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mercoledì 23 aprile 2025

Papa Francesco è tornato alla Casa del Padre - Vito Mancuso: Francesco, il Papa della misericordia

Vito Mancuso

Francesco, il Papa della misericordia

L’ADDIO NEL LUNEDÌ DELL’ANGELO DOPO ESSERSI MOSTRATO UOMO

Consapevole di essere vicino alla fine, Francesco ha guardato in faccia la morte. In carrozzella, nelle ultime sue uscite, ha voluto dirci: sono come voi.


Chissà se gli esseri umani hanno il potere o meno di scegliere quando andarsene. Di sicuro alcuni no, vengono strappati dall'esistenza in modo inaspettato e improvviso per un incidente o per un’altra delle mille fatalità. Altri però hanno la possibilità di guardare in faccia la morte, quasi di parlarle, in quanto divenuti consapevoli di essere entrati in una fase di non-ritorno e tuttavia non ancora arrivati alla fine. È stata la situazione di papa Francesco, ricoverato d’urgenza il 14 febbraio scorso e da allora fino a ieri alle prese con la prossima fine. È quindi possibile pensare che egli abbia “scelto” di andarsene? E che l'abbia fatto proprio nel giorno di Pasquetta o Lunedì dell'Angelo, quasi per farsi portare proprio dall'Angelo nelle braccia del suo Signore? È possibile. Anche un altro grande gesuita morì durante le festività pasquali, nel suo caso proprio nella domenica di Pasqua, il 10 aprile 1955: era Pierre Teilhard de Chardin, di cui i nipoti testimoniarono che aveva detto qualche tempo prima: “Mi piacerebbe morire nel giorno della risurrezione”…

Penso sia una grande fortuna poter avere con la propria morte un rapporto così. Si tratta della cosiddetta “buona morte”, per favorire la quale nei secoli passati operava la Congregazione della Buona Morte o Compagnia della Buona Morte, quando la morte per gli esseri umani non era un tabù da scacciare violentemente lontano dalla coscienza, ma un evento da preparare con cura; anzi, l’evento decisivo di tutta l’esistenza. Il che non riguardava solo i cristiani, visto che Platone riassumeva l’intero senso della filosofia come esercizio spirituale per imparare a morire.

Papa Francesco non è stato un filosofo, neppure un teologo, ma un profeta, e penso che con il suo volersi mostrare in carrozzella con il poncho argentino dei campesinos qualche giorno prima abbia voluto dare questo messaggio: eccomi qui, uomo come voi, vestito non da papa ma da uomo, sappiate che è così che me ne andrò. Il che è del tutto naturale, perché, quando si muore, chi se ne va per sempre è l’uomo, non il papa, visto che “morto un papa, se ne fa un altro”, mentre è impossibile fare un altro Jorge Mario Bergoglio.

Forse presto sapremo quali sono state, se ce ne sono state, le sue ultime parole. Non parlo delle ultime parole pubbliche, che sono state quelle del messaggio del giorno di Pasqua che certamente altri hanno scritto per lui e che contiene parole impegnate, sofferte, giuste, ma prevedibili. No, parlo delle ultime parole private, quelle dell’uomo solo di fronte al Mistero, quando non si parla più per essere uditi dagli altri, ma ci si rivolge direttamente nella propria insuperabile solitudine al sommo Mistero dell’essere detto convenzionalmente “Dio”.

La tradizione spirituale assegna grande importanza alle ultime parole, spesso ritenute una sigla dell’intera esistenza. Chissà se papa Francesco è morto come il Gesù di Marco e di Matteo che gridò: “Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?”; oppure come il Gesù di Luca che mormorò con fiducia: “Padre, nelle tue mani affido il mio spirito”; oppure come il Gesù di Giovanni che proclamò vittoriosamente: “Tutto è compiuto”. Oppure come uno dei suoi predecessori, per esempio papa Giovanni: “Perché piangere? È un momento di gioia questo, un momento di gloria” (fonte il segretario Loris Capovilla); o Giovanni Paolo II: “Lasciatemi andare alla casa del Padre” (fonte il segretario Stanislaw Dziwisz); o Benedetto XVI: “Signore ti amo” (fonte il segretario Georg Gaenswein). Quali sono state, se ce ne sono state, le ultime parole di papa Francesco?

Jorge Mario Bergoglio è morto il Lunedì dell’Angelo, e il termine “angelo” nel greco da cui proviene significa “messaggero”. Il messaggio da lui portato al mondo si può condensare a mio avviso in una sola parola: misericordia. Naturalmente ve ne sono altre, spesso ribadite con insistenza: pace, disarmo, giustizia, poveri, natura, madre terra, oltre a quelle tipicamente religiose. Ma la parola che a mio avviso riassume tutte le altre del messaggio di papa Francesco è stata misericordia, il termine che scelse per il suo stemma e che ripeté infinite volte. Io spero che misericordia sia anche l’ultima parola che la Vita ha pronunciato su di lui, e che sarà anche quella per ognuno di noi.

Vito Mancuso, La Stampa 22 aprile 2025
(fonte: sito dell'autore)


Papa Francesco è tornato alla Casa del Padre - I popoli onorano il Papa della misericordia: Le condoglianze del mondo intero - Sulle pagine dei principali quotidiani mondiali

I popoli onorano il Papa della misericordia

Le condoglianze del mondo intero



Il ritorno della guerra in Europa, la corsa globale al riarmo, lo scoppio di una pandemia, il moltiplicarsi delle crisi economiche, commerciali e tecnologiche. È stato questo il complesso, inedito sfondo internazionale all’interno del quale si è mosso il pontificato di Papa Francesco incentrato su quella «diplomazia della misericordia» che, per funzionare, ricordava lo stesso pontefice nel suo ultimo discorso al corpo diplomatico dello scorso 9 gennaio, deve «favorire il dialogo con tutti, compresi gli interlocutori considerati più “scomodi” o che non si riterrebbero legittimati a negoziare» perché «è questa l’unica via per spezzare le catene di odio e vendetta che imprigionano e per disinnescare gli ordigni dell’egoismo, dell’orgoglio e della superbia umana, che sono la radice di ogni volontà belligerante che distrugge».

Dall’Italia all’Europa

In questo spirito sono dunque giunti messaggi di cordoglio per la morte di Francesco da ogni parte del mondo. «Ho appreso con grande dolore personale la notizia della morte di Papa Francesco», ha scritto il presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, che in un videomessaggio diffuso ieri si è soffermato sulla personale emozione che il «ritorno alla Casa del Padre» del pontefice ha provocato in lui: «Avverto un senso di vuoto, il senso di una privazione di un punto di riferimento cui guardavo» perché «Francesco è stato sempre uomo di speranza, convinta contro ogni difficoltà» e «trasmessa anche nei giorni della sua malattia offrendo un esempio per tutti i sofferenti».

Il consiglio dei ministri ha confermato cinque giorni di lutto nazionale. Intervenendo in diretta al Tg1, il primo ministro italiano Giorgia Meloni ha detto che «tutto il mondo ricorderà Francesco per essere il Papa della gente, il Papa degli ultimi». Un aspetto evidenziato pure dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen in un post pubblicato sulla piattaforma “X”, dove ha scritto che «Papa Francesco ha ispirato milioni di persone, ben oltre la Chiesa cattolica, con la sua umiltà e il suo amore puro per i meno fortunati». Von der Leyen, insieme alla presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola, sarà presente ai funerali di sabato alle ore 10.

Sempre all’interno del continente europeo, si sono espressi: il presidente francese Emmanuel Macron, che, inviando i suoi pensieri a «tutti i cattolici e al mondo in lutto», ha confermato la sua partecipazione ai funerali; il cancelliere tedesco uscente Olaf Scholz, secondo cui «la Chiesa cattolica e il mondo perdono un difensore dei deboli, un uomo affettuoso e per la riconciliazione»; il primo ministro ungherese Viktor Orbán e il governo spagnolo, che ha dichiarato tre giorni di lutto. Il Re Carlo III d’Inghilterra, insieme alla regina Camilla, aveva incontrato in visita privata in Vaticano Papa Francesco solo due settimane fa: «Mia moglie ed io siamo profondamente rattristati nell’apprendere della morte di Papa Francesco — ha scritto il reale inglese in un messaggio diffuso da Buckingham Palace — tuttavia, il peso sui nostri cuori è in parte alleviato dal fatto che Sua Santità ha potuto condividere un messaggio di Pasqua con la Chiesa e il mondo che ha servito con tanta dedizione nel corso della sua vita e del suo ministero», ha aggiunto Carlo III ricordando, anche in qualità di primate della Chiesa anglicana, l’impegno ecumenico di Francesco. Ancora più centrale e necessario in un mondo così frammentato perché, come evidenziato dal segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres ricordando il pontefice, «il futuro dell’umanità non è esclusivamente nelle mani dei politici, dei grandi leader, delle grandi aziende, ma è soprattutto nelle mani di coloro che riconoscono l’altro come un “tu” e se stessi come parte di un “noi”».

