libertà”. Nel video di questo mese, Francesco ribadisce con forza questo messaggio, sottolineando che “la guerra è una follia, è fuori dalla ragione”.

Quella frase di sessant’anni fa, citata da Francesco nel messaggio che accompagna la sua intenzione di preghiera, è quanto mai attuale, così come lo sono le testimonianze lasciate da alcuni personaggi che hanno piantato semi di pace nel secolo scorso: San Giovanni XXIII, naturalmente, ma anche il Mahatma Gandhi, Martin Luther King, Santa Teresa di Calcutta. Nel Video del Papa di questo mese, i loro ritratti in bianco e nero compaiono in mezzo agli scenari di distruzione causati dalla violenza di oggi: dalla guerra in Ucraina a quelle in Medio Oriente, passando per gli scontri e le sparatorie anche nei Paesi più ricchi, come ad esempio gli Stati Uniti. Nonostante non siano mancati i testimoni, insomma, il mondo non ha ancora imparato la lezione fondamentale: che “ogni guerra, ogni scontro armato, finisce con l’essere sempre una sconfitta per tutti”.

La pace è l’obiettivo

Un articolo pubblicato da Amnesty International con dati e statistiche sull’uso delle armi tra il 2012 e il 2016 mostra le conseguenze di una cultura della violenza: ogni giorno, ad esempio, più di 500 persone muoiono per armi da fuoco e circa 2 mila, in media, rimangono ferite; inoltre, il 44% degli omicidi nel mondo è commesso con armi da fuoco. Questa situazione è direttamente collegata all’industria delle armi: ogni anno vengono prodotti 8 milioni di armi leggere e 15 miliardi di munizioni. Per quanto riguarda i conflitti armati, Action on Armed Violence (AOAV) sottolinea che le prospettive per il 2023 non sono incoraggianti: i nuovi scontri, in particolare l’invasione russa dell’Ucraina e i disordini in Asia, si aggiungono ai conflitti e alle lotte armate in corso – tra gli altri – nel Corno d’Africa e in Medio Oriente.

L’unico modo possibile per fermare questa escalation è cercare di avviare, sia a livello locale che internazionale, cammini di dialogo reale, e fare della “nonviolenza” “una guida per il nostro agire”. Questo messaggio riecheggia le parole pronunciate da Papa Giovanni XXIII 60 anni fa: “La violenza non ha mai fatto altro che abbattere, non innalzare; accendere le passioni, non calmarle; accumulare odio e rovine, non affratellare i contendenti; e ha precipitato gli uomini e i partiti nella dura necessità di ricostruire lentamente, dopo prove dolorose, sopra i ruderi della discordia”.

La pace senza armi

In un momento storico segnato dal conflitto in Ucraina, che nell’ultimo anno ha coinvolto un grande numero di Paesi, Francesco ricorda che anche nei casi di legittima difesa l’obiettivo ultimo deve essere sempre la pace: persino quando questa pace, come oggi, sembra lontana. Ma “una pace duratura”, aggiunge, “può essere solo una pace senza armi”, e per questo motivo insiste sul tema a lui molto caro del disarmo a tutti i livelli, anche all’interno della società: “la cultura della nonviolenza” – conclude infatti, nella sua intenzione di preghiera – “passa per un sempre minore ricorso alle armi, sia da parte degli Stati che dei cittadini”.

Frédéric Fornos S.J., Direttore Internazionale della Rete Mondiale di Preghiera del Papa, ha commentato così questa intenzione di preghiera: “Di fronte alla violenza del nostro tempo, Francesco propone di pregare un intero mese ‘per una maggiore diffusione della cultura della nonviolenza’. La pace tra i popoli inizia, infatti, nella parte più concreta e intima del cuore: quando incontro l’altro per strada, il suo volto, il suo sguardo, soprattutto colui che viene da altrove, colui che non parla come me e non ha la mia stessa cultura, colui che mi sembra strano nei suoi atteggiamenti e per questo viene chiamato ‘straniero’. La guerra e il conflitto iniziano qui e ora, nei nostri cuori, ogni volta che permettiamo alla violenza di sostituire la giustizia e il perdono. Il Vangelo ci mostra che la vita di Gesù rivela la vera via della pace e ci invita a seguirlo. È in questo spirito che siamo chiamati a ‘disarmarci’, nel senso di ‘disarmare’ le nostre parole, le nostre azioni, il nostro odio. Preghiamo allora, come ci chiede Francesco, perché ‘facciamo della nonviolenza, sia nella vita quotidiana che nelle relazioni internazionali, una guida per il nostro agire’”.


TONIO DELL'OLIO Ucraina la ricostruzione è più importante della pace?


Ucraina 
la ricostruzione è più importante della pace?

SCRITTO DA TONIO DELL'OLIO
 
PUBBLICATO IN MOSAICO DEI GIORNI IL 30 MARZO 2023

"Volodymyr Zelensky ha manifestato apprezzamento per la prossima Conferenza di Roma sulla ricostruzione dell'Ucraina prevista per il 26 aprile, un'occasione importante per rafforzare i rapporti tra le imprese italiane e l'Ucraina", si legge nella nota diffusa da Palazzo Chigi.

E noi ingenui a pensare che la priorità attuale degli ucraini fosse il cessate il fuoco. Secondo i governi occidentali invece la posta in gioco è la corsa alla ricostruzione e i patti da stipulare tra le imprese. Non a caso la proposta italiana si sovrappone e anticipa l'iniziativa sulla ricostruzione già programmata a Londra per il 21 e 22 giugno. Organizzare una conferenza internazionale comporta uno sforzo per nulla leggero dal punto di vista diplomatico, politico, economico e logistico. Piuttosto che sul tema della ricostruzione, sarebbe stato molto più utile e opportuno organizzare una conferenza internazionale di pace. E se anche non avesse accettato di partecipare la Russia, sarebbe stato molto utile e opportuno invitare i rappresentanti dei tanti governi che sostengono quella parte nel conflitto. Se non altro non ci sarebbe stato il sospetto che, più che la pace e la solidarietà col popolo ucraino, ci premono i soldi che arriveranno per la ricostruzione quando sarà.

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È partita questa mattina da Padova, dopo una conferenza stampa in Prato della Valle (con gli interventi di Giampiero Cofano, coordinatore della rete “Stop the War Now”, Francesca Benciolini, Assessora alla Pace del comune di Padova, Marco Mascia, direttore del Centro per i Diritti Umani dell’Università di Padova) la quinta Carovana di Pace “Stop The War Now” diretta in Ucraina. 
...

“Come rete proponiamo un esempio di presenza civile nonviolenta: non porteremo armi, ma aiuti concreti e un segno di fratellanza. Nella società civile è viva infatti la voglia di abitare il conflitto, andando a condividere la vita con le persone coinvolte in una guerra che non hanno scelto – sottolinea Giampiero Cofano della Comunità Papa Giovanni XXIII, coordinatore della Carovana per la Pace – Chiediamo il dialogo, la riapertura dei negoziati di pace perché purtroppo l’inizio della primavera segna per l’Ucraina un periodo di angoscia: il disgelo porta a una recrudescenza del conflitto”. Ed è per questo che, oggi più che mai, serve mettersi in viaggio per la Pace.


