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venerdì 17 gennaio 2025

Siamo tutti ostaggi di Tonio Dell'Olio

Siamo tutti ostaggi 
di Tonio Dell'Olio



Un'etimologia germanica e longobarda dice che la parola tregua indica un patto che dà origine a una sospensione dei combattimenti.

Che la tregua riguardi sempre e soltanto i due belligeranti non è affatto vero. Credo che non v'è persona al mondo che non veda l'ora di tirare il più classico dei sospiri di sollievo insieme alle centinaia di migliaia di persone che nella Striscia di Gaza hanno vissuto 476 giorni sotto la minaccia quotidiana di essere bombardati, di morire per una malattia non curabile o per fame o per inedia. Per non parlare di prigionieri e ostaggi da una parte e dall'altra. Sì, a guardar bene, siamo stati tutte e tutti in guerra perché tutte e tutti minacciati da una cultura di ritorno dell'odio e della violenza con tanto di ceralacca della legittimazione. Siamo tutti ostaggi di chi dice che questo era il prezzo da pagare per rendere il mondo più sicuro e più giusto. E oggi, noi ostaggi, in attesa d'essere riconsegnati alla vita, vittime e carnefici, se un barlume di onestà ancora ci resta, siamo costretti ad ammettere che il mondo è oggi più insicuro di ieri e che in questi 476 giorni un futuro incerto e violento ha affondato di più le sue radici. Tutto questo serve a comprendere l'ubriacatura della tregua ma anche a promettersi gli uni gli altri di lavorare sodo per tentare di sradicare le radici del male da quella Terra santa.

(Fonte: Mosaico dei Giorni - 16 gennaio 2025)

giovedì 16 gennaio 2025

Troppo odio, ripensare la fratellanza di Massimo Recalcati

Troppo odio, 
ripensare la fratellanza 
di Massimo Recalcati


                                                              (Pubblicato su "La Repubblica" - 15 gennaio 2025)

A proposito del conflitto israeliano-palestinese diversi commentatori politici hanno fatto notare come uno degli ostacoli maggiori di fronte all’ipotesi dei Due popoli in Due Stati sia la presenza di spinte fondamentaliste di tipo religioso attive da ambo le parti. È una osservazione che condivido perché il discorso religioso quando viene sequestrato dal fanatismo fondamentalista tende sempre a imporre l’Uno sul Due. In questo senso esso sarebbe strutturalmente allergico al principio della democrazia che è invece sempre un’esperienza radicale del lutto dell’Uno nel nome del Due. Varrebbe la pena a questo proposito ricordare che il primo moto che orienta i legami tra i fratelli non è quello della fratellanza ma quello dell’odio e dell’inimicizia: l’odio è più antico dell’amore, il ripudio del fratello o della sorella più originario rispetto alla loro accoglienza. Questo per una ragione evidente: la nascita del fratello o della sorella impone un decentramento inevitabile alla vita del figlio, il quale è costretto a esporsi giocoforza al regime plurale del Due, all’impossibilità di essere un Uno tutto solo.

In gioco è la difficile esperienza del lutto dell’Uno. Non è, infatti, possibile sottrarsi all’incontro traumatico con il Due, non è possibile consistere solo di se stessi.

Accade, come sanno bene gli psicoanalisti, anche ai cosiddetti figli unici. Essi non solo vivono sospesi al fantasma sempre in agguato della nascita di un possibile fratello o sorella, ma molto spesso si trovano nella necessità narcisistica di ribadire costantemente la loro condizione di superiorità.

Non a caso Franco Fornari, che fu mio professore all’Università Statale di Milano nei primi anni Ottanta, quando qualche studente indugiava troppo nel formulare in aula domande che assomigliavano più a veri e propri interventi, usava chiedere loro, con aria un po’ maliziosa: «Mi scusi, ma lei è figlio unico?».

Sapeva bene il mio vecchio professore quanto l’esistenza di un fratello o di una sorella introduca nella vita del figlio l’esperienza benefica, sebbene traumatica, di un limite e quanto sia difficile accettarne l’esistenza.

Nella prospettiva della psicoanalisi i legami fraterni o di sorellanza rischiano da una parte la fusione incestuosa, la spinta a costituire un solo tragico corpo come accade ai gemelli ginecologi raccontati da Cronenberg negli Inseparabili. L’illusione della consanguineità favorisce questa distorsione perversa: il Due sarebbe solo una manifestazione apparente della sostanza inscalfibile dell’Uno. Non a caso tutti i deliri totalitari sono ossessionati dalla negazione di ogni forma di plurilinguismo. Per un’altra parte però i fratelli e le sorelle rischiano il conflitto aperto, la lotta senza esclusione di colpi, l’aggressività inesausta di una rivalità irriducibile (Romolo e Remo, Caino e Abele, Giacobbe e Esaù, ecc). È l’altra faccia della stessa medaglia poiché sia la follia della fusione sia quella della rivalità fratricida vorrebbero sopprimere il Due.

Il mito di Narciso che si specchia nella rappresentazione ideale di se stesso converge in questo senso con quello di Caino che uccide il fratello Abele mosso dall’invidia nei confronti di chi incarnava il proprio ideale. Invece di intraprendere il lutto dell’Uno imposto dall’esistenza del Due, Caino vorrebbe, infatti, cancellare per sempre il Due al fine di continuare a essere “l’unico” e il “solo” figlio.

È questo uno dei complessi psichici a fondamento del fenomeno collettivo della guerra: difesa a oltranza dell’Uno di fronte alla minaccia destabilizzante del Due. Non a caso i vissuti che scaturiscono dalla nascita di un fratello e di una sorella non sono mai solo di gioia, ma evocano sempre anche l’intrusione e l’esclusione. Il fratello e la sorella incarnano, infatti, la minaccia sempre possibile della nostra sostituzione. Si tratta di una esperienza di intrusione che ha come effetto principale una espropriazione: “il mio posto è stato preso da un altro”.

Ma come si diviene fratelli e sorelle al di là del mito della consanguineità che sostiene l’illusione fondamentalista dell’Uno che vorrebbe escludere il Due? Come si realizza una fratellanza e una sorellanza che non siano preda dell’odio? Si tratta di realizzare un legame solidale discreto senza la pretesa che tutto sia condiviso, senza annullare l’esistenza separata dell’altro, senza voler a tutti costi costringere il reale del Due dentro il recinto chiuso dell’Uno.

