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mercoledì 19 novembre 2025

Buio su Gaza. E sull’umanità

Buio su Gaza. E sull’umanità


Trump e Netanyahu non hanno vinto, hanno stravinto. Il mondo ha perso, l’umanità ha perso, è sprofondata in un buco nero di cui solo la storia chiederà il conto.

La finta tregua a Gaza ha dato il risultato che il presidente americano e il governo israeliano volevano: il silenzio su Gaza. E soprattutto il buio.

Invano tutte le organizzazioni dei giornalisti di gran parte dei paesi europei chiedono da settimane di potere entrare a Gaza anche scortati dall’ONU, anche “embedded”, ma nessuno risponde. Le luci su Gaza si sono spente volutamente, con una scientifica ferocia che impedisce ancora al mondo di vedere, finché tutto non sarà spianato, livellato, prese le ossa dei morti come materiale di ricostruzione, allontanati anche i bambini senza gambe e senza braccia, distrutti i resti dei pochi macchinari sanitari rimasti.

Emergency e Medici senza Frontiere sono le uniche fonti autentiche che ancora riescono a mandare qualche notizia dalla Striscia, che si possono riassumere così.

Strade allagate, tende distrutte, rifugi di fortuna invasi dall’acqua. Le intense piogge e le forti raffiche di vento che si sono abbattute su Gaza nelle ultime ore si abbattono su una popolazione già allo stremo. Migliaia di famiglie non hanno più un riparo, proprio mentre l’inverno si avvicina.

Secondo UNHCR, almeno 259.000 famiglie palestinesi – quasi 1 milione e mezzo di persone – necessitano di assistenza immediata per un rifugio d’emergenza.

Ma i materiali restano bloccati ai valichi di ingresso: tende, kit per la sigillatura e l’intelaiatura, biancheria da letto, set da cucina e coperte – per un totale di 4.000 pallet”. Tutto fermo ai confini.

Ma i nostri telegiornali non ne parlano più se non come elemento di discussione sul piano diplomatico, fingendo che la vergognosa sceneggiata degli accordi sia vera. Da settimane trovano posto sui giornali soprattutto i negazionisti dello sterminio da parte delle forze israeliane, che addirittura si può chiamare “genoxxdio” solo scrivendolo così… abbiamo dovuto assistere a scene aberranti, come venire definite “gite ad Auschwitz” i viaggi degli studenti nei lager nazisti e abbiamo ascoltato la direttrice dell’ufficio stampa della Rai accusare i colleghi della sua stessa azienda di aver riportato notizie false e senza prove, non solo nel silenzio dei vertici (è un palese caso da licenziamento) ma anche di troppi colleghi.

Mentre oltre 200 palestinesi sono già morti da quando è stata approvata la cosiddetta “tregua”, noi, da questa parte del mondo, fingiamo di credere a una pace che non esiste, spegniamo gli ultimi faretti di luce, accettiamo il buio su Gaza inconsapevoli che è l’umanità che sta precipitando nel buio, in uno dei peggiori coni d’ombra della storia.

Di fronte a tutto questo blaterare di equidistanza è insopportabile, i “non ancora” del nostro governo verso lo stato palestinese insostenibili, la difesa del governo di Israele, dove comandano quelli che assassinarono Rabin, disgustosa.

E il buio su Gaza noi non lo accettiamo, anche se continua il boicottaggio dei nostri social, perché se lo accettiamo il buio scenderà giorno dopo giorno su tutti noi, ci renderà insensibili, ci porterà nella condizione di chi dovette dire “mai più” e poi non accadde. Noi no, restiamo umani.
(fonte: Articolo 21, articolo di Barbara Scaramucci 18/11/2025)

martedì 18 novembre 2025

IX GIORNATA MONDIALE DEI POVERI GIUBILEO DEI POVERI - 16/11/2025 A tavola con il Papa dove la fame trova sollievo, amicizia, speranza (Cronaca, foto, testo e video)

I saluti prima e al termine del pranzo

Una festa di gratitudine
e di fraternità



Dopo aver celebrato la messa in basilica Vaticana e aver guidato la recita dell’Angelus in piazza San Pietro, il Papa si è recato dapprima alla Grotta di Lourdes, per salutare alcuni poveri che hanno pranzato nei Giardini Vaticani, quindi ha raggiunto l’Aula Paolo VI per condividere il pasto con 1.300 bisognosi invitati dal Dicastero per il Servizio della Carità, in occasione del loro Giubileo. 

Pubblichiamo il testo del saluto pronunciato a braccio da Leone XIV prima dell’inizio del pranzo nell’Aula Nervi.

Buongiorno a tutti. Buongiorno!

Con grande gioia ci raduniamo in questo pomeriggio per il pranzo, nella Giornata [dei Poveri] che tanto ha voluto il nostro amato, mio predecessore, Papa Francesco. Un forte applauso per Papa Francesco.

Questo pranzo che adesso riceviamo è offerto, dalla Provvidenza e dalla grande generosità della Comunità di San Vincenzo, i Vincenziani che vogliamo ringraziare. E poi è un anniversario: sono 400 anni dalla nascita del loro fondatore. Loro ci accompagneranno servendo al tavolo. Tanti auguri a tutti voi, i sacerdoti, le religiose, i laici volontari che lavorano in tutto il mondo aiutando tante persone povere e persone che vivono diverse necessità. Siamo davvero, davvero pieni di questo spirito di ringraziamento, di gratitudine in questa giornata.

Adesso, allora, chiediamo che il Signore benedica i doni che riceveremo, che benedica la vita di ognuno di noi qui presente, i nostri cari, i familiari, le persone che tanto hanno fatto per accompagnarci. Diamo anche la benedizione del Signore a tante persone che soffrono a causa della violenza e della guerra, della fame; e che noi oggi possiamo celebrare questa festa in spirito di fraternità.

Nel nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo. Amen
Benedici Signore noi e questi doni che riceviamo dalla tua provvidenza. Benedici la nostra vita, la nostra fraternità. Aiuta, tutti noi, a camminare sempre uniti nel tuo amore. Te lo chiediamo nel nome di Gesù Cristo, nostro Signore. Amen

Tanti auguri e buon appetito!

E queste sono le parole con cui Leone XIV si è congedato dall’Aula Paolo VI al termine del pranzo con i poveri.

Adesso vogliamo ringraziare per la musica tutta l’orchestra,
i cantanti, tutti. Grazie!

Prima di andare via potete portare via un po’ di frutta: in tutte le tavole c’è la frutta da Napoli: è buonissima! Portate via anche la frutta.

E poi, alla porta, prima di uscire, c’è un regalo che aspetta ognuno di voi.

Adesso ringraziamo il Signore per i tanti doni che abbiamo ricevuto, anche per la gioia di trovarci qui in famiglia, una bellissima famiglia, in questo giorno di domenica.

Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
Signore ti ringraziamo per tutti i doni ricevuti dalla tua provvidenza, Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen.

Ringraziamo di nuovo i tanti benefattori, la Comunità di San Vincenzo, i Vincenziani che sono qui, il Padre generale, e anche il Cardinale Konrad Krajewski che ci accompagna sempre. Grazie, grazie Eminenza!

Tanti auguri a tutti!

Finiamo con la benedizione.

Il Signore sia con voi.
Dio Padre Onnipotente benedica tutti voi, vi accompagni sempre. E la sua benedizione,
nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo scenda su di voi e con voi rimanga sempre. Amen.