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giovedì 30 marzo 2023

"Con Cristo nostra Pace rivestiamo l’armatura di Dio (Ef 6,10-18)" - Egidio Palumbo (VIDEO INTEGRALE)

MERCOLEDÌ DELLA BIBBIA 2023
promossi dalla
FRATERNITÀ CARMELITANA
DI BARCELLONA POZZO DI GOTTO


SE VUOI LA PACE,
DISARMA LE RELAZIONI
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Sesto Mercoledì - 15 marzo 2023

"Con Cristo nostra Pace
rivestiamo l’armatura di Dio
(Ef 6,10-18)"

Egidio Palumbo

(VIDEO INTEGRALE)



1. Il “pensiero unico” dell’equilibrio del terrore

    Il comandamento dell’amore verso i nemici consegnatoci da Gesù (cf. Mt 5,44; Lc 6,27), non lasciò indifferenti i discepoli di Gesù dopo la sua morte e risurrezione e neppure l’apostolo Paolo e i primi cristiani. Tutti erano consapevoli che tale comandamento era “impossibile” secondo le nostre logiche umane, ma “possibile” secondo la logica del vangelo.

      Dal punto di vista esclusivamente umano, la nostra sapienza e cultura, infatti, è inabile a recepire tale comandamento, perché non ha la capacità e la “forza” di ribaltare quella che per noi è diventata un’affermazione ormai ovviamente scontata: “Se vuoi la pace, prepara la guerra”. Questo significa che la pace la si ottiene soltanto se tra i nemici c’è un equilibrio di forze, vale a dire se entrambi hanno armi potenti ed efficaci così da farsi paura a vicenda e quindi temere una sconfitta devastante. Detto altrimenti: solo l’equilibrio del terrore garantisce la pace. È il cosiddetto “realismo del buon senso”.

       Nella sostanza, questo è il “pensiero unico” omologante che ci è stato trasmesso durante questo anno di guerra tra Ucraina e Russia, e che ancora ci accompagnerà per molto tempo. Una grande omologazione a cui si è adeguato anche il pensiero di molti cristiani, e tra loro anche coloro che usano vantarsi del nome “cristiano”, ma poi si rivelano inabili e incapaci a tradurre e ad articolare in un progetto politico serio e intelligentemente laico il comandamento evangelico dell’amore verso i nemici e della ricerca di una pace giusta e duratura. Non dovrebbe essere questo il loro compito e servizio?

       D’altronde, dobbiamo ammettere che molte guerre nel passato e le 378 in atto ai nostri giorni sono spesso combattute da cristiani e alcune anche tra cristiani, come tra Ucraina e Russia, dove si giustifica la guerra in nome di Dio e in suo nome si benedicono le armi.
...
      In questa pagina le comunità cristiane sono vivamente esortate a rivestirsi dell’armatura di Dio, cioè della potenza di Dio, che è una potenza disarmante e non guerrafondaia. Infatti l’armatura di Dio è fatta per disarmare innanzitutto noi stessi e per resistere e lottare, non contro le persone («carne e sangue»), ma contro quella cultura di violenza, di arroganza e di divisione (il “diavolo”, «gli spiriti del male») sempre dominante in questo mondo (“i principati e le potenze”) e che abilmente si insinua nelle coscienze dei cristiani deformandone il loro stile di vita.
     L’autore della Lettera, evidenziando la necessità di “rivestirsi”, sta di fatto evocando l’evento battesimale: con il battesimo il cristiano viene rivestito di Cristo (cf. Gal 3,27), viene rivestito dell’Uomo Nuovo (cf. Ef 4,24), e in Cristo, «nostra Pace» (Ef 2,14), riceve l’armatura di Dio come sostegno e forza per imparare a confliggere, imitando non gli eserciti umana, bensì Dio e il suo Figlio Gesù, il quale ci consegna – una consegna battesimale! – la sapienza nonviolenta del vangelo, che è finalizzata ad abbattere muri e fili spinati e a costruire relazioni di pace, di riconciliazione e di fraternità tra gli uomini e le donne di tutti i tempi (cf. Ef 2,14-17). 
         Perciò in Ef 4,26 è scritto: «Adiratevi ma non peccate; non tramonti il sole sulla vostra ira», come a dire: indignatevi di fronte al male e all’ingiustizia, ma non rispondete alla violenza con altra violenza. E in Rm 12,21 l’apostolo Paolo aggiunge: «Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene». Si tratta di imparare da Dio e dal suo Figlio Gesù “l’arte della lotta”, come preghiamo nel Sal 144,1.4: «Benedetto il Signore, mia roccia, che addestra le mie mani alla guerra, le mie dita alla battaglia», perché «l’uomo è come un soffio, i suoi giorni come ombra che passa», la nostra esistenza di credenti non è capace di sostenere una simile lotta. 
      Da qui, allora, è facile comprendere che le “armi” indicate in Ef 6,14-18 – la cintura della verità, la corazza della giustizia, i calzari per l’annuncio della pace, lo scudo della fede, l’elmo della salvezza, la spada della Parola di Dio e la preghiera vigilante – sono tutte “armi” nonviolente; ed eccetto una (la spada), le altre non sono di attacco ma di difesa. Attraverso l’uso del linguaggio metaforico l’autore della Lettera, infatti, vuole esortare i cristiani ad assumere uno stile di vita disarmato che ha il sapore profetico del vangelo accolto, pregato e vissuto in un contesto socio-culturale – quello dell’impero romano – dominato dalla violenza e dalla guerra.
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GUARDA IL VIDEO
Relazione integrale



Leggi anche:
- La traccia integrale (pdf)

- il calendario completo degli incontri


Guarda i post già pubblicati:
- Ieri come oggi: «Io per la pace, ma essi, appena parlo, sono per la guerra» (Sal 120) - Gregorio Battaglia (VIDEO INTEGRALE)

- Amalek, il nemico interiore che ritorna sempre (Es 17,8-16) - Carmelo Russo (VIDEO INTEGRALE)

- Da Gerico, la città chiusa e cieca, alla Gerusalemme, la città aperta e luminosa (Gs 5,13- 6,26; Lc 18,35-43; Ap 21,25) - Carmelo Raspa (VIDEO INTEGRALE)

- La resistenza dei cristiani di fronte al potere violento nel libro dell’Apocalisse
Maurilio Assenza (VIDEO INTEGRALE)


- «Amate i vostri nemici» (Mt 5,44; Lc 6,27) - Alberto Neglia (VIDEO INTEGRALE)

Negazionisti di fatto - Il cambiamento climatico che ci riguarda tutti: serve la rivoluzione verde. Ma le lobby «frenano»

Negazionisti di fatto

Per molto tempo hanno negato i cambiamenti climatici, poi hanno fatto finta di niente, ora governanti e grandi imprese lanciano proclami continuando a fare come prima. Impianti con la neve artificiale, auto elettriche, Ponte sullo Stretto, alta velocità, produzione di armi per le guerre… Il negazionismo di fatto, climatico e ambientale, mentre Po e Adige sono in secca, è sempre più feroce. Abbiamo bisogno di conversione ecologica e di nuove forme di solidarietà per affrontare le crescenti difficoltà di ogni giorno. “Chi (le città e i territori) si sarà attrezzato per tempo per queste cose – scrive Guido Viale – avrà più possibilità di sostenere una vita decente e di accogliere anche le persone costrette a fuggire dal loro Paese reso invivibile forse per sempre….”