È quello che possiamo trovare nel gesto solo apparentemente enigmatico con il quale Esaù e Giacobbe si abbracciano lasciandosi alle spalle la lotta a morte per il loro prestigio, decidendo però di seguire due cammini differenti, di rimanere Due. Ne L’Arminuta di Donatella Di Pietrantonio è quello che viene descritto attraverso l’amore della protagonista per una sorella la cui differenza radicale assomiglia all’estraneità anarchica del mare. Accade, insomma, ogni volta che la nostra vita sceglie la vertigine del Due rinunciando a volere fare e essere Uno con l’altro.

(Fonte: sito dell'autore)

mercoledì 15 gennaio 2025

PAPA FRANCESCO - Si converta il cuore di chi fabbrica armi, i loro prodotti aiutano a uccidere - Udienza generale del 15 gennaio 2025 (Testo e video)

PAPA FRANCESCO: 
Si converta il cuore di chi fabbrica armi,
i loro prodotti aiutano a uccidere

Udienza generale del 15 gennaio 2025 
(Testo e video)

Il Papa, al termine della catechesi dell’udienza generale, torna a lanciare un appello contro la guerra che “è sempre una sconfitta”. Chiede poi di pregare per la conversione di chi produce armamenti e per le vittime della frana a Hpakant, in Myanmar: “Non manchino sostegno e solidarietà della comunità internazionale”. Esibizione in Aula Paolo VI del Circo Rony Roller


GUARDA IL VIDEO

Udienza integrale




Il testo qui di seguito include anche parti non lette che sono date ugualmente come pronunciate.

Catechesi. I più amati dal Padre. 2

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Nell’udienza precedente abbiamo parlato dei bambini, e anche oggi parleremo dei bambini.
La scorsa settimana ci siamo soffermati su quanto, nella sua opera, Gesù abbia più volte parlato dell’importanza di proteggere, accogliere e amare i più piccoli.

Eppure, ancora oggi nel mondo, centinaia di milioni di minori, pur non avendo l’età minima per sottostare agli obblighi dell’età adulta, sono costretti a lavorare e molti di loro sono esposti a lavori particolarmente pericolosi. Per non parlare dei bambini e delle bambine che sono schiavi della tratta per prostituzione o pornografia, e dei matrimoni forzati. E questo è un po’ amaro. Nelle nostre società, purtroppo, sono molti i modi in cui i bambini subiscono abusi e maltrattamenti
L’abuso sui minori, di qualunque natura esso sia, è un atto spregevole, è un atto atroce. Non è semplicemente una piaga della società, no, è un crimine! È una gravissima violazione dei comandamenti di Dio. Nessun minore dovrebbe subire abusi. Anche un solo caso è già troppo. Occorre, dunque, risvegliare le nostre coscienze, praticare vicinanza e concreta solidarietà con i bambini e i ragazzi abusati, e nello stesso tempo costruire fiducia e sinergie tra coloro che si impegnano per offrire ad essi opportunità e luoghi sicuri in cui crescere sereni. Conosco un Paese in America Latina, dove cresce un frutto speciale, molto speciale, che si chiama arandano [una specie di mirtillo]. Per fare la raccolta dell’arandano ci vogliono mani tenere e la fanno fare ai bambini, li schiavizzano da bambini per la raccolta.

Le povertà diffuse, la carenza di strumenti sociali di supporto alle famiglie, la marginalità aumentata negli ultimi anni insieme con la disoccupazione e la precarietà del lavoro sono fattori che scaricano sui più piccoli il prezzo maggiore da pagare. Nelle metropoli, dove “mordono” il divario sociale e il degrado morale, ci sono ragazzini impiegati nello spaccio di droga e nelle più disparate attività illecite. Quanti di questi ragazzini abbiamo visto cadere come vittime sacrificali! A volte tragicamente essi sono indotti a farsi “carnefici” di altri coetanei, oltre che a danneggiare sé stessi, la propria dignità e umanità. E tuttavia, quando in strada, nel quartiere della parrocchia, queste vite smarrite si offrono al nostro sguardo, spesso guardiamo dall’altra parte.

C’è un caso anche nel mio Paese, un ragazzo chiamato Loan è stato rapito e non si sa dov’è. E una delle ipotesi è che sia stato mandato per togliere gli organi, per fare trapianti. E questo si fa, lo sapete bene. Questo si fa! Alcuni tornano con la cicatrice, altri muoiono. Per questo io vorrei oggi ricordare questo ragazzo Loan.

Ci costa riconoscere l’ingiustizia sociale che spinge due bambini, magari abitanti dello stesso rione o condominio, a imboccare strade e destini diametralmente opposti, perché uno dei due è nato in una famiglia svantaggiata. Una frattura umana e sociale inaccettabile: tra chi può sognare e chi deve soccombere. Ma Gesù ci vuole tutti liberi, felici; e se ama ogni uomo e ogni donna come suo figlio e figlia, ama i più piccoli con tutta la tenerezza del suo cuore. Perciò ci chiede di fermarci e di prestare ascolto alla sofferenza di chi non ha voce, di chi non ha istruzione. Combattere lo sfruttamento, in particolare quello minorile, è la strada maestra per costruire un futuro migliore per tutta la società. Alcuni Paesi hanno avuto la saggezza di scrivere i diritti dei bambini. I bambini hanno diritti. Cercate voi stessi su internet quali sono i diritti del bambino.

E allora possiamo chiederci: io cosa posso fare? Prima di tutto dovremmo riconoscere che, se vogliamo sradicare il lavoro minorile, non possiamo esserne complici. E quando lo siamo? Ad esempio quando acquistiamo prodotti che impiegano il lavoro dei bambini. Come posso mangiare e vestirmi sapendo che dietro quel cibo o quegli abiti ci sono bambini sfruttati, che lavorano invece di andare a scuola? La consapevolezza su quello che acquistiamo è un primo atto per non essere complici. Vedere da dove vengono quei prodotti. Qualcuno dirà che, come singoli, non possiamo fare molto. È vero, ma ciascuno può essere una goccia che, insieme a tante altre gocce, può diventare un mare. Occorre però richiamare anche le istituzioni, comprese quelle ecclesiali, e le imprese alla loro responsabilità: possono fare la differenza spostando i loro investimenti verso compagnie che non usano e non permettono il lavoro minorile. Molti Stati e Organizzazioni Internazionali hanno già emanato leggi e direttive contro il lavoro minorile, ma si può fare di più. Esorto anche i giornalisti – ci sono qui alcuni giornalisti – a fare la loro parte: possono contribuire a far conoscere il problema e aiutare a trovare soluzioni. Non abbiate paura, denunciate, denunciate queste cose.