Tanti auguri. Buona domenica!
(fonte: L'Osservatore Romano 17/11/2025)

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A tavola con il Papa dove la fame trova 
sollievo, amicizia, speranza

In Aula Paolo VI, la Giornata mondiale dei Poveri si celebra in un clima di grande familiarità, gioia e unità. Sono 1300 gli ospiti di ogni provenienza che hanno potuto gustare il pranzo offerto dalla famiglia dei Vincenziani, alleggerendo il carico di preoccupazioni che si accompagna a vicende dolorose fatte per lo più di di abbandoni, malattie, disoccupazione. Tra i commensali, storie di fatica e tentativi di risalita


Una giovane suora allatta con un biberon un neonato di origini africane. Lei, Missionaria della Carità, povera tra i più poveri del mondo, indugia sul suo piatto di lasagne con verdure perché prioritario è nutrire il piccolo. In Aula Paolo VI è una festa sulle note della tradizione melodica napoletana eseguita dal vivo dalla piccola orchestra di Forcella ad allietare il convivio nella IX Giornata mondiale dei Poveri. Il Papa, arrivato dopo la recita dell'Angelus in San Pietro, prende posto nella tavolata allestita al centro in prossimità del palco e condivide qualche parola di benvenuto:

Con grande gioia ci raduniamo in questo pomeriggio per questo pranzo, in questa Giornata che tanto ha voluto il nostro tanto amato, il mio predecessore, Papa Francesco. Un forte applauso per il Papa Francesco.

La fraternità è la vita

Arriva dopo una sosta davanti alla Grotta di Lourdes dove ha salutato un gruppo di poveri che pranzano nei Giardini Vaticani. Il suo è un rendere grazie a Dio per i tanti doni ricevuti, la vita, la fede, la fraternità. Insiste sull'importanza della fraternità, che è la vita, esclama. E poi il grazie agli organizzatori e a tutti i benefattori. Che il vero amore, è la preghiera del Successore di Pietro, si riversi nei cuori di ciascuno affinché si sia consapevoli della sorgente dei doni, che è il Signore.

Nutrire i corpi, sfamare l'anima

Il pensiero del Pontefice, nell'atto di benedire la mensa in Aula, è anche per le "tante persone che soffrono a causa della violenza e della guerra, della fame". Anche qui Leone invoca lo spirito di fraternità che sembra proprio vivificarli questi corpi infiacchiti, disorientati, timidi, border line. Ce ne sono altri euforici, molto euforici, altri ancora diffidenti. Girare tra i tavoli rotondi imbanditi dai Vincenziani - che offrono il pranzo ai 1300 ospiti di questa domenica e che nell'atrio hanno preparato per ciascuno di loro un kit per la cura personale contenente anche un piccolo panettone augurale - ha una densità forte. Dal quartiere romano di Primavalle alla Nigeria, dall'Ucraina alla periferia laziale, da Cuba a Barcellona.

La suora di Madre Teresa di Calcutta dice che le foto sì, quelle si possono fare. Accenna alla loro casa alla periferia della capitale dove transitano per brevi periodi mamme con i propri bambini: situazioni di varia difficoltà trovano nella assistenza di queste consorelle, discrete e infaticabili, una possibilità di tregua. Una donna allatta al seno il suo piccolo, con garbo, cura, tenerezza solcata da una malcelata stanchezza. È la maternità biologica che si incrocia con quella spirituale, è la femminilità che si esprime nelle forme più delicate, cariche di sogno, di offerta.

Perdere il lavoro, esporsi alla rassegnazione

L'occasione speciale per la grande famiglia religiosa dei Vincenziani è quella della celbrazione dei 400 anni dalla nascita del fondatore. Sfilano decine e decine di persone che servono ordinatamente le pietanze: al primo segue una cotoletta e il babà come dessert. C'è della frutta "buonissima" che il Papa, alla fine del pranzo, invita tutti i commensali a prendere e portare a casa. Viene da Napoli. Dalla Campania e dalla Basilicata partecipano ospiti che ci tengono a difendere un sano amor proprio: "Io ho perso il lavoro perché mi hanno riscontrato una invalidità. Lavoravo da poco come addetta in una mensa, non ero abbastanza tutelata e hanno pensato senza troppi scrupoli di mandarmi via. Ho sessant'anni, mi arrangio, non è facile ma ci tengo al decoro, bisogna sempre sorridere". Storie di disoccupazione sono riscontrabili un po' ovunque: l'impiego può venir meno nelle fabbriche del Sud andate in crisi o alla morte di un genitore a cui si faceva da badante percependone il reddito. Se si perde la fonte con cui comprare il pane si è più esposti a non trovare un'altra àncora.

Il Papa tra i suoi commensali (@Vatican Media)

Il senso della vita è aiutare gli altri

Molti, tuttavia la trovano un'altra possibilità. Trovano centri di ascolto, luoghi da cui ripartire per rimettersi nei circuiti giusti. Non è facile ma ci si prova. La provvidenza fa il resto. Accade ad Assisi, per esempio, da dove arriva un gruppo della 'Casa di Papa Francesco' gestita dai Frati minori a Santa Maria degli Angeli. Un'accompagnatrice parla di storie di dipendenze, malattie, abbandoni. Talvolta è un mix che travolge una persona e la butta sulla strada. E allora non vengono neppure le parole per raccontarsi, si fermano in gola. "Il senso della vita è aiutare gli altri - dice l'assistente -, i poveri sono Vangelo incarnato". E riecheggia quanto ha detto il Papa alla Messa, che i poveri non sono solo una categoria sociologica. Dalla Somalia, con ironia e un forte accento romanesco, una donna ricorda il suo servizio svolto per anni al Dono di Maria, a due passi dal Vaticano. Arrivata appena dodicenne a Roma, nel '77, il contatto con le suore l'ha avvicinata alla fede cattolica e l'ha portata a ricevere il Battesimo nel 2010 da Benedetto XVI durante la Veglia di Pasqua in san Pietro. Ora è alle prese con un brutto male ma non perde la capacità di scherzare e di rimboccarsi le maniche.

Un popolo di scartati rianimato dallo stare insieme

Da Leopoli c'è una ex badante, i cugini sono al fronte in Ucraina. La nostalgia è immensa, corruga il viso. "Andiamo avanti, che bisogna fare? Non so se la guerra avanzerà ancora, se potrò mai tornare nel mio Paese". Una storia "complicata" e misteriosa è quella dell'artista Francesco Cardillo, in arte Vardel. Di Gaeta, siede accanto a un gruppo della parrocchia romana di San Gregorio VII e mostra un album dove il tratto inconfondibile dei suoi disegni a penna nera si deposita aggrovigliato, come le vicissitudini 'ai margini' che lo hanno attraversato: "Ho casa occupata, mi hanno truffato... Oggi vorrei fare un disegno al Papa, con Francesco sono venuto già, adesso il Papa è nuovo...".

Una famiglia a tavola con Leone XIV (@Vatican Media)

Scout, operatori Caritas, religiose e laici: un popolo di prossimità a chi è vulnerabile solca un'Aula dove si celebra l'unità al di là di ogni appartenenza. Tra i commensali al tavolo del Papa c'è una donna con un libro a fumetti che ripercorre la storia di Pinocchio e che regalerà a Leone; c'è un giovane dalla Costa D'Avorio, di poche parole, non è cattolico: "Che importa, qui è bello perché ci si sente a casa, vengo dalla Calabria...". Poco distanti alcune donne da Chiclayo, in Perù. Sono qui da oltre vent'anni, il Papa lo hanno conosciuto a Roma: "Sono vedova, ho con me mia madre e mia figlia che sta facendo delle terapie mediche. Abbiamo chiesto la casa popolare da tanti anni, adesso siamo saliti nella lista degli assegnatari, speriamo bene. La fede ci aiuta, sono viva per Gesù. Meno male che in giro ci sono delle brave persone, di buona volontà". A fine pasto, il suggello della benedizione papale a cui si accompagna il rinnovato grazie di Leone a tutti, al padre generale dei Vincenziani, in modo particolare, e al cardinale Konrad Krajewski, elemosiniere pontificio.
(fonte: Vatican News, articolo di Antonella Palermo 16/11/2025)

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Quando la politica nomina il nome di Dio invano

Quando la politica nomina il nome di Dio invano


C’è aria di campagna elettorale. Almeno questa è la mia impressione ascoltando alcuni politici. In primis la presidente Meloni, che dichiara: «Con la destra al governo non ci sarà nessuna patrimoniale». Giorgia Meloni lo scrive nero su bianco in un post su X. Poche righe con cui la premier manda un messaggio chiaro a una parte dell’opposizione (ANSA, 9.11.2025). La patrimoniale è un vecchio cavallo di battaglia elettorale. È un argomento serio, molto serio, ma come tutto ciò che spesso entra nel dibattito elettorale diventa squalificato e fuorviante.