Tratta da unsplash.com

Dilaga il negazionismo climatico e ambientale. Quello concreto. Quello effettivo. Finché la disputa si svolgeva all’interno della comunità scientifica, i negazionisti – in Italia guidati prima dal professor Zichichi, “lo scienziato di Andreotti”, poi da Paolo Prodi, il fratello scemo di Romano – sono sempre stati una piccola minoranza in continua diminuzione, ancorché ben foraggiata dall’industria dei fossili. Imperversavano sui media con affermazioni perentorie che avevano poi un vago riflesso nelle rare discussioni sul tema che si svolgevano nei bar e ai giardinetti. Greta Thunberg, con il suo appeal mediatico, ha imposto una svolta ai media (certo, non tutti, provate a leggere Libero…), che da allora hanno cominciato a prendere sul serio l’argomento: mai, o quasi, comunque, in prima pagina o in apertura dei notiziari. E che “il problema” ci sia, e sia serio, ormai non lo nega quasi nessuno.

Ma da quando i primi effetti macroscopici dei cambiamenti climatici sono davanti agli occhi di tutti – gli abitanti di altri Paesi, in Africa e negli atolli del Pacifico, ne avevano dovuto prendere atto ben prima – nella psiche di governanti e governati si è insinuata una forma acuta di schizofrenia: si lanciano allarmi, si sottoscrivono impegni come quelli presi ai vertici di Parigi e di Glasgow, si varano piani faraonici: “Next generation EU”, tradotto in italiano in PNRR (190 miliardi) è nato come piano per salvare la prossima generazione (e quelle seguenti) dalla crisi climatica e ambientale.

E cosa ne hanno fatto? Alta velocità, autostrade, porti e dighe, case della salute senza né medici né infermieri (ma con molto cemento) e adesso anche il ponte sullo Stretto e altre “amenità” del genere, cioè disgrazie. Poi si è aggiunta la guerra in Ucraina, in Europa e altrove; forse in tutto il mondo. Ma per ora, come dice il papa, solo “a pezzi”. E con essa, la produzione di sempre più armi. A nessuno viene da chiedere che cosa quelle scelte, quelle produzioni, quei progetti hanno a che fare con la lotta ormai disperata e disperante per arrestare l’incombente catastrofe ambientale. Così, più si consolida la convinzione generale e generica che siamo alla vigilia di una apocalisse climatica, più si va affermando una sorta di negazionismo di fatto, che chiude gli occhi di fronte a una realtà ormai evidente e sospinge a comportarsi come se tutto dovesse continuare come prima.

I principali “negazionisti di fatto” sono i sostenitori (sia decisori che pubblico plaudente) del continuo rifornimento di armi all’Ucraina per mandare avanti quella guerra; senza porsi alcun concreto obiettivo se non la “vittoria” (ma di chi? E su chi?), purché continui la distruzione, da entrambe le parti, di vite, di edifici, di suolo, di acque, fino a fare di quel territorio quel deserto che Chernobyl non era riuscito a portare a termine. È ovvio che bombe, proiettili, razzi, cannoni, carri armati e aerei, sia usandoli che producendone di nuovi e di più, non fanno che accelerare i tempi della crisi climatica e ambientale. Eppure, tra i fautori di quella guerra a oltranza trovate molti ambientalisti nemici della caccia, sostenitori della raccolta differenziata e della salvaguardia delle balene, convinti che occorra fare subito “qualsiasi cosa” (sì, ma che cosa?) per ridurre le emissioni di gas climalteranti.

Ora al centro dell’attenzione c’è l’acqua: il Po è in secca, l’Adige anche e gran parte del resto del mondo pure. Nel PNRR non se ne parlava quasi; adesso si corre (anzi si dice che bisogna correre) a costruire desalinatori per produrre e dighe e invasi per salvare l’acqua che manca. Ma non piove e non nevica e quando c’è la pioggia arriva con tale furore che è impossibile trattenerla, assorbirla e stoccarla; mentre dissalare l’acqua di mare richiede molta energia. Chi la produrrà? Il sole e il vento o il gas e il carbone? Altro capitolo aperto.

Nessuno però dice che l’acqua che c’è si può risparmiare, intanto rifacendo canali e tubature che ne perdono il 40 per cento: se ne parla da trent’anni, ma anche il PNRR non prevede gran che in proposito. Poi recuperando negli abitati l’acqua piovana con canalizzazioni separate da quelle di fogna. Poi con un’agricoltura diversa e una riduzione degli allevamenti intensivi (consumano il 70 per cento di quel 70 per cento di tutta l’acqua disponibile che viene inghiottita da un’agricoltura industrializzata). Poi imparando a usarla meglio nella vita quotidiana. Poi… poi adoperandosi per non essere più negazionisti di fatto.

Ma i fiumi sono in secca perché ad alimentarli non ci sono più i ghiacciai. Anche in montagna non nevica, fa caldo e i ghiacciai scompaiono. A valle l’agricoltura dovrà imparare a usare meno acqua. A monte sciatori e operatori turistici dovranno imparare a fare a meno della neve. Che problema c’è? Si fa la neve artificiale. E giù a moltiplicare gli impianti, le piste, i laghetti (in concorrenza con quelli che dovrebbero far rivivere i fiumi in secca), i cannoni sparaneve. Ma sopra zero gradi neanche la neve artificiale si forma. La fanno solo in Arabia Saudita, per creare una pista nel deserto dentro un tunnel. Tra qualche anno lo sci si potrà fare solo lì. O a Pragelato (Piemonte), dove si progetta di fare un tunnel. Non sarebbe meglio imparare fin da ora a vivere in modo diverso quel che resta delle montagne?

E l’energia? Dovrebbe essere tutta rinnovabile entro il 2050, ma i nuovi impianti procedono a rilento. Intanto, sospinto dalla guerra alla Russia che lo forniva a prezzi d’affezione, va a pieno ritmo il gas. Anzi, l’Italia diventerà, ben oltre il suo bisogno (in realtà già lo è), un ”hub” del gas per tutta l’Europa. Sospinta dalla lobby del gas (in Italia, leggi Eni, il vero padrone del Paese, che passa indenne da un governo all’altro), l’Unione Europea ha deciso che il gas è una fonte energetica di transizione (ma a che cosa?). Quando gli impianti (tubi, rigassificatori e flotte gasiere) in progetto saranno pronti la crisi climatica avrà ormai superato la soglia dell’irreversibilità e quegli impianti saranno da buttare e con loro, anche la vita “agiata” a cui siamo abituati.

Ma anche in questo caso l’unica fonte energetica a cui non si pensa e non si provvede – se non con misure sporadiche e casuali quanto costose, come il “110 per cento” – è il risparmio, cioè l’efficienza in tutti i campi, che potrebbe ridurre anche del 40 per cento gli attuali fabbisogni. Invece, dietro al gas occhieggia il nucleare (anch’esso riammesso dall’Unione come fonte di transizione) che piace a Salvini perché è costoso, inutile e pericoloso come e più del Ponte sullo Stretto. Ma non se ne può fare a meno, perché di energia elettrica avremo sempre più bisogno per alimentare una flotta di 35 milioni di automobili da riconvertire all’elettrico!