Messaggi da Oltreoceano

«Riposa in pace, Papa Francesco», ha scritto la Casa Bianca pubblicando sul social “X” due foto che ritraggono gli incontri di Francesco con il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e con il vicepresidente J.D. Vance, ricevuto a Santa Marta domenica, poco prima della benedizione Urbi et Orbi. In serata Trump ha confermato che verrà a Roma, insieme alla moglie Melania, per i funerali del pontefice. Immancabile l’affetto dell’Argentina, terra natìa di Jorge Mario Bergoglio, dove sono stati dichiarati sette giorni di lutto nazionale: alla cattedrale metropolitana di Buenos Aires è stata celebrata una messa in onore di Papa Francesco, cui è andato tutto il ricordo del presidente argentino Javier Milei per «la lotta instancabile per proteggere la vita, promuovere il dialogo religioso e una vita spirituale e virtuosa per i più giovani». Successivamente il presidente argentino ha confermato la sua partecipazione ai funerali di Francesco. Parole di cordoglio sono state espresse anche dal presidente brasiliano Lula Ignacio da Silva, dalla presidente del Messico Claudia Sheinbaum, dal presidente di Cuba Miguel Díaz-Canel e da quello del Cile Gabriel Boric, che ha dichiarato tre giorni di lutto nazionale.

Dal mondo in guerra

Ma è dai teatri di guerra, cui Francesco non ha mai smesso di dedicare attenzione ricordando che ci troviamo nel pieno di una “terza guerra mondiale a pezzi”, che giungono messaggi capaci di testimoniare l’incessante impegno per la pace da parte del Santo Padre. In primis, da quello europeo. Il presidente della Federazione Russa Vladimir Putin, pur confermando attraverso il Cremlino che non parteciperà ai funerali, ha espresso le sue condoglianze definendo il pontefice «una persona eccezionale», che ha «trattato la Russia nel modo migliore possibile» e di cui conserverà «per sempre il ricordo più luminoso» anche per la sua attenzione al dialogo tra la Chiesa ortodossa russa e la Chiesa cattolica romana. Confermando la sua partecipazione ai funerali di sabato, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha scritto che «la sua vita è stata dedicata a Dio, al popolo e alla Chiesa. Sapeva come dare speranza, alleviare la sofferenza attraverso la preghiera e promuovere l'unità. Pregava per la pace in Ucraina e per gli ucraini. Ci uniamo al dolore dei cattolici e di tutti i cristiani che si sono rivolti a Papa Francesco per il sostegno spirituale. Memoria eterna!».

Quel forte grido di speranza racchiuso nelle parole «mai più la guerra» perché «con la guerra tutto è distrutto» è arrivato anche in Medio Oriente, soprattutto dal 7 ottobre 2024 in poi. È stato dunque significativo leggere le parole del presidente israeliano Isaac Herzog, «spero sinceramente che le sue preghiere per la pace in Medio Oriente e per il ritorno in sicurezza degli ostaggi siano presto esaudite» e «possa il suo ricordo continuare a ispirare atti di gentilezza, unità e speranza», e del presidente dell’Autorità nazionale palestinese Abu Mazen, che ha descritto il pontefice come «amico fedele del popolo palestinese». Il re di Giordania Abdallah ha ricordato come Francesco abbia «unito le persone, guidandole con gentilezza, umiltà e compassione. La sua eredità vivrà nelle sue buone azioni e nei suoi insegnamenti», mentre il presidente iraniano Masoud Pezeshkian ha detto che il nome e la memoria del pontefice rimarranno «nei cuori di tutte le coscienze risvegliate e di tutti coloro che cercano la libertà» per le sue posizioni umanitarie.

Nei suoi incessanti appelli per la pace Bergoglio ha dato eguale importanza alle periferie, dove i conflitti sono spesso dimenticati da tutti. «Giù le mani dall’Africa», aveva detto nel viaggio in Repubblica Democratica del Congo del febbraio 2023, perché questo continente «non è una miniera da sfruttare». Proprio dal Congo, il più grande Paese cattolico dell’Africa, sono dunque giunte le condoglianze del presidente Felix Tshisekedi che ha elogiato «l’impegno incrollabile per la pace» del pontefice. In egual modo, l’Unione Africana lo ha definito un «ferreo sostenitore della pace» per il «coraggioso impegno» nei confronti del continente.

Cordoglio da Oriente

Tra i 47 viaggi apostolici in 66 Paesi non è mai venuta meno una certa inclinazione per l’Asia, continente cui Bergoglio ha dedicato il viaggio più lungo del suo pontificato, compiuto solo pochi mesi fa tra Indonesia, Papua Nuova Guinea, Timor Est e Singapore. Dai rappresentanti di questi Paesi, spesso espressione di fedi religiose diverse, sono arrivati messaggi di solidarietà. Prabowo Subiantopresidente dell’Indonesia, ossia dello Stato a maggioranza musulmana più popoloso al mondo, ha scritto che «il mondo ha perso ancora una volta un modello di riferimento, profondamente impegnato per la pace, l’umanità e la fratellanza». Dallo Sri Lanka, nazione in cui i cattolici sono circa il 7 per cento della popolazione a fronte di una maggioranza buddista, il presidente Anura Kumara Dissanayake ha espresso le sue condoglianze «in nome di tutto il popolo» pregando affinché «la sua eredità di compassione, giustizia e armonia interreligiosa continui a ispirare le generazioni a venire». «Una perdita enorme per il mondo, non solo per i cristiani», ha detto il presidente di Timor Est, José Ramos-Horta, dove lo scorso settembre Bergoglio era stato acclamato da oltre 600.000 a Dili, la capitale. Il presidente di Taiwan, Lai Ching-te, esprimendo le sue «più sincere condoglianze alla comunità cattolica e a tutti coloro che piangono la scomparsa di Sua Santità papa Francesco», ha reso noto attraverso il ministero degli Esteri che funzionari dell’isola parteciperanno ai funerali del Papa in qualità di inviati speciali e che alti rappresentanti del governo prenderanno parte a una messa commemorativa organizzata dall’Ambasciata della Santa Sede a Taipei. La Cina ha espresso le sue condoglianze attraverso Guo Jiakun, portavoce del ministro degli Esteri di Pechino, come riportato dal quotidiano «Global Times».

A testimonianza di un amore che supera ogni fede e confine, i messaggi e la conferma di partecipazione ai riti funebri continuano ad arrivare. E tracciano così un solco nell’epoca complessa che stiamo vivendo, dentro cui s’annida una speranza: quella che questa unità d’affetto e di rispetto nei confronti di Papa Francesco possa trasformarsi in un segno concreto per compiere, tutti, un passo verso quegli «onorevoli compromessi» per arrivare alla pace di cui Bergoglio si è sempre fatto portavoce
(fonte: L'Osservatore Romano, articolo di Guglielmo Gallone 22/04/2025)

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Sulle pagine dei principali quotidiani mondiali


La morte di Francesco ha dominato le prime pagine dei quotidiani mondiali, molti dei quali hanno sottolineato come il papato di Bergoglio sia stato senza precedenti nella storia della Chiesa, rimarcando l’importanza del Pontefice come figura spirituale, ma anche politica. Soprattutto la stampa argentina ha coperto con enorme risalto la notizia della morte di Bergoglio, primo Papa latinoamericano della storia della Chiesa.

«Papa Francesco, l’argentino che ha trasformato la Chiesa», ha titolato a tutta pagina il quotidiano «Clarín», tra i più diffusi a Buenos Aires. L’elezione di Francesco «fu un chiaro segnale del graduale cambiamento di direzione che avrebbe portato un’istituzione vecchia di duemila anni verso un atteggiamento più aperto, comprensivo e semplice, un cambiamento che suscitò sia un’entusiastica approvazione sia una persistente resistenza», ha sottolineato il giornale.

«Francesco, il Papa semplice venuto dalla fine del mondo che ha rotto gli schemi e ha aperto la Chiesa come mai prima», è il titolo del quotidiano «La Nación», che ricorda come Bergoglio abbia «avuto una vita in Argentina segnata da sfide che lo hanno preparato all’elezione in un conclave inaspettato; ha optato per un papato riformista che ha suscitato forti resistenze». Entrambi i quotidiani hanno posto l’accento sul carattere «sorprendente» e «dirompente» della sua elezione e sulla coerenza simbolica del nome Francesco, scelto in omaggio al santo di Assisi.

«È morto Francesco, un Papa contro la guerra, per l’ecologia e a favore dei poveri», ha titolato invece «Pagina 12», quotidiano argentino, che sottolinea come «durante i suoi dodici anni da pontefice, Francesco si è sempre espresso a favore dei poveri e contro il cambiamento climatico e la guerra. Ha inoltre promosso diversi cambiamenti nella Chiesa per consentire una maggiore trasparenza, soprattutto a livello finanziario, prevenire gli abusi sui minori e dare più spazio alle donne».