E ringrazio tutti coloro che non si voltano dall’altra parte quando vedono bambini costretti a diventare adulti troppo presto. Ricordiamo sempre le parole di Gesù: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). Santa Teresa di Calcutta, gioiosa operaia nella vigna del Signore, è stata madre delle bambine e dei bambini tra i più disagiati e dimenticati. Con la tenerezza e l’attenzione del suo sguardo, lei può accompagnarci a vedere i piccoli invisibili, i troppi schiavi di un mondo che non possiamo lasciare alle sue ingiustizie. Perché la felicità dei più deboli costruisce la pace di tutti. E con Madre Teresa diamo voce ai bambini:


«Chiedo un luogo sicuro
dove posso giocare.
Chiedo un sorriso
di chi sa amare.
Chiedo il diritto di essere un bambino,
di essere speranza
di un mondo migliore.
Chiedo di poter crescere
come persona.
Posso contare su di te?» 
(S. Teresa di Calcutta)



Grazie.


Papa Francesco: La vita richiede umiltà

Papa Francesco:  
La vita richiede umiltà


Papa Francesco in Spera. L’autobiografia (Mondadori), racconta per la prima volta due episodi tragici della sua adolescenza: il compagno di classe che assassinò un amico e poi si suicidò, e il ragazzino che uccise la madre. E introduce il suo rapporto con Borges, le cui parole chiosano meravigliosamente i drammi appena evocati. 




Non si sarebbero diplomati tutti quanti insieme, alla fine dell’anno 1955, quei quattordici ragazzi che nel marzo di sei anni prima misero piede per la prima volta alla Escuela Técnica Especializada en Industrias Quimicas N° 12, pieni di speranze. Non tutti, purtroppo. Qualcuno sarebbe tragicamente caduto lungo il cammino. Era il figlio di un poliziotto. E probabilmente, per molti versi, il più intelligente e dotato di noi tutti, appassionato e profondo conoscitore di musica classica e con una cultura letteraria pari alla sua preparazione musicale… Era un genio quel ragazzone grande e grosso, il più corpulento fra noi. Un genio. Ma la mente dell’uomo a volte è un mistero insondabile. E un giorno che pareva tale quale agli altri quel ragazzo ha preso la pistola del padre e ha ucciso un coetaneo, un suo amico del quartiere. La notizia deflagrò come un colpo di pistola anche per noi, ci scioccò. Lo rinchiusero nella sezione penale del manicomio, e andai a trovarlo. Fu la mia prima, concreta esperienza del carcere, due volte prigione perché era anche serraglio per malati di mente. Potei salutare il mio amico solo da una finestrina minuscola, un francobollo tagliato in quattro da una grata e incorniciato da una pesante porta di ferro. E fu terribile, ne restai profondamente turbato. Ci tornai con alcuni compagni, per fargli visita. Qualche giorno dopo, invece, sentii a scuola un inserviente e dei ragazzi di un altro corso sparlarne in tono di scherno. Mi infuriai. Dissi loro di tutto, quindi mi precipitai dal direttore per esprimere la mia riprovazione: per dire che cose simili non sarebbero dovute più accadere, che era ancor più grave fosse coinvolto pure un inserviente, che quel ragazzo stava già patendo abbastanza, tra manicomio e carcere. Quella sfuriata mi avrebbe conferito a scuola una qualche fama di uomo retto, non so quanto meritata; accade così per la fama. Il mio amico poi fu mandato in riformatorio e continuammo a scriverci, si salvò dall’ergastolo perché al tempo dei fatti era ancora minorenne. Venne liberato alcuni anni dopo.
Dopo il diploma, quando già ero nel noviziato, un mio ex compagno mi telefonò: mi disse che era riuscito a mettersi in contatto con la sorella di quel ragazzo, e che lei, afflitta, gli aveva riferito che, poco dopo essere uscito dal riformatorio, si era suicidato. Avrà avuto ventiquattro anni. A volte, come dice il salmo, il cuore dell’uomo è un abisso. Fu un dolore, che ne riportò alla mente e al cuore un altro. Facevo il quarto anno quando sull’autobus fui avvicinato da un ragazzino del primo. Mi pare mi avesse domandato se potevo procurargli un qualche libro che gli serviva, io dissi di sì, che l’avevo a casa e glielo avrei portato, e così iniziò il rapporto. Era figlio unico, e a scuola ben noto per i problemi disciplinari che causava. Io avevo già sentito in me la chiamata, percepivo in modo intenso la mia vocazione, che tuttavia non avevo espresso ad altri, vidi che quel ragazzino non aveva fatto ancora la prima comunione e, insomma, cominciai ad accompagnarlo, a parlargli, a prendermene cura come potevo. Andai anche a casa sua a conoscere i genitori, due brave persone, la famiglia Heredia, ma… Ma alla fine, quando facevo il sesto, quel ragazzino uccise la mamma con un coltello. Avrà avuto quindici anni, non di più. Ricordo la veglia funebre in quella casa, il volto terreo del padre, il suo dolore doppio, senza pace. Pareva la maschera di Giobbe: «Si offusca per il dolore il mio occhio e le mie membra non sono che ombra» (Gb 17,7).

Anche quella notizia irruppe a scuola come un temporale, potrei forse dire che ci compenetrò alla tragicità e alla complessità della vita. Ha scritto Jorge Luis Borges: «Ho tentato, non so con quale fortuna, di comporre dei racconti lineari. Non oso affermare che siano semplici; non c’è sulla terra una sola pagina, una sola parola che lo sia». 
Serve umiltà per rappresentare l’esperienza complessa della vita. Ho apprezzato e stimato molto Borges, mi colpivano la serietà e la dignità con le quali viveva la sua esistenza. Era un uomo molto saggio e molto profondo. Quando, appena ventisettenne, divenni insegnante di letteratura e psicologia nel Colegio de la Inmaculada Concepción di Santa Fe, tenni un corso di scrittura creativa per gli studenti e pensai di mandargli, attraverso la sua segretaria, che era stata mia insegnante di pianoforte, due racconti scritti dai ragazzi. Apparivo ancora più giovane di quanto ero, tanto che gli studenti tra loro mi avevano soprannominato Carucha (faccia da bambino), e Borges invece era già uno dei più celebrati autori del Novecento; eppure se li fece leggere – dal momento che era ormai praticamente cieco – e per di più gli piacquero molto. Lo invitai pure a tenere alcune lezioni sul tema dei gauchos in letteratura e lui accettò; poteva parlare di qualsiasi cosa, senza mai darsi arie. A sessantasei anni, prese un pullman a Buenos Aires e viaggiò per otto ore, di notte, per raggiungere Santa Fe. In una di quelle occasioni giungemmo in ritardo perché, quando arrivai a prenderlo in albergo, mi chiese se potevo aiutarlo a farsi la barba. Era un agnostico che ogni sera recitava il Padre nostro perché lo aveva promesso alla madre, e che sarebbe morto con i conforti religiosi. Non può che essere uomo di spiritualità colui che scrisse parole come queste: «Abele e Caino s’incontrarono dopo la morte di Abele. Camminavano nel deserto e si riconobbero da lontano, perché erano ambedue molto alti. I fratelli sedettero in terra, accesero un fuoco e mangiarono. Tacevano, come fa la gente stanca quando declina il giorno. Nel cielo spuntava qualche stella, che non aveva ancora ricevuto il suo nome. Alla luce delle fiamme, Caino notò sulla fronte di Abele il segno della pietra e lasciando cadere il pane che stava per portare alla bocca chiese che gli fosse perdonato il suo delitto. Abele rispose: “Tu mi hai ucciso, o io ho ucciso te? Non ricordo più; stiamo qui insieme come prima”. “Ora so che mi hai perdonato davvero” disse Caino, “perché dimenticare è perdonare. Anch’io cercherò di dimenticare…”».