Qui si apre un nuovo capitolo. Tutti (dalla Fiom a Salvini) a deplorare il fatto che l’auto elettrica contiene meno pezzi e richiede meno manodopera di quella a combustione. Nessuno a ricordare che persino l’Unione Europea ha stabilito che entro il 2050 il parco veicoli dovrà diminuire del 60 per cento. Dunque, se si rispettasse questo obiettivo a cui nessuno crede (e meno che mai i burocrati che l’hanno introdotto) la riduzione dell’occupazione nel settore dovrebbe andare ben oltre quella connessa al passaggio all’elettrico. E lo farà comunque perché la crisi climatica costringerà un numero crescente di persone ad andare a piedi (o a non spostarsi più) perché nel frattempo non saranno stati varati sistemi di trasporto pubblico o condiviso alternativi all’auto privata, elettrica o no.

D’altronde – qui hanno ragione Salvini e il branco di giornali di destra che gli fanno eco – l’auto elettrica presenta ben pochi vantaggi rispetto a quelle attuali. Consuma di meno, ma produce la stessa quantità di CO2 se l’elettricità continuerà a venir prodotta, in tutto o in parte, con i fossili; ma produce quasi la stessa quantità di inquinamento (particolato), che per l’80 per cento è generato non dagli scappamenti ma dall’attrito dei pneumatici e dei freni (e continuamente risollevato dal rotolamento delle ruote). Soprattutto ingombra quanto l’auto tradizionale, trasformando vie e piazze in parcheggi e camere a gas, devastando la socialità di strada, la vita dei bambini e degli anziani (ma anche quella degli adulti) e allontanando per sempre l’obiettivo, questo sì ecologista, della città dei 15 minuti.

Eppure l’auto elettrica, simbolo della continuità del nostro stile di vita prima e dopo la “transizione energetica” continua a essere al centro delle preoccupazione degli ecologisti: la cartina al tornasole del fatto che non hanno né capito né accettato l’idea della conversione ecologica. Sono e restano dei negazionisti di fatto. Inutile dire che un discorso analogo vale per tutti i natanti da diporto (dagli yacht di superlusso ai barchini fuoribordo, crociere comprese), nonché per tutti gli aerei privati, vero accaparramento del cielo da parte dei superricchi. Ma è il trasporto in generale, sia di merci che di passeggeri, come ha fatto notare Federico Butera a proposito del Ponte sullo Stretto, che è destinato a subire un drastico ridimensionamento: sia che si proceda in questa direzione con il progressivo potenziamento dell’economia circolare, che renderà esuberante gran parte della rete stradale, sia, com’è probabile, che ci si arrivi nel caos, per le rottura delle catene di fornitura indotte dalla crisi climatica e da tutto il disordine ”geopolitico” (leggi guerre) che ne conseguirà.

Anche sugli edifici sarebbe possibile promuovere, con l’efficienza, un risparmio energetico sostanziale, a patto che accanto agli obiettivi fissati per legge dall’Unione Europea (quelli contro cui urla la Lega di Salvini, tacciandola di essere una “patrimoniale” – non sia mai! – sulla casa) si varino a livello locale dei piani che non affidino al caso, come ha fatto il “110 per cento”, la messa a norma di qualche edificio, ma mettano invece in grado ogni proprietario, ogni condominio, ogni struttura, di disporre di un progetto organico che ne affronti tutti gli aspetti, dall’isolamento di pareti e infissi alla fornitura attraverso la costituzione di comunità energetiche, dall’efficientamento degli impianti alle regole di condotta e al finanziamento, ecc. Non succederà.

Ma che senso ha, avrebbe, promuovere la conversione energetica in un Paese solo, quando il resto del mondo (e soprattutto le economie emergenti, che ne rivendicano il diritto, perché non è a causa loro che si è arrivati a questo punto) continuerà a produrre imperterrito gas di serra e devastazioni ambientali che incidono su tutto il pianeta, noi compresi, portandolo allo stremo? Ha senso, posto che ci sia una possibilità di sopravvivere anche nelle condizioni estreme in cui ci si verrà a trovare. Perché le misure di mitigazione delle cause di alterazione del clima che il negazionismo di fatto evita accuratamente di adottare, e anche solo di volere, sono anche tutte misure di adattamento alle condizioni ostiche del “nostro comune futuro”.

Piccolo è bello: produzione e consumo di materiali, di suolo e di acqua, sprechi e produzione di scarti e rifiuti dovranno comunque ridursi drasticamente; i trasporti di merci saranno meno voluminosi e frequenti; i viaggi più impegnativi e sensati; gli impianti di generazione elettrica più differenziati e più distribuiti sul territorio; le città più compatte e gli spazi pubblici più liberi; la solidarietà più necessaria per affrontare le difficoltà di ogni giorno. Chi (le città e i territori) si sarà attrezzato per tempo per queste cose avrà più possibilità di sostenere una vita decente e di accogliere anche le persone costrette a fuggire dal loro Paese reso invivibile forse per sempre.
(fonte: Comune-info, articolo di Guido Viale 25/03/2023)

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Il cambiamento climatico che ci riguarda tutti:
serve la rivoluzione verde. Ma le lobby «frenano»

L’allarme lanciato dall Ippc, agenzia dell’Onu: «La temperatura media della terra è già aumentata di 1,1 gradi». Gli interventi di Usa ed Europa


Siamo in ritardo. Tutti: governi, grandi e piccole imprese, pubbliche e private. L’ultimo rapporto pubblicato dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ippc), l’agenzia dell’Onu per lo studio dei cambiamenti climatici, è molto netto: la temperatura media della terra è già aumentata di 1,1 gradi. A questo punto c’è il 50% di probabilità di non riuscire a contenere il riscaldamento entro la soglia cruciale di 1,5 gradi, da qui al 2050. Il Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha chiesto di anticipare la scadenza al 2040. Come dire: dobbiamo accelerare e dobbiamo farlo ora. Difficile immaginare come si muoverà la Cina, uno dei Paesi più inquinanti del mondo. Nel blocco occidentale, invece, l’Amministrazione Biden e le cancellerie europee stanno cercando di dare sostanza agli impegni e alle dichiarazioni di principio. Tra mille difficoltà. Intendiamoci: sia Washington che Bruxelles hanno messo in campo potenzialmente provvedimenti di grande impatto. Gli americani si preparano a investire circa 369 miliardi di dollari, spalmati in dieci anni, per finanziare la «transizione ecologica» dell’economia. Il nerbo della manovra è formato da circa 69 miliardi da destinare alle aziende che producono pannelli solari, turbine eoliche, batterie e componenti per i veicoli elettrici.

L’Unione europea ha stanziato 750 miliardi di euro, all’interno del «Next Generation eu», per coprire, tra l’altro, sovvenzioni a fondo perduto e prestiti a società attive nelle rinnovabili. Il problema, però, è che l’intervento pubblico non sembra sufficiente per indurre i settori privati più inquinanti, dagli idrocarburi alla chimica fino ad arrivare all’agroalimentare, a cambiare passo. Due soli esempi. Il neo presidente brasiliano Luiz Inacio Lula Da Silva ha annunciato norme più severe per la protezione della foresta amazzonica. Gli alberi vengono abbattuti per fare posto a pascoli per il bestiame e finché le grandi corporation americane alimenteranno la domanda di carne bovina, sarà difficile fermare il disboscamento.