«Perfil» e «Ámbito Financiero» si sono invece concentrati sul suo ruolo di riformatore della Curia e sulla gestione di crisi profonde, come quella degli abusi clericali, riconoscendogli un impatto duraturo nel modernizzare la Chiesa e nel tentativo di renderla più trasparente e vicina alle persone. Anche «La Prensa» ha sottolineato la componente riformista che ha caratterizzato tutto il pontificato di Francesco, mentre «Crónica» e «Diario Popular», più orientati al grande pubblico, hanno esaltato la semplicità e l’umanità del Papa «del popolo», capace di incarnare un messaggio di pace, dialogo e umiltà che ha superato i confini religiosi.

Dagli Stati Uniti, il «The New York Times» ha scritto come il Papa abbia «difeso gli emarginati e combattuto con i tradizionalisti, che lo accusavano di annacquare gli insegnamenti della Chiesa». «Il Pontefice ha cercato di ri-orientare la Chiesa cattolica verso la promozione della giustizia sociale ed economica piuttosto che verso i tradizionali insegnamenti morali, ma ha presieduto a crescenti divisioni nella Chiesa e ha lottato con il persistente scandalo degli abusi sessuali da parte del clero», ha scritto il «The Wall Street Journal».

«Il Papa è stato una figura riformista, con le sue aperture e la sua empatia ha ridisegnato il papato», ha ricordato il «The Washington post». «Il papato di Papa Francesco non ha precedenti nei tempi moderni — ha dichiarato l’emittente televisiva statunitense Cnn —, aggiungendo che il Santo Padre «ha portato uno stile unico in Vaticano. Francesco notoriamente ha rinunciato all’opulenza concessa ai Papi in servizio in favore dei modesti orpelli della sua vita in Argentina, dove un tempo aveva lavorato come custode e buttafuori in un bar».

Dall’Europa, la Bbc ha affermato che il papato di Francesco ha segnato molti primati e, sebbene non abbia mai smesso di introdurre riforme nella Chiesa cattolica, è rimasto popolare tra i tradizionalisti». Papa Francesco, ha precisato l’emittente britannica, «ha concentrato l’attenzione papale sulla povertá e la disuguaglianza, definendo il capitalismo sfrenato “sterco del diavolo”». «A due anni dal suo pontificato, ha pubblicato un’enciclica di 180 pagine sull’ambiente, chiedendo alle nazioni più ricche del mondo di pagare il loro “grave debito sociale” con i poveri», ha ricordato il quotidiano britannico «The Guardian».

Il londinese «The Times» ha evidenziato l’impatto globale di Francesco, concentrandosi sul suo ruolo diplomatico e le sfide per il successore. Ha incluso commenti di leader britannici e un editoriale sulla Chiesa.

Per lo spagnolo «El País», il Pontefice «ha certamente svolto un ruolo di primo piano nelle questioni sociali, con critiche senza precedenti all’attuale sistema capitalista». «L’argentino Jorge Mario Bergoglio è stato il primo Papa sudamericano. Considerato da alcuni un audace riformatore e da altri poco propenso a difendere la tradizione, il sovrano pontefice ha dovuto affrontare gli scandali della violenza sessuale nel clero», ha scritto il quotidiano francese «Le Monde». «Il Papa lascia in Europa una Chiesa instabile, ancora dominata dagli uomini e modernizzata solo con piccole riforme — è il commento del tedesco «Bild» —, ma anche una comunitá mondiale di credenti che è stata profondamente toccata dal suo dono di liberare il papato dalla sua torre d’avorio e di mostrarsi un “Papa presente” tra i credenti in Piazza San Pietro e in tutti i suoi viaggi all’estero».

Dall’Asia, il «Times of India» ha osservato come «Francesco ha fatto la storia nel 2013 come primo Papa gesuita, il primo proveniente dalle Americhe e il primo pontefice non europeo in oltre 1.200 anni. Il suo pontificato decennale è stato caratterizzato dalla sua enfasi sulla misericordia, l’inclusivitá, l’umiltá e una profonda preoccupazione per l’ambiente e gli emarginati».

In Giappone, lo «Yomiuri Shimbun» ha riportato la notizia con un accento sulla reazione globale, citando il cardinale Kevin Farrell e il lutto in Vaticano, mentre «Asahi Shimbun» (il quotidiano con la più alta circolazione cartacea al mondo) ha sottolineato l’influenza di Francesco in Asia, specie per il dialogo interreligioso.

In Cina, le edizioni online dei principali quotidiani del Paese asiatico hanno dedicato alla notizia solo poche righe, non pubblicandola sulle pagine principali, ma relegandola nelle “brevi”.
(fonte: L'Osservatore Romano, articolo di Francesco Cittrich 22/04/2025)


martedì 22 aprile 2025

Papa Francesco è tornato alla Casa del Padre - Gaza piange papa Bergoglio. «Era vicino alla nostra realtà»

Gaza piange papa Bergoglio.
«Era vicino alla nostra realtà»

Israele/Palestina La Striscia era nei suoi pensieri. Anche Hamas lo ricorda. Difficile il rapporto con Israele

Gerusalemme, 26 maggio 2014. Bergoglio inserisce il suo messaggio di pace tra le pietre del Muro del Pianto – foto Ansa

Papa Bergoglio ha esortato fino all’ultimo, fino a poche ore prima di spegnersi, a realizzare subito la tregua a Gaza. Anche nel suo ultimo messaggio dell’Urbi et Orbi. Ha chiesto di «proclamare un cessate il fuoco, liberare gli ostaggi (israeliani) e venire in aiuto di un popolo affamato che aspira a un futuro di pace». Alla gente della Striscia sotto le bombe – non solo ai 200 palestinesi cattolici che vi abitano – Bergoglio ha rivolto molti dei suoi pensieri negli ultimi 18 mesi, con telefonate quasi quotidiane al parroco di Gaza City, Gabriel Romanelli, dando inizio a quella che il Vatican News Service avrebbe descritto come una «routine serale». Si assicurava di parlare con il parroco e con tutti gli altri presenti nella stanza. «Oggi siamo in preghiera, ci siamo riuniti subito per pregare per papa Francesco, che ha avuto sempre i suoi pensieri per noi qui a Gaza. È una perdita immensa per il mondo intero e per noi, sotto tutti i punti di vista», ci dice padre Yusef, sacerdote locale, parlando dalla chiesa cattolica della Sacra Famiglia.

«ABBIAMO PERSO un santo che ci ha insegnato ogni giorno a essere coraggiosi, a essere pazienti e forti. Abbiamo perso un uomo che ha combattuto ogni giorno, in ogni direzione, per proteggere il suo piccolo gregge», ha detto a un giornalista locale George Anton, responsabile del comitato di emergenza della Sacra Famiglia. «Siamo addolorati per la morte di papa Francesco, ma sappiamo che lascia una Chiesa che si prende cura di noi e che ci conosce per nome, ognuno di noi», ha aggiunto.

A dare conforto ai cattolici c’erano parecchi ortodossi, che formano la maggior parte della comunità cristiana di Gaza. Tanti, però, sono rimasti a casa, perché le bombe israeliane sono piovute anche ieri sulla Striscia, facendo altri morti e feriti tra i civili. «Papa Francesco per noi è stato un padre a tutti gli effetti. Ci è stato molto vicino, alla nostra causa, alla nostra realtà. Lo abbiamo visto soprattutto nella sua vicinanza a Gaza. Ha detto cose importanti contro le voci di coloro che non volevano sentire. È stato un uomo coraggioso, è stato un orgoglio avere un papa come lui», spiega al manifesto il legame speciale tra i palestinesi e il papa, Wadie Abu Nassar, personalità cattolica di spicco.

A ricordare Bergoglio e la sua attenzione per la Palestina sono anche cristiani non cattolici, come il pastore luterano Munther Isac, autore del libro L’altro lato del Muro, sulla vita dei palestinesi dopo la costruzione del muro israeliano in Cisgiordania. «I palestinesi, e in particolare quelli cristiani, hanno perso oggi un caro amico», ha scritto Isac. «Ricordiamo tutti l’immagine iconica di lui che prega al Muro. Il Papa non toccò solo il Muro, toccò la bruttezza dell’occupazione e della guerra, la profondità della nostra sofferenza. Con umiltà e debolezza, guardò l’ingiustizia negli occhi e la sfidò… Il Papa se n’è andato, l’occupazione e il Muro sono rimasti. Oggi mi chiedo: i milioni di persone che piangeranno la sua morte si prenderanno cura dei gazawi e dei palestinesi come ha fatto lui?». Ieri anche Hamas ha ricordato il papa, definendolo «un fermo difensore dei diritti legittimi del popolo palestinese» e «contro la guerra e gli atti di genocidio». Nei giorni di fine maggio 2014, quando venne in visita in Israele e nei Territori palestinesi occupati, non pregò soltanto al Muro. Visitò anche il campo profughi palestinese di Dheisheh, vicino Betlemme, e pranzò con famiglie palestinesi, ascoltando storie di esilio, occupazione militare e diritti negati. Come quella di Rania, della comunità cristiana di Gaza. Forse le parole di quella donna accesero in lui già allora un forte interesse per la sorte della Striscia.