Per un approfondimento rimando a quanto scrive Maurizio Logozzo. L’autore conclude citando Luigi Einaudi: «Giustizia in materia di imposta vuol dire uguaglianza di trattamento per le persone che si trovino in condizioni uguali. Ma giustizia non si fa ricorrendo soltanto all’imposta sul patrimonio ovvero a quella sul reddito, ma si fa in ambo le ipotesi guardando all’insieme delle situazioni complessive dei contribuenti».

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Se quello della patrimoniale è un discorso complesso, l’altro campanellino elettorale è molto più esplicito e diretto (e volgare). E non poteva non essere ripetuto che dal ministro Salvini: «L’Europa sta permettendo a troppi immigrati, soprattutto islamici, di entrare nel nostro Paese e di distruggere il nostro tessuto sociale, valoriale, economico. Il problema non è il dio, è pretendere che chi arriva nelle nostre città rispetti la nostra cultura, i nostri simboli, la nostra religione e costituzione. Quelli che non sono disposti a farlo, cristianamente e genuinamente fuori dalle palle, tornino da dove sono arrivati».

Eccoci nuovamente con: poche parole, moltissima confusione, principi costituzionali saltati in aria, rispetto e solidarietà fatti a pezzi, laicità dello Stato vilipesa, religioni offese, blasfemia latente, volgarità ostentata. Tipico approccio per le campagne elettorali di Salvini, Vannacci e colleghi.

Per molti aspetti non si dovrebbero nemmeno citare e commentare dichiarazioni di tal tipo. Vero se tutto rimanesse in ambiti circoscritti. Il problema, prima di tutto, è che a dire queste cose pubblicamente è un ministro della Repubblica, che ha giurato sulla Costituzione e sta rappresentando il Paese in modi inaccettabili. Inoltre: aggrava la situazione il fatto che diversi italiani – molti o pochi? La maggioranza relativa o meno? Lascio a voi le risposte – approvano questo modo di pensare e operare.

E sono questi i motivi maggiori per cui non possiamo non parlarne. Inoltre, non è solo un problema italiano, visto che si presenta anche altrove: Trump è uno dei maggiori esempi. Dove le democrazie sono in crisi e i controlli etici e giuridici molto deboli, conquistare il potere vuol dire conquistare una sorta di dominio sui mezzi di comunicazione e presumere di avere la libertà di dire quello che si pensa senza rispetto degli altri, della Costituzione, delle leggi e di Dio, per chi ci crede. (A proposito: ma Salvini è un cristiano?).

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Così non sono solo i droni e le bombe – a Gaza, in Ucraina e in una cinquantina di Paesi nel mondo – a uccidere, ma anche la lingua, i mezzi di comunicazione, i social diremmo oggi. Lo ricorda la Scrittura: «Molti sono caduti a fil di spada, ma non quanti sono periti per colpa della lingua» (Sir 28, 18).

Un’ultima nota. Mi è sembrato – ma posso sbagliarmi – che negli ultimi tempi uno dei settori più attraversati da spade e lingue malevoli sia stato quello religioso, con tante strumentalizzazioni. Non sono pochi, nel mondo, quelli che si industriano nell’usare in mala fede la religione, sfiorando la blasfemia. In questo clima è duro ricordare che il buon Dio non è il maggiordomo di nessuno: siamo noi che dobbiamo servire Lui e non Lui che deve servire noi o, peggio, servirci di Lui per interessi spesso loschi e meschini. Chi usa la religione per giustificare guerre e violenze, rafforzare il consenso politico, dimostra di non credere in Dio e ciò vale per tutte le religioni, specie monoteiste.

Sono quelle situazioni che, come scriveva John Henry Newman (1801-1890), portano «ogni spirito prudente e veramente ispirato dalla fede a non essere già tranquillo, come sovente siamo stati, ma inquieto, temendo che sia qualche specie d’idolo che si adora al posto del vero Dio, e che sia qualche deformazione della religione ad avere un tale successo».
(fonte: Settimana News, articolo di Rocco D’Ambrosio 14/11/2025)


lunedì 17 novembre 2025

IX GIORNATA MONDIALE DEI POVERI GIUBILEO DEI POVERI - 16/11/2025 LEONE XIV Angelus Il grido del Papa al mondo ferito: «Non possiamo abituarci alla guerra» (Commento, testo e video)

IX GIORNATA MONDIALE DEI POVERI
GIUBILEO DEI POVERI
PAPA LEONE XIV

Piazza San Pietro
XXXIII Domenica del Tempo Ordinario, 16 novembre 2025


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“Non possiamo abituarci alla guerra”:
il grido del Papa al mondo ferito 


Affacciato dalla finestra della terza loggia del Palazzo Apostolico su una piazza San Pietro gremita di fedeli, Papa Leone XIV ha attraversato con parole vibranti il dolore del mondo, richiamando ogni coscienza alla responsabilità, alla compassione e alla memoria. Un discorso che non lascia spazio all’indifferenza, perché nasce dal Vangelo e guarda dritto alla realtà.

A queste parole ha voluto affiancare una riflessione legata al Vangelo del giorno. «Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni – ha detto – non vi terrorizzate», ha ricordato citando il passo lucano e inserendolo nel cammino liturgico ormai al termine. Un’eco che risuona nel presente, perché «riceviamo quotidianamente notizie di conflitti, calamità e persecuzioni che tormentano milioni di uomini e donne». Eppure, proprio in questa notte della storia, il Papa ha sottolineato che «l’aggressione del male non può distruggere la speranza di chi confida in Lui. Più l’ora è buia come la notte, più la fede brilla come il sole».

E quello che resta è un invito urgente e luminoso: non chiudere gli occhi, non normalizzare il male, non abituarsi alla guerra. Perché nel cuore della notte, come ha detto il Papa, «più è buia l’ora, più la fede brilla come il sole».

Il Pontefice non nasconde del resto che lo scandalo del male attraversa anche la vita dei credenti: «A causa del suo nome» molti subiranno violenze, tradimenti, menzogne e manipolazioni. Ma è proprio in quel momento che «avranno l’occasione di dare testimonianza». Testimonianza alla verità che salva, alla giustizia che libera i popoli, alla speranza che indica la via della pace.

La promessa evangelica – «Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita» – diventa così un incoraggiamento concreto, una forza che sostiene l’impegno quotidiano dei cristiani. «Egli stesso ci dà parola e sapienza», ricorda il Papa, per resistere ai colpi della storia e continuare a operare il bene con cuore ardente.

Il Papa ha voluto anche evocare la grande tradizione dei martiri, «che lungo tutta la storia della Chiesa ricordano che la grazia di Dio è capace di trasfigurare perfino la violenza in segno di redenzione». È un invito a non cedere alla paura, a restare saldi, a guardare a Maria come madre e compagna nel cammino: «In ogni prova e difficoltà, la Vergine Santa ci consoli e ci sostenga».