Anche in Europa l’azione delle lobby intralcia o limita la portata della rivoluzione verde. Basti osservare le pressioni di tedeschi e italiani per ritardare il pensionamento delle auto a benzina. Oppure l’intenso fuoco di sbarramento sulla proposta della Commissione europea per vietare le etichette fuorvianti e certificare che i prodotti immessi sul mercato abbiano davvero un basso impatto ambientale. L’ostruzionismo viene da tanti settori: dai cosmetici ai tessuti, dalla plastica agli elettrodomestici. Ma il richiamo dell’Onu dovrebbe valere per tutti: è arrivato il momento di scelte nette.
(fonte: Corriere della Sera, articolo di Giuseppe Sarcina 27/03/2023)


mercoledì 29 marzo 2023

«Diventare cristiano non è un maquillage che ti cambia la faccia, no! Se tu sei cristiano ti cambia il cuore. Il vero cambiamento è del cuore.» Papa Francesco Udienza Generale 29/03/2023 (testo e video)

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 29 marzo 2023



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Catechesi. La passione per l’evangelizzazione: lo zelo apostolico del credente. 9. Testimoni: San Paolo. 1


Cari fratelli e sorelle, buongiorno!


Nel cammino di catechesi sullo zelo apostolico, cominciamo oggi a guardare ad alcune figure che, in modi e tempi diversi, hanno dato testimonianza esemplare di che cosa vuol dire passione per il Vangelo. E il primo testimone è naturalmente l’Apostolo Paolo. A lui vorrei dedicare due catechesi.

La storia di Paolo di Tarso è emblematica su questo argomento. Nel primo capitolo della Lettera ai Galati, così come nella narrazione degli Atti degli Apostoli, possiamo rilevare che il suo zelo per il Vangelo appare dopo la sua conversione, e prende il posto del suo precedente zelo per il giudaismo. Era un uomo zelante per la legge di Mosè per il giudaismo e dopo la conversione questo zelo continua ma per proclamare, per predicare Gesù Cristo. Paolo era un innamorato di Gesù. Saulo – il primo nome di Paolo – era già zelante, ma Cristo converte il suo zelo: dalla Legge al Vangelo. Il suo slancio prima voleva distruggere la Chiesa, dopo invece la costruisce. Ci possiamo domandare: che cosa è successo, che succede dalla distruzione alla costruzione? Che cosa è cambiato in Paolo? In che senso il suo zelo, il suo slancio per la gloria di Dio è stato trasformato?

San Tommaso d’Aquino insegna che la passione, dal punto di vista morale, non è né buona né cattiva: il suo uso virtuoso la rende moralmente buona, il peccato la rende cattiva. Nel caso di Paolo, ciò che lo ha cambiato non è una semplice idea o una convinzione: è stato l’incontro con il Signore risorto – non dimenticate questo, quello che cambia una vita è l’incontro con il Signore – è stato per Saulo l’incontro con il Signore risorto che ha trasformato tutto il suo essere. L’umanità di Paolo, la sua passione per Dio e la sua gloria non viene annientata, ma trasformata, “convertita” dallo Spirito Santo. L’unico che può cambiare i nostri cuori è lo Spirito Santo. E così per ogni aspetto della sua vita. Proprio come succede nell’Eucaristia: il pane e il vino non scompaiono, ma diventano il Corpo e il Sangue di Cristo. Lo zelo di Paolo rimane, ma diventa lo zelo di Cristo. Cambia il senso ma lo zelo è lo stesso. Il Signore lo si serve con la nostra umanità, con le nostre prerogative e le nostre caratteristiche, ma ciò che cambia tutto non è un’idea bensì la vita vera e propria, come dice lo stesso Paolo: «Se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove» ( 2 Cor 5,17). L’incontro con Gesù Cristo ti cambia da dentro, ti fa un’altra persona. Se uno è in Cristo è una nuova creatura, questo è il senso di essere una nuova creatura. Diventare cristiano non è un maquillage che ti cambia la faccia, no! Se tu sei cristiano ti cambia il cuore ma se tu sei cristiano di apparenza, questo non va… cristiani di maquillage non vanno. Il vero cambiamento è del cuore. E questo è successo a Paolo.

La passione per il Vangelo non è una questione di comprensione o di studi, che pure servono ma non la generano; significa piuttosto ripercorrere quella stessa esperienza di “caduta e risurrezione” che Saulo/Paolo visse e che è all’origine della trasfigurazione del suo slancio apostolico. Tu puoi studiare tutta la teologia che vuoi, tu puoi studiare la Bibbia e tutto quello e diventare ateo o mondano, non è una questione di studi; nella storia ci sono stati tanti teologi atei! Studiare serve ma non genera la nuova vita di grazia. Infatti, come dice S. Ignazio di Loyola: «Non il molto sapere sazia e soddisfa l’anima, ma il sentire e il gustare le cose internamente». Si tratta delle cose che ti cambiano dentro, che ti fanno sapere un’altra cosa, gustare un’altra cosa. Ognuno di noi pensi a questo: “Io sono un religioso?” – “Va bene” – “Io prego?” – “Sì” - “Io cerco di osservare i comandamenti?” – “Sì” – “Ma dov’è Gesù nella tua vita?” – “Ah, no io faccio le cose che comanda la Chiesa”. Ma Gesù dov’è? Hai incontrato Gesù, hai parlato con Gesù? Tu prendi il Vangelo o parli con Gesù, ti ricordi chi è Gesù? E questa è una cosa che ci manca tante volte, un cristianesimo non dico senza Gesù ma con un Gesù astratto… Quando entra Gesù nella tua vita, come è entrato nella vita di Paolo, Gesù entra cambia tutto. Tante volte abbiamo sentito commenti sulla gente: “Ma guarda quell’altro, che era un disgraziato e adesso è un uomo buono, una donna buona… Chi lo ha cambiato? Gesù, ha trovato Gesù. La tua vita che è cristiana è cambiata? “E no, più o meno, sì…”. Se non è entrato Gesù nella tua vita non è cambiata. Tu puoi essere cristiano di fuori soltanto. No, deve entrare Gesù e questo ti cambia e questo è successo a Paolo. Bisogna trovare Gesù e per questo Paolo diceva l’amore di Cristo ci spinge, quello che ti porta avanti. Lo stesso cambiamento è capitato a tutti i Santi, che quando hanno trovato Gesù sono andati avanti.