NON SORPRENDE che i suoi rapporti con Israele, dopo il 7 ottobre 2023, si siano progressivamente raffreddati. Peraltro, nel suo libro La speranza non delude mai, il Papa ha sostenuto che è giusto indagare per capire se quanto compiuto da Israele a Gaza possa essere classificato come genocidio.

Ha denunciato l’antisemitismo e incontrato gli ostaggi liberati e le loro famiglie, ma ha detto al capo di Stato israeliano Herzog, dopo il 7 ottobre, che è «proibito rispondere al terrore con il terrore». Si può affermare che Bergoglio ha avuto una relazione positiva con l’Ebraismo, come con l’Islam, ma complessa con Israele o, meglio, con i governi guidati da Netanyahu.

CONTATTI PIÙ AMICHEVOLI li ebbe con il presidente israeliano scomparso Shimon Peres che, durante il suo viaggio in Terra Santa nel maggio 2014, invitò – assieme al presidente dell’Autorità nazionale palestinese Abu Mazen – a tenere una «preghiera per la pace» a Roma, che si sarebbe tenuta il mese successivo. Netanyahu, fino a ieri sera, non ha diffuso una sua nota. Herzog, invece, ha ricordato che «il defunto papa Francesco era un uomo di immensa fede e grande misericordia, che ha dedicato la vita al progresso dei poveri del mondo e alla richiesta di pace in un’epoca complessa e turbolenta».
(fonte: Il manifesto, articolo di Michele Giorgio 22/04/2025)


Papa Francesco è tornato alla Casa del Padre - TESTAMENTO DI PAPA FRANCESCO

TESTAMENTO DEL SANTO PADRE FRANCESCO


Il testamento di Papa Francesco, redatto da Jorge Mario Bergoglio a Santa Marta il 29 giugno 2022, è stato diffuso con il bollettino della sala stampa della Santa Sede del 21/04/2025.
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Miserando atque Eligendo

Nel Nome della Santissima Trinità. Amen.

Sentendo che si avvicina il tramonto della mia vita terrena e con viva speranza nella Vita Eterna, desidero esprimere la mia volontà testamentaria solamente per quanto riguarda il luogo della mia sepoltura.

La mia vita e il ministero sacerdotale ed episcopale ho sempre affidato alla Madre del Nostro Signore, Maria Santissima. Perciò, chiedo che le mie spoglie mortali riposino aspettando il giorno della risurrezione nella Basilica Papale di Santa Maria Maggiore.

Desidero che il mio ultimo viaggio terreno si concluda proprio in questo antichissimo santuario Mariano dove mi recavo per la preghiera all’inizio e al termine di ogni Viaggio Apostolico ad affidare fiduciosamente le mie intenzioni alla Madre Immacolata e ringraziarLa per la docile e materna cura.

Chiedo che la mia tomba sia preparata nel loculo della navata laterale tra la Cappella Paolina (Cappella della Salus Populi Romani) e la Cappella Sforza della suddetta Basilica Papale come indicato nell’accluso allegato.

Il sepolcro deve essere nella terra; semplice, senza particolare decoro e con l’unica iscrizione: Franciscus.

Le spese per la preparazione della mia sepoltura saranno coperte con la somma del benefattore che ho disposto, a trasferire alla Basilica Papale di Santa Maria Maggiore e di cui ho provveduto dare opportune istruzioni a Mons. Rolandas Makrickas, Commissario Straordinario del Capitolo Liberiano.

Il Signore dia la meritata ricompensa a coloro che mi hanno voluto bene continueranno a pregare per me. La sofferenza che si è fatta presente nell’ultima parte della mia vita l’offerta al Signore per la pace nel mondo e la fratellanza tra i popoli.

Santa Marta, 29 giugno 2022

FRANCESCO


Papa Francesco è tornato alla Casa del Padre - Il Papa della misericordia

Andrea Tornielli
Il Papa della misericordia

Papa Francesco accarezza un bambino

«La misericordia di Dio è la nostra liberazione e la nostra felicità. Noi viviamo di misericordia e non ci possiamo permettere di stare senza misericordia: è l’aria da respirare. Siamo troppo poveri per porre le condizioni, abbiamo bisogno di perdonare, perché abbiamo bisogno di essere perdonati». 
Se c’è un messaggio che più di ogni altro ha caratterizzato il pontificato Francesco e che è destinato a rimanere, è quello della misericordia. Il Papa ci ha lasciato improvvisamente questa mattina, dopo aver dato l’ultima benedizione Urbi et Orbi nel giorno di Pasqua dalla Loggia centrale della Basilica di San Pietro, dopo aver fatto l’ultimo giro tra la folla, per benedire e salutare.

Tanti sono stati i temi affrontati dal primo Pontefice argentino nella storia della Chiesa, in particolare l’attenzione verso i poveri, la fratellanza, la cura della Casa comune, il no deciso e incondizionato alla guerra. Ma il cuore del suo messaggio, quello che certamente ha fatto più breccia, è il richiamo evangelico alla misericordia. A quella vicinanza e tenerezza di Dio verso chi si riconosce bisognoso del suo aiuto. La misericordia come «l’aria da respirare», cioè ciò di cui abbiamo più necessità, senza la quale sarebbe impossibile vivere.

Tutto il pontificato di Jorge Mario Bergoglio è stato vissuto all’insegna di questo messaggio, che è il cuore del cristianesimo. Fin dal primo Angelus recitato il 17 marzo 2013 dalla finestra di quell’appartamento papale che non avrebbe mai abitato, Francesco ha parlato della centralità della misericordia, ricordando le parole dettegli da un’anziana signora venuta a confessarsi quando lui era da poco vescovo ausiliare di Buenos Aires: «Il Signore perdona tutto… Se il Signore non perdonasse tutto, il mondo non esisterebbe».

Il Papa venuto «dalla fine del mondo» non ha apportato cambiamenti agli insegnamenti della bimillenaria tradizione cristiana, ma riportando in modo nuovo la misericordia al centro del suo magistero, ha cambiato la percezione che tanti avevano della Chiesa. Ha testimoniato il volto materno di una Chiesa che si china su chi è ferito e in particolare su chi è ferito dal peccato. Una Chiesa che fa il primo passo verso il peccatore, proprio come Gesù fece a Gerico, invitandosi a casa dell’impresentabile e odiato Zaccheo, senza chiedergli nulla, senza precondizioni. Ed è perché si è sentito per la prima volta guardato e amato così, che Zaccheo si è riconosciuto peccatore trovando in quello sguardo del Nazareno la spinta per convertirsi.

Tanta gente, duemila anni fa, si è scandalizzata vedendo il Maestro entrare proprio nella casa del pubblicano di Gerico. Tanta gente si è scandalizzata in questi anni per i gesti di accoglienza e di vicinanza del Pontefice argentino verso ogni categoria di persone, in special modo per “impresentabili” e peccatori. Nella sua prima omelia a una messa con il popolo, nella chiesa di Sant’Anna in Vaticano, Francesco disse: «Quanti di noi forse meriterebbero una condanna! E sarebbe anche giusta. Ma Lui perdona! Come? Con la misericordia che non cancella il peccato: è solo il perdono di Dio che lo cancella, mentre la misericordia va oltre. È come il cielo: noi guardiamo il cielo, tante stelle, ma quando viene il sole al mattino, con tanta luce, le stelle non si vedono. Così è la misericordia di Dio: una grande luce di amore, di tenerezza, perché Dio perdona non con un decreto, ma con una carezza».

Durante tutti gli anni del suo pontificato, il 266° successore di Pietro ha mostrato il volto di una Chiesa vicina, capace di testimoniare tenerezza e compassione, accogliendo e abbracciando tutti, anche a costo di correre dei rischi e senza preoccuparsi delle reazioni dei benpensanti. «Preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade – aveva scritto Francesco in “Evangelii gaudium”, la road map del suo pontificato - piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze». Una Chiesa che non confida nelle capacità umane, nel protagonismo degli influencer che rimandano solo a se stessi e nelle strategie del marketing religioso, ma si fa trasparente per far conoscere il volto misericordioso di Colui che l’ha fondata e la fa vivere, nonostante tutto, da duemila anni.

È quel volto e quell’abbraccio che tanti hanno riconosciuto nel vecchio Vescovo di Roma venuto dall’Argentina, che aveva iniziato il suo pontificato andando a pregare per i migranti morti in mare a Lampedusa, e l’ha concluso immobilizzato in sedia a rotelle, spendendosi fino all’ultimo istante per testimoniare al mondo l’abbraccio misericordioso di un Dio vicino e fedele nell’amore verso tutte le sue creature.
(fonte: L'Osservatore Romano, editoriale di Andrea Tornielli 21/04/2025)

Papa Francesco è tornato alla Casa del Padre - Don Mimmo Battaglia: “CI HAI PARLATO CON IL CUORE, FRANCESCO”


A DIO, CARO PAPA
La mattina del Lunedì fra l'Ottava di Pasqua il Santo Padre fa l'ingresso nella Risurrezione.