Il Pontefice ha aperto con un’affermazione che pesa come una denuncia: «Anche oggi, in diverse parti del mondo, i cristiani subiscono discriminazioni e persecuzioni». Non è una constatazione astratta. È un elenco di sofferenze vive: «Penso, in particolare, a Bangladesh, Nigeria, Mozambico, Sudan e altri Paesi, dai quali giungono spesso notizie di attacchi a comunità e luoghi di culto». La sua voce si fa paterna e universale quando aggiunge: «Dio è Padre misericordioso e vuole la pace tra tutti i suoi figli!».

Da qui, il Papa si è spostato verso una delle ferite più drammatiche di questi giorni: il massacro nel Kivu, nella Repubblica Democratica del Congo. «Accompagno nella preghiera le famiglie in Kivu… dove in questi giorni c’è stato un massacro di civili, almeno venti vittime di un attacco terroristico». Di fronte alla violenza che sembra inesauribile, l’invocazione diventa appello: «Preghiamo che cessi ogni violenza e i credenti collaborino per il bene comune».

Ma il passaggio più intenso riguarda il conflitto in Ucraina. «Seguo con dolore le notizie degli attacchi che continuano a colpire numerose città ucraine, compresa Kyiv». Le sue parole cadono come colpi sull’indifferenza: «Essi causano vittime e feriti, tra cui anche bambini, e ingenti danni alle infrastrutture civili, lasciando le famiglie senza casa mentre il freddo avanza». Poi, l’esortazione che scuote: «Non possiamo abituarci alla guerra e alla distruzione!». E l’invito alla preghiera, che è anche un desiderio politico e umano: «Preghiamo insieme per una pace giusta e stabile nella martoriata Ucraina».

Il suo sguardo si amplia ancora verso il Sud del mondo: «Desidero assicurare la mia preghiera anche per le vittime del grave incidente stradale avvenuto mercoledì scorso nel sud del Perù». È la compassione per chi soffre nell’ombra, colpito non da guerra ma da tragedie quotidiane. «Il Signore accolga i defunti, sostenga i feriti e conforti le famiglie in lutto».

E, salutando i fedeli di lingua polacca presenti in Piazza San Pietro, il Papa cita l’anniversario del messaggio di riconciliazione che i vescovi polacchi inviarono ai vescovi tedeschi il 18 novembre 1965, poco prima della conclusione del Concilio Vaticano II. Il testo conteneva un forte appello alla riconciliazione tra i due Paesi dopo le devastazioni della Seconda guerra mondiale e conteneva la celebre frase: “Perdoniamo e chiediamo perdono”.

C’è spazio anche per la riconoscenza: «Ieri, a Bari, è stato beatificato Carmelo De Palma… La sua testimonianza sproni i sacerdoti a donarsi senza riserve al servizio del popolo santo di Dio». In queste parole c’è la continuità di una Chiesa che guarda al bene possibile, anche quando il mondo sembra schiacciato dal male.

La domenica era anche la Giornata Mondiale dei Poveri, e il Papa lo ricorda con gratitudine: «Ringrazio quanti, nelle diocesi e nelle parrocchie, hanno promosso iniziative di solidarietà con i più disagiati». E con un gesto simbolico potente, annuncia: «Idealmente, in questa Giornata, riconsegno l’Esortazione apostolica Dilexi te, “Ti ho amato”, sull’amore verso i poveri, documento che Papa Francesco stava preparando… e che con grande gioia ho portato a termine».

Il Pontefice non evita temi scomodi, come quello della sicurezza stradale: «In questo giorno ricordiamo anche tutti coloro che sono morti in incidenti stradali, causati troppo spesso da comportamenti irresponsabili. Ognuno faccia su questo un esame di coscienza». E non manca la ferita aperta degli abusi: «Mi unisco poi alla Chiesa in Italia che oggi ripropone la Giornata di preghiera per le vittime e i sopravvissuti agli abusi, perché cresca la cultura del rispetto…».

Infine, la carezza ai pellegrini, che dal mondo intero sono radunati attorno al Papa: «Saluto con affetto tutti voi…», dice, prima di citare comunità provenienti da Montenegro, Spagna, Grecia, Porto Rico, Bulgaria, Stati Uniti, Germania, Polonia e molte città italiane.

Il messaggio termina nel tono semplice e fraterno che lo contraddistingue: «Grazie a tutti e buona domenica!». Ma quello che resta è molto più di un saluto. È la convinzione che non siamo condannati all’odio, alla distrazione o all’egoismo. Che la pace non è un’utopia, ma una responsabilità. Che il mondo, per guarire, ha bisogno di occhi aperti e cuori svegli.
(fonte: Faro di Roma, articolo di Sante Cavalleri 16/11/2025)

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ANGELUS


Cari fratelli e sorelle, buona domenica!

Mentre l’anno liturgico volge al termine, il Vangelo di oggi (Lc 21,5-19) ci fa riflettere sul travaglio della storia e sulla fine delle cose. Poiché conosce il nostro cuore, Gesù, guardando a questi eventi invita anzitutto a non lasciarsi vincere dalla paura: «Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni – dice – non vi terrorizzate» (v. 9).

Il suo appello è molto attuale: purtroppo, infatti, riceviamo quotidianamente notizie di conflitti, calamità e persecuzioni che tormentano milioni di uomini e donne. Sia davanti a queste afflizioni, sia davanti all’indifferenza che le vuole ignorare, le parole di Gesù annunciano però che l’aggressione del male non può distruggere la speranza di chi confida in Lui. Più l’ora è buia come la notte, più la fede brilla come il sole.

Per due volte, infatti, Cristo afferma che “a causa del suo nome” molti subiranno violenze e tradimenti (cfr v. 12.17), ma proprio allora avranno l’occasione di dare testimonianza (cfr v. 13). Sull’esempio del Maestro, che sulla croce rivelò l’immensità del suo amore, tale incoraggiamento ci riguarda tutti. La persecuzione dei cristiani, infatti, non accade solo con le armi e i maltrattamenti, ma anche con le parole, cioè attraverso la menzogna e la manipolazione ideologica. Soprattutto quando siamo oppressi da questi mali, fisici e morali, siamo chiamati a dare testimonianza alla verità che salva il mondo, alla giustizia che riscatta i popoli dall’oppressione, alla speranza che indica per tutti la via della pace.

Nel loro stile profetico, le parole di Gesù attestano che i disastri e i dolori della storia hanno un termine, mentre è destinata a durare per sempre la gioia di coloro che riconoscono in Lui il Salvatore. «Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita» (v. 19): questa promessa del Signore infonde in noi la forza di resistere agli eventi minacciosi della storia e ad ogni offesa; non restiamo impotenti davanti al dolore, perché Egli stesso ci dà «parola e sapienza» (v.15), per operare sempre il bene con cuore ardente.

Carissimi, lungo tutta la storia della Chiesa, sono soprattutto i martiri a ricordarci che la grazia di Dio è capace di trasfigurare perfino la violenza in segno di redenzione. Perciò, unendoci ai nostri fratelli e sorelle che soffrono per il nome di Gesù, cerchiamo con fiducia l’intercessione di Maria, aiuto dei cristiani. In ogni prova e difficoltà, la Vergine Santa ci consoli e ci sostenga.

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Dopo l'Angelus

Cari fratelli e sorelle!