(Fonte: "La Stampa" - 12 gennaio 2025)


martedì 14 gennaio 2025

Papa Francesco «Molti di voi si trovano qui, a Roma, come “pellegrini di speranza”. ... Il Giubileo, infatti, è un nuovo inizio, la possibilità per tutti di ripartire da Dio. ... Sorelle e fratelli, questa è la parola: ricominciare.» Udienza Giubilare 11/01/2025 (foto, testo e video)

UDIENZA GIUBILARE

DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Aula Paolo VI
Sabato, 11 gennaio 2025



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Sperare è ricominciare – Giovanni Battista


Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Molti di voi si trovano qui, a Roma, come “pellegrini di speranza”. Iniziamo questa mattina le udienze giubilari del sabato, che vogliono idealmente accogliere e abbracciare tutti coloro che da ogni parte del mondo vengono a cercare un nuovo inizio. Il Giubileo, infatti, è un nuovo inizio, la possibilità per tutti di ripartire da Dio. Col Giubileo si incomincia una nuova vita, una nuova tappa.

In questi sabati vorrei evidenziare, di volta in volta, qualche aspetto della speranza. È una virtù teologale. E in latino virtus vuol dire “forza”. La speranza è una forza che viene da Dio. La speranza non è un’abitudine o un tratto del carattere – che si ha o non si ha –, ma una forza da chiedere. Per questo ci facciamo pellegrini: veniamo a chiedere un dono, per ricominciare nel cammino della vita.

Stiamo per celebrare la festa del Battesimo di Gesù e questo ci fa pensare a quel grande profeta di speranza che fu Giovanni Battista. Di lui Gesù disse qualcosa di meraviglioso: che è il più grande fra i nati di donna (cfr Lc 7,28). Capiamo allora perché tanta gente accorreva da lui, col desiderio di un nuovo inizio, col desiderio di ricominciare. E il Giubileo ci aiuta in questo. Il Battista appariva davvero grande, appariva credibile nella sua personalità. Come noi oggi attraversiamo la Porta santa, così Giovanni proponeva di attraversare il fiume Giordano, entrando nella Terra Promessa come era avvenuto con Giosuè la prima volta, ricominciare, ricevere la terra da capo, come la prima volta. Sorelle e fratelli, questa è la parola: ricominciare. Mettiamoci questo in testa e diciamo tutti insieme: “ricominciare”. Diciamolo insieme: ricominciare! [tutti ripetono più volte] Ecco, non dimenticatevi di questo: ricominciare.

Gesù però, subito dopo quel grande complimento, aggiunge qualcosa che ci fa pensare: «Io vi dico: fra i nati da donna non vi è alcuno più grande di Giovanni, ma il più piccolo nel regno di Dio è più grande di lui» (v. 28). La speranza, fratelli e sorelle, è tutta in questo salto di qualità. Non dipende da noi, ma dal Regno di Dio. Ecco la sorpresa: accogliere il Regno di Dio ci porta in un nuovo ordine di grandezza. Di questo il nostro mondo, tutti noi abbiamo bisogno! E noi, cosa dobbiamo fare? [Tutti: “Ricominciare!”] non dimenticatevi questo.

Quando Gesù pronuncia quelle parole, il Battista è in carcere, pieno di interrogativi. Anche noi portiamo nel nostro pellegrinaggio tante domande, perché sono molti gli “Erode” che ancora contrastano il Regno di Dio. Gesù, però, ci mostra la strada nuova, la strada delle Beatitudini, che sono la legge sorprendente del Vangelo. Ci chiediamo, allora: ho dentro di me un vero desiderio di ricominciare? Pensateci, ognuno di voi: dentro di me, voglio ricominciare? Ho voglia di imparare da Gesù chi è veramente grande? Il più piccolo, nel Regno di Dio, è grande. Perché noi dobbiamo… [Tutti: “Ricominciare!”].

Da Giovanni Battista, allora, impariamo a ricrederci. La speranza per la nostra casa comune – questa nostra Terra tanto abusata e ferita – e la speranza per tutti gli esseri umani sta nella differenza di Dio. La sua grandezza è diversa. E noi ricominciamo da questa originalità di Dio, che è brillata in Gesù e che ora ci impegna a servire, ad amare fraternamente, a riconoscerci piccoli. E a vedere i più piccoli, ad ascoltarli e a essere la loro voce. Ecco il nuovo inizio, questo è il nostro giubileo. E allora noi dobbiamo… [Tutti: “Ricominciare!”]. Grazie.

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Saluti

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Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i fedeli di Chieti-Vasto accompagnati dal loro Arcivescovo, un grande teologo; i ragazzi “Cavalieri del Graal”; il Volontariato Vincenziano, le Associazioni degli Amici dei Musei Italiani; i gruppi del Municipio V di Roma.

Accolgo con affetto i Funzionari del Gran Consiglio del Canton Ticino.

Il mio pensiero va infine ai giovani, agli ammalati, agli anziani e agli sposi novelli. Vi incoraggio a vivere bene l’anno del Giubileo, che offre la possibilità di attingere al tesoro di grazia e di misericordia da Dio affidato alla Chiesa. E cari fratelli, care sorelle preghiamo per la pace. Non dimentichiamo mai che la guerra è una sconfitta, sempre! Preghiamo per i Paesi in guerra, che arrivi la pace.

E a tutti la mia benedizione!