Possiamo fare una ulteriore riflessione sul cambiamento che avviene in Paolo, il quale da persecutore diventò apostolo di Cristo. Notiamo che in lui si verifica una specie di paradosso: infatti, finché lui si ritiene giusto davanti a Dio, allora si sente autorizzato a perseguitare, ad arrestare, anche ad uccidere, come nel caso di Stefano; ma quando, illuminato dal Signore Risorto, scopre di essere stato “un bestemmiatore e un violento” (cfr 1 Tm 1,13), - così dice di se stesso: “io sono stato un bestemmiatore e un violento” - allora incomincia a essere davvero capace di amare. E questa è la strada. Se uno di noi dice: “Ah grazie Signore, perché io sono una persona buona, io faccio le cose buone, non faccio peccati grossi…”: Non è una buona strada questa, questa è una strada di autosufficienza, è una strada che non ti giustifica, ti fa un cattolico elegante, ma un cattolico elegante non è un cattolico santo, è elegante. Il vero cattolico, il vero cristiano è quello che riceve Gesù dentro, che cambia il cuore. Questa è la domanda che faccio a tutti voi oggi: cosa significa Gesù per me? L’ho lasciato entrare nel cuore o soltanto lo tengo a portata di mano ma che non venga tanto dentro? Mi sono lasciato cambiare da Lui? O soltanto Gesù è un’idea, una teologia che va avanti… E questo è lo zelo, quando uno trova Gesù sente il fuoco e come Paolo deve predicare Gesù, deve parlare di Gesù, deve aiutare la gente, deve fare cose buone. Quando uno trova l’idea di Gesù rimane un ideologo del cristianesimo e questo non salva, soltanto Gesù ci salva, se tu lo hai incontrato e gli hai aperto la porta del tuo cuore. L’idea di Gesù non ti salva! Il Signore ci aiuti a trovare Gesù, a incontrare Gesù, e che questo Gesù da dentro ci cambi la vita e ci aiuti ad aiutare gli altri.

Guarda il video della catechesi


Saluti

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Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i Vescovi e i sacerdoti che ricordano il 50° anniversario di Ordinazione presbiterale, l’Unità pastorale di Gioia Sannitica, La Croce Gialla di Montegranaro, la Cooperativa Emmanuel di Cavarzere. Un saluto speciale ai tanti studenti qui presenti, che rendono vivace questa Udienza.

Il mio pensiero va infine, come di consueto ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli. In questo tempo di Quaresima, auguro a ciascuno di voi di riscoprire e di testimoniare con gioia il dono della fede cristiana.

Perseveriamo nella preghiera e nella vicinanza alla martoriata Ucraina.

A tutti la mia benedizione.


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Card. Matteo Zuppi: sostenere l’accoglienza in Sicilia. “Le lacrime di Maria si confondono con quelle dei migranti, nel mare gelido in cui affogano”

Card. Matteo Zuppi: sostenere l’accoglienza in Sicilia.
“Le lacrime di Maria si confondono con quelle dei migranti, nel mare gelido in cui affogano” 


“La Sicilia è un esempio storico di accoglienza. Lo è nella sua stessa identità. Non può essere lasciata sola, dobbiamo aiutarla”. Sono parole del cardinale Matteo Maria Zuppi, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, a Siracusa per l’apertura dell’Anno mariano indetto dall’arcivescovo di Siracusa Francesco Lomanto. Celebrando nel Santuario della Madonna delle Lacrime, il porporato ha pronunciato un’omelia molto coinvolgente che ha descritto “le lacrime di Maria come il riflesso della compassione di Dio, che è vicino soprattutto a chi soffre”. La Vergine, ha sottolineato Zuppi, “fa sue le lacrime di ogni persona e fa sue le lacrime di Gesù che piange guardando Gerusalemme”.

“Gli occhi pieni di lacrime di Maria – ha osservato il card. Zuppi – ci aiutano a comprendere che abbiamo una Madre che piange e ci insegna a piangere guardando. Le sue lacrime sono quelle dei suoi figli perduti, sono le lacrime di un soldato che muore pensando a sua madre nel freddo di una trincea in Ucraina, sono le lacrime di un anziano solo che non ha chi le asciuga, sono tutte le lacrime che rigano il volto dei poveri, dei profughi: quelle lacrime che si confondono nel mare gelido o che inumidiscono gli occhi dei sopravvissuti, ma sono anche le lacrime di un ricco che si scopre povero e vulnerabile”.

“Ecco perché – ha spiegato il presidente della Cei – abbiamo bisogno di Maria, che ci aiuti a sentire le nostre lacrime che lei fa sue; piange con noi e vedendo le sue lacrime impariamo a piangere di fronte a tanta sofferenza e a scegliere come lei di restare sotto la Croce per vedere la consolazione del beato che piange perché sarà così. Guai a chi ride senza consolare o pensa di poter trovare conforto da solo. All’inferno non è possibile guardarsi in faccia. Ecco, al contrario, Maria ci guarda negli occhi, fa sue le nostre lacrime, che servono per vedere meglio: le lacrime sono davvero un collirio per vedere meglio il nostro prossimo e per scegliere come Maria di essere vicino agli altri. Maria ci mostra il nostro prossimo, ci insegna la vocazione di ognuno di noi e della nostra chiesa di Siracusa in fondo di tutta la chiesa, che è quella di essere una madre che prova compassione e che guarda. Questo è il desiderio di tanti che aspettano consolazione: penso al mondo delle carceri: il rapporto con i detenuti, i loro familiari e con le istituzioni richiede necessariamente una sinergia tra la pastorale penitenziaria e l’impegno della chiesa intera ad aiutare a portare il peso delle responsabilità e il peso delle ferite subite. Così come c’è un altro luogo di questa terra, le sue coste, dove con sofferenza arrivano persone che che sognano legittimamente una vita migliore”.

Per Zuppi i migranti sollecitano “il grande impegno della Caritas nell’assistenza a quanti fuggono dalla guerra non l’ultima da quella dell’Ucraina: ciascuno di questi profughi ritrovi la dignità di essere persona umana E anche di essere figlia e figlio di Dio: questo – ha concluso il cardinale di Bologna – è il Vangelo, che si fa storia” quando “quelle lacrime trovano conforto in una sensibilità materna che si traduce nell’accoglienza e nel riconoscimento della dignità umana”.

Nell’isola in queste ultime ore sono giunti i sette cadaveri di un naufragio avvenuto nella Sar maltese: li hanno recuperati, insieme a una decina di sopravvissuti, la Guardia costiera e le Fiamme gialle italiane. Nella stessa Sar la nave Life Support di Emergency ha salvato 78 persone che navigavano su un gommone di circa 12 metri. Al momento del soccorso, il natante stava già imbarcando acqua. Tra loro 3 donne, di cui una incinta di due mesi, due bambine accompagnate di 8 e 6 anni, 28 minori non accompagnati, tra cui un bambino di 9 anni. Le persone soccorse provengono da Burkina Faso, Ciad, Costa d’Avorio, Eritrea, Etiopia, Gambia, Guinea Conakry, Liberia, Niger, Nigeria, Mali, Sud Sudan, Sudan, Somalia. Si tratta per la maggior parte di Paesi dilaniati da guerre civili e da insicurezza alimentare.

