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mercoledì 2 ottobre 2024

Renato Sacco: «Ma ci interessa ancora davvero chi muore nelle guerre? Chi chiede la pace non è filo Putin o per Hamas»

Renato Sacco
 
«Ma ci interessa ancora davvero chi muore nelle guerre?
Chi chiede la pace non è filo Putin o per Hamas»


 
La riflessione di don Renato Sacco, consigliere nazionale di Pax Christi: « C’è un piano diabolico che cerca di convincerci che la guerra è l'unica strada, e che i morti sì effettivamente ci sono, ma non sono così importanti, sono “effetti collaterali”. Ma questa situazione di oggi interpella davvero il mondo politico? La pastorale? La vita delle nostre comunità? O prevale ancora indifferenza, abitudine o rassegnazione?»



«È troppo sognare che le armi tacciano e smettano di portare distruzione e morte? Il Giubileo ricordi che quanti si fanno “operatori di pace saranno chiamati figli di Dio” (Mt 5,9). L’esigenza della pace interpella tutti e impone di perseguire progetti concreti». Così si legge nella bolla di indizione del prossimo Giubileo, Spes non confundit.

I giorni che viviamo ci fanno risuonare quella parola: interpella. Me lo sono sempre chiesto e me lo chiedo in questi giorni: ma quando si stava preparando la Seconda guerra mondiale, i campi di concentramento, la gente comune si sentiva interpellata? Non si può dire che non sapesse.

Le parrocchie, i preti come me, ad esempio in Germania, come vivevano quegli anni? Continuava la pastorale normale, le celebrazioni liturgiche ben curate con un numero appropriato di candelabri sull'altare? Certo abbiamo innumerevoli testimonianze di opposizione alla guerra anche col martirio. Lo sappiamo bene.

Ma la stragrande maggioranza? Oggi siamo davanti a un crescendo di guerre, massacri, stragi e bombardamenti. Armi, armi, armi. Queste le parole che sentiamo dai potenti, che si fanno vedere mentre autografano missili, bombe, oppure vanno all'Onu e la denigrano violentemente. Se sfogliamo i giornali vediamo le foto dei potenti delle varie parti. Non esistono le persone, la gente, i popoli.

C'è un piano diabolico che cerca di convincerci che la guerra è l'unica strada, e che i morti sì effettivamente ci sono, ma non sono così importanti, sono “effetti collaterali”.

Se sei contro le armi all'Ucraina allora sei filo Putin. Se critichi Israele sei antisemita e filo Hamas. Figuriamoci se esponi la bandiera palestinese. In questo clima il Parlamento Europeo ha votato per l'invio di armi all'Ucraina per colpire anche la Russia al suo interno. Tutti i potenti europei ci dicono di preparaci alla guerra, anche se, forse, non imminente.

Le armi nucleari non vengono considerate come la possibile fine dell'umanità, ma come un “qualcosa" che comunque va curata, alimentata e sostenuta con tante spese.

Il ministro della Difesa Crosetto ha chiesto altri 7 miliardi di euro per acquistare nuovi F-35, per passare dai 90 previsti a 115. Tutto questo e molto altro può essere considerato normale? Una situazione che sembra non avere una fine né un fine. «Chi non grida con gli ebrei non può cantare il gregoriano», scriveva il teologo Bonoheffer nel 1938.

Oggi quante persone sono nelle condizioni degli ebrei di allora? Assistiamo a genocidi, massacri, bombardamenti e violenze di ogni genere anche sui migranti. È vero che con il ddl 1660, il disegno di legge sulla sicurezza, sarà sempre difficile esprimere dissenso con la stretta liberticida che porta. Ma non possiamo guardare dall'altra parte!

Possiamo continuare a “cantare il gregoriano” come se tutto questo non stia accadendo, ora? O la guerra, le armi, i migranti resteranno un pallino solo di papa Francesco? Proprio lui che ci chiede di saper piangere davanti ai tanti morti, e già al Sacrario di Redipuglia il 13 settembre 2014 disse: «Anche oggi le vittime sono tante. Come è possibile questo? È possibile perché dietro le quinte ci sono interessi, piani geopolitici, avidità di denaro e di potere, c'è l'industria delle armi, che sembra essere tanto importante».

C'è il rischio reale di guardare il mondo da tifosi. E ciò che è giusto o sbagliato dipende dal colore della maglia. Ma qui la maglia che dovrebbe contare è l'umanità. E la pace, o la guerra, non può essere solo un argomento trattato in modo asettico dai personaggi in giacca e cravatta che nei vari Telegiornali, col sorriso sulle labbra, cercano di convincerci che in fondo la guerra è una grande opportunità, muove risorse, genera guadagni. Certo! Verissimo. Infatti, quante armi stiamo vendendo a Israele rendendoci complici! E anche i missili a lungo raggio approvati dall'Europarlamento, come scrive Tonio Dell'Olio nell'editoriale di Mosaico di pace di ottobre, «sono una produzione Airbus 37,5%, Bae System 37,5% e Leonardo 25%... Quei missili non potrebbero funzionare senza il consenso che l'Italia è chiamata a fornire dal momento che Alenia fornisce la tecnologia per individuare, seguire e colpire il bersaglio programmato».

Quanti morti sono necessari per arrivare a dire: basta! Per arrivare a un cessate il fuoco? Ma questa situazione di oggi interpella davvero il mondo politico? La pastorale? La vita delle nostre comunità? O prevale ancora molta indifferenza, abitudine o rassegnazione? Qualcuno mi diceva in questi giorni che forse ci accorgeremo della guerra quando cominceranno a scarseggiare i prodotti nei supermercati, quando non ci sarà la possibilità di scegliere tra decine di marche diverse.

Allora ci accorgeremo? Ma sarà, forse, troppo tardi. C'è chi chiede alla Chiesa di parlare di più. E chi invece chiede ai vescovi di non interessarsi di queste cose. Come ebbe a dire don Tonino Bello, contestato come vescovo perché invitava all'obiezione di coscienza, ospite alla trasmissione TV Samarcanda nel 1991: «Cosa devono fare i vescovi? Occuparsi del colore dei paramenti o del numero dei ceri da mettere sull’altare?».
(fonte: Famiglia Cristiana 28/09/2024)