“CI HAI PARLATO CON IL CUORE, FRANCESCO”
Messaggio di Don Mimmo Battaglia
per la morte di Papa Francesco


Ci hai parlato con il cuore, Francesco.
Con il cuore e con la vita.
Con quella voce che sapeva di Vangelo e di strada, di cielo e di polvere, di speranza ostinata e misericordia senza misura. Grazie!

Grazie perché ci hai insegnato che la Chiesa non è una fortezza, ma un ospedale da campo.
Grazie perché ci hai mostrato che l’autorità è servizio, che la fede è scommettere tutto sul Vangelo, che la tenerezza e la cura sono rivoluzioni necessarie, che la Pace va difesa a tutti i costi, oggi più che mai.
Grazie perché hai rimesso al centro i volti, non i numeri. Le storie, non le statistiche.
Grazie perché hai seminato il sogno di Dio nei nostri cuori, annunciandoci la gioia del Vangelo, invitandoci a fidarci del Signore Gesù, nostro compagno, amico, fratello.
Grazie per quella sera che non dimenticheremo, in cui, nel silenzio irreale di una piazza San Pietro vuota e piovosa, camminavi da solo verso la Croce: in quel gesto, in quel passo lento e carico delle ansie di tutti, ci hai mostrato come siamo indissolubilmente legati gli uni agli altri e all’intero creato, in un vincolo di solidarietà che è necessario accogliere e custodire! 
Grazie perché ci hai ricordato che i dolori del mondo non si fuggono ma si portano insieme e che la speranza nasce proprio lì, dove la notte sembra regnare per poi essere sorpresa dall’alba di Pasqua, la cui luce è la sorgente inesauribile della nostra fede.
Grazie perché hai guidato la barca di Pietro nei mari agitati del mondo, senza paura, spesso controcorrente, con il coraggio mite dei profeti. 
Grazie perché sei stato davvero un pastore dall’odore delle pecore, immergendoti nell’abbraccio del popolo di Dio, fino a ieri, fino alla fine.

E noi, da Napoli, ti diciamo un grazie speciale.
Perché ci hai voluto bene.
Perché sei venuto a visitarci come un padre e un amico, dando vigore alla speranza della nostra gente e alla fede della nostra Chiesa.
Perché hai benedetto le nostre strade, hai accarezzato le nostre ferite, hai indicato sentieri di giustizia e solidarietà, di prossimità e fraternità per tutte le terre del Mediterraneo!

Ora che sei nella casa del Padre – mentre ci manca già il tuo sorriso disarmato e la tua voce paterna e affettuosa – ti affidiamo al Risorto, che tu hai amato e servito con ogni fibra dell’anima.
E ti chiediamo, con quella confidenza che solo l’amore conosce: restaci vicino ancora.
Benedici il cammino della Chiesa universale, benedici la nostra Chiesa di Napoli, prega per noi, per i tuoi poveri, per i cercatori di senso e di significato, per chi non smette di credere che la forza del Vangelo può cambiare il mondo e che la pace può ancora fiorire!”
(fonte: Chiesa di Napoli 21/04/2025)

lunedì 21 aprile 2025

Papa Francesco è tornato alla Casa del Padre - Addio Francesco, protettore di speranza per gli ultimi del mondo

Marco Damilano

Addio Francesco,
protettore di speranza per gli ultimi del mondo 

Lo avevano eletto come papa di transizione, una ventata di pulizia nel letamaio scoperchiato da Vatileaks, invece è stato un pontificato lungo che ha cambiato in profondità la chiesa. Una vita a cavallo tra due secoli, per un pontefice venuto da quasi fine del mondo: la fine del mondo vecchio, la nascita di cose nuove, è stato il suo progetto


Nella sua stanza a Santa Marta aveva poggiato sul tavolino all’ingresso una statuetta di Nostra Signora di Luján, patrona dell’Argentina, un piccolo presepe, due piccole croci di legno, composte con i frammenti delle barche dei migranti naufragate a Lampedusa e di Cutro, una rosa bianca.

«Quando ho avuto un problema nella vita ho sempre chiesto a Santa Teresa di Lisieux, santa Teresita, di aiutarmi a comprenderlo. Come segnale ricevo quasi sempre una rosa bianca». Sulla parete, sopra la poltroncina dove sedeva mentre parlava con i visitatori, una riproduzione della Crocifissione bianca di Chagall.

Accanto, sotto un’icona mariana, ai piedi del mobile, una scacchiera di pietra. Sulla parete, di fronte a lui, il ritratto stilizzato di una donna. «Lei è Esther Ballestrino», spiegava, cogliendo lo sguardo incuriosito dell’ospite. «È stata il mio capo quando ero operaio chimico in laboratorio. Era marxista, aveva fondato il partito comunista paraguaiano, è stata tra le fondatrici delle madri di Plaza de Mayo, nel 1977 fu rapita dai militari e buttata in mare con due suore francesi. Le devo molto, ho imparato quasi tutto da lei».

Un lottatore, protettore dei deboli

Dalla piccola camera al secondo piano di Santa Marta per dodici anni ha guidato la chiesa e ha guardato il mondo, segnando gli appunti e gli appuntamenti su una grande agenda accanto al letto, scrivendo messaggi a mano, con la conclusione che non mancava mai: «Il Signore ti accompagni e la Madonna ti custodisca. Tu non smettere di pregare per me».

Ha scritto da Santa Marta anche uno degli ultimi messaggi prima di andare in ospedale, mentre la voce si faceva un soffio, il respiro diventava sempre più fioco, la candela si stava spegnendo prima delle settimane di ricovero al policlinico Gemelli e la lunga degenza e le cure che sembrano averlo salvato.

La lettera inviata il 10 febbraio ai vescovi degli Stati Uniti d’America da papa Francesco, Romano Pontefice, 265° successore dell’apostolo Pietro, nella pienezza della sua autorità, come un generale che impartisce le estreme disposizioni, poche ore prima del ricovero. «Sto seguendo da vicino la grande crisi che si sta verificando negli Stati Uniti con l’avvio di un programma di deportazioni di massa. La coscienza rettamente formata non può non compiere un giudizio critico ed esprimere il suo dissenso».

Per ironia della sorte, l’ultimo incontro, il giorno di Pasqua, sarà proprio con il vicepresidente degli Stati Uniti, JD Vance, artefice di quelle politiche. Per la santa festa aveva presieduto di persona l'Urbi et Orbi a piazza San Pietro, si è affacciato dalla Loggia delle Benedizioni e ha salutato i fedeli: «Cari fratelli e sorelle, buona Pasqua».

L’invito ai vescovi americani, anzi, l’ordine per «tutti i fedeli della chiesa cattolica e per tutti gli uomini e le donne di buona volontà», «a non cedere a narrative che discriminano e causano inutili sofferenze ai nostri fratelli e sorelle migranti e rifugiati, a costruire ponti che ci avvicinino sempre più, a evitare muri di ignominia». Con una specie di profezia: «Ciò che viene costruito sul fondamento della forza e non sulla verità riguardo alla pari dignità di ogni essere umano incomincia male e finirà male».

Una invettiva manzoniana, per lui che da bambino aveva imparato a memoria pagine dei Promessi Sposi, una maledizione biblica contro le politiche di Trump. Le parole di un papa che stava concludendo una vita a cavallo tra i due secoli. Cominciata con il viaggio dei nonni emigrati italiani dal Piemonte in Argentina nel Novecento e terminata con la difesa dei migranti che passano i confini nel Duemila, tra i deparecidos della guerra sucia argentina e i torturati nei centri della Libia che non temeva di chiamare lager. Tra i conflitti mondiali del secolo scorso e la guerra mondiale a pezzi, che lui ha capito prima di tutti.

Non aveva mai smesso di essere come lo aveva immaginato Eduardo Muni Rivero che gli aveva dedicato un tango: «Ese cura luchador que ya de pibe quería, en Flores, donde vivía ser del débil, protector...». Un prete lottatore che già da ragazzo a Flores, dove viveva, voleva essere il protettore del debole. «Un prete di resistenza. Ha la testa di Evita Peron e il cuore di Che Guevara», lo ha fotografato Gustavo, tassista di Buenos Aires, attraversando la tangenziale attorno alla metropoli, che scavalca le villas miserias. Un combattente.

Quasi dalla fine del mondo

Jorge Mario Bergoglio aveva vissuto i primi vent’anni della sua vita nel quartiere di Flores, poi da gesuita a San Miguel, da arcivescovo di Buenos Aires in plaza de Mayo, di fronte alla Casa Rosada, aveva preparato la sua pensione di nuovo a Flores, in una casa di riposo per il clero. Invece era stato eletto papa il 13 marzo 2013, un mercoledì, alla fine di un pomeriggio di pioggia che aveva lavato San Pietro.

