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giovedì 29 febbraio 2024

A tutti gli anziani - Ogni ruga un sogno

Cristiana Scandura*
A tutti gli anziani 
Ogni ruga un sogno 


Carissimi anziani, dal profondo del cuore vi auguro che ogni ruga di cui è solcato il vostro volto racchiuda un sogno.

Non smettete mai di sognare e non invecchierete mai. È vecchio chi non sogna più e non è questione di età.

Sapete, Dio si diverte a compiere le opere migliori con coloro che noi pensiamo non abbiano più niente da dire e da fare nella società. Per Dio invece non è così e nessuno può andare in pensione.

Solo due esempi: il primo esempio riguarda Abramo e Sara, una coppia di anziani, a cui Dio regala un figlio nella tarda età e comincia con loro una storia. Il secondo esempio è S. Giovanni XXIII, il cosiddetto “Papa di transizione”. Cosa poteva fare un Papa così anziano se non starsene tranquillo lui e lasciare tranquilli gli altri, preparandosi semplicemente al supremo passaggio all’altra vita? Invece, docile allo Spirito Santo, fu autore di una vera rivoluzione nella Chiesa indicendo il Concilio Vaticano II.

Carissimi anziani e anziane, mi raccomando non fatevi mai scappare l’espressione: “Ai nostri tempi…”. Il vostro tempo è oggi. Voi non siete stati importanti e utili solo nel passato, ma lo siete oggi, anzi ancor di più oggi. Lo siete con il bagaglio di conoscenze e di esperienze che avete acquisito e con quelle che ancora dovete acquisire. Si, perché non si smette mai di imparare. Non smarrite mai la capacità di stupirvi.

Voglio farvi un complimento sincero: Avete degli occhi bellissimi!

In essi vi leggo una bellezza pura e originaria, come acqua di sorgente, come quella che contemplo negli occhi dei bambini e che mi ispira una grande tenerezza ed un profondo affetto e rispetto.

Con la vostra scarsa memoria ci ricordate le cose essenziali. Con il vostro incedere lento, ci obbligate a rallentare la nostra fretta spesso frenetica. Con la vostra fantasia restituite giocosità alle nostre giornate, spesso troppo seriose.

Se un’ansia avete è quella del Cielo.

Cosa sarebbe il mondo senza di voi?

*Cristiana Scandura
Nata a Catania nel 1969, all’età di 20 anni sono entrata nel Monastero Santa Chiara di Biancavilla CT e sono felice di essere Clarissa. Dal 2020, come una vocazione nella vocazione, raggiungo i Fratelli Carcerati d’Italia e ultimamente anche degli USA, attraverso degli scritti nei quali annuncio l'amore, la misericordia e la tenerezza di Dio e rispondo a quanti, sempre più numerosi, mi scrivono aprendo il loro animo. Sono presente sui social (FB – IG – YT) ove divulgo il messaggio evangelico e la vita di santi e testimoni della fede dei nostri giorni. Mi piace molto cantare, suonare diversi strumenti musicali e comporre canti di lode al Signore. Sono autrice di diversi libri: Florilegio delle virtù serafiche; La condurrò nel deserto; Nel cuore della Chiesa: la vita claustrale; Un raggio di sole oltre le grate (tradotto anche in inglese); Chiara d’Assisi: perla di Dio - Il suo Angelo Custode racconta; Come un giardino di fiori – Testimoni della fede dei nostri giorni e ho scritto il testo di un musical: Chiara, perla di Dio. Scrivo il commento al Vangelo del giorno per il giornale on-line: Il Sycomoro e collaboro con diverse riviste cattoliche. Il mio desiderio più grande? Quello di andare in Paradiso, quando il Signore vorrà, insieme a tutti coloro che ho incontrato sul mio cammino.
(fonte: Vino Nuovo 27/02/2024)


L'addio di Bologna a monsignor Giovanni Nicolini - Card. Matteo Maria Zuppi: «Don Giovanni regalava a tutti un Vangelo vivo» (cronaca, testo e video)

L'addio di Bologna 
a monsignor Giovanni Nicolini
Card. Matteo Maria Zuppi:
«Don Giovanni regalava a tutti un Vangelo vivo» 

Le parole e il ricordo dell'Arcivescovo alle esequie di monsignor Nicolini

Si è tenuto mercoledì 28 febbraio nella Cattedrale di San Pietro il funerale di monsignor Giovanni Nicolini, presieduto dall’Arcivescovo.



In una chiesa gremita erano presenti i fratelli e le sorelle delle Famiglie della Visitazione, i familiari e i tanti conoscenti di una vita. Hanno concelebrato con il cardinale Matteo Zuppi il vescovo di Mantova, monsignor Gianmarco Busca, e monsignor Tommaso Ghirelli, Vescovo emerito di Imola. Tra le autorità il sindaco di Bologna, Matteo Lepore, quello di Crevalcore, Marco Martelli, il vicepresidente nazionale delle Acli, Stefano Tassinari, Yassine Lafram, presidente Ucoii e Romano Prodi, già Presidente della Commissione europea. All’inizio ha letto il suo saluto suor Elisabetta Rosso, Sorella Maggiore delle Famiglie della Visitazione.

Nell’omelia l’Arcivescovo ha ricordato come «don Giovanni era grande nello spiegare le Scritture. Le faceva calare nella vita. Regalava a tutti un Vangelo vivo, esigente e umanissimo allo stesso tempo tanto che tutti si sentivano ascoltati, illuminati e perdonati dal Signore del Vangelo spiegato da lui».

Don Giovanni era un ricco che ha lasciato senza amarezza il suo destino nobile e pieno di stimoli perché ha trovato il suo pastore, ha detto ancora l’Arcivescovo.

«Il suo impegno evangelico – ha proseguito – significava anche cambiare le cause dell’ingiustizia coinvolgendo tutti nell’intelligenza e nella passione per la persona, quella che deve animare la politica intesa nel senso più nobile ed alto. Quella che don Giovanni aveva imparato dal suo papà e che vedeva trasfuso nei principi fondamentali della nostra Carta Costituzionale che, diceva, “non citano esplicitamente Dio, ma esprimono chiaramente la concezione cristiana della storia”».

