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martedì 3 dicembre 2024

3 dicembre Giornata internazionale delle persone con disabilità - Famiglia Avesani: “Francesco ci ha donato un amore immenso. È stata una grazia servire in lui Gesù”

3 dicembre Giornata internazionale delle persone con disabilità. 
 
Famiglia Avesani: 
“Francesco ci ha donato un amore immenso.
È stata una grazia servire in lui Gesù”

Francesco, un bimbo di 8 mesi cerebroleso al 100%, era stato abbandonato dalla madre alla nascita e ricoverato in ospedale. “Ci mettemmo in preghiera per tre giorni e notti e il Signore ha sciolto ogni nodo e paura, così che contattammo gli assistenti sociali per prendere in affido Francesco. Ottenemmo quasi subito l’autorizzazione a conoscerlo in ospedale: fu amore a prima vista, era mio figlio!”, racconta Raffaella


Aprirsi alla vita, anche dei più fragili, a quella degli “scartati” molto spesso in una società sempre più egoista, edonista e individualista. E ricevere, in cambio di un po’ d’amore, un amore a dismisura. Nella Giornata internazionale delle persone con disabilità abbiamo raccolto la testimonianza della famiglia Avesani di Verona. Il papà, Giovanni, oggi ha 72 anni ed è avvocato. Nel 1979 si è sposato con Leila e hanno avuto 5 figli: Lorenzo (1980), Zeno (1981), Maria (1984), Enrica (1987), Elena (1989), tutti sposati, che hanno portato in famiglia 15 nipoti. Nel 1993 Leila si è ammalata di tumore ed è salita in cielo nell’aprile del 1995. 
Nel 1996 Giovanni si è sposato con Raffaella, che ha ora 69 anni ed è casalinga, e sono nati 3 figli: Filippo (1997), Eleonora (1998) e Pietro (2000). 
Poi nel 2006 è arrivato Francesco, un bambino cerebroleso al 100%, abbandonato in ospedale perché nessuno lo voleva prendere né in affido, né in adozione. “La disabilità, anche la più grave, è una grazia per chi, come noi, la accoglie. Certo c’è la fatica, i ricoveri, la paura di perderli, ma c’è molto di più che si riceve in momenti bellissimi, indimenticabili”, ci dice Raffaella. “Se il mondo sapesse quanta ricchezza e felicità danno la cura di un disabile… Noi non lo sapevamo e quindi siamo stati grati a Dio per averci fatto vivere questa esperienza, che è alla portata di tutti”, commenta Giovanni.

La vostra famiglia, già benedetta dal Signore con 8 figli, ha avuto un’ulteriore svolta grazie all’Anfn, di cui fate parte. Cosa è successo nel settembre 2006? Avevate mai pensato all’affido prima?

Giovanni: Nel settembre del 2006 alla festa Anfn di Ferrara abbiamo visto Andrea Botti con in braccio un bambino di qualche mese che lui e la moglie avevano in affido. Ricordo che la cosa mi colpì, perché non avevamo mai preso in considerazione l’opportunità di prendere in affido qualche bambino. Ma non ci pensammo poi più, ritenendo di aver già dato abbastanza quanto all’apertura alla vita.

Cosa vi ha spinto a prendere in affido Francesco? Non avevate paura a prendere con voi un bimbo con queste gravissime difficoltà?

Raffaella: Con amici che avevano già adottato 2 bambini con seri problemi, oltre ai 6 figli naturali, e altri fratelli della nostra comunità parrocchiale, ci siamo uniti nella preghiera perché si trovasse una famiglia disposta ad accogliere Francesco, un bimbo di 8 mesi cerebroleso al 100% abbandonato dalla madre alla nascita e ricoverato in ospedale. Una sorella della comunità (madre adottiva di 2 bambini russi con problemi), che si era detta disposto ad accoglierlo, ci telefonò una sera dicendo di non poterlo fare perché aveva saputo quel giorno che sua madre aveva un tumore che avrebbe richiesto continua assistenza e ci chiese perché non lo prendevamo noi. Io ho avuto tardi i miei 3 figli naturali (l’ultimo Pietro a 45 anni) e avevo il terrore che mi nascesse un figlio disabile. Ma ci ritornò l’immagine di Andrea Botti. Ci mettemmo in preghiera per tre giorni e notti e il Signore ha sciolto ogni nodo e paura, così che contattammo gli assistenti sociali per prendere in affido Francesco. Ottenemmo quasi subito l’autorizzazione a conoscerlo in ospedale: fu amore a prima vista, era mio figlio!

Che possibilità aveva di vivere?