Come dicevo poco fa commentando il Vangelo, anche oggi, in diverse parti del mondo, i cristiani subiscono discriminazioni e persecuzioni. Penso, in particolare, a Bangladesh, Nigeria, Mozambico, Sudan e altri Paesi, dai quali giungono spesso notizie di attacchi a comunità e luoghi di culto. Dio è Padre misericordioso e vuole la pace tra tutti i suoi figli! Accompagno nella preghiera le famiglie in Kivu, nella Repubblica Democratica del Congo, dove in questi giorni c’è stato un massacro di civili, almeno venti vittime di un attacco terroristico. Preghiamo che cessi ogni violenza e i credenti collaborino per il bene comune.

Seguo con dolore le notizie degli attacchi che continuano a colpire numerose città ucraine, compresa Kyiv. Essi causano vittime e feriti, tra cui anche bambini, e ingenti danni alle infrastrutture civili, lasciando le famiglie senza casa mentre il freddo avanza. Assicuro la mia vicinanza alla popolazione così duramente provata. Non possiamo abituarci alla guerra e alla distruzione! Preghiamo insieme per una pace giusta e stabile nella martoriata Ucraina.

Desidero assicurare la mia preghiera anche per le vittime del grave incidente stradale avvenuto mercoledì scorso nel sud del Perù. Il Signore accolga i defunti, sostenga i feriti e conforti le famiglie in lutto.

Ieri, a Bari, è stato beatificato Carmelo De Palma, sacerdote diocesano, morto nel 1961 dopo una vita spesa con generosità nel ministero della Confessione e dell’accompagnamento spirituale. La sua testimonianza sproni i sacerdoti a donarsi senza riserve al servizio del popolo santo di Dio.

Oggi celebriamo la Giornata Mondiale dei Poveri. Ringrazio quanti, nelle diocesi e nelle parrocchie, hanno promosso iniziative di solidarietà con i più disagiati. E idealmente, in questa Giornata, riconsegno l’Esortazione apostolica Dilexi te, “Ti ho amato”, sull’amore verso i poveri, documento che Papa Francesco stava preparando negli ultimi mesi di vita e che con grande gioia ho portato a termine.

In questo giorno ricordiamo anche tutti coloro che sono morti in incidenti stradali, causati troppo spesso da comportamenti irresponsabili. Ognuno faccia su questo un esame di coscienza.

Mi unisco poi alla Chiesa in Italia che oggi ripropone la Giornata di preghiera per le vittime e i sopravvissuti agli abusi, perché cresca la cultura del rispetto come garanzia di tutela della dignità di ogni persona, specialmente dei minori e dei più vulnerabili.

E ora saluto con affetto tutti voi, romani e pellegrini dall’Italia e da tante parti del mondo, in particolare i fedeli di Bar in Montenegro, Valencia in Spagna, Syros in Grecia, Portorico, Sofia in Bulgaria, Bismarck negli Stati Uniti d’America, gli studenti della Catholic Theological Union di Chicago e il Coro “Eintracht Nentershausen” dalla Germania.

Saluto i pellegrini polacchi, ricordando l’anniversario del Messaggio di riconciliazione indirizzato dai Vescovi polacchi ai Vescovi tedeschi dopo la seconda guerra mondiale. Saluto infine la Famiglia Vincenziana e i gruppi di Lurago d’Erba, Coiano, Cusago, Paderno Dugnano e Borno.

Grazie a tutti e buona domenica!

Guarda il video


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Vedi anche il post precedente:

Il gesuita del deserto e il monastero dell’utopia. Breve storia di padre Paolo Dall’Oglio e della comunità di Mar Musa

Il gesuita del deserto e il monastero dell’utopia.
Breve storia di padre Paolo Dall’Oglio e della comunità di Mar Musa


C’è un luogo in Siria dove le pietre parlano una lingua che il fanatismo non può cancellare. Per raggiungerlo bisogna salire 345 gradini scavati nella roccia, nel deserto del Qalamun, a ottanta chilometri da Damasco. Lassù, a milletrecento metri di altitudine, aggrappato alla montagna come un nido d’aquila, sorge il monastero di Mar Musa al-Habashi, San Mosè l’Abissino. Un nome che è già un programma: l’etiope che fuggì dal trono per cercare Dio nel silenzio del deserto siriano, nel VI secolo, quando l’islam non era ancora nato e il cristianesimo parlava aramaico.

Le rovine che Paolo Dall’Oglio trovò nell’agosto del 1982 raccontavano una storia millenaria. Era un giovane gesuita romano, figlio della generazione che credeva impossibile essere cristiani senza battersi per la giustizia. Aveva ventotto anni, studiava arabo a Damasco, quando salì a quelle rovine per un ritiro spirituale di dieci giorni. Non immaginava che quel luogo sarebbe diventato la sua vita, il suo destino, e forse la sua tomba.

L’utopia nel deserto

Dall’Oglio non era un missionario convenzionale, e Mar Musa non sarebbe diventato un monastero qualunque. Ordinato sacerdote del rito siriaco cattolico nel 1984, cominciò a ricostruire quelle mura abbandonate dall’ultimo monaco nel 1830. Non da solo: con lui arrivarono architetti, restauratori dell’Istituto Centrale per il Restauro italiano, volontari, e soprattutto amici musulmani. Perché questa era l’idea folle che animava il gesuita romano: che cristiani e musulmani potessero non solo convivere, ma amarsi come fratelli nella fede nell’unico Dio.

Nel 1991 fondò la Comunità al-Khalil – “l’amico di Dio”, l’epiteto di Abramo nel Corano. Una comunità monastica mista, uomini e donne, cattolici e ortodossi, che scelse tre priorità radicali: preghiera, lavoro manuale e ospitalità. Quest’ultima, nel mondo arabo, è virtù sacra, e a Mar Musa divenne il cuore pulsante di tutto. Migliaia di persone salirono quei gradini negli anni: cristiani, musulmani, ebrei, atei. Giovani siriani in cerca di senso, intellettuali europei, beduini della zona. Nel 2010, trentamila visitatori attraversarono quella porta bassa che costringe chiunque a piegarsi per entrare – gesto simbolico e necessario.

La chiesa del monastero custodisce affreschi dell’XI secolo che raccontano anch’essi di quel dialogo antico. Il Giudizio universale dipinto dal pittore Sarkis tra il 1192 e il 1208 porta iscrizioni in arabo cristiano che utilizzano espressioni coraniche: “Nel nome di Dio clemente e misericordioso”. Una commistione inevitabile, spiegava Dall’Oglio, visto che le Chiese d’Oriente adottarono l’arabo come lingua liturgica, la stessa del Corano, quella che a Pentecoste fu l’ultima citata tra le lingue in cui si udì l’annuncio degli apostoli.

Il dialogo come vocazione

La regola della comunità, approvata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede dopo quattro anni di esami scrupolosi (2002-2006), parlava chiaro. Alla base c’è quello che padre Paolo chiamava il voto di “badaliya”: amare i musulmani e offrire la vita per la loro salvezza. Non era retorica. Era convinzione radicale che l’amore di Cristo abbracciasse anche l’islam, che si dovesse “scoprire come Cristo ama i musulmani, in che modo Cristo stesso li guarda”.

Un’idea estrema, certamente. Lo ammetteva lui stesso con autoironia. Ma Roma, dopo attenti controlli, approvò. Nel 2009 l’Università Cattolica di Lovanio gli conferì la laurea honoris causa. Il Premio per la Pace della Regione Lombardia arrivò nel 2012. E nel 2006 il monastero ricevette il Premio euromediterraneo per il dialogo tra le culture. Riconoscimenti che testimoniavano come quell’utopia nel deserto avesse prodotto frutti concreti.

La comunità crebbe. Si aggiunsero monasteri affiliati: Mar Elian a Qaryatayn (poi distrutto dall’Isis nel 2015), Deir Maryam al-Adhra nel Kurdistan iracheno, il monastero del Santissimo Salvatore a Cori, nel Lazio. Oggi la comunità conta otto membri, un novizio e due postulanti. Piccola, fragile, ma viva.