L’Arcivescovo ha ripercorso la vita di monsignor Nicolini da Mantova a Roma, dalle periferie al Concilio, da Bologna all’esperienza con don Dossetti, a Sammartini, alla Dozza, all’Ospedale Sant’Orsola e al servizio in diocesi.

«Fino alla fine, don Giovanni non ha smesso di ricordarci lo scandalo della povertà e di farlo sempre con tanta passione, libertà e commozione personale. Perché, come diceva, non riusciva a non piangere davanti a situazioni di povertà».
(fonte: Chiesa di Bologna)

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Testo integrale dell'Omelia del Cardinale Matteo Maria Zuppi 
per i funerali di Mons. Giovanni Nicolini
28/02/2024 Cattedrale di San Pietro - Bologna


Le letture che ascoltiamo oggi sono prese dal calendario che, seguendo la Piccola Regola di don Giuseppe Dossetti, ha illuminato quotidianamente i passi della preghiera e del cammino di don Giovanni, dei fratelli e delle sorelle delle Piccole Famiglie della Visitazione, «una famiglia allargata che non ha confini». Desidero salutare tutte le famiglie che lo hanno accompagnato con affetto filiale e fraterno, insieme alla sua famiglia di origine, così partecipe e coinvolta. Ci stringiamo con affetto ai loro responsabili, don Francesco – al quale va un ringraziamento nostro e certamente di don Giovanni per la protezione tenerissima e la cura competente con cui lo ha accompagnato in questi mesi – Elisabetta, sorella maggiore del ramo femminile e presidente dell’associazione. Con loro, oltre alle Piccole Famiglie dell’Annunziata, pregano secondo il calendario tanti altri fratelli e sorelle, e mi piace ricordarli tutti anche per indicarli come luoghi importanti per tutta la Chiesa, santuari della Parola di Dio: la Famiglia dell’Assunta di Montetauro, la Piccola Fraternità di Nazareth presso la Chiesa dell’Annunziata, la Comunità dei Figli di Maria di Nazareth a Gaiana, la Piccola Famiglia della Risurrezione di Marango e la Piccola Famiglia delle Resurrezione di Valleripa.

La lettura continuata della Parola di Dio è il segreto della loro vita. Diceva don Giuseppe Dossetti: «La Parola di Dio è unica, in ogni versetto, quindi possiamo e dobbiamo leggerla tutta per avere una conoscenza globale della storia della salvezza e per capire ogni singola riga attraverso questa conoscenza globale». Don Giovanni, accompagnato fino alla fine dalla preghiera e dalla lettura della Parola – direi notte e giorno – si è nutrito, lui, di questo pane che gli ha conquistato il cuore e che con tanta sapienza umana e spirituale offriva a chiunque. Lo faceva sempre in modo personale, senza supponenza, tanto che ogni incontro, anche il più ordinario, acquisiva un valore particolare, un significato nel senso stretto del termine, un tratto personale, diretto, del quale credo che qui, oggi, in tanti ringraziamo per qualche parola che ha toccato il cuore, per un sorriso, per un consiglio, per un po’ di luce e conforto. Giovanni era grande nello spiegare le Scritture e le faceva calare nella vita, regalava un Vangelo vivo, esigente e umanissimo, tanto che tutti si sentivano descritti, illuminati, perdonati, amati del Signore del Vangelo spiegato da lui. E una Parola vissuta e annunziata così diventa quasi naturalmente comunione tra chi ascolta e condivisione con tutti, particolarmente con i poveri. Le famiglie di Sammartini, della Dozza, di Mapanda, di tanti luoghi, iniziano così. Tutti si sentivano a casa con lui, accolti e attesi e molti sono stati attirati da lui proprio per questo spiegare le Scritture e per la relazione che aveva con chi ascoltava e con i poveri. Negli ultimi faticosi tempi, in cui tutto era sfuocato e non aveva la forza per tante altre cose, era sempre attaccato alla Bibbia con tutte le poche energie rimaste, unitamente all’affetto incondizionato per Massimo che ha sempre indicato come esempio della mitezza divina di Gesù. Il suo impegno evangelico richiedeva, come abbiamo ascoltato, giustizia, che vuol dire cambiare le cause, coinvolgendo tutti nell’intelligenza e nella passione per la persona, quella che deve animare la politica intesa nel senso più nobile e alto. Era quella che aveva imparato dal papà e dai suoi tanti amici, che vedeva trasfusa nei principi fondamentali della nostra Carta costituzionale che, diceva, «non citano esplicitamente Dio ma esprimono chiaramente la concezione cristiana della storia». Fino alla fine non ha smesso di ricordarci lo scandalo della povertà, di farlo sempre con tanta cultura e conoscenza ma anche con la commozione personale, perché non riusciva a non piangere davanti a situazioni di povertà. Così ci aiutava a piangere, vincendo tiepidezza, scontatezza e indifferenza.