Alle sette, quando spuntò la fumata bianca il diluvio terminò, ma le sorprese per tutti noi che eravamo in piazza dovevano ancora cominciare, una dopo l’altra, ci lasciarono increduli e felici. Il primo papa non europeo, il primo papa a chiamarsi Francesco. Fu come attraversare il mare in piroscafo, fino alle lamiere colorate della Boca a Buenos Aires, come avevano fatto i suoi nonni a bordo del Giulio Cesare nel 1927, e poi tornare indietro.

Lo avevano preso «quasi dalla fine del mondo», a una età avanzata, nel momento più difficile per la chiesa. «Pregate per me, perché io non fugga, per paura, davanti ai lupi», aveva detto Benedetto XVI, ma se n’era andato, e con le prime dimissioni di un pontefice nella storia la barca di Pietro era rimasta circondata dalle belve: gli scandali, i ricatti, i corvi, i profittatori.

Francesco non avrebbe avuto paura. Disse al mondo buonasera, semplicemente, gli bastò. Come gli aveva insegnato a fare, da piccolo, l’amatissima nonna Rosa, che in Piemonte era stata orgogliosa militante dell’Azione cattolica femminile, ostile al fascismo. «La nonna è la terra: è come un serbatoio morale, religioso e culturale». Anche lui aveva l’aria di italiano d’Argentina, distante e familiare. Chiese la benedizione al popolo, «la preghiera di voi su di me», prima di impartire la sua: il potere ribaltava il punto di vista, si spogliava del potere. E poi: «Preghiamo per tutto il mondo perché ci sia una grande fratellanza». Il fondamento del suo pontificato, l’ideale più misterioso della triade del 1789 francese, mai diventato un progetto politico a differenza di libertà e uguaglianza. Il più irrealizzabile, il più rivoluzionario, il più cristiano, quello del Magnificat e delle Beatitudini: la fraternità.

Le mosse dello scacchista

Sorrideva, ma fin dall’inizio si rivelò tenace, terragno, irremovibile, addirittura ruvido, nell’esercizio del potere, con cui, ammetteva, aveva sempre avuto qualche problema, per questo in passato si era rivolto anche alla psicanalisi.

Lo avevano eletto come papa di transizione, una ventata di pulizia nel letamaio scoperchiato da Vatileaks, invece è stato un pontificato lungo che ha cambiato in profondità la chiesa, in modo ancora indecifrabile. È stato il papa da quasi fine del mondo: la fine del mondo vecchio, la nascita di cose nuove, è stato il suo progetto. Destrutturare l’apparato, la mondanità ecclesiastica, l’autoreferenzialità che allontana il Vangelo dalle persone, con mosse astute, attacchi improvvisi. La scelta di Santa Marta, il trono papale lasciato vuoto, le sfuriate sulla Curia, le sferzate sul carrierismo dei preti che sembravano estemporanee e invece erano meditate.

«È uno scacchista silenzioso, che muove i pezzi e vede molte mosse in anticipo. Sa quando fermarsi e quando fare la sua mossa. Non si conosceranno mai le sue regole, perché non le dice a nessuno», ha detto padre Guillermo Marcò, suo collaboratore in Argentina. «Ha il genio politico di un leader carismatico e la sacralità profetica di un santo del deserto», ha osservato il biografo Austen Ivereigh.

«La tattica si introduce di sorpresa in un ordine stabilito. Essa combina elementi audacemente accostati per insinuare furtivamente qualcosa di diverso nel linguaggio di un luogo e per sorprendere il destinatario. Sfumature, lampi, crepe e intuizioni folgoranti nelle pieghe di un sistema», ha scritto Michel de Certeau, gesuita, psicanalista, il teologo che più lo ha influenzato. Sembra disegnare il metodo di governo di papa Francesco. «Hacer ruido», fare casino, aveva detto ai giovani di Rio de Janeiro nel primo viaggio all’estero.

Le sue incursioni, le discusse nomine cardinalizie e vescovili, le donne per la prima volta ai vertici della Curia, i sinodi lanciati nel futuro e mai conclusi, i viaggi nelle periferie del mondo, la porta santa aperta in Centrafrica in un viaggio pericolosissimo, o nel carcere di Rebibbia due mesi fa, l’apertura agli omosessuali e alle coppie gay, la centralità dei movimenti popolari, il rapporto diretto con le Ong piuttosto che con i governi e con due donne lontane dalla chiesa, che lo hanno accolto nella loro casa di Roma come un vecchio amico: Emma Bonino e Edith Bruck.

Popolare, non populista

«In Argentina Bergoglio non era simpatico ai nuovi movimenti popolari, né ritenuto progressista. Su di lui c’era una leggenda nera, riceveva critiche e calunnie da un certo cafetín di sinistra, culturalmente progressista ma sradicata dalla gente. La destra e le élite, al contrario, lo annoveravano tra i loro», ha ricordato l’argentino Juan Grabois, attivista dei movimenti popolari, amico del papa.

ANSA

«All’inizio del pontificato, la novità di Francesco in una Chiesa segnata dagli scandali di corruzione, sembrò bella, rinfrescante, cosmetica…. Dopo cominciò a girare un’altra leggenda nera di segno opposto: il papa comunista, alleato di tutti i populisti del pianeta. Ma né Bergoglio né Francesco sono stati allineati con una ideologia, governo o leader politico. Ha sempre parlato dei poveri, con i poveri, insieme ai poveri».

Irriducibile a una categoria, scandalo per i borghesi, di destra e di sinistra. «Un fratello mi ha detto: “Padre, lei parla molto dei poveri e poco della classe media”», ha detto nel discorso ai movimenti popolari il 20 settembre 2024. «Può essere vero, e per questo chiedo scusa. Ma non è il papa, bensì Gesù che li pone al centro nel Vangelo. È un punto fermo della nostra fede e non si può negoziare. Se tu non lo accetti, non sei cristiano».

Il popolo, il pueblo fiel, è il motore della storia, il protagonista della teologia del popolo elaborata già da cardinale alla conferenza di Aparecida nel 2007. Popolare e non populista, perché, ha scritto da papa nella Fratelli tutti, «i gruppi populisti chiusi deformano la parola “popolo”, poiché in realtà ciò di cui parlano non è un vero popolo, ma è l’abilità di attrarre consenso allo scopo di strumentalizzare politicamente la cultura del popolo, sotto qualunque segno ideologico, al servizio del proprio progetto personale e della propria permanenza al potere», mentre «un popolo vivo, dinamico e con un futuro è quello che rimane costantemente aperto a nuove sintesi assumendo in sé ciò che è diverso. Non lo fa negando se stesso, ma piuttosto con la disposizione ad essere messo in movimento e in discussione, ad essere allargato, arricchito da altri, e in tal modo può evolversi».

Il popolo è il movimento concreto nella storia, non la massa chiusa di cui parlano i populisti. Il popolo ha un corpo e ha un’anima. Così papa Francesco è entrato da primattore nel decennio che ha visto nel mondo polarizzarsi la divisione tra potere e popolo, tra establishment stremati e distanti, l’Europa vecchia, stanca, denunciata al Parlamento europeo, e un popolo abbandonato, saccheggiato dalle parole d’ordine dei partiti e dei leader sovranisti e populisti.

Ha insegnato che il tempo è superiore allo spazio: «Dare priorità al tempo significa occuparsi di iniziare processi più che di possedere spazi», scrive Francesco nella Evangelii Gaudium, il suo manifesto. L’unità prevale sul conflitto. La realtà è più importante dell’idea. Il tutto è superiore alla parte. «Il modello è il poliedro, che riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità».

Il più contestato

Nell’epoca della crisi della fede, con le chiese vuote in Occidente, e dell’azione politica, mentre le democrazie andavano in frantumi, nel mondo che stava tornando alla brutale riaffermazione dei rapporti di forza, papa Francesco ha rappresentato un ribaltamento di prospettiva, con l’intuito e la pratica dell’esperto del cuore umano, con le sue astuzie, le sue malizie.

Un segno di contraddizione, mentre il sistema politico, economico, mediatico, andava dalla parte opposta, ritornavano le guerre, i confini, gli stati nazionali, la religione al servizio del trono e a giustificazione delle armi, il suprematismo delle razze, il narcisismo dei capi che conduce i popoli alla catastrofe, l’indifferenza globalizzata di cui parlò a Lampedusa oggi eletta a sistema. Ripercorreva al contrario, come i grani di un rosario, i confini che i leader mondani riprendevano a recintare di filo spinato.