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La rivoluzione di Trump, il protagonismo di Musk e il futuro della nostra democrazia di Giuseppe Savagnone

La rivoluzione di Trump, 
il protagonismo di Musk
e il futuro della nostra democrazia
di Giuseppe Savagnone



Una nuova visione del ruolo internazionale della democrazia

Il comprensibile entusiasmo dei giornali e dell’opinione pubblica per la liberazione di Cecilia Sala rischia di far perdere di vista la problematicità del contesto in cui è maturato il successo dell’operazione diplomatica della nostra premier, sulla linea del suo proposito di ridare all’Italia il prestigio che, secondo lei, aveva perduto a livello internazionale.

Un richiamo a tale contesto viene dal fatto che quel successo è stato reso possibile dall’incontro cordiale della Meloni col presidente eletto degli Stati Uniti e dalla voce – subito smentita da Palazzo Chigi – che in questa occasione sia stato stretto un accordo con Elon Musk per aderire al sistema satellitare di Starlink.

Ciò che è in gioco, però, va ben al di là delle singole questioni e riguarda la posizione dell’Italia di fronte alla rivoluzione che si è verificata nello scenario mondiale con l’ascesa di Donald Trump al vertice del paese-guida dell’Occidente e del ruolo assunto dal suo ormai inseparabile partner Elon Musk.

Nel suo primo discorso da presidente eletto, Trump ha fatto delle dichiarazioni che è molto difficile situare nel quadro della prassi delle democrazie occidentali così come finora le si è concepite.

Particolare impressione ha suscitato la sua risposta a un giornalista che gli chiedeva se il suo progetto di annessione della Groenlandia e di riconquista del canale di Panama escludesse comunque l’uso della forza militare. «Non posso dare assicurazioni su nessuna delle due questioni», ha risposto.

Riguardo alla Groenlandia, Trump ha spiegato che gli USA devono ottenerne il controllo per motivi di «sicurezza nazionale», affermando che «nessuno sa se la Danimarca» – lo Stato di cui la Groenlandia fa parte – «ha un diritto legale» su di essa. Ha inoltre dichiarato che la popolazione dell’isola potrà «decidere sull’indipendenza».

Quanto a Panama, nel suo discorso il neo-presidente americano ha giustificato l’ipotesi dell’uso della forza per la sua riconquista dicendo: «Abbiamo bisogno di sicurezza economica, il canale di Panama è stato costruito dai militari, non mi impegno ora a fare questo, ma potrebbe essere quello che dovremo fare», e sottolineando che il canale di Panama «è vitale per il nostro Paese, ora è gestito dalla Cina. Noi abbiamo dato il canale a Panama non alla Cina, e loro ne hanno abusato».

Forse ancora più impressionante è stata la presa di posizione nei confronti del Canada. Il prossimo inquilino della Casa Bianca ha detto di aver l’intenzione di usare la «forza economica» (applicando dazi) nei confronti dello Stato vicino. Ma l’obiettivo è che esso diventi il 51° Stato americano.

«Potremmo liberarci di quella linea di confine costruita artificialmente e sarebbe anche molto meglio per la sicurezza nazionale». Un progetto confermato da fatto che Trump ha pubblicato, sul suo social «Truth», una mappa in cui il Canada far parte degli Stati Uniti.

Il neo-presidente ha anche voluto lanciare un avvertimento al Messico, responsabile, a suo avviso dell’immigrazione irregolare e della penetrazione della droga. «Cambierò il nome al Golfo, lo chiamerò Golfo d’America. Come suona bene!», ha detto.

Ma i suoi strali sono stati rivolti anche agli alleati della NATO, ai quali ha ribadito la necessità di aumentare le spese per la difesa se non vogliono perdere l’ombrello americano con l’uscita degli Stati Uniti dall’Alleanza. «Se lo possono permettere tutti», ha sostenuto Trump, «ma dovrebbero pagare il 5% del PIL, non solo il 2%».

È la logica del sovranismo: «Ci stiamo avvicinando all’alba dell’età dell’oro dell’America», ha concluso, davanti ai suoi sostenitori in delirio.

Siamo davanti a una visione che, secondo la valutazione di un osservatore acuto come Vittorio Parsi, «seppellisce il concetto di Occidente, che è quello invece che ha costruito il mondo del secondo dopoguerra e fino all’altro ieri». Ma che, soprattutto, cancella ogni riferimento al diritto internazionale e al suo fondamento etico, in nome del primato assoluto della «sicurezza nazionale» degli Stati Uniti e dei loro interessi economici.

Le risposte dei potenziali aggrediti

Le risposte a questo discorso non hanno tardato ad arrivare. «La Groenlandia appartiene ai groenlandesi e non è in vendita», ha avvertito la premier danese Mette Frederiksen, mentre re Frederik ha cambiato appositamente lo stemma reale per inserirvi i simboli di Groenlandia e isole Faroe.

E il ministro degli Esteri panamense Javier Martinez-Acha ha ribadito che la sovranità del Canale di Panama «non è negoziabile (…). Il Canale appartiene ai panamensi e continuerà ad essere così».

Anche il Canada ha risposto alle minacce di dazi da parte di Donald Trump dichiarando che non «farà nessun passo indietro. Le dichiarazioni del presidente eletto Trump dimostrano una totale incomprensione di ciò che rende il Canada un paese forte. Non ci arrenderemo mai di fronte alle minacce», ha dichiarato su X la ministra degli Esteri Melanie Jolie. Poco dopo, il primo ministro dimissionario Justin Trudeau ha aggiunto: «Mai e poi mai il Canada farà parte degli Stati Uniti» .

L’appoggio di Musk al neonazismo tedesco

Di questo sovranismo senza regole morali Musk è, da parte sua, il profeta a livello mediatico, con la sua rete di comunicazione appoggiata su 6.700 satelliti, a cui anche l’altro grande padrone del mondo mediatico, Mark Zuckerberg, si è ultimamente allineato, con quella che molti quotidiani hanno definito una «resa» all’ex concorrente ormai onnipotente.

Perché Musk non è ormai solo un imprenditore, ma un soggetto politico che interferisce, col suo potere economico e mediatico, nella vita interna di vari Stati. Come abbiamo già visto nelle critiche a quei magistrati italiani che ostacolano i progetti del governo italiano in tema di migrazioni.

Recentissime, poi, sono le prese di posizione di Musk a favore di Aletrnative für Deutchland, il partito tedesco di estrema destra, con forti ascendenze neonaziste, che attualmente è in Germania al secondo posto.