Il profeta Ezechiele parla delle sofferenze dei più deboli. Queste non sono casuali, come spesso si crede o si vuole fare credere rifugiandosi in un’assoluzione generale che giustifica sempre l’io per non interrogarsi sulle responsabilità e sulle colpe. Le sofferenze dei piccoli non sono casuali ma frutto di chi ha «urtato con il fianco e con le spalle e cozzato con le corna contro le più deboli fino a cacciarle e disperderle». La volontà di Dio è stare dalla parte dei piccoli, salvare le pecore e per questi promette: «Susciterò per loro un pastore che le pascerà», qualcuno che «le condurrà al pascolo, sarà il loro pastore», perché vi sia «un’alleanza di pace”. Don Giovanni è la storia di un ricco che lascia senza amarezze il suo destino già segnato, peraltro nobile e pieno di stimoli, conquistato dall’amore di e per questo pastore che si è impadronito del suo cuore. Ha visto il volto di Gesù. La sua famiglia, che prese con sé una bimba piccola orfana della Borghesiana, adottata dal papà che la presentava come «la bambina figlia del suo figlio prete», non gli bastava. Il mondo di Mantova, pur così intelligente per cultura e per spiritualità che lo accompagnerà sempre, si unisce ad una piena radicalità del Vangelo per il quale lasciare tutto ed essere veramente ricco di tutto. Si ritrova a Roma e non va a vivere chiuso in uno dei tanti collegi del centro storico, ma nell’estrema periferia della capitale, alla Borghesiana, in una delle realtà più vivaci nella Chiesa inquieta di Roma che si coinvolgeva, come del resto Giovanni, in quella stagione di Pentecoste che è stato il Concilio Vaticano II, del quale Giovanni è stato testimone diretto, raccogliendo la testimonianza di tanti che lo hanno preparato e vissuto. Non si è mai spento in lui l’entusiasmo del Concilio. Non si è chiuso in comodi laboratorio per tiepide e cerebrali discussioni che parlano dell’amore ma non lo vivono, ma lo ha portato nella vita con i suoi imprevisti ma anche con i suoi legami concreti, veri, umani, come è la vita vera. E Gesù è nella vita vera, nella profondità della storia e delle persone. Era un altro regalo del Concilio: la comunità, che con la Parola di Dio, la centralità dei poveri, ha tanto accompagnato il suo cammino.

Ha amato il pastore che guarda la folla con compassione, quella che fa vedere la stanchezza e la sofferenza fisica e spirituale, nascosta nelle pieghe dell’anima, tanto da non rendere padroni di sé, o evidente nella fragilità del corpo. E si è messo ad aiutarlo e a chiedere a tanti di farlo perché la Chiesa sia davvero di tutti, perché è particolarmente dei poveri. Non erano per lui una categoria ma le persone che fisicamente accoglieva in casa, in una condivisione di vita profonda, direi quasi una contaminazione di identità, perché, diceva: «Loro, i nostri amici, il Vangelo ce l’hanno dentro, nella loro vita». Sono stati i poveri della Dozza o quelli del S. Orsola, spogliati dalla malattia per i quali invocava la cura e la centralità della persona. «Smettiamola di parlare di sani! Qui è evidente l’immagine della famiglia di Dio come una famiglia di ammalati. Forse qui si può ricominciare a capire che tutti abbiamo bisogno di perdono e di salvezza. Qui si vede bene che nessuno da solo può cavarsela. Ognuno ha bisogno, in termini assolutamente concreti, che qualcuno gli lavi i piedi. E c’è sempre qualcuno che aspetta che qualcuno gli lavi i piedi della sua tristezza o della sua paura. Anche solo con un sorriso». Ecco la passione di Giovanni, il suo amore radicale e tenerissimo, personale e comunitario, spirituale e storico, obbediente e libero, ministeriale e laicale, ecclesiale e laico, ecclesiale e civile. In realtà queste che potrebbero apparire opposizioni, sono complementari e hanno necessità vitale l’una dell’altra. Qualche sofferenza, procurata per la malcelata incomprensione di alcuni non innamorati per cui il suo amore appariva eccessivo, non ha intaccato in don Giovanni il desiderio di vivere il Vangelo alla lettera, intransigente e sensibilissimo allo stesso tempo, nella storia e nella profondità dello Spirito, per cercare nella vita la luce dell’eterno e per fare conoscere Gesù, in tanti modi, sempre con una relazione personale e senza imposizioni.

Oggi sentiamo facilmente per Giovanni le parole che Paolo rivolge a Timoteo: ha vissuto l’invito a tendere alla giustizia, senza compromessi e per tutti, anche nel rispetto dei valori della nostra Costituzione che «non citano esplicitamente Dio, ma esprimono chiaramente la concezione cristiana della storia». Ha teso alla pietà, che non è mai un sentimento compiaciuto e quindi sterile, ma si traduce in prassi. Alla fede, cioè all’abbandono pieno a Dio e alla sua volontà, radicale non perché ha le risposte per tutto ma perché ha trovato la risposta che motiva tutto. Alla carità, che supera tutti i limiti e le misure, perché è questa a durare per sempre, perché solo l’amore resta e resterà per sempre. Alla pazienza, che non è rassegnazione ma visione lunga, amore più forte delle delusioni e delle miserie, speranza con cui sapeva riaccendere nei cuori spenti dalla sofferenza il senso della rinascita e della luce che passa attraverso le ferite. Alla mitezza, da vero uomo di pace qual era, che non perde tempo a litigare, ma che con il sorriso e la gentilezza sconfigge la forza del male con la forza del cuore. Giovanni ha combattuto la buona battaglia della fede, fino alla fine, pregando e trasmettendo fede nell’incertezza della vita. Ha viaggiato nel mondo, cercandolo e amandolo senza barriere, perché il mondo ci è lontano non perché è «contro-Dio», ma perché è «senza-Dio». E quindi bisogna far conoscere Gesù, luce di cui il mondo ha bisogno e che non cerca perché si è rassegnato al suo crepuscolo grigio. Noi lo ringraziamo perché la sua professione di fede l’ha fatta con noi come testimoni. E oggi noi dobbiamo comunicarlo con più consapevolezza e responsabilità a tanti che lo cercano.

Quando l’ho incontrato l’ultima volta mi ha colpito – come sempre del resto in tutti i nostri incontri – per l’affetto e la gratitudine che mi riservava. Ero un po’ un figlio che lui sentiva come padre, come sempre con tutti i vescovi con i quali ha servito la Chiesa e il mondo.

Lo ringrazio a nome della Chiesa e di tutta la città degli uomini.
«Il cristiano non muore ma dona la vita e quando la morte arriva non trova nulla da portarsi via perché la vita è già stata consegnata a Gesù e afferrata da lui che ci porta con sé nel suo giardino, in paradiso». Canta il Salmo 147,2-4: «Il Signore ricostruisce Gerusalemme, raduna i dispersi d’Israele; risana i cuori affranti e fascia le loro ferite. Egli conta il numero delle stelle e chiama ciascuna per nome».