EPA

Per questo è stato il papa più contestato e odiato degli ultimi secoli. Scelto come avversario dalle destre mondiali. Contrastato, odiato anche all’interno della chiesa, dove la rete social affiliata alla Curia e ai circoli iper-trumpiani, il nesso tra fondamentalisti evangelicali e cattolici integralisti di cui hanno scritto padre Antonio Spadaro e Marcelo Figueroa, ha provato a fare il passo finale: delegittimarlo, farlo passare per un falso papa, un usurpatore almeno finché era vivo Ratzinger, detronizzarlo, rovesciarlo.

Ma anche tra i progressisti, esaurito l’entusiasmo dei primi anni, il mito del papa illuminista costruito da Eugenio Scalfari con le sue lunghe interviste-conversazioni, è stato inglobato in un rumore di sottofondo, in cui il fatto religioso è sempre più marginale.

Il papa è stato banalizzato, il vecchio buono, simpatico e innocuo delle interviste televisive, o ignorato, o equivocato, magari ad arte, per le sue posizioni sull’Ucraina e sulla guerra a Gaza, con le frasi tagliate e cucite a uso e consumo della polemica, per gli scandali finanziari e sessuali mai finiti, dai leaks sulle finanze, con un clamoroso processo a carico dei giornalisti, alla cacciata del cardinale Becciu. Incompreso anche dai suoi, disorientati dall’assenza di un Concilio, da una rivoluzione che non è diventata istituzione.

La sorpresa della speranza

ANSA

Nonostante questo, Francesco non ha mai vacillato, per dodici anni è rimasto fedele alla sua missione. Immerso nel dramma del suo tempo, mai fuori, mai sopra, ma dentro, un pastore intriso del puzzo delle pecore, volto della chiesa in uscita. Ha continuato a rappresentare, anche per chi non crede, l’irruzione dell’imprevisto nella storia, l’innalzamento degli umili, la possibilità estrema che nonostante tutto nel mondo non sia già tutto scritto, tutto scontato, la convinzione che la salvezza arriva da un capovolgimento, come un bambino adagiato in una mangiatoia, nascosto ai grandi, rivelato ai piccoli, agli esclusi, ai derelitti che passano in questo mondo senza lasciare traccia.

«Una verità interiore appare solo con l’irruzione di un altro», ha scritto de Certeau, «perché si desti e si riveli, occorre sempre l’indiscrezione dello straniero o l’urto di una sorpresa. Bisogna essere sorpresi per diventare veri». Lo stupore non ha mai abbandonato papa Francesco. Anche quando è rimasto da solo.

Resterà la sua solitudine nella piazza San Pietro vuota durante il Covid. Il vecchio papa solo a pregare, davanti a un crocifisso, sotto la pioggia, «una tempesta inaspettata e furiosa», un segno fragilissimo e dunque potentissimo, umano, come il grido di Gesù abbandonato sulla croce, e trascendente.

Solo chi avrà il coraggio di affrontare una piazza vuota, il vuoto che avvelena le esistenze, il deserto di senso nella società individualista e secolarizzata, sembrava dire con quella sua presenza ferma, antica, millenaria, eppure contemporanea, potrà trovare nelle tenebre del non più umano in cui ci troviamo una rinascita.

L’ultimo gesto, meno di due mesi fa, è stato di condurre la chiesa nel Giubileo, senza aprire la porta santa, senza varcare la soglia, ma bussando e poi fermandosi in mezzo. Come se fosse in quel mezzo il senso dello stare oggi nella storia: una porta socchiusa.

Il giorno prima di essere eletto papa, parlando di fronte ai colleghi cardinali che stavano decidendo di votare per lui, aveva utilizzato l’immagine della porta per indicare la sua idea di chiesa: «Nell’Apocalisse Gesù dice che Lui sta sulla soglia e chiama. Il testo si riferisce al fatto che Lui sta fuori dalla porta e bussa per entrare, però a volte penso che Gesù bussi da dentro perché lo lasciamo uscire. La chiesa autoreferenziale tiene Gesù dentro di sé e non lo lascia uscire».

Sul suo letto, al ritorno in stanza, aveva trovato una rosa bianca. Pochi giorni dopo fu eletto papa.

Oggi la porta del suo pontificato si chiude, il futuro e il conclave incertissimo chiamato a scegliere il suo successore diranno quanto sia stata profonda la sua rivoluzione. «Credo nella pazienza di Dio, accogliente e dolce come una notte estiva», aveva scritto per prepararsi all’ordinazione sacerdotale nel 1969, con la lettera di nonna Rosa custodita nel breviario.

«Credo nella sorpresa di ogni giorno, fino all’incontro con quel viso meraviglioso che non so come sia, che sempre mi sfugge, ma che desidero conoscere e amare». Il suo desiderio è ora nel mistero in cui si trova, accoccolato in quel Dio che ha sempre cercato nel volto degli altri. A noi resta la sorpresa della speranza, portata nel mondo e nella storia dall’uomo che si fece chiamare Francesco.
(fonte: Domani, articolo di Marco Damilano 21/04/2025

È tornato alla Casa del Padre ed è nelle braccia del Signore #PapaFrancesco 😪❤️🙏


È tornato alla Casa del Padre
ed è nelle braccia del Signore
#PapaFrancesco


L'annuncio del camerlengo Farrell da Casa Santa Marta: il Pontefice: "Alle ore 7:35 di questa mattina il Vescovo di Roma, Francesco, è tornato alla casa del Padre. La sua vita tutta intera è stata dedicata al servizio del Signore e della Chiesa"



Poco fa Sua Eminenza, il cardinale Farrell, ha annunciato con dolore la morte di Papa Francesco, con queste parole: "Carissimi fratelli e sorelle, con profondo dolore devo annunciare la morte di nostro Santo Padre Francesco. Alle ore 7:35 di questa mattina il Vescovo di Roma, Francesco, è tornato alla casa del Padre.


La sua vita tutta intera è stata dedicata al servizio del Signore e della Sua chiesa. Ci ha insegnato a vivere i valori del Vangelo con fedeltà, coraggio ed amore universale, in modo particolare a favore dei più poveri e emarginati.


Con immensa gratitudine per il suo esempio di vero discepolo del Signore Gesù, raccomandiamo l'anima di Papa Francesco all'infinito amore misericordioso di Dio Uno e Trino”.


Urbi et Orbi, il Papa: no alla corsa al riarmo, mai più echi di morte


Urbi et Orbi, il Papa:
no alla corsa al riarmo, mai più echi di morte

Francesco affacciato dalla Loggia delle Benedizioni. Nel testo, letto dal maestro delle Celebrazioni liturgiche Ravelli, l’appello per il cessate il fuoco a Gaza e per la pace in Ucraina e l’invito a sostenere la popolazione del Myanmar colpita dal sisma. “Nessuna pace è possibile senza disarmo”, afferma il Pontefice che invoca il rispetto della libertà religiosa e chiede di liberare i prigionieri di guerra e quelli politici durante il Giubileo. Al termine giro in papamobile in Piazza San Pietro



Cari fratelli e sorelle, buona Pasqua!

Come un vento leggero, la voce di Francesco si diffonde nella città e nel mondo. Alle 12.02 le pesanti tende di velluto della Loggia delle Benedizioni si aprono per permettere al Papa di fare il suo ingresso sul luogo cuore della facciata della Basilica di San Pietro. Dopo il rincorrersi per settimane di ipotesi e previsioni, il Pontefice si è fatto presente ad uno degli appuntamenti più importanti per la vita della Chiesa, la benedizione Urbi et Orbi di Pasqua. La impartisce lui stesso dopo la lettura del tradizionale messaggio e dopo un giro, a sorpresa, in papamobile tra i fedeli. Il primo dal giorno delle dimissioni dal Policlinico Gemelli.

Il Papa affacciato dalla Loggia delle Benedizioni (VATICAN MEDIA Divisione Foto)

L’arrivo del Pontefice alla Loggia viene accompagnato da una ovazione che sale da Piazza San Pietro. Una piazza gremita, assolata, fiorita. Circa 35 mila i fedeli riuniti nell’emiciclo del Bernini che poco prima hanno partecipato alla Messa di Pasqua presieduta, su delega del Pontefice, dal cardinale Angelo Comastri. Altri due cardinali sono ai lati del Papa sulla Loggia: il protodiacono Dominique Mamberti e Fernando Vérgez Alzaga, presidente emerito del Governatorato vaticano. È monsignor Diego Ravelli, maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie, a leggere il messaggio pasquale del Pontefice. È il Papa stesso a comunicarlo alla folla.

Chiedo al maestro delle celebrazioni di leggere il messaggio


Una crudeltà bombardare scuole e ospedali

Prima dagli altoparlanti è risuonata la fanfara con l’inno dello Stato della Città del Vaticano, seguito da un cenno dell'inno nazionale italiano. Poi gli onori militari e il picchetto della Guardia Svizzera. Gli sguardi tornano poi a rivolgersi verso l’alto man mano che monsignor Ravelli dà lettura delle parole del Successore di Pietro. Parole di implorazione perché la resurrezione della Pasqua possa giungere in un mondo che sembra brancolare nel buio della morte e delle guerre, delle lacerazioni politiche e sociali e delle divisioni fratricide, della corsa al riarmo e delle crudeltà belliche.