La primavera che divenne inverno

Poi venne il 2011, e con esso la cosiddetta primavera araba. In Siria si trasformò rapidamente in tragedia. Dall’Oglio non poteva tacere. Scrisse un testo proponendo una transizione democratica pacifica, un’architettura istituzionale basata sul consenso delle diverse componenti religiose e sociali del paese. Il regime di Bashar al-Assad rispose con la minaccia di espulsione. Nell’estate 2012, dopo una lettera aperta all’inviato speciale dell’ONU Kofi Annan, Dall’Oglio fu costretto a lasciare la Siria.

Ma non poteva stare lontano. Nel luglio 2013 riuscì a rientrare nel nord del paese, controllato dai ribelli. Si recò a Raqqa, la futura “capitale” del sedicente Stato Islamico, per tentare di mediare tra gruppi curdi e jihadisti arabi, e per trattare la liberazione di ostaggi. Era un folle? Un eroe? Forse semplicemente un uomo che credeva davvero in quello che predicava.

Il 29 luglio 2013, a cinquantanove anni, Paolo Dall’Oglio scomparve. Rapito, presumibilmente, da miliziani legati ad al-Qaeda. Da allora, silenzio. Voci contrastanti sulla sua sorte: chi lo dava morto, chi vivo sotto custodia dell’Isis. Nel giugno 2025 circolò la notizia che i suoi resti fossero stati ritrovati in una fossa comune, ma senza conferme certe.

L’eredità vivente

Chi scrive di storia sa che la fanno gli uomini liberi, quelli che non hanno paura di pagare il prezzo delle proprie idee. Dall’Oglio era di questa razza. Nel libro-testamento pubblicato nel 2023, “Il mio testamento”, che raccoglie conferenze tenute prima dell’espulsione, Papa Francesco nota con emozione come padre Paolo parlasse del “giorno della sua offerta finale per Gesù”, aggiungendo che “la nostra vocazione nel contesto musulmano dovrebbe essere adornata da una risata di gioia”.

Una risata di gioia. In mezzo alla tragedia siriana, all’odio settario, alla barbarie dell’Isis. Ci vuole una fede incrollabile, o una follia sacra, per pensare una cosa simile. Eppure la comunità di Mar Musa è ancora lì. Padre Jihad Youssef, che guida oggi il monastero con sei confratelli, racconta che dopo la caduta del regime Assad l’immagine di padre Paolo è diventata icona della Siria libera, presente nelle piazze e nei cuori. Jacques Mourad, il primo monaco arrivato a Mar Musa nel 1989, rapito anch’egli dall’Isis e fortunatamente liberato, è stato nominato vescovo di Homs.

Dal giugno 2022 il monastero ha riaperto le porte ai visitatori, dopo dieci anni di isolamento dovuti alla guerra e poi alla pandemia. I gradini sono sempre lì, ripidi e faticosi. La porta è ancora bassa. Gli affreschi millenari resistono. E la regola della comunità continua a parlare di preghiera, lavoro e ospitalità. Di un cristianesimo incarnato nel mondo arabo-islamico. Di un dialogo che il sangue non è riuscito a cancellare.

Epilogo

C’è chi dirà che l’esperienza di Mar Musa è marginale, che in Medio Oriente il dialogo islamo-cristiano è utopia. Forse. Ma senza esperienze come questa, o come Taizé e Tibhirine, non sarebbero stati possibili il viaggio di Papa Francesco in Iraq o il Documento sulla Fratellanza Umana firmato ad Abu Dhabi nel 2019. Le pietre che parlano, talvolta, pesano più delle bombe.

Padre Paolo Dall’Oglio probabilmente non tornerà da Raqqa. Più di dodici anni sono molti, troppi. Ma il monastero che ha fatto rinascere dalle rovine è ancora vivo. E con esso vive quell’idea così semplice e così difficile che animava il gesuita romano: che nell’amicizia siamo sacramento gli uni per gli altri dell’amore di Dio. Cristiani, musulmani, tutti. Senza distinzioni, senza condizioni.

Nel deserto del Qalamun, dove Mosè l’Abissino cercò Dio sedici secoli fa, quella piccola comunità continua a salire 345 gradini ogni giorno. A pregare in arabo secondo il rito siriaco. Ad accogliere chi bussa alla porta. A credere che il dialogo sia possibile, necessario, benedetto. È la lezione di padre Paolo: testarda, estrema, evangelica. Un’utopia che non si arrende.
(fonte: IMGPRESS, articolo di Davide Romano 17/11/2025)

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Vedi anche il post precedente (all'interno altri link):


IX GIORNATA MONDIALE DEI POVERI GIUBILEO DEI POVERI - 16/11/2025 SANTA MESSA L’appello di Leone: «Ascoltare il grido dei più poveri» (Commento/sintesi, foto, testo e video)

IX GIORNATA MONDIALE DEI POVERI
GIUBILEO DEI POVERI
SANTA MESSA

Basilica di San Pietro
XXXIII Domenica del Tempo Ordinario, 16 novembre 2025

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L’appello di Leone: «Ascoltare il grido dei più poveri»

Nella basilica di San Pietro la Messa nella IX Giornata mondiale dei poveri. Dal Papa l’invito a formare la «cultura dell’attenzione» per spezzare l’isolamento.
Al termine il pranzo in Aula Paolo VI a 1.300 persone fragili

(foto: diocesi di Roma/Gennari)

Il grazie a chi quotidianamente si impegna per alleviare le sofferenze degli indigenti preceduto dal monito ai leader mondiali a farsi carico delle situazioni di ingiustizia e di disuguaglianza che affliggono il mondo. Su tutto la rassicurazione che, anche nei momenti più dolorosi della storia, il Signore non lascia solo nessuno, egli «ama di amore eterno». Nella IX Giornata mondiale dei poveri, celebrata domenica 16 novembre, Papa Leone XIV ha rilanciato dalla basilica di San Pietro l’importanza della missione caritativa della Chiesa analizzando le tante povertà, che non si possono ridurre a quelle materiali.

Nell’Eucaristia, presieduta dall’altare della Confessione, Prevost ha richiamato i cristiani a scongiurare «il pericolo di vivere come dei viaggiatori distratti, noncuranti della meta finale e disinteressati verso quanti condividono il cammino». L’invito, in occasione del Giubileo dei poveri, è quello a formare la «cultura dell’attenzione» per spezzare l’isolamento e a lasciarsi «ispirare dalla testimonianza dei santi che hanno servito Cristo nei più bisognosi e lo hanno seguito nella via della piccolezza e della spogliazione». In particolare, ha citato san Benedetto Giuseppe Labre, del quale sono state eccezionalmente portate in basilica le reliquie, conservate normalmente nella chiesa di Santa Maria ai Monti. Detto “il vagabondo di Dio”, perché non aveva fissa dimora, e aveva scelto il Colosseo come casa, «ha le caratteristiche per essere patrono di tutti i poveri senzatetto».

Prima della celebrazione il Papa ha salutato e benedetto 12mila fedeli che per motivi di spazio non sono riusciti ad accedere in basilica, dove erano presenti 6mila fedeli. «Voi – ha detto dal sagrato – fate parte della Chiesa e potete seguire la Santa Messa anche dagli schermi. Partecipate con molto amore, con molta fede e sappiate che siamo tutti uniti in Cristo».

La Giornata mondiale dei poveri, celebrata per la prima volta nel 2017, è stata istituita da Papa Francesco con la Lettera apostolica “Misericordia et misera”, al termine del Giubileo della Misericordia. Ricorre ogni anno nella XXXIII domenica del tempo ordinario, per far riflettere le comunità e i singoli credenti sulla povertà come parte centrale del Vangelo.