Oggi, insieme ai tanti fratelli e sorelle che hanno camminato con lui e che lo accolgono in cielo, c’è una stella in più che ci aiuta a orientarci e ci riflette la luce eterna di Dio, quella che non finisce, dono della luce che è venuta nel mondo per generarci come figli. Sempre. Con passione e gioia. Grazie don Giovanni. E questa volta sono io e siamo noi a chiederti di benedirci.

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Guarda il video integrale

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Vedi anche il post precedente
Addio a don Giovanni Nicolini. Il prete dei più deboli


Riccardo Redaelli: Pace e sicurezza

Riccardo Redaelli*
Pace e sicurezza



Esiste una libertà senza sicurezza? Una sicurezza senza libertà è vera sicurezza? E la mancanza di conflitto significa avere pace, o il percorso verso la pace richiede molto di più, ossia uno sforzo di tutti — istituzioni e singoli — per rimuovere le radici profonde dei conflitti?

Sono domande a cui si è cercato di dare — sia pure confusamente — delle risposte dopo la fine della Guerra fredda, per cercare di affrontare le tante crisi locali, sulle guerre civili e sugli scontri etno-settari che insanguinavano il pianeta. È stato così sviluppato il concetto di Human security (HS) che rivoluzionava il tradizionale concetto di sicurezza: dalla tradizionale prospettiva state-centered della sicurezza militare, che si concentrava sulla protezione delle frontiere e degli Stati, a quella people-centered proprio della HS. Una visione che ha posto al centro la sicurezza delle popolazioni e la centralità della persona, che deve essere tutelata e deve poter godere appieno dei diritti umani, ossia diritti inviolabili e inoppugnabili, riconosciuti all’essere umano in quanto tale.

Muovendo da qui, si è consolidata l’idea che la pace debba essere qualcosa di più di solo assenza di conflitto, bensì richieda uno sforzo di tutti — ai diversi livelli del peacebuilding — per evitare i crimini più gravi contro l’umanità, ossia genocidio, pulizia etnica e i crimini di guerra. Ciò configura un diritto/dovere della comunità internazionale di proteggere le popolazioni, ricorrendo anche alla cosiddetta “ingerenza umanitaria” (Responsibility to protect). Quest’ultima non deve essere intesa solo come diritto all’intervento esterno in nome del rispetto dei diritti umani, quanto piuttosto avere contezza che fare peacebuilding significhi non solo agire durante una crisi, ma soprattutto che vi siano responsabilità ex ante (prevenire) ed ex post (ricostruire).

Pur con tutti i limiti, le contraddizioni e le fragilità di questo modo di pensare alla sicurezza (ampiamente dimostrare dai risultati deludenti delle missioni di pace internazionali degli ultimi decenni), è evidente come il mettere al centro i popoli e non gli Stati corrisponda naturalmente alla dottrina sociale della Chiesa. La Human Security è, come detto, people-centered, mette al centro la dignità della persona e la sua tutela. Una visione che rispecchia profondamente la centralità dell’essere umano nella visione cattolica. Approfondendo la dottrina sociale della Chiesa su questi temi risulta infatti evidente come una sicurezza e una pace che prescindano da una sicurezza olistica della persona e dalla vera pace fra i popoli, rappresentino solo un vuoto simulacro.

*RICCARDO REDAELLI Docente di storia e istituzioni dell’Asia presso l’Università cattolica del Sacro Cuore
(fonte: L'Osservatore Romano 26/02/2024)

mercoledì 28 febbraio 2024

Tonio Dell'Olio: Il gesto ultimo di Aaron

Tonio Dell'Olio
Il gesto ultimo di Aaron

PUBBLICATO IN MOSAICO DEI GIORNI IL 28 FEBBRAIO 2024

"Non sarò più complice del genocidio. Sto per intraprendere un atto di protesta estremo, ma, rispetto a quello che le persone hanno vissuto in Palestina per mano dei loro colonizzatori, non è affatto estremo. Questo è ciò che la nostra classe dirigente ha deciso sarà normale".
Poi Aaron Bushnell, militare Usa di 25 anni, si è cosparso di un liquido infiammabile, ha posato il telefonino e si è dato fuoco. Mentre si stava immolando davanti alla sede dell'ambasciata israeliana a Washington e le fiamme lo circondavano, urlava "Free Palestine". Non mancheranno i dotti e i sapienti che definiranno questo gesto "follia" o, peggio, "diserzione". Per noi resta gesto ultimo che, come altri nella storia, come quello di Jan Palach, urla contro l'inerzia del mondo spettatore della morte inflitta a decine di migliaia di persone in base alla loro appartenenza etnica. Forse è proprio questo senso di colpa che ha rimosso in fretta la notizia dai titoli dopo averla somministrata quasi fosse solo informazione di servizio. C'è un sistema in grado di spegnere in fretta le fiamme e considerare uno scarto la vita di un giovane. Ma il gesto rimane. Il nome di Aaron Bushnell è destinato a restare come un segnale stradale che ci indica un'altra strada rispetto al vicolo cieco (ma anche sordo e muto). È la via di una solidarietà estrema che arriva a metterci il proprio corpo, la propria vita.


«Vorremmo imporre a Dio la nostra logica egoistica, invece la logica di Dio è l’amore. I beni che Lui ci dona sono fatti per essere condivisi.» Papa Francesco Udienza Generale 28/02/2024 (foto, testo e video)

UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledi, 28 febbraio 2024


Ancora un po' raffreddato, la voce un po' affaticata, all'udienza generale in Aula Paolo VI Papa Francesco prende la parola solo all'inizio e al termine ma affida la lettura della sua nona catechesi sui vizi e le virtù a monsignor Filippo Ciampanelli, officiale della Segreteria di Stato. Nel testo preparato, il Papa si sofferma su invidia e vanagloria.












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Il testo qui di seguito include anche parti non lette che sono date ugualmente come pronunciate.


