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martedì 7 marzo 2023

8 Marzo Lettere alle donne del pianeta - Viola Ardone: A te ragazza afghana - Silvia Avallone: A voi giovani iraniane

8 marzo
Lettere alle donne del pianeta
Volevamo incontrare e parlare con le donne che nel mondo si battono per il cambiamento e che oggi sono le protagoniste della lotta per la vita e la libertà. Afgane, yazide, iraniane, curde, africane, sudamericane, indiane, donne migranti... Diverse e lontane da noi eppure così vicine nel loro desiderio di cambiare, di trasformare la sofferenza in protagonismo, l’emarginazione in spinta vitale.

Lo facciamo nel modo più semplice: le lettere di dieci scrittrici italiane che - siamo sicure - in qualche modo arriveranno anche nelle parti più lontane del globo. Il linguaggio della letteratura, come quello della libertà, è universale. La voce delle donne, malgrado l’oppressione nel mondo sia ancora tanta, oggi è forte, capace di attraversare frontiere di ogni tipo. Pretende di essere ascoltata.

  • Così Viola Ardone ha scritto alla donna afghana cui è stato tolto tutto, anche il volto, ma che non si rassegna ad essere come gli uomini la vorrebbero: un fantasma senza pensiero, una vita che non vive.
  • Sotto l’hijab ci sono le donne iraniane che hanno il coraggio di esigere nelle piazze il loro futuro e alle quali scrive Silvia Avallone.

(fonte: DONNE CHIESA MONDO marzo 2023)

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Viola  Ardone 
A te ragazza afghana

“Non hai volto, non hai occhi, non hai corpo, costretta a nasconderli. Ti scrivo anche se non potrai più leggere niente perché ti è stato tolto pure lo studio”


A te. A te che hai perso tutto quello che si poteva perdere e non sai se lo riavrai mai indietro. A te che non hai volto, non hai occhi, non hai corpo perché sei costretta a nasconderli dietro a un vestito che ti fa somigliare a un fantasma. A te per cui essere donna è fardello, invece che benedizione. A te che non hai nome perché non sei libera. A te che speri che la vita che ti cresce nel ventre sia vita di maschio, perché pensarla femmina ti appare un maleficio.

Voglio scrivere a te anche se non mi potrai leggere, se non potrai più leggere niente perché ti è stato tolto pure lo studio. A te che andavi al mattino all’università tenendoti stretta a quella specie di normalità come il naufrago si tiene all’ultimo relitto della nave. E che seguivi i corsi perché studiare ti piaceva e ti piaceva pensare che fino a quando la tua mente era in grado di apprendere il tuo futuro non era del tutto chiuso e tu non eri finita. Scrivo a te perché sei l’unica che vorrei che mi leggesse. Tu e le tue compagne e i tuoi compagni, anche, quelli che hanno deciso di protestare insieme a te perché le porte dell’università tornino ad aprirsi alle loro amiche, alle loro sorelle, alle loro innamorate.

Scrivo a te che sei stata tradita molte volte e da tante persone diverse ma per lo stesso motivo: indifferenza, egoismo, cecità. Ti hanno insegnato che la donna vale meno dell’uomo, che deve chinare il capo per ottenere il suo consenso, che in strada deve strisciare contro un muro, che a niente vale piangere o gridare, che la sua voce è come un’arpa in fondo all’oceano. Ti hanno insegnato come vestire, come comportarti, le parole da dire, i pensieri da pensare, le convenienze e le inconvenienze di una vita già indirizzata su dei binari che non hai scelto tu. Ti hanno mentito, e tu lo sai, ma non hai potuto fare altro che dire di sì e andare avanti.

Ogni giorno ti veniva sottratto un pezzo, fino al giorno più brutto, il più difficile, quando sei arrivata, di buon mattino, davanti al portone della facoltà e lo hai trovato chiuso. Chiuso solo per te, per quelle come te, con il lungo abito azzurro cielo e gli occhi nascosti dietro un velo.

Scrivo a te, a cui un giorno hanno puntato le armi addosso e ti hanno intimato di andar via, perché quello dove ti recavi per studiare, quello in cui ti preparavi a immaginare un futuro diverso da quello di tua madre e di tua nonna, non era più il tuo posto. Ti scrivo perché non dovrebbe esserci un solo paese al mondo in cui qualcuno crede di sapere quale dev’essere il posto di una donna; e non dovrebbe esserci nessuno che possa dirci dove stare e disegnarci intorno un perimetro di filo spinato. Nessun paese dovrebbe essere così, nemmeno quello dove vivo io, in cui le donne non indossano il burqua, hanno libero accesso all’università ma vengono assassinate per aver detto no a chi dice di amarle e invece le uccide.

Scrivo a te, ragazza dalla pelle ambrata e gli occhi belli per chiederti scusa a nome di un Occidente che ha promesso di salvarti e poi ti ha lasciata sola, nelle stesse mani di quelli che pretendevamo di combattere. E quando non ci è convenuto più fargli la guerra abbiamo lasciato che si riprendessero il territorio, le leggi, la politica, la religione e te.