Nell’omelia, Leone ha ricordato le «tante situazioni morali e spirituali, che spesso riguardano soprattutto i più giovani» soffermandosi sulla solitudine, «il dramma che in modo trasversale le attraversa tutte. Essa – ha affermato – ci sfida a guardare alla povertà in modo integrale», prestando attenzione al prossimo in ogni luogo, anche in quello digitale, «fino ai margini», divenendo «testimoni della tenerezza di Dio. Oggi – ha proseguito -, soprattutto gli scenari di guerra, presenti purtroppo in diverse regioni nel mondo, sembrano confermarci in uno stato di impotenza. Ma la globalizzazione dell’impotenza nasce da una menzogna, dal credere che questa storia è sempre andata così e non potrà cambiare. Il Vangelo, invece, ci dice che proprio negli sconvolgimenti della storia il Signore viene a salvarci. E noi, comunità cristiana, dobbiamo essere oggi, in mezzo ai poveri, segno vivo di questa salvezza». Da qui l’esortazione ai capi di Stato «ad ascoltare il grido dei più poveri, tante volte soffocato dal mito del benessere e del progresso che non tiene conto di tutti, e anzi dimentica molte creature lasciandole al loro destino».

Presenti alla liturgia molti operatori delle tante realtà che si occupano dei più vulnerabili, ai quali il Papa ha espresso «incoraggiamento a essere sempre più coscienza critica nella società. Voi sapete bene che la questione dei poveri riconduce all’essenziale della nostra fede, che per noi essi sono la stessa carne di Cristo e non solo una categoria sociologica».

Al termine della celebrazione, l’Aula Paolo VI ha ospitato il pranzo dei poveri, quest’anno offerto dalla Congregazione della missione fondata da san Vincenzo de’ Paoli a circa 1300 fragili seguiti da varie realtà: Caritas, Comunità di Sant’Egidio, Acli, Centro Astalli, Missionarie della Carità. Nella grande sala spiccano il bianco delle tovaglie e il rosso delle sedie intorno a 103 tavoli. Ma soprattutto la gioia sui volti degli ospiti che, increduli, si guardano intorno incapaci di trattenere «l’emozione», come dice Helin, 33enne nigeriana sostenuta dalle Acli. Con lei il più piccolo ospite del pranzo, il figlio Leon, 2 mesi. «Mi sento tanto fortunata a essere qui – dice -. È la prima volta che vengo in Vaticano, non posso descrivere i sentimenti che ho ora nel cuore».

Il pranzo è stato animato da 100 giovani del Rione Sanità di Napoli, che hanno eseguito “‘O sole mio” all’ingresso del Papa, il quale ha chiesto «un forte applauso» per Papa Francesco, che ha voluto questa giornata, e per la famiglia vincenziana. Per gli ospiti quella odierna è stata una «bellissima giornata». Lo affermano Nabil, la moglie Runa e il figlio Jeorge, arrivati dalla Libia in Italia a giugno con i corridoi umanitari e accolti dalla Comunità di Sant’Egidio. «Abbiamo sempre visto il Papa in televisione – dice il capofamiglia -. Mai avrei immaginato di pranzare a un tavolo vicino a lui».

Prima della Messa il Papa ha salutato padre Tomaž Mavrič, superiore generale della congregazione, che quest’anno celebra il 400° anniversario di fondazione, e incontrato diverse famiglie beneficiarie del progetto globale “13 Case”. Il pranzo, lasagne, cotolette, babà e frutta, è stato servito da 70 missionari vincenziani. Al termine del pranzo, la Famiglia Vincenziana d’Italia ha consegnato a ciascun invitato lo “Zaino di San Vincenzo”, contenente alimenti e prodotti per l’igiene personale.
(fonte: RomaSette, articolo di Roberta Pumpo 16/11/2025)

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Saluto a braccio ai fedeli radunati in Piazza San Pietro prima della Messa


Buongiorno, buona domenica!

Buongiorno a tutti e benvenuti!

Quando leggiamo il Vangelo, una delle frasi che tutti conosciamo è «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5,3). Noi tutti vogliamo essere fra i poveri del Signore, perché la nostra vita è un dono di Dio e lo riceviamo con tanta gratitudine.

Io vi ringrazio per la vostra presenza. La Basilica diventa un po’ piccola… Voi fate parte della Chiesa e potete seguire la Santa Messa anche dagli schermi. Partecipate con molto amore, con molta fede e sappiate che siamo tutti uniti in Cristo.

Allora, celebriamo l’Eucaristia e dopo ci vediamo per l’Angelus, qui in Piazza.

Dio vi benedica tutti. Buona domenica!


OMELIA DEL SANTO PADRE LEONE XIV


Cari fratelli e sorelle,

le ultime domeniche dell’anno liturgico ci sollecitano a guardare la storia nei suoi esiti finali. Nella prima Lettura, il profeta Malachia intravede nell’arrivo del “giorno del Signore” l’ingresso nel tempo nuovo. Esso viene descritto come il tempo di Dio, in cui, come un’alba che fa sorgere un sole di giustizia, le speranze dei poveri e degli umili riceveranno dal Signore una risposta ultima e definitiva e verrà sradicata, bruciata come paglia, l’opera degli empi e della loro ingiustizia, soprattutto a danno degli indifesi e dei poveri.

Questo sole di giustizia che sorge, come sappiamo, è Gesù stesso. Il giorno del Signore, infatti, è non solo il giorno ultimo della storia, ma è il Regno che si fa vicino a ogni uomo nel Figlio di Dio che viene. Nel Vangelo, usando il linguaggio apocalittico tipico del suo tempo, Gesù annuncia e inaugura questo Regno: Lui stesso infatti è la signoria di Dio che si rende presente e si fa spazio negli accadimenti drammatici della storia. Essi, perciò, non devono spaventare il discepolo, ma renderlo ancora più perseverante nella testimonianza e consapevole che sempre viva e fedele è la promessa di Gesù: «Neppure un capello del capo perirà» (Lc 21,18).

Questa, fratelli e sorelle, è la speranza a cui siamo ancorati, pur dentro le vicende non sempre liete della vita. Anche oggi «la Chiesa prosegue il suo pellegrinaggio tra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio, annunciando la morte del Signore finché Egli venga» (Lumen gentium, 8). E, dove sembrano esaurirsi tutte le speranze umane, si fa ancora più salda l’unica certezza, più stabile del cielo e della terra, che il Signore non farà perire neanche uno dei capelli del nostro capo.

Nelle persecuzioni, nelle sofferenze, nelle fatiche e nelle oppressioni della vita e della società, Dio non ci lascia soli. Egli si manifesta come Colui che prende posizione per noi. Tutta la Scrittura è attraversata da questo filo rosso che narra un Dio che è sempre dalla parte del più piccolo, dalla parte dell’orfano, dello straniero e della vedova (cfr Dt 10,17-19). E in Gesù, suo Figlio, la vicinanza di Dio raggiunge il vertice dell’amore: per questo la presenza e la parola di Cristo diventa giubilo e giubileo per i più poveri, essendo Egli venuto per annunciare ai poveri il lieto annuncio e predicare l’anno di grazia del Signore (cfr Lc 4,18-19).