Catechesi. I vizi e le virtù. 9. L’invidia e la vanagloria

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi prendiamo in esame due vizi capitali che troviamo nei grandi elenchi che la tradizione spirituale ci ha lasciato: l’invidia e la vanagloria.

Partiamo dall’invidia. Se leggiamo la Sacra Scrittura (cfr Gen 4), essa ci appare come uno dei vizi più antichi: l’odio di Caino nei confronti di Abele si scatena quando si accorge che i sacrifici del fratello sono graditi a Dio. Caino era il primogenito di Adamo ed Eva, si era preso la parte più cospicua dell’eredità paterna; eppure, basta che Abele, il fratello minore, riesca in una piccola impresa, che Caino si rabbuia. Il volto dell’invidioso è sempre triste: lo sguardo è basso, pare che indaghi in continuazione il suolo, ma in realtà non vede niente, perché la mente è avviluppata da pensieri pieni di cattiveria. L’invidia, se non viene controllata, porta all’odio dell’altro. Abele sarà ucciso per mano di Caino, che non poteva sopportare la felicità del fratello.

L’invidia è un male indagato non solo in ambito cristiano: essa ha attirato l’attenzione di filosofi e sapienti di ogni cultura. Alla sua base c’è un rapporto di odio e amore: si vuole il male dell’altro, ma segretamente si desidera essere come lui. L’altro è l’epifania di ciò che vorremmo essere, e che in realtà non siamo. La sua fortuna ci sembra un’ingiustizia: sicuramente – pensiamo – noi avremmo meritato molto di più i suoi successi o la sua buona sorte!

Alla radice di questo vizio c’è una falsa idea di Dio: non si accetta che Dio abbia la sua “matematica”, diversa dalla nostra. Ad esempio, nella parabola di Gesù sui lavoratori chiamati dal padrone ad andare nella vigna alle diverse ore del giorno, quelli della prima ora credono di aver diritto a un salario maggiore di quelli arrivati per ultimi; ma il padrone dà a tutti la stessa paga, e dice: «Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?» (Mt 20,15). Vorremmo imporre a Dio la nostra logica egoistica, invece la logica di Dio è l’amore. I beni che Lui ci dona sono fatti per essere condivisi. Per questo San Paolo esorta i cristiani: «Amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda» (Rm 12,10). Ecco il rimedio all’invidia!

E veniamo al secondo vizio che oggi esaminiamo: la vanagloria. Essa va a braccetto con il demone dell’invidia, e insieme questi due vizi sono propri di una persona che ambisce ad essere il centro del mondo, libera di sfruttare tutto e tutti, oggetto di ogni lode e di ogni amore. La vanagloria è un’autostima gonfiata e senza fondamenti. Il vanaglorioso possiede un “io” ingombrante: non ha empatia e non si accorge che nel mondo esistono altre persone oltre a lui. I suoi rapporti sono sempre strumentali, improntati alla sopraffazione dell’altro. La sua persona, le sue imprese, i suoi successi devono essere mostrati a tutti: è un perenne mendicante di attenzione. E se qualche volta le sue qualità non vengono riconosciute, allora si arrabbia ferocemente. Gli altri sono ingiusti, non capiscono, non sono all’altezza. Nei suoi scritti Evagrio Pontico descrive l’amara vicenda di qualche monaco colpito dalla vanagloria. Succede che, dopo i primi successi nella vita spirituale, si sente già un arrivato, e allora si precipita nel mondo per ricevere le sue lodi. Ma non capisce di essere solo agli inizi del cammino spirituale, e che è in agguato una tentazione che presto lo farà cadere.

Per guarire il vanaglorioso, i maestri spirituali non suggeriscono molti rimedi. Perché in fondo il male della vanità ha il suo rimedio in se stesso: le lodi che il vanaglorioso sperava di mietere nel mondo presto gli si rivolteranno contro. E quante persone, illuse da una falsa immagine di sé, sono poi cadute in peccati di cui presto si sarebbero vergognate!

L’istruzione più bella per vincere la vanagloria la possiamo trovare nella testimonianza di San Paolo. L’Apostolo fece sempre i conti con un difetto che non riuscì mai a vincere. Per ben tre volte chiese al Signore di liberarlo da quel tormento, ma alla fine Gesù gli rispose: «Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza». Da quel giorno Paolo fu liberato. E la sua conclusione dovrebbe diventare anche la nostra: «Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo» (2 Cor 12,9).

Guarda il video della catechesi

Saluti

...

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APPELLO

Il 1° marzo ricorrerà il 25° anniversario dell’entrata in vigore della Convenzione sull’interdizione delle mine antipersona, che continuano a colpire civili innocenti, in particolare bambini, anche molti anni dopo la fine delle ostilità. Esprimo la mia vicinanza alle numerose vittime di questi subdoli ordigni, che ci ricordano la drammatica crudeltà delle guerre e il prezzo che le popolazioni civili sono costrette a subire. A questo proposito, ringrazio tutti coloro che offrono il loro contributo per assistere le vittime e bonificare le aree contaminate. Il loro lavoro è una risposta concreta alla chiamata universale ad essere operatori di pace, prendendoci cura dei nostri fratelli e sorelle.

* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana.

In particolare, saluto ...

Il mio pensiero va infine ai malati, agli anziani, agli sposi novelli e ai giovani, specialmente agli studenti dell’Istituto “Falcone e Borsellino” di Roma e ai ragazzi della Scuola “Giovanni Pascoli” di Fucecchio. Il cammino della Quaresima sia occasione per rientrare in se stessi e rinnovarsi nello spirito.

Cari fratelli e sorelle, non dimentichiamo i popoli che soffrono a causa della guerra: Ucraina, Palestina, Israele e tanti altri. E preghiamo per le vittime dei recenti attacchi contro luoghi di culto in Burkina Faso; come pure per la popolazione di Haiti, dove continuano i crimini e i sequestri delle bande armate.

A tutti, la mia benedizione!