In una conversazione di 75 minuti con la candidata alla Cancelleria, Alice Weidel, trasmessa in questi giorni sulla propria piattaforma X – a poco più di mese dalle imminenti elezioni tedesche – , il tecnomiliardario ha collegato la linea di Trump a quella di Alternative für Deutchland: «I tedeschi devono votare per il cambiamento, come hanno fatto gli americani, e per questo raccomando con forza di votare la Afd, è puro buon senso. Solo Afd può salvare la Germania, fine della storia». La stessa logica che sta portando Musk a sostenere con ingenti finanziamenti l’estrema destra britannica, come aveva fatto con Trump nella campagna per la Casa Bianca.

Siamo davanti, insomma, a un dichiarato progetto politico-ideologico, di cui Trump, negli Stati Uniti, è l’espressione istituzionale – qualcuno, maliziosamente, dice “il braccio” – , e Musk, a livello planetario, quella culturale e finanziaria (“la mente” e il “portafoglio”).

La posizione della Meloni

Questo è il contesto in cui si è svolta la celebrata “missione” della Meloni, della cui visita Trump ha peraltro parlato come di un atto di omaggio: «La premier italiana Meloni è volata fin qui per poche ore solo per vedermi».

Non sono parole che definiscono una partnership e che sembrano piuttosto indicare un vassallaggio. E in effetti uno Stato sovrano non avrebbe avuto bisogno di chiedere il permesso per negare l’estradizione chiesta da un altro Stato. Il fatto è che il sovranismo di quello più potente può coesiste con gli altri sovranismi solo assoggettandoli e capovolgendoli, così in una dipendenza che è il loro contrario.

Certo è che la nostra premier, nella sua conferenza stampa di inizio d’anno, non ha detto una parola di critica al discorso di Trump, che pure ci riguarda direttamente, sia per la parte che concerne l’eventuale attacco militare alla Danimarca, che fa parte sia dell’UE che della NATO, sia per la richiesta di investire il 5% del PIL in spese miliari (l’Italia attualmente non riesce neppure ad arrivare al 2%).

Tanto meno – dopo aver infinite volte ripetuto, per Ucraina e Israele, la condanna verso chi aggredisce e l’appoggio incondizionato all’aggredito – ha fatto un cenno di solidarietà agli Stati minacciati da Trump.

Anzi ha definito il presidente americano «una persona che quando fa una cosa la fa per una ragione» e ha ripreso quasi alla lettera le sue argomentazioni, ricordando che «il canale di Panama fu costruito a inizi del ‘900 dagli Stati Uniti, ed è fondamentale per il mercato mondiale e per gli Usa. La Groenlandia» – ha continuato – «è un territorio particolarmente strategico, ricco di materie prime strategiche: sono territori su cui negli ultimi anni abbiamo assistito a un crescente protagonismo cinese. Per il Canada si potrebbe fare un ragionamento simile».

In conclusione Meloni – pur dicendosi personalmente convinta che l’attacco militare non ci sarà – non mette in discussione la nuova impostazione data da Trump e la condivide.

Il futuro della democrazia

Nella sua conferenza stampa la nostra premier ha parlato anche di Musk, sostenendo che «non è un pericolo per la democrazia» e che l’eventuale affidamento della sicurezza delle nostre comunicazioni militari alla rete satellitare Starlink da lui controllata è solo un problema tecnico, che verrà risolto nelle sedi competenti.

Interpellata sul sostegno elettorale dato da Musk ad Alternative für Deutschland, ha risposto che ognuno è libero di esprimere il proprio pensiero. Fingendo di non sapere che Musk non è un qualunque privato, bensì il detentore di un potere immenso che ormai sembra deciso a sfruttare senza scrupoli per un progetto politico in sintonia con quello ex nazista. È saggio mettere il nostro sistema di comunicazione militare nelle sue mani?

Non sembra eccessivo chiedersi, davanti a questo quadro quale sia il futuro dell’Occidente e, in particolare, dove stia andando il nostro paese. È molto dubbio che il suo prestigio sarà accresciuto dal ridursi ad essere il valletto di un arrogante padrone come Trump o dal mettersi sotto il controllo di Musk, magari in cambio di qualche vantaggio economico. Ma soprattutto è dubbio che, in questo contesto, possa sopravvivere quello che finora abbiamo chiamato democrazia

(Fonte: Rubrica CHIAROSCURI - 10 gennaio 2025) 

lunedì 13 gennaio 2025

PAPA FRANCESCO: "Ci sentiamo amati? Io mi sento amato e accompagnato da Dio o penso che Dio è distante da me? .." Angelus - FESTA DEL BATTESIMO DEL SIGNORE (Testo e video)

FESTA DEL BATTESIMO DEL SIGNORE

PAPA FRANCESCO

ANGELUS

Piazza San Pietro
Domenica, 12 gennaio 2025


Cari fratelli e sorelle, buona domenica!

La festa del Battesimo di Gesù, che oggi celebriamo, ci fa pensare a tante cose, anche al nostro Battesimo. Gesù si unisce al suo popolo, che va a ricevere il battesimo per il perdono dei peccati. Mi piace ricordare le parole di un inno della liturgia di oggi: Gesù va a farsi battezzare da Giovanni “con l’anima nuda e i piedi nudi”.

E quando Gesù riceve il battesimo si manifesta lo Spirito e avviene l’Epifania di Dio, che rivela il suo volto nel Figlio e fa sentire la sua voce che dice: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento» (v. 22). Il volto e la voce.

Prima di tutto il volto. Nel rivelarsi Padre attraverso il Figlio, Dio stabilisce un luogo privilegiato per entrare in dialogo e in comunione con l’umanità. È il volto del Figlio amato.

In secondo luogo la voce: «Tu sei il Figlio mio, l’amato» (v. 22). È questo un altro segno che accompagna la rivelazione di Gesù.

Cari fratelli e sorelle, la festa di oggi ci fa contemplare il volto e la voce di Dio, che si manifestano nell’umanità di Gesù. E allora chiediamoci: ci sentiamo amati? Io mi sento amato e accompagnato da Dio o penso che Dio è distante da me? Siamo capaci di riconoscere il suo volto in Gesù e nei fratelli? E siamo abituati ad ascoltare la sua voce?

Vi faccio una domanda: ognuno di noi ricorda la data del suo Battesimo? Questo è molto importante! Pensa: in quale giorno io sono stato battezzato o battezzata? E se non lo ricordiamo, arrivando a casa, chiediamo ai genitori, ai padrini la data del Battesimo. E festeggiamo la data come un nuovo compleanno: quella della nascita nello Spirito di Dio. Non dimenticatevi! Questo è un lavoro da fare a casa: la data del mio Battesimo.

Affidiamoci alla Vergine Maria, invocando da Lei l’aiuto. E non dimenticatevi la data del Battesimo!