Di tale anno di grazia partecipiamo in modo speciale ancora noi, proprio oggi, mentre celebriamo, con questa Giornata mondiale, il Giubileo dei poveri. Tutta la Chiesa esulta e gioisce, e in primo luogo a voi, cari fratelli e sorelle, desidero trasmettere con forza le parole irrevocabili dello stesso Signore Gesù: «Dilexi te - Io ti ho amato» (Ap 3,9). Sì, a fronte della nostra piccolezza e povertà, Dio ci guarda come nessun altro e ci ama di amore eterno. E la sua Chiesa, ancora oggi, forse soprattutto in questo nostro tempo ancora ferito da vecchie e nuove povertà, vuole essere «madre dei poveri, luogo di accoglienza e di giustizia» (Esort. ap. Dilexi te, 39).

Quante povertà opprimono il nostro mondo! Sono anzitutto povertà materiali, ma vi sono anche tante situazioni morali e spirituali, che spesso riguardano soprattutto i più giovani. E il dramma che in modo trasversale le attraversa tutte è la solitudine. Essa ci sfida a guardare alla povertà in modo integrale, perché certamente occorre a volte rispondere ai bisogni urgenti, ma più in generale è una cultura dell’attenzione quella che dobbiamo sviluppare, proprio per rompere il muro della solitudine. Perciò vogliamo essere attenti all’altro, a ciascuno, lì dove siamo, lì dove viviamo, trasmettendo questo atteggiamento già in famiglia, per viverlo concretamente nei luoghi di lavoro e di studio, nelle diverse comunità, nel mondo digitale, dovunque, spingendoci fino ai margini e diventando testimoni della tenerezza di Dio.

Oggi, soprattutto gli scenari di guerra, presenti purtroppo in diverse regioni nel mondo, sembrano confermarci in uno stato di impotenza. Ma la globalizzazione dell’impotenza nasce da una menzogna, dal credere che questa storia è sempre andata così e non potrà cambiare. Il Vangelo, invece, ci dice che proprio negli sconvolgimenti della storia il Signore viene a salvarci. E noi, comunità cristiana, dobbiamo essere oggi, in mezzo ai poveri, segno vivo di questa salvezza.

La povertà interpella i cristiani, ma interpella anche tutti coloro che nella società hanno ruoli di responsabilità. Esorto perciò i Capi degli Stati e i Responsabili delle Nazioni ad ascoltare il grido dei più poveri. Non ci potrà essere pace senza giustizia e i poveri ce lo ricordano in tanti modi, con il loro migrare come pure con il loro grido tante volte soffocato dal mito del benessere e del progresso che non tiene conto di tutti, e anzi dimentica molte creature lasciandole al loro destino.

Agli operatori della carità, ai tanti volontari, a quanti si occupano di alleviare le condizioni dei più poveri esprimo la mia gratitudine, e nel contempo il mio incoraggiamento ad essere sempre più coscienza critica nella società. Voi sapete bene che la questione dei poveri riconduce all’essenziale della nostra fede, che per noi essi sono la stessa carne di Cristo e non solo una categoria sociologica (cfr Dilexi te, 110). È per questo che «la Chiesa come una madre cammina con coloro che camminano. Dove il mondo vede minacce, lei vede figli: dove si costruiscono muri, lei costruisce ponti» (ivi, 75).

Impegniamoci tutti. Come scrive l’Apostolo Paolo ai cristiani di Tessalonica (cfr 2Ts 3,6-13), nell’attesa del ritorno glorioso del Signore non dobbiamo vivere una vita ripiegata su noi stessi e in un intimismo religioso che si traduce nel disimpegno nei confronti degli altri e della storia. Al contrario, cercare il Regno Dio implica il desiderio di trasformare la convivenza umana in uno spazio di fraternità e di dignità per tutti, nessuno escluso. È sempre dietro l’angolo il pericolo di vivere come dei viaggiatori distratti, noncuranti della meta finale e disinteressati verso quanti condividono con noi il cammino.

In questo Giubileo dei poveri lasciamoci ispirare dalla testimonianza dei Santi e delle Sante che hanno servito Cristo nei più bisognosi e lo hanno seguito nella via della piccolezza e della spogliazione. In particolare, vorrei riproporre la figura di San Benedetto Giuseppe Labre, che con la sua vita di “vagabondo di Dio” ha le caratteristiche per essere patrono di tutti i poveri senzatetto. La Vergine Maria, che nel Magnificat continua a ricordarci le scelte di Dio e si fa voce di chi non ha voce, ci aiuti ad entrare nella nuova logica del Regno, perché nella nostra vita di cristiani sia sempre presente l’amore di Dio che accoglie, perdona, fascia le ferite, consola e risana.

Guarda il video integrale


domenica 16 novembre 2025

Preghiera dei Fedeli - Fraternità Carmelitana di Pozzo di Gotto (ME) - XXXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO C

Fraternità Carmelitana 
di Pozzo di Gotto (ME)

Preghiera dei Fedeli


XXXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO C 

16 Novembre 2025


Per chi presiede

Fratelli e sorelle, viviamo tempi di forti tensioni e di grande incertezza. La Parola che abbiamo ricevuto ci spinge a restare ben saldi nella nostra fiducia nel Dio dell’Alleanza, che nel Figlio, crocifisso e risorto, ci mostra il vero compimento della storia umana. Con fiducia ed in piena libertà innalziamo al Padre le nostre preghiere ed insieme diciamo:

R/   Noi confidiamo in Te, Dio nostro Padre

  

Lettore


- Tu, o Padre, hai voluto che la Chiesa fosse un popolo immerso in mezzo agli altri popoli. Con il dono del tuo Spirito aiutala ad essere fedele al Vangelo del tuo Figlio, testimoniando a tutti la tua volontà di amore. E fa’ che, nel tempo della prova, non venga meno la sua fiducia in Te e il suo sguardo verso il tuo Cristo risorto e glorioso. Preghiamo.

- Padre misericordioso e fedele, Tu, che hai costituito il tuo Figlio Signore della storia, fa’ che la potenza della sua resurrezione disperda e svuoti i progetti deliranti dei potenti di turno. Sii vicino a tutti quei popoli provati dalle guerre, dalle dittature e dai cambiamenti climatici. In modo particolare ci ricordiamo della Palestina, del Sudan, di Haiti, del Venezuela. Dona a tutti la forza di resistere e di sperare in un futuro più umano. Preghiamo.

- Per Te, o Padre, nessuna creatura umana è lontana dal tuo amore paterno e materno. Abbi pietà del nostro Paese, come anche dei Paesi europei, che nei confronti delle persone migranti continuano a scegliere, testardamente, la politica dei respingimenti e del finanziamento a quei paesi, come la Libia o la Tunisia, che si impegnano a fermare – usando ogni mezzo, anche la tortura – il flusso di queste persone. Spingici tutti a vera conversione. Preghiamo.

- Sostieni, o Padre, quanti, nel nome del tuo Figlio Gesù, si prendono cura di ogni persona debole o scartata. Assisti con la tua grazia quelle comunità parrocchiali e religiose e quelle associazioni che si rendono vicine a tutte le famiglie che sono in difficoltà economiche o in crisi di convivenza. Fa’ rifiorire nel cuore del giovani un desiderio di spendersi gratuitamente per i più deboli, per la difesa della terra e del bene comune. Preghiamo.

- Davanti a te, o Padre, ci ricordiamo dei nostri parenti e amici defunti [pausa di silenzio]; ci ricordiamo anche delle vittime dell’alcool e della droga, dell’inquinamento ambientale e della violenza nelle famiglie. Dona a tutti la consolazione e la pace del tuo Regno. Preghiamo.



Per chi presiede

O Padre, ascolta la tua Chiesa in preghiera e donale il coraggio profetico di saper leggere e discernere gli avvenimenti della storia alla luce della Pasqua del tuo Figlio Gesù, il vincitore della Morte, che nella speranza attendiamo operosi perché porti a compimento l’opera che Lui ha iniziato in noi. Egli è Dio e vive e regna nei secoli dei secoli.

AMEN.