Non venga mai meno il principio di umanità come cardine del nostro agire quotidiano. Davanti alla crudeltà di conflitti che coinvolgono civili inermi, attaccano scuole e ospedali e operatori umanitari, non possiamo permetterci di dimenticare che non vengono colpiti bersagli, ma persone con un’anima e una dignità.

Il male non ha più dominio

Palestina, Israele, Ucraina, Yemen, Repubblica Democratica del Congo, Armenia e Azerbaigian, Sudan, Sud Sudan Myanmar, sono alcuni dei territori martoriati che il Vescovo di Roma elenca nel suo messaggio, invocando su di essi la luce della Pasqua.

L’amore ha vinto l’odio. La luce ha vinto le tenebre. La verità ha vinto la menzogna. Il perdono ha vinto la vendetta. Il male non è scomparso dalla nostra storia, rimarrà fino alla fine, ma non ha più il dominio, non ha più potere su chi accoglie la grazia di questo giorno

Alle “sorelle” e ai “fratelli” nel dolore e nell’angoscia, Francesco assicura: “Il vostro grido silenzioso è stato ascoltato, le vostre lacrime sono state raccolte, nemmeno una è andata perduta! Nella passione e nella morte di Gesù, Dio ha preso su di sé tutto il male del mondo e con la sua infinita misericordia l’ha sconfitto: ha sradicato l’orgoglio diabolico che avvelena il cuore dell’uomo e semina ovunque violenza e corruzione”.

Piazza San Pietro gremita di fedeli (Vatican Media)

La festa della vita e la volontà di morte

“Cristo è risorto!” e in questo annuncio è racchiuso tutto il senso della esistenza umana che “non è fatta per la morte ma per la vita", afferma il Pontefice. “La Pasqua è la festa della vita”, ribadisce; agli occhi di Dio “ogni vita è preziosa”: “Quella del bambino nel grembo di sua madre, come quella dell’anziano o del malato, considerati in un numero crescente di Paesi come persone da scartare”.

Quanta volontà di morte vediamo ogni giorno nei tanti conflitti che interessano diverse parti del mondo! Quanta violenza vediamo spesso anche nelle famiglie, nei confronti delle donne o dei bambini! Quanto disprezzo si nutre a volte verso i più deboli, gli emarginati, i migranti!

"La pace è possibile"

Auspicio del Vescovo di Roma è che in questo giorno si torni a sperare, ad avere fiducia negli altri, “anche in chi non ci è vicino o proviene da terre lontane con usi, modi di vivere, idee, costumi diversi da quelli a noi più familiari”. Perché “siamo tutti figli di Dio!”.

“Vorrei che tornassimo a sperare che la pace è possibile!”

A Gaza situazione umanitaria drammatica e ignobile

Lo sguardo del Papa va quindi al Santo Sepolcro, dove quest’anno la Pasqua è celebrata nello stesso giorno da cattolici e ortodossi e da dove giungono notizie di tensioni. Da quel luogo sacro “s’irradi la luce della pace su tutta la Terra Santa e sul mondo intero”, è l’augurio di Jorge Mario Bergoglio, che ribadisce la sua vicinanza “alle sofferenze dei cristiani in Palestina e in Israele, così come a tutto il popolo israeliano e a tutto il popolo palestinese”.

Preoccupa il crescente clima di antisemitismo che si va diffondendo in tutto il mondo. In pari tempo, il mio pensiero va alla popolazione e in modo particolare alla comunità cristiana di Gaza, dove il terribile conflitto continua a generare morte e distruzione e a provocare una drammatica e ignobile situazione umanitaria. Faccio appello alle parti belligeranti: cessate il fuoco, si liberino gli ostaggi e si presti aiuto alla gente, che ha fame e che aspira ad un futuro di pace!

Con eguale vigore il Papa prega per le comunità cristiane in Libano e in Siria, quest’ultima che vive “un passaggio delicato della sua storia”. Entrambi i Paesi “ambiscono alla stabilità e alla partecipazione alle sorti delle rispettive Nazioni” e Francesco esorta “tutta la Chiesa” ad accompagnare “con l’attenzione e con la preghiera” i cristiani dell’amato Medio Oriente. Un pensiero speciale va pure al popolo dello Yemen, che sta vivendo “una delle peggiori crisi umanitarie ‘prolungate’ del mondo a causa della guerra”. L’invito è per tutti: “Trovare soluzioni attraverso un dialogo costruttivo”.

Celebrazioni pasquali a Bucha, in Ucraina

Pace giusta e duratura per l'Ucraina

Non manca e non può mancare nel messaggio per l’Urbi et Orbi un riferimento alla “martoriata Ucraina”

Incoraggio tutti gli attori coinvolti a proseguire gli sforzi volti a raggiungere una pace giusta e duratura

E non manca, il Papa, di menzionare - come già in altre occasioni - il Caucaso Meridionale con la preghiera che “si giunga presto alla firma e all’attuazione di un definitivo Accordo di pace tra l’Armenia e l’Azerbaigian, che conduca alla tanto desiderata riconciliazione nella Regione”.

Papa Francesco auspica poi “propositi di concordia” nei Balcani occidentali affinché i partner della Regione respingano “comportamenti pericolosi e destabilizzanti”. Chiede “pace e conforto” per le popolazioni africane vittime di violenze e conflitti, soprattutto in Repubblica Democratica del Congo, Sudan e Sud Sudan, Sahel, Corno d’Africa e nella Regione dei Grandi Laghi. Pace e sostegno anche per “i cristiani che in molti luoghi non possono professare liberamente la loro fede”.

Nessuna pace è possibile laddove non c’è libertà religiosa o dove non c’è libertà di pensiero e di parola e il rispetto delle opinioni altrui

No a una corsa al riarmo

“Nessuna pace è possibile senza un vero disarmo”, afferma Papa Francesco: “L’esigenza che ogni popolo ha di provvedere alla propria difesa non può trasformarsi in una corsa generale al riarmo”.

La luce della Pasqua ci sprona ad abbattere le barriere che creano divisioni e sono gravide di conseguenze politiche ed economiche. Ci sprona a prenderci cura gli uni degli altri, ad accrescere la solidarietà reciproca, ad adoperarci per favorire lo sviluppo integrale di ogni persona umana

Bombardamenti a Gaza (AFP or licensors)

Sostegno al Myanmar, colpito dal terremoto e dalle violenze

Ancora una volta il Papa eleva preghiere per il Myanmar, già tormentato da anni di conflitto armato, e che ora affronta “con coraggio e pazienza” le conseguenze del devastante terremoto a Sagaing, “causa di morte per migliaia di persone e motivo di sofferenza per moltissimi sopravvissuti, tra cui orfani e anziani”. “Preghiamo – domanda il Pontefice - per le vittime e per i loro cari e ringraziamo di cuore tutti i generosi volontari che svolgono le attività di soccorso. L’annuncio del cessate-il-fuoco da parte di vari attori nel Paese è un segno di speranza per tutto il Myanmar”.

Faccio appello a tutti quanti nel mondo hanno responsabilità politiche a non cedere alla logica della paura che chiude, ma a usare le risorse a disposizione per aiutare i bisognosi, combattere la fame e favorire iniziative che promuovano lo sviluppo. Sono queste le “armi” della pace: quelle che costruiscono il futuro, invece di seminare morte!

Infine, a conclusione del messaggio, prima della benedizione Urbi et Orbi, un appello per questo Anno giubilare in corso: “La Pasqua sia anche l’occasione propizia per liberare i prigionieri di guerra e quelli politici!”

Il saluto del Papa alla signora Carmela Mancuso fuori dalla Basilica di San Pietro (Vatican Media)

Il giro in papamobile e il saluto alla "signora dai fiori gialli"

A conclusione della benedizione, il cardinale protodiacono annuncia la concessione dell’indulgenza plenaria a “tutti i fedeli presenti e a quelli che ricevono la sua benedizione, a mezzo della radio, della televisione e delle nuove tecnologie di comunicazione”.

A sorpresa, il Papa esce poi in papamobile dall'Arco delle Campane per fare il giro della piazza e salutare i fedeli, divenuti intanto circa 50 mila. È il primo giro in auto scoperta dal giorno delle dimissioni dal Policlinico Gemelli, il 23 marzo scorso. E il ricordo di quella domenica, quando 3 mila fedeli erano accorsi all'ospedale per salutare il Papa che terminava la sua degenza, torna nel fotogramma - sempre di oggi - del Papa che saluta, fuori dalla Basilica, la signora Carmela Mancuso, per tutti "Carmelina" o meglio "la signora dai fiori gialli", la donna calabrese sempre presente durante il ricovero che dal balcone del Policlinico aveva voluto salutare e ringraziare.
(fonte: Vatican News, articolo di Salvatore Cernuzio 20/04/2025)