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Dopo l'Angelus

Sono vicino agli abitanti della Contea di Los Angeles, California, dove nei giorni scorsi sono divampati incendi devastanti. Prego per tutti voi.

Questa mattina ho avuto la gioia di battezzare alcuni neonati, figli di dipendenti della Santa Sede e della Guardia Svizzera. Preghiamo per loro, per le loro famiglie. E vorrei chiedere al Signore, per tutte le giovani coppie, che abbiano la gioia di accogliere il dono dei figli e di portarli al Battesimo.

Nella Basilica di San Giovanni in Laterano, stamani è stato beatificato Don Giovanni Merlini, sacerdote dei Missionari del Preziosissimo Sangue. Dedito alle missioni al popolo, fu consigliere prudente di tante anime e messaggero di pace. Invochiamo anche la sua intercessione mentre preghiamo per la pace in Ucraina, in Medio Oriente e nel mondo intero. Un applauso al nuovo Beato!

Saluto tutti voi, romani e pellegrini, in particolare gli studenti di Olivenza, in Spagna, e i membri della Famiglia dei Discepoli con i laici che lavorano nelle case dell’Opera di Padre Semeria e Padre Minozzi.

E non tralasciamo di pregare per la pace. Non dimentichiamo che la guerra sempre è una sconfitta.

A tutti auguro una buona domenica. E per favore non dimenticatevi di pregare per me.

Buon pranzo e arrivederci!


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domenica 12 gennaio 2025

Nella Cappella Sistina Papa Francesco impartisce il sacramento del Battesimo a 21 bambini (cronaca, foto, testo e video)

FESTA DEL BATTESIMO DEL SIGNORE
CELEBRAZIONE DELLA SANTA MESSA E BATTESIMO DI ALCUNI BAMBINI

PAROLE DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Cappella Sistina
Domenica, 12 gennaio 2025


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All’inizio della celebrazione:

È importante che i bambini si sentano bene. Se hanno fame, allattateli, che non piangano. Se hanno troppo caldo, cambiateli… Ma che si sentano a loro agio, perché oggi comandano loro e noi dobbiamo servirli col Sacramento, con le preghiere. Adesso incominciamo questa cerimonia tutti insieme. Oggi, ognuno di voi, genitori, e la Chiesa stessa date il dono più grande, più grande: il dono della fede ai bambini. Andiamo avanti, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.


Al posto dell’omelia:

Continuiamo questa cerimonia del Battesimo dei vostri figli. Chiediamo al Signore che loro crescano nella fede una vera umanità, nella gioia della famiglia. E adesso continuiamo.


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Il Papa: i bambini crescano nella fede,
 una vera umanità nella gioia della famiglia

In Cappella Sistina, nella Festa del Battesimo del Signore, Francesco impartisce il Sacramento a 21 figli di dipendenti vaticani. "Oggi comandano loro", dice all'inizio della celebrazione riferendosi ai piccoli, "e noi dobbiamo servirli". Poi la consueta raccomandazione alle mamme ad allattarli, se affamati e a cambiarli, se accaldati


Vagiti, schiamazzi, urla, qualche pianto. Sono i primi suoni di un'esistenza, naturali e spontanei, che riecheggiano tra affreschi ed opere d'arte che rappresentano il picco delle doti, dei talenti concessi all'umanità in una vita intera. Un connubio suggestivo che torna a ripetersi come ogni anno, quello che dei battesimi impartiti da Papa Francesco oggi, 12 gennaio, ai 21 figli di dipendenti vaticani nella cornice straordinaria della Cappella Sistina.

"Il dono più grande, il dono della fede"

Prima della celebrazione Francesco condivide le consuete, premurose raccomandazioni: "È importante che i bambini si sentano bene!". Sofia, Vittoria, Tancredi Tito, Edwin Gabriele e gli altri 17, "oggi comandano loro", spiega il Papa, "e noi dobbiamo servirli, con il Sacramento, con le preghiere". Le mamme sono invitate come di consueto ad allattare i loro piccoli, se affamati, a cambiarli, se accaldati

Oggi ognuno di voi genitori, e la Chiesa stessa, dà il dono più grande, il dono della fede ai bambini.

La celebrazione dei battesimi nella Cappella Sistina

Il segno di croce sulla fronte dei piccoli

Con le mani rese tremanti dall'emozione, i genitori si avvicinano al Successore di Pietro perché i loro figli ricevano il segno di croce sulla fronte. Qualcuno scalcia, qualcuno è più tranquillo. Francesco accoglie tutti con un sorriso e, se c'è un fratellino o una sorellina, lascia che siano loro stessi a segnare i battezzandi sulla fronte. Entrati nel vivo della celebrazione, le voci della Schola Cantorum suonano per i piccoli quasi come una ninna nanna, cullando il sonno placido di alcuni di loro. Sono infatti pochi, i vagiti che fanno da sottofondo alla liturgia della Parola. Sono altrettanto essenziali, come da tradizione, le parole pronunciate dal Papa nell'omelia – per non "stancare" i piccoli, aveva detto nelle precedenti celebrazioni. "Che loro crescano nella fede", l'auspicio di Francesco, perché possano vivere "una vera umanità, nella gioia della famiglia".

"Quando c'è qualche problema, accendete la luce"

La liturgia prosegue con i concelebranti, il cardinale Konrad Krajewski, elemosiniere pontificio, e il cardinale Fernando Vérgez Alzaga, presidente del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, che segnano il petto di ciascun battezzando con l'olio dei catecumeni. Poi, Francesco impartisce il Sacramento dell'iniziazione cristiana, bagnando il capo di ciascun bambino – accompagnato da genitori, padrini e madrine – con l'acqua benedetta. E poi l'unzione con il sacro crisma. Il cardinale Krajewski accompagna con una carezza il segno sul capo di ogni battezzato. A consegnare la veste bianca è il cardinale Vérgez Alzaga, mentre ad ogni papà il compito di accende la propria candela alla fiamma del cero pasquale.

E portate sempre con voi questa luce, a casa vostra, come ricordo di questo giorno. E quando c'è qualche problema qualche difficoltà, accendete la luce per chiedere al signore la Grazia, per la vostra famiglia.