“Le persone soccorse hanno viaggiato per più di 20 ore senza bere né mangiare – riporta Eliza Sabatini, infermiera a bordo della nave Life Support – Da una prima valutazione, risultano tutti debilitati e disidratati. Nelle prossime ore esamineremo i casi individuali”. “Erano le 21 quando abbiamo ricevuto la segnalazione di un’imbarcazione in difficoltà in acque internazionali – afferma Emanuele Nannini, capomissione della nave Life Support – Arrivati sul posto, abbiamo trovato il natante sovraffollato e alla deriva, senza possibilità di usare il motore perché era terminata la benzina. Il gommone riportava già danni strutturali, ovvero aveva i tubolari quasi sgonfi. Abbiamo informato tutte le autorità e iniziato subito le attività di soccorso». «Il natante si trovava in acque internazionali della zona ricerca e soccorso maltese – prosegue Emanuele Nannini – Malta, pur essendo stata informata immediatamente, non ha coordinato le attività di soccorso né offerto un porto di sbarco sicuro”
(fonte: Faro di Roma, articolo di Aurelio Tarquini 27/03/2023)

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martedì 28 marzo 2023

Riparte il “popolo” che non “si rassegna alla guerra”

UCRAINA. AL VIA LA CAROVANA #STOPTHEWARNOW

2.500 km on the road, 25 furgoni e 150 persone. 
Riparte il “popolo” che non “si rassegna alla guerra”

Riparte giovedì 30 marzo la quinta carovana della Rete italiana #StopTheWarNow. 150 volontari provenienti da tutta Italia e in rappresentanza di 175 associazioni e movimenti della società civile italiana, laici e religiosi. Raggiungeranno Odessa e Mykolaiv muovendosi con furgoni e mezzi propri, carichi di aiuti umanitari. All’ospedale pediatrico di Odessa, i volontari consegneranno alla presenza delle autorità e del direttore un grosso generatore elettrico di 200 kilowatt acquistato grazie al contributo “significativo” dell’arcidiocesi di Bologna e del cardinale Matteo Zuppi.

(Foto SIR)

Foto Sir
Almeno 2.500 chilometri on the road per raggiungere dall’Italia le città di Odessa e Mykolaiv, nella regione Sud dell’Ucraina. Passando per la Slovenia e l’Ungheria e passare la frontiera a Berehove. Riparte, giovedì 30 marzo, la quinta carovana della pace. Un gruppo di 150 persone provenienti da tutta Italia, da Lecce, Napoli, Roma, Milano, si è dato appuntamento la mattina presto a Padova, tutti a bordo di 25 furgoni, carichi di beni di prima necessità ed un messaggio di pace al mondo e di solidarietà e vicinanza alla popolazione afflitta da più di un anno dalla guerra. Sono rappresentanti di 175 associazioni e movimenti della società civile italiana, laici e religiosi ed aderiscono alla Rete Italiana #StopTheWarNow. L’obiettivo è raggiungere Odessa, Mykolaiv e Kherson muovendosi, un gruppo, a bordo di furgoni propri ed un altro (più esiguo) in aereo via Chisinau in Moldavia.

I mezzi sono carichi di beni di ogni tipo, come pasta, olio, farina, alimenti per bambini. E consistente è il numero di generatori elettrici che verranno donati, su indicazione della Caritas-Spes Ucraina, in diversi punti del Paese.

Foto Sir
L’arrivo a Odessa è previsto per mezzogiorno di sabato 1 aprile. Il primo appuntamento è all’Ospedale pediatrico della città dove la carovana consegnerà alla presenza delle autorità e del direttore un grosso generatore elettrico di 200 kilowatt acquistato grazie al contributo “significativo” dell’Arcidiocesi di Bologna e del cardinale Matteo Zuppi. I volontari della carovana saranno impegnati a scaricare gli aiuti. Arriveranno anche in un villaggio vicino a Odessa dove gli abitanti hanno chiesto aiuto. “Sono tutti luoghi – dice Gianpiero Cofano della Comunità Papa Giovanni XXIII, coordinatore della carovana – in cui in questi mesi abbiamo creato relazioni di amicizia”.

E’ nello “stile” tipico di #StopTheWarNow: generare un movimento di non violenza e pace nelle zone di conflitto e condividere con chi soffre le conseguenze della guerra.

Mykolaiv, Operazione Colomba (Foto Stefano Smirnov)

A Mykolaiv, il gruppo sarà ospite della comunità evangelica della città che ha messo a disposizione il suo centro di recupero per alcolisti, un edificio a tre piani, dove saranno accolti i volontari e dove dall’inizio della guerra in un rifugio al piano sotterraneo vivono una trentina di persone, famiglie, anziani e ragazzi che non sanno dove andare o hanno paura di tornare nelle loro case. Con loro ci sono – a turno e praticamente dall’inizio del conflitto – i volontari dell’Associazione Papa Giovanni XXIII coordinati da Alberto Capannini, uno dei fondatori dell’Operazione Colomba. “Mykolaiv – dice – è stata per otto mesi una città bombardata e assediata. Gli attacchi hanno preso di mira l’impianto idrico della città lasciando la popolazione senza acqua. Avevano sete”. Per questo, una delle prime iniziative è stata quella di portare sul posto dei dissalatori dove oggi, in diversi punti della città, gli abitanti vanno per caricarsi acqua pulita e potabile.

Quando i responsabili del centro evangelico hanno visto arrivare i volontari italiani, hanno detto: “gli aiuti umanitari arrivano numerosi ma è la prima volta che qualcuno ce li porta personalmente”.

Mykolaiv, Operazione Colomba (Foto Stefano Smirnov)

Il 2 aprile è la Domenica delle Palme. Sui furgoni, i volontari hanno caricato anche dei ramoscelli di ulivo. Si celebrerà una messa, forse nella chiesa greco-cattolica di Mykolaiv. Spiega don Renato Sacco, consigliere nazionale di Pax Christi, che parteciperà personalmente alla carovana: “Questa volta la Carovana avrà un significato simbolico particolare, perché si svolgerà per i cattolici in occasione della Domenica delle Palme. L’inizio della Settimana Santa è un inno alla pace e alla fratellanza tra i popoli, che ci lega nella Pasqua ai cristiani di tutte le Chiese”. La tensione nella regione è alta. “L’ultimo bombardamento su Mykolaiv risale a circa due settimane fa”, racconta Campanini. “Ma il fronte dista da qui solo 40 chilometri e gli allarmi sono continui”. E’ partita in questi giorni una controffensiva a Mariupol, nel Donetsk, e a Melitopol, nella regione di Zaporizhzhia, per riprendersi le due città ucraine occupate dall’esercito russo. Si aspettano un nuovo attacco russo”. A Mykolaiv, i volontari italiani aiuteranno a distribuire alla popolazione locale un migliaio di pacchi pieni di beni di prima necessità. Poi la sera ci saranno un concerto e momento di festa. “Sarà un’occasione per riprenderci la città dall’orrore della guerra e restituirla ad una normalità”, dice Gianpiero Cofano. “Non ci rassegniamo alla guerra”, aggiunge.

“A distanza di un anno dalla prima missione organizzata da #StopTheWarNow continuiamo a dirlo con la nostra presenza. I risultati di chi tenta una risoluzione del conflitto con l’uso delle armi sono sotto gli occhi di tutti, e nelle lacrime delle vittime.