Guarda il video integrale


martedì 27 febbraio 2024

Intenzione di preghiera per il mese di Marzo 2024: Preghiamo per i nuovi martiri, testimoni di Cristo. (commento, testo e video)

Intenzione di preghiera per il mese di Marzo 2024 
Preghiamo per i nuovi martiri, testimoni di Cristo.

Papa Francesco: “I martiri sono il segno che siamo sulla strada giusta”
  • Nella nuova edizione del Video del Papa, Francesco chiede di pregare per i nuovi martiri del nostro tempo, perché “contagino la Chiesa con il proprio coraggio e la propria spinta missionaria”. Un martire è un cristiano che testimonia il Vangelo fino alla morte, senza ricorrere alla violenza.
  • “Il coraggio dei martiri, la testimonianza dei martiri, è una benedizione per tutti”, dice il Santo Padre nel suo messaggio diffuso dalla Rete Mondiale di Preghiera del Papa.
  • Il video è realizzato in collaborazione con Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACN) e viene pubblicato nel mese in cui ricorre la Giornata dei missionari martiri.

Guarda il video

Il testo in italiano del videomessaggio del Papa

Questo mese vorrei raccontarvi una storia che è un riflesso della Chiesa di oggi. 
È la storia di una testimonianza di fede poco conosciuta.

Mentre visitavo un campo profughi a Lesbo, un uomo mi disse: 
“Padre, io sono musulmano. Mia moglie era cristiana. 
Nel nostro Paese sono venuti i terroristi, 
ci hanno guardato e ci hanno chiesto la nostra religione. 
Hanno visto mia moglie con il crocifisso e le hanno detto di buttarlo per terra. 
Lei non lo ha fatto e l’hanno sgozzata davanti a me”. 
È andata proprio così.

So che non serbava rancore. 
Si concentrava sull’esempio di amore della moglie, 
un amore per Cristo che l’ha portata ad accettare e a essere fedele fino alla morte.

Fratelli, sorelle, ci saranno sempre martiri tra noi.
 È il segno che siamo sulla strada giusta.

Una persona esperta mi ha detto che ci sono più martiri oggi 
che all’inizio del cristianesimo.
Il coraggio dei martiri, la testimonianza dei martiri, 
è una benedizione per tutti.

Preghiamo perché coloro che in varie parti del mondo 
rischiano la vita per il Vangelo contagino la Chiesa 
con il proprio coraggio e la propria spinta missionaria. 

Aperti alla grazia del martirio.

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Storie di coraggio e testimonianze d’amore

Le vite di queste persone che offrono la propria vita come testimoni di Cristo sono storie vere, diverse l’una dall’altra. Nel suo videomessaggio – realizzato questo mese con il sostegno di Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACN), un’organizzazione caritativa cattolica internazionale e fondazione pontificia la cui missione è aiutare i fedeli ovunque siano perseguitati, oppressi o in difficoltà attraverso l’informazione, la preghiera e l’azione – Francesco ricorda la testimonianza e il dolore di un marito, incontrato sull’isola greca di Lesbo: “Hanno visto mia moglie con il crocifisso e le hanno detto di buttarlo per terra. Lei non lo ha fatto e l’hanno sgozzata davanti a me”.

La storia di questa donna, che ha lasciato un “esempio di amore” per Cristo e di fedeltà “fino alla morte”, è ripercorsa nel Video del Papa di marzo, che include anche immagini di comunità cristiane in pericolo ed esempi di coraggio: come quello del primo servo di Dio del Pakistan, Akash Bashir, morto a 20 anni nel 2015 per impedire un attacco terroristico a una chiesa piena di fedeli a Lahore.

I martiri, eroi di tutti i tempi

Ci sono molti martiri nascosti, gli eroi del mondo di oggi, che conducono una vita ordinaria con coerenza e con il coraggio di accettare la grazia di essere testimoni fino alla fine, addirittura fino alla morte. Il Papa insiste: “Fratelli, sorelle, ci saranno sempre martiri tra noi. È il segno che siamo sulla strada giusta”. Il fatto che ci siano martiri significa che alcuni hanno rischiato la vita per seguire Gesù, per vivere secondo il suo messaggio e per incarnare nel mondo il suo Vangelo di amore, pace e fraternità. Non lo hanno rinnegato o dimenticato, ma hanno mantenuto ferma la fede e dimostrato la propria fedeltà a Gesù Cristo. Per questo indicano il giusto cammino della Chiesa.

“Una persona esperta mi ha detto che ci sono più martiri oggi che all’inizio del cristianesimo”, aggiunge Francesco, sottolineando come il tema dei cristiani perseguitati che danno la vita per la loro fede sia di grande attualità. Solo nel 2023, Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACN) ha ricevuto segnalazioni in 40 Paesi di persone uccise o rapite a causa della fede. Solo per citare alcuni esempi: la Nigeria è diventata il Paese con il maggior numero di uccisioni; in Pakistan, nella diocesi di Faisalabad, sono stati attaccati i luoghi di culto e le case dei cristiani di Jaranwala; in Burkina Faso, i cattolici di Débé sono stati cacciati dal loro villaggio solo a causa della loro fede.

In questo contesto, Regina Lynch, presidente esecutivo della fondazione pontificia, dichiara: “La libertà religiosa, riconosciuta nella Dichiarazione universale dei diritti umani, è un diritto inalienabile e nessun cristiano dovrebbe perdere la vita per averla esercitata. È fondamentale garantire il diritto di praticare la propria fede come parte della dignità di tutti gli esseri umani”. Per questo motivo, afferma che l’intenzione di Francesco di questo mese è “molto importante per incoraggiare la preghiera per le vittime delle persecuzioni, così come per sostenere coloro che subiscono discriminazioni a causa della loro fede. Inoltre, dobbiamo impegnare i politici a difendere i diritti dei più vulnerabili”.