Raffaella: Francesco aveva nove mesi, era cresciuto poco, ma era bellissimo. I medici dicevano che era un “vegetale” e che sarebbe vissuto solo qualche mese.

Com’è cambiata la vita familiare con la presenza di Francesco? La vostra di genitori e quella dei vostri figli?

Giovanni: Francesco non ha portato grandi cambiamenti, se non la precarietà di non poter mai fare programmi a media o lunga scadenza per le sue precarie condizioni di salute e per i suoi improvvisi e frequenti ricoveri ospedalieri. Per noi genitori (soprattutto per Raffaella) la fatica di accudirlo e assisterlo nei molteplici ricoveri ospedalieri. Per i figli più grandi poco è cambiato perché nel giro di qualche anno si sono tutti sposati. Per i più piccoli è stato un fratellino amato e da coccolare; si sono sentiti importanti perché con loro Francesco era felice.
Si sono volentieri adattati a dover spesso rinunciare a svaghi o vacanze, perché capivano che Francesco era più importante.

Come avete accolto questo fratellino speciale?

Eleonora: Io personalmente l’ho accolto con immensa gioia! Quando mamma e papà ci hanno detto che sarebbe arrivato un altro fratellino, io ero al settimo cielo. Ricordo ancora la prima volta che siamo andati a vederlo per conoscerlo, me ne sono innamorata al primo sguardo. Dentro di me è nato un legame profondo che mi lega tuttora a lui. Era un fratellino, non importava se non era stata mamma a portarlo in grembo e non vedevo l’ora di prendermene cura, di essere la sorella maggiore. Lo sono stata per i successivi 11 anni e ho avuto l’onore di stargli accanto sino al suo ultimo respiro. 

L’amore che Francesco mi ha donato è incredibile. In poche parole, è stato tanto e ringrazio ogni giorno il Signore di aver ispirato i miei genitori ad accoglierlo in famiglia perché se non lo avessero fatto mi avrebbero privato del rapporto d’amore più speciale che io abbia mai avuto.

Avete anche adottato Francesco? Quanto è vissuto?

Raffaella: Abbiamo adottato Francesco poco prima che salisse in cielo ed è vissuto 11 anni e 5 mesi. È salito in cielo il 27 giugno del 2017, un mese dopo aver ricevuto la prima comunione. Per l’adozione, abbiamo atteso che i figli più grandi fossero usciti di casa per non sembrare di dover dare a loro un peso. Abbiamo voluto adottarlo perché era ed è nostro figlio e quando il Signore l’avesse chiamato doveva avere il cognome della famiglia alla quale apparteneva.

Come vi ha cambiati la storia con Francesco? Cosa ha lasciato alla vostra famiglia? E anche all’Anfn?

Raffaella: Come ci ha cambiato? Ci ha arricchiti. Francesco ci ha inondato d’amore.
Lui per noi era Gesù Cristo (il “Gesù portatile” come diceva Giovanni) ed era una grazia poter servire in lui Gesù.
Cosa ci ha lasciato? Subito un grande vuoto e dolore: i figli, come dicono al Sud, son pezzi di cuore. Ma poi è subentrata la certezza che, come mi disse con fermezza un sacerdote, Francesco è già tra i santi.

Questi bambini quando nascono hanno una missione importante prima di tornare al Padre: quella di convertire il cuore di coloro che li incontrano.

Credo che anche nella “vecchia guardia” (le prime famiglie iscritte) di Anfn Francesco abbia lasciato un segno forte perché ci accompagnava sempre, a parte gli ultimi anni, agli incontri, tanto che era diventata la “mascotte” dell’Associazione.

Don Filippo, l’esperienza accanto a Francesco ha inciso nella sua vocazione sacerdotale?

Don Filippo: Mi appare indubitabile il ruolo prezioso di mio fratello nella strutturazione della mia identità, poiché attraverso di lui, negli anni delicati dell’adolescenza, ho appreso profondamente il significato di donare la vita. L’essere chiamato a servirlo e accudirlo mi ha permesso, in un’ottica di fede, di contemplare in lui la presenza di Cristo Crocifisso. Non so dire se e come il nostro legame sia stato alla base della mia chiamata al sacerdozio, certamente vedo ora come la memoria della vita trascorsa assieme e la consapevolezza della sua presenza nella Chiesa Celeste siano per me un sostegno attivo e vitale nel mio ministero appena cominciato.

Mi piace pensare che, dopo averlo tenuto spesso in braccio per 11 anni, ora sia lui a portare in braccio me quando la strada si fa più faticosa.

(Foto famiglia Avesani)
(fonte: Sir, articolo di Gigliola Alfaro 03/12/2024)