La celebrazione dei battesimi nella Cappella Sistina

Si compie anche il rito dell'"Effatà", dell'"apriti", che riprende l'episodio del Vangelo di Marco in cui Gesù guarisce un sordomuto. I due porporati toccano, con il pollice, le orecchie e le labbra dei piccoli battezzati. Al termine della celebrazione, il Papa si intrattiene con le famiglie dei battezzati: scambia qualche parola e consegna un dono a ciascuna di esse. L'impartizione del Battesimo ai figli di dipendenti vaticani si inserisce nel solco di una tradizione instaurata nel 1981 da Giovanni Paolo II, con una sola modifica: per i primi due anni i battesimi si svolgevano in Cappella Paolina, dal 1983 e fino all'anno corrente, in Sistina.
(fonte: Vatican News, articolo di Edoardo Giribaldi 12/01/2025)

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"Un cuore che ascolta - lev shomea" n° 10 - 2024/2025 anno C

"Un cuore che ascolta - lev shomea"

"Concedi al tuo servo un cuore docile,
perché sappia rendere giustizia al tuo popolo
e sappia distinguere il bene dal male" (1Re 3,9)



Traccia di riflessione sul Vangelo
a cura di Santino Coppolino


BATTESIMO DEL SIGNORE ANNO C

«O se Tu squarciassi i cieli e scendessi!» (Is 63,19). L'accorata invocazione del profeta per la prolungata assenza di Dio, finalmente viene ascoltata e diventa realtà. Dopo l'immersione del Figlio Amato nella storia di fallimento e di morte dell'uomo, i cieli, che erano rimasti chiusi per il peccato dei progenitori, si spalancano per mai più serrarsi: il Signore della vita pianta definitivamente la sua tenda tra di noi e in noi. Nel suo battesimo, Gesù fa sua la storia di peccato dell'uomo, scende fin nel fondo degli abissi del male e della morte come ogni figlio di Adamo, senza però rimanerne prigioniero, per donare a tutti la misericordia e il perdono del Padre. «Su di Lui riposa la colomba di Noè che annuncia la salvezza per l'umanità riemersa dalle acque del caos» (cit.). E' la colomba dello Spirito che dà l'inizio alla creazione dell'uomo nuovo; lo "Spirito di conoscenza e di timore del Signore" profetizzato da Isaia (Is 11,2); lo Spirito datore di vita che ridona forza e vigore alle nostre ossa inaridite (Ez 37); il Soffio Santo del Padre nel giorno di Pentecoste (At 2,3) che ci fa creature nuove, figli nel Figlio, capaci di amare come Lui ci ama.


sabato 11 gennaio 2025

E IL CIELO FIORI’ - ‘FIGLIO’ forse la più bella e la più forte tra le parole umane, che illumina un legame per sempre. ‘AMATO’ Che io sia amato non dipende da me, dipende da Lui, dal suo un amore asimmetrico e incondizionato. ‘MIO COMPIACIMENTO’ Figlio mio, ti guardo e sono felice. Sono felice di essere tuo padre. - BATTESIMO DEL SIGNORE anno C - Commento al Vangelo a cura di P. Ermes Maria Ronchi

E IL CIELO FIORI’
 

‘FIGLIO’
forse la più bella e la più forte tra le parole umane,
che illumina un legame per sempre.
‘AMATO’
Che io sia amato non dipende da me, dipende da Lui,
dal suo un amore asimmetrico e incondizionato.
‘MIO COMPIACIMENTO’
Figlio mio, ti guardo e sono felice. Sono felice di essere tuo Padre.



In quel tempo, poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco». Ed ecco, mentre il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento». Luca 3.15-16;21-22
 
E IL CIELO FIORI’
 
FIGLIO, forse la più bella e la più forte tra le parole umane, che illumina un legame per sempre. 
‘AMATO’ Che io sia amato non dipende da me, dipende da Lui, dal suo un amore asimmetrico e incondizionato. 
MIO COMPIACIMENTO Figlio mio, ti guardo e sono felice. Sono felice di essere tuo Padre.

Il popolo era in attesa, sognava il messia liberatore, e si ritrova un uomo ai margini del deserto, prosciugato dal sole e dai digiuni, solo voce nel vento.

Anche noi siamo in attesa, ma il nostro è un tempo in cui i sogni ci sono stati rubati. Giovanni invece li aveva riaccesi, e la gente sciamava da Gerusalemme al Giordano. Anche oggi non sono i profeti che mancano, ciò che manca è l’ascolto.

Sei tu il Messia? E Giovanni scende dall’altare delle attese della gente, per dire: no, non sono io. “Viene dopo di me colui che è più forte di me”. Di quale forza? Lui è il più forte perché usa parole di vita, perché ha un fuoco che parla al cuore e così lo seduce, come profetizzava Osea.

Il vangelo di oggi ci incalza: Io sono solo acqua, ma deve arrivare molto di più, un fuoco nel quale saremo immersi. Giovanni che sogna aie bruciate, vento che spazza la pula, incontra un Dio che non conosceva: Gesù, che non è solo buono. È esclusivamente buono, che in fila con gli altri scende al fiume.

Luca non racconta il battesimo, ma più precisamente ciò che accade dopo. “Gesù stava in preghiera, e il cielo si aprì!” Conseguenza meravigliosa, effetto della preghiera: tu preghi e Dio apre il cielo.

La risposta alla preghiera non sono le grazie che noi chiediamo, ma lo sfondamento del cielo chiuso, una feritoia liquida d’azzurro. E fiorisce un azzurro che ristora, un azzurro che non mente: contempli la tua vita dalle stelle, la interpreti dall’alto. E comprendi che il battesimo accade sempre, su di te scende continuamente lo Spirito del Signore, e tu diventi il nido della colomba di Dio, un nido di parole e di fuoco.

Infatti dal cielo scende un volo di parole: Tu sei il Figlio mio, l’amato, in te ho posto il mio compiacimento.

FIGLIO, forse la più bella e la più forte tra le parole umane, che illumina un legame per sempre, la radice, la cura, la gioia, la tenerezza generativa, l’amore che non cede e non si volta indietro.

‘AMATO’ è la seconda parola. Prima che tu risponda, che tu dica si o no, il tuo nome per Dio è “amato”. Senza clausole e senza condizioni. Che io sia amato non dipende da me, per fortuna, dipende da Lui, dal suo un amore asimmetrico e incondizionato.

‘MIO COMPIACIMENTO’ è la terza parola. Qui possiamo sbirciare dentro il cuore di Dio: c’è in lui un brivido di piacere. Un Dio che dice è bello che tu ci sia! Tu rendi il mondo più bello, per il solo fatto di esistere. Figlio mio, ti guardo e sono felice. Sono felice di essere tuo Padre.

E allora smettiamola di sentirci sempre sotto esame. Non siamo sotto osservazione, ma sotto abbraccio.

Non siamo sotto indagine, ma sotto un volo di parole bellissime, sotto un abbraccio infinito.