Il coraggio di testimoniare con la propria vita

Padre Frédéric Fornos S.J., direttore internazionale della Rete Mondiale di Preghiera del Papa, ricorda ciò che San Francesco d’Assisi disse una volta ai suoi fratelli: “Predicate il Vangelo, e se è proprio necessario usate anche le parole”. E aggiunge: “Siamo chiamati a testimoniare Cristo con tutta la nostra vita. Un martire è un testimone di Cristo la cui stessa esistenza è una testimonianza vivente, cioè incarna il Vangelo a rischio della propria vita, senza ricorrere alla violenza. L’intenzione di preghiera del Papa ci interroga: come testimoniamo Cristo nel luogo in cui ci troviamo? Non tutti siamo chiamati a rischiare la vita per essere fedeli a Gesù Cristo, ma posso chiedermi: di fronte a situazioni che vanno contro l’etica cristiana, contro il Vangelo, nel mio lavoro, nelle mie attività, nella mia cerchia sociale o nella mia famiglia, prendo posizione per seguire il cammino di Cristo nonostante le difficoltà e le sfide che possono sorgere, o le evito? Preghiamo quindi con il Papa perché coloro che in varie parti del mondo rischiano la vita per il Vangelo contagino la Chiesa con il proprio coraggio e la propria spinta missionaria”.

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Anche nel mese di Marzo l'intenzione di preghiera del Papa è stata resa nota con un tweet



“Con i ragazzi i manganelli esprimono un fallimento.” - "Chiediamo scusa ai nostri ragazzi"


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Il Presidente Sergio Mattarella:
Con i ragazzi i manganelli esprimono un fallimento.”

In una nota ufficiale del Quirinale viene riportata la telefonata tra il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. Il tema è la violenza della Polizia durante le manifestazioni pro-Palestina, che nell’occasione di Pisa vedeva coinvolti un centinai di minori, alcuni dei quali trasportati in ospedale.

Mattarella sente il ministro Piantedosi:
tutelare la libertà di manifestare il proprio pensiero


“Il Presidente della Repubblica ha fatto presente al Ministro dell’Interno, trovandone condivisione, che l’autorevolezza delle Forze dell’Ordine non si misura sui manganelli ma sulla capacità di assicurare sicurezza tutelando, al contempo, la libertà di manifestare pubblicamente opinioni. Con i ragazzi i manganelli esprimono un fallimento.”

Roma, 24/02/2024

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Chiediamo scusa ai nostri ragazzi
di Lorena Conte*

GIÙ LE MANI. Un'insegnante di Pisa racconta dal suo punto di vista le ore convulse del corteo studentesco e delle cariche della polizia

Pisa, la manifestazione in piazza dei Cavalieri in solidarietà con gli studenti manganellati

Le ferite passano, le manganellate forse si dimenticano; le ossa e i muscoli si rimettono a posto. Soprattutto a 15 anni. Quello che non si dimentica è la paura e il sospetto. Di essere dalla parte sbagliata. Di essersi svegliati e di protestare nel modo e nel momento sbagliato.

Dobbiamo chiedere scusa ai nostri ragazzi. Non solo se siamo ministri dell’Interno, non solo se siamo questori o poliziotti; ma da insegnanti e da educatori e da genitori. Continuiamo a dire che sono apatici, che stanno sempre con la testa china sui social. E quando qualcuno la tira su, quella testa, si becca le manganellate. E si sente dare del maleducato, del non autorizzato. E allora di nuovo giù a guardare i video, a giocare a Fortnite. Che fa meno paura delle manganellate. Non siamo riusciti a proteggere i nostri studenti e i nostri figli da questo strano risveglio nella realtà. Li abbiamo lasciati soli.

Venerdì a Pisa andavo alla manifestazione con i miei studenti con 10 minuti di ritardo, dopo un caffè con un’amica, perché «quale manifestazione parte in orario?». Invece già dopo un quarto d’ora avevano preso le prime botte. Gente di prima e seconda liceo, alcuni – molti – alla loro prima volta. Caricati con le mani alzate o con le mani a tenere l’ombrello. Manganelli contro ombrelli, che poi, la sfiga, erano 6 mesi che non pioveva. Mi avvertono, non ci posso credere. Passo da piazza dei Cavalieri, senza sapere che proprio lì c’è sbarramento. Provo a passare, mi fermano, ma poi dico che sono una prof, mi fanno passare. E lì il delirio. Poliziotti antisommossa, ragazzi che urlano. Cose non gentilissime eh, ma questo non giustifica le manganellate. O almeno credo. Sennò gli stadi sarebbero già tutti chiusi. E non esisterebbero i raduni con la gente che per far prendere aria all’ascella destra alza il braccio.

Vedo gente per terra che sanguina. Tutto di fronte al cancello della mia scuola, con quelli che sono entrati in classe che guardano dalle finestre. Provo a parlare con i miei studenti in corteo, mi dicono «ci hanno menato». Provo con una mia collega (senza di te, amica, cosa avrei fatto) a parlare con i poliziotti. Mi indicano qualcuno. Non riferisco cosa ci diciamo, perché certamente non sarebbe edificante. Capiamo, io e la mia collega, che non c’è margine di trattativa. Siamo chiusi da una parte e dall’altra. Se non spuntano le ali da lì non si esce. Allora piango per il nervoso e per la paura. E prego le prime file di tornare indietro. Non sembrano darmi retta.

Andiamo in fondo per vedere se è aperto dietro. In effetti le volanti sono andate vie. Allora chiamo al telefono un mio studente in prima fila. Incredibilmente risponde in tutto questo casino e, piangendo, gli dico di tornare, che hanno aperto. È possibilista. Non mi aspetto niente. Dopo poco, sento i cori che tornano indietro. Non so se sia servito piangere ma il corteo cambia rotta. E torna indietro e defluisce verso l’università. La strada dietro era libera dalle volanti. Almeno quello. Sennò serviva il teletrasporto.