Estendiamo ora l’appello anche ai politici, perché aderiscano all’iniziativa e ci raggiungano con collegamenti online, per portare la loro vicinanza alle persone che incontreremo”.
(fonte: Sir, articolo di M. Chiara Biagioni 28/03/2023)


Alessandro D'Avenia FARE UN CAPOLAVORO

Alessandro D'Avenia
FARE UN CAPOLAVORO


“Sono un’intelligenza artificiale e non ho la capacità di scrivere un capolavoro in modo autonomo. Tuttavia posso fornirti dei consigli su come scriverlo”. Questo è quanto ha risposto ChatGPT, potente macchina dati di Microsoft, alla mia richiesta di scrivere un capolavoro. Capace di sfornare in due secondi una verifica su Machiavelli in 10 domande, di riassumere un testo in quante parole voglio, di spiegare la fotosintesi clorofilliana diversificando il testo in base all’età del destinatario, questo formidabile strumento di sintesi dati, non è però in grado di creare. Questa è la sua potenza, è una memoria straordinaria, e il suo limite, non è un’intelligenza, che è capacità creativa e non solo archivio da poter assemblare. Il nuovo è generato solo dall’atto creativo che non si limita a comporre dati (cose già date), ma a farne di nuovi grazie a una relazione inedita (mai data) con il mondo, come dice il famoso produttore musicale Rick Rubin nel recente “L’atto creativo: un modo di essere”: “Tutti noi, ogni giorno, ci dedichiamo ad atti creativi. Creare vuol dire portare all’esistenza qualcosa che prima non c’era. Potrebbe essere anche solo una conversazione, la soluzione a un problema, un biglietto per una persona cara, una nuova disposizione dei mobili, una strada diversa per tornare a casa”. L’atto creativo non è assemblaggio di mattoni “dati”, ma un loro aumento grazie a due potenze che unite fanno nuova vita e vita nuova: libertà e ispirazione. Come?

ChatGPT e simili fanno in pochi istanti qualcosa “come” l’abbiamo già fatta nei secoli, straordinari e rapidissimi imitatori inventano nei limiti dei “dati” immagazzinati. Potranno scrivere una canzone come Yesterday, una poesia come l’Infinito:come (non è poco: uno sceneggiatore si è appena fatto disegnare un fumetto dando la scene scritte in pasto a una macchina del genere), ma non di più. Assemblano materia, non la creano, per quello ci vuole energia umana.

Che ne sarà dei compiti ora che i ragazzi potranno chiedere a una di queste macchine di scrivere un tema sui social, il riassunto di un capitolo dei Promessi Sposi o la recensione di un romanzo di Calvino… Questi compiti diverranno superflui? Un ex alunno qualche sera fa, in una pizza amarcord, mi ringraziava per la fatica fatta con i riassunti, quando chiedevo la sintesi di una storia in 200 parole, in 100, 50… fino ad arrivare a una sola frase, che isolasse l’azione centrale di tutto il movimento narrativo: “Quell’esercizio mi ha dato un metodo per tutto”. ChatGPT lo fa in un istante: l’alunno sostituito dalla macchina perderà quindi questa capacità? No, solo se trasformiamo la sostituzione in un’occasione per potenziare il “compito” specificamente umano: creare.

La Macchina Dati sostituisce uno studente generico ma non potrà mai sostituire me. In altri termini bisognerà chiedere all’alunno Alessandro D’Avenia di allenarsi nei fondamentali della logica (analisi e sintesi), attingendo a una materia che ChatGPT non avrà mai, la mia esperienza inedita del mondo, il mio esserci in modo irripetibile, oggi, per portare un aumento di essere: la mia intelligenza (energia recettiva e creativa) delle cose è unica. Sulla scorta delle parole della poetessa russa Marina Cvetaeva: “Fedele mio tavolo di scrittura,/ grazie per essere andato con me per tutte le strade”, potrei per esempio chiedere ad Alessandro di scrivere il riassunto di tutti i tramonti che ha visto, di analizzare le fasi dei suoi innamoramenti o le caratteristiche di un dolore che non avrebbe mai voluto vivere, un saggio sulla pagina o sul luogo che ama o odia di più. La scrittura diverrà così un esercizio di insostituibilità, la narrazione di una relazione, perché l’atto creativo propriamente umano è la risposta alle chiamate che il mondo fa solo a me: bio-grafia (scrittura della e nella vita).

Nella Genesi il primo compito che Dio affida ad Adamo è dare nomi alle cose che, nel linguaggio biblico, è entrare in relazione, coglierne l’unicità, prendersene cura, portarle a compimento: “dare del tu” alle cose, da un fiore a un pianeta. E questo perché si può amare solo ciò che incontriamo e a cui diamo un nome. Il racconto dice infatti che l’uomo è a immagine di Dio: creatore e libero, cioè capace di amare (l’azione che unisce le due caratteristiche). La Macchina Dati ci costringerà a dare ai ragazzi “compiti” propriamente “umani”.

I latini chiamavano il compito pensum: il “peso” della lana grezza da trasformare in filato. Proprio da questa concretezza manuale viene poi il verbo pensare. Pensare è atto creativo per eccellenza, il compito specifico dell’umano, se lo intendiamo come rapporto recettivo e creativo con il mondo, che ci offre la matassa della realtà da trasformare in filo: il filo logico del discorso umano che va da un “ti penso” alla Divina Commedia. I compiti non potranno più essere esercizi separati dall’incontro con la vita da “filare”. Non sarà più solo il Leopardi (ri-)saputo da tutti, ma il Leopardi che solo io posso sapere (che non significa da me inventato ma da me incontrato). Inoltre dovremmo continuare a chiedere che questi compiti vengano, come tessuti preziosi, “filati” a mano: scrivere a mano è uno degli ultimi baluardi a difesa del corpo smaterializzato dal digitale. La mano, che duole quando si scrive, ha portato il “peso” del pezzo di mondo di cui ci siamo fatti carico dandogli il nome che nessuno gli ha ancora dato.

ChatGPT ha ammesso che non può fare un capolavoro, un “automa” agisce “automaticamente” ma non “autonomamente” (libero e creatore), e mi ha rimandato alla responsabilità di farlo io con dei consigli (risaputi): una forte idea di base; personaggi ben sviluppati; azioni coerenti con la loro personalità; scrittura vivida e descrizioni dettagliate; sperimentazione stilistica e tecniche narrative innovative. La macchina mi riconosce ciò in cui sono insostituibile e che fa crescere me e il mondo: creare (crescere e creare hanno la stessa radice).

Far crescere un ragazzo o una ragazza è chiedere loro di porre il nuovo nel mondo dopo esser stato dal mondo fecondati, come mia nipote di 5 anni quando va per strada: non cammina ma saltella e balla in una festa di incontri. Qualche giorno fa mia sorella le ha detto di stare più attenta perché, così facendo, sbatte spesso contro le persone sul marciapiede, e lei ha risposto: “Sono così impegnata a vedere le cose nuove che neanche mi accorgo”. È questo incontro corporeo con il mondo che rende intelligenti e creativi, come scriveva Rilke a un aspirante poeta: “Avvicinati alle cose. Tenta come un primo uomo al mondo di dire quello che vedi e vivi e ami e perdi”.

Ogni macchina viene inventata dall’uomo per sostituirlo in ciò in cui è sostituibile, liberando così tempo ed energie per ciò in cui è insostituibile: creare, e dove c’è creazione c’è gioia, perché crea solo chi ama e solo chi ama crea… purché le energie e il tempo liberati non vengano impegnati per stare con le macchine, ma per fare, tra e per noi, un mondo nuovo.

Corriere della Sera, 13 marzo 2023
(fonte: sito dell'autore 14/03/2023)