Scrivo a te perché sei nata al riparo della bandiera della Nato e ti sei ritrovata donna all’ombra scura del regime talebano. Ti avevano insegnato a tenere la penna e poi te l’hanno tolta, ti avevano insegnato a leggere e poi ti hanno sequestrato i libri, ti avevano insegnato a pensare e poi hanno creduto che non gli conveniva, perché pensare non serve per obbedire.

Scrivo a te ma so che le mie parole non ti arriveranno, e allora a cosa serve scrivere? Serve a capire, serve a raccontare a chi non sa, serve a piantare un seme nella nera terra e aspettare che qualcosa germogli, perché qualcosa spunta sempre.

E se quel seme è il seme della rivolta, allora darà vita a una pianta che è impossibile abbattere, come sta succedendo in Iran. Ma per essere forti non si deve essere soli. E anche per questo scrivo a te, ragazza afghana, perché ti sono vicina, solidale e sorella. Perché ho sentito anche io, almeno una volta nella vita, l’espressione: tu no, perché sei donna.

Scrivo a te perché più di tutte noi sai che cosa significa sentirsi strappare il presente dalle mani, assistere inerme al futuro che svanisce perché qualcuno ha deciso che: no, perché sei donna.

E io invece proprio per questo ti scrivo: perché sei donna. Oggi più che mai la rivoluzione è donna: donna è la mutazione, donna è la vita, donna è la libertà. Quante parole, ognuna femminile e singolare, come te. Ti scrivo perché sei unica ma sei come tante, sei sineddoche dell’ingiustizia, metonimia del male che spesso acceca il mondo, metafora di una vita che è viva solo a metà.

Che volino fino a te queste parole, che siano vento che sollevi il velo, che siano acqua che allevi la tua sete di giustizia, che siano chiave che apra per te tutte le porte, che siano fuoco che bruci le leggi di quegli uomini che non sanno cosa sia l’umanità.

Viola  Ardone
(fonte: DONNE CHIESA MONDO marzo 2023)

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Silvia Avallone
A voi giovani iraniane

“Guardandovi scendere in piazza con i capelli liberi a esigere il futuro, mi avete dimostrato con l’esempio, che la libertà è l’insostituibile radice della vita”



Care ragazze iraniane, il coraggio che avete voi io non l’ho mai dovuto tirare fuori, quindi non so neppure se lo possiedo. Anche se non sono più un’adolescente, la verità è che, non essendo mai stata costretta a lottare per la libertà mettendo a rischio la mia vita, ho ben poco da insegnarvi. Al contrario: sto imparando da voi.

Guardandovi scendere in piazza con i capelli liberi, tagliati, sciolti, a esigere il futuro che meritate e che ogni donna merita, mi avete dimostrato con l’esempio, con la presenza fisica sotto il cielo sterminato e a tiro di fucile, che la libertà è l’insostituibile radice della vita. Senza, siamo solo apparentemente vive. Senza, soffochiamo.

Ci tengo a scrivervi la mia ammirazione e a dirvi che la vostra causa è la nostra: non siete sole. Persino qui, in questo angolo di mondo privilegiato in cui sono nata e cresciuta per pura fortuna, qui dove – grazie alle donne che hanno lottato prima di noi – tutte siamo libere di studiare, di vestirci come preferiamo, di lavorare e di sposarci con chi amiamo, la realtà non è così semplice come appare.

In Italia quasi ogni giorno una donna viene uccisa perché ha tentato di ribellarsi a un compagno violento che la considerava sua proprietà. Ogni giorno le donne sono vittime di pregiudizi e discriminazioni, continuamente veniamo scoraggiate dall’inseguire la nostra indipendenza, le nostre carriere, dall’esercitare la nostra felicità per sacrificarla a quella di figli e mariti.

Veniamo educate a piacere e a essere desiderate, molto meno a coltivare desideri nostri, a parlare forte con la nostra voce, a disubbidire e a prenderci uno spazio ampio, sociale, al di fuori del perimetro delle nostre case.

In ogni parte del mondo, in misure diverse, le donne vengono penalizzate, emarginate, ridotte al silenzio, stuprate, uccise per il solo fatto di essere donne. In ogni parte del mondo, con gradi diversi, ci viene negato il diritto all’identità. Ci chiedono di appartenere. Di sottostare. Di ubbidire. Ma noi non siamo cose, siamo persone. I nostri corpi non sono terreno di conquista e di giudizio di nessuno. Servono solo a noi: per correre, amare, gridare, andare, conoscere. Per costruire le nostre vite attraverso libere scelte.

Il vostro coraggio è un monito universale: la più alta chiamata al futuro. Un futuro, dopo millenni, finalmente giusto, che non ci vede solo figlie, o madri, o mogli, ma anche, sempre e prima di tutto, espressione dei nostri desideri, dei nostri sogni, della nostra voce. Un futuro in cui saremo amiche, perché la sorellanza è l’unica strada per ribaltare un mondo che ci offende e mette all’angolo dall’inizio dei tempi.

La vostra battaglia è la battaglia di tutte – e di chiunque si renda conto che questo scandalo non può continuare. Cavalcate l’impeto della giovinezza, la forza dell’ideale senza cui la vita non può dirsi tale.

Siate protagoniste, in prima persona, di una Storia inedita.

Con voi nasce un’umanità nuova. E io ve ne sono grata. 

Silvia Avallone
(fonte: DONNE CHIESA MONDO marzo 2023)

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