La situazione di stallo è stata sbloccata esclusivamente dal corteo di ragazzini, che non si è arreso, anzi ha vinto. Loro più maturi degli adulti che gli stavano, armati, di fronte. Ma ora che la rabbia, l’indignazione, la paura sono passate rimane la colpa. Dobbiamo chiedere scusa. Ai pochi che hanno preso le botte. Ai tanti che guardavano dalle finestre. Ai tantissimi che hanno guardato i video; a questi ragazzi a cui diciamo sempre di svegliarsi e di lottare per le loro idee. A cui a scuola propiniamo come modelli Dante, Alfieri, Pasolini dicendo di prendere esempio dal loro coraggio e poi, una volta che, sotto la pioggia, decidono di sfilare per diritti che non sono neppure i loro, ecco che li riportiamo alla realtà con le cariche. Stai a farti gli affari tuoi «che campi cent’anni». Abbiamo davvero perso tutti sotto quella pioggia, d’acqua e di manganelli. Che poi erano 6 mesi che non pioveva.

* Lorena Conte Insegnante del liceo artistico Russoli di Pisa
(fonte: Il Manifesto 27/02/2023)

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Manganellate agli studenti, da Padova arriva la condanna di oltre mille professori dei licei

In poche ore un appello scritto da una docente del web ha raccolto un migliaio di firme da parte dei colleghi: «Posizione netta, indignata e preoccupata, di moltissimi insegnanti di Padova, di ogni ordine e grado, rispetto ai fatti di Pisa e Firenze»



«Da molte scuole di Padova si levano lo sconcerto e la profonda preoccupazione per i fatti di violenza verificatisi a danno di studenti inermi “caricati” da parte delle forze dell’ordine nelle città di Pisa e di Firenze». Inizia così l'appello diffuso dalla docente del Liceo Nievo, Emanuela Magno, che i poche ora ha raccolto più di 1000 firme da parte dei suoi colleghi del Padovano, dopo i fatti di Pisa, che hanno coinvolto agenti e studenti, con i primi armati di manganelli e i secondi con le mani in alto. «Il testo vuole rappresentare una presa di posizione netta, indignata e preoccupata, di moltissimi docenti delle scuole di Padova, di ogni ordine e grado, rispetto ai fatti di Pisa e Firenze - spiega Magno - .Parole di solidarietà agli studenti aggrediti dalle forze dell’ordine, di sostegno ai docenti del Liceo Ruzzoli di Pisa, di condivisione delle parole espresse dal Presidente Mattarella nella nota del Quirinale del 24 febbraio. Il documento condiviso ieri sul web continua ad essere sottoscritto momento dopo momento dagli insegnanti di Padova e provincia. Ci stanno arrivando anche richieste di firma da parte di non docenti»

L'appello

«I docenti delle scuole padovane intendono manifestare incondizionata solidarietà agli studenti aggrediti e sostegno ai loro docenti e ritengono di dover condividere la denuncia del personale del Liceo Russoli di Pisa, di seguito riportata, perché se ne dia ampia diffusione - si legge nell'appello firmato da oltre mille docenti - . Sentiamo altresì altamente rappresentati dalle parole del Presidente Mattarella il sentimento angosciato e il pensiero critico, orientato dai principi costituzionali, di moltissimi insegnanti di ogni ordine e grado del nostro Paese, parole che ci attendiamo vengano condivise dal Governo tutto e da tutte le forze politiche: “…l’autorevolezza delle Forze dell’Ordine non si misura sui manganelli ma sulla capacità di assicurare sicurezza tutelando, al contempo, la libertà di manifestare pubblicamente opinioni. Con i ragazzi i manganelli esprimono un fallimento.” Nota del Quirinale».

Ecco cosa aveva scritto invece il personale del Liceo Russoli di Pisa, frequentato dai ragazzi presi a manganellate durante una manifestazione contro il genocidio dei Palestinesi: 

«Oggi, 23 febbraio 2024, noi docenti e personale scolastico del Liceo Artistico “Russoli” di Pisa abbiamo assistito a un atto di tale gravità da ritenere impossibile non manifestare il nostro totale e netto dissenso per come è stato gestito in città l’ordine pubblico - si legge nel loro comunicato - .
Di fronte alla sede della nostra scuola, verso le 9:30 circa di questa mattina, sfilava un corteo pacifico di manifestanti per il cessate il fuoco in Palestina. Nel corteo erano presenti molti studenti delle scuole superiori di Pisa e del nostro Liceo in particolare, nonché alcuni docenti dello stesso. Il corteo è stato bloccato proprio davanti al palazzo del Liceo artistico e su entrambe le possibili vie di fuga: all’imbocco di Piazza dei Cavalieri e all’altezza di Piazza Dante e su via Tavoleria. Il gruppo di agenti in assetto antisommossa posizionato all'imbocco di Piazza dei Cavalieri ha caricato con manganelli e inaudita violenza i manifestanti delle prime linee: una ragazza, ferita alla testa, si è accasciata davanti al cancello della nostra scuola e molti giovani studenti hanno riportato ferite a causa delle manganellate e delle violenze. Solo quando, probabilmente col sopraggiungere dell’ambulanza, è stato liberato dalle pattuglie l’accesso verso Piazza Dante, i manifestanti hanno potuto defluire e procedere. Si aggiunga al breve, quanto sconcertante resoconto, che, prima ancora dell’arrivo del corteo, studenti con disabilità, accompagnati da genitori per un’entrata posticipata, sono stati interdetti dall’accesso alla scuola per opera degli agenti della sicurezza. Di fronte alla gravità dei fatti accaduti, noi lavoratori del Liceo “Russoli”, che consapevolmente e concretamente sosteniamo da anni e ogni giorno una linea educativa ispirata ai valori della democrazia, del dialogo, del rispetto per la diversità e della libertà di espressione, condanniamo irrevocabilmente e totalmente la scelta repressiva operata oggi contro il corteo manifestante».
(fonte: PadovaOggi, articolo di Luca Preziusi 26/02/2024)

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Solidarietà agli studenti di Pisa dopo i fatti del 23 gennaio ed alla presa di posizione dei loro docenti viene espressa, con diverse modalità, anche da tantissime scuole di tutto il territorio nazionale.