CARD. ROBERTO REPOLE:
“In Italia disparità inaccettabili.
La politica incoraggi la coesione civile”
Intervista di Domenico Agasso con l’Arcivescovo di Torino creato Cardinale: “Investire sulle persone, occorre giustizia sociale”
Il neo cardinale Roberto Repole ha «fiducia in un futuro migliore per l’Italia». Le vie da percorrere? «Investire sulle persone mettendo al centro lavoro dignitoso, innovazione e sostenibilità. E la giustizia sociale». Mentre la politica è chiamata a superare le «aspre e controproducenti lacerazioni per dare il buon esempio e incoraggiare la necessaria e virtuosa coesione civile». L’arcivescovo di Torino parla a La Stampa nel Palazzo apostolico, qualche ora dopo avere ricevuto dalle mani di papa Francesco la berretta rossa e l’anello cardinalizio. A 57 anni diventa uno dei membri più giovani del Sacro Collegio, in cui ieri sono entrati altri venti porporati. In conclave il numero degli elettori che hanno meno di 80 anni diventa 140, provenienti da tutto il mondo, con la maggioranza di nomina bergogliana (80%). E con una composizione sempre meno eurocentrica.
Eminenza, il Papa vi ha chiesto di non farvi «abbagliare da prestigio e potere».
«È fondamentale. Se non pensiamo, parliamo e agiamo con spirito di servizio e umiltà, rischiamo di distogliere lo sguardo da ciò che conta davvero: la sequela di Cristo e la vicinanza alle persone, specialmente ai più poveri e vulnerabili. Questa è la testimonianza autentica del Vangelo».
A proposito di bisognosi, l’ultimo «Rapporto Caritas» ha evidenziato che quasi un italiano su dieci vive in povertà assoluta: che cosa indica questo dato?
«È un grido che non si può ignorare. Parla di un sistema che spesso trascura i più fragili, di un individualismo che erode la solidarietà. La povertà non è solo un fatto economico, ma tocca la dignità delle persone. Dovrebbe essere la priorità assoluta per gli esponenti politici, le istituzioni, e anche per la Chiesa e i singoli cittadini».
I giovani sono tra le fasce più vulnerabili. Lei sta dedicando particolare attenzione ai ragazzi: di che cosa hanno più bisogno?
«Sentirsi visti e ascoltati. Spesso vivono in una solitudine silenziosa, senza punti di riferimento stabili. L’incertezza lavorativa li colpisce duramente. È fondamentale che le istituzioni offrano loro spazi di partecipazione, opportunità concrete e una formazione integrale, capace di alimentare non solo le competenze, ma anche i valori. È cruciale creare condizioni che incoraggino i giovani a non emigrare, offrendo loro strumenti per crescere e contribuire allo sviluppo del nostro Paese».
Quanto è forte la questione diseguaglianze?
«Esistono disparità inaccettabili non solo a livello economico, ma anche nell’accesso ad ambiti fondamentali come l’istruzione, la sanità e il lavoro. Ci sono territori che sembrano appartenere a realtà diverse, con divari che rappresentano una ferita aperta, e con nuove marginalità che emergono nelle periferie urbane e nelle zone rurali. Le diseguaglianze non sono solo un problema sociale, ma anche una minaccia per la coesione del Paese».
Come si può affrontare questa situazione?
«Con politiche che non si limitino a tamponare le emergenze, ma che lavorino per ridurre le cause strutturali. Serve una prospettiva che metta al centro la persona e il bene comune, creando un sistema più giusto e inclusivo, dove nessuno si senta abbandonato. E servono ideali di senso attorno a cui pensare una società».
Che cosa pensa delle politiche migratorie del governo?
«Ogni scelta politica dovrebbe essere guidata dal rispetto della dignità umana. La gestione dei flussi migratori è una sfida complessa, ma non possiamo dimenticare che dietro i numeri ci sono persone, storie, sofferenze. Bisogna evitare soluzioni che delegano o rimandano la questione, senza affrontare le radici profonde del fenomeno».
Come occorrerebbe porsi di fronte al migrante?
«Con uno sguardo umano, non ideologico. Il migrante è prima di tutto una persona, spesso segnata da esperienze di grande dolore. Accogliere non significa rinunciare alla legalità, ma trovare vie per integrare e costruire insieme».
Come va interpretata la crisi dell’automotive?
«È il segnale di una trasformazione che non possiamo sottovalutare. Il nostro Paese deve essere capace di reinventarsi, puntando su innovazione e sostenibilità. Questo richiede una visione condivisa tra istituzioni, imprese e lavoratori».
Gli scontri tra, e dentro, le coalizioni segnano l’attualità della politica italiana. Quale messaggio manderebbe ai partiti?
«Cercare il bene comune superando interessi di parte e divisioni sterili. Serve uno stile più dialogante, capace di ascoltare e coinvolgere i cittadini. La politica dovrebbe dare l’esempio per una coesione sociale che sconfigga le tensioni, terreno fertile per le derive violente. Solo insieme possiamo edificare un domani che sia davvero a misura di ogni persona».
(Pubblicato su “La Stampa” - 8 dicembre 2024)
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