Il vescovo Galantino: «Dieci anni di Francesco, il Papa che fa cadere i muri con le sole parole»
Parla il vescovo Galantino, scelto da Bergoglio per la riforma dei beni del Vaticano. «A un certo punto non è stato più possibile tacere»
Ora tutti a parlarne bene, in omaggio ai dieci anni di pontificato, ma attacchi e contestazioni non si contano, dal 13 marzo 2013…
«Eh sì, il linguaggio di Francesco è di comprensione immediata, fatto di gesti inequivocabili e parole che non hanno bisogno di interpreti privilegiati. E la chiarezza finisce per essere divisiva come lo è il Vangelo: non perché chiuda la porta a qualcuno, ma perché non sopporta furbizie interessate, strumentalizzazioni di Dio e della sua Parola, una religione ridotta a paravento di interessi, non necessariamente economici».
Il vescovo Nunzio Galantino, 74 anni, è il presidente dell’Apsa, l’Amministrazione del patrimonio della Sede Apostolica, tra gli uomini che il Papa ha scelto nel 2018 per una delle riforme più delicate, la gestione dei beni della Chiesa, come nel primo anno di pontificato, quand’era vescovo nella diocesi calabrese di Cassano all’Jonio, lo aveva nominato a sorpresa segretario generale della Cei.
Un esempio di chiarezza?
«La scelta di andare anzitutto a Lampedusa, pochi mesi dopo la sua elezione, non lascia spazio a fraintendimenti su ciò che Francesco pensa riguardo all’accoglienza di migranti e profughi. E smonta qualsiasi strumentalizzazione interessata, da qualsiasi parte venga, com’è avvenuto nei giorni scorsi. Parole e gesti così chiari che strumentalizzarli è impossibile, chi lo fa si mette in ridicolo da solo».
Viene in mente il dolore del pescatore di Cutro che ha provato invano a salvare i bambini, «sono tre giorni che non riesco a dormire, non mangio…».
«Sì, quell’uomo ha dato a tutti un esempio straordinario di umanità. E il Vangelo è umanità, al centro c’è Cristo, uomo e Dio, in ognuno dei piccoli c’è lui… Ogni tanto lo si sente, non solo a Cutro, “come ha detto Francesco”, “come ha ricordato il Papa”, e magari lo dicono le stesse persone che in circostanze diverse hanno detto ben altro. Le parole di Francesco vanno prese per intero, non estrapolando una frase per appoggiare i propri comportamenti. Mi fa un po’ rabbia quando si isola una frase per strumentalizzarla a sostegno di scelte o procedure che sicuramente non vanno nella direzione espressa con chiarezza da Francesco. Capita spesso».
In cosa consiste la «novità» di Francesco?
«Le riforme, per Francesco, non sono maquillage fine a se stesso ma hanno al fondo un obiettivo preciso, oltre a quelli particolari, dichiarato fin dal titolo della Costituzione che ha riformato la Curia: Praedicate Evangelium, predicate il Vangelo. Anche le riforme economiche, ad esempio, servono anzitutto a operare in un regime di trasparenza e di efficacia, certo. Ma tutto questo ha lo scopo essenziale di evitare operazioni e scelte scorrette che provochino scandalo e rendano poco credibile la Chiesa quando parla di Vangelo. Chi annuncia il Vangelo deve fare tutto ciò che è umanamente possibile per vivere in maniera corretta e quindi credibile. Una Chiesa che non è credibile quando manovra i soldi, non è credibile quando parla di Gesù».
Che cos’è stato questo decennio?
«Da subito Francesco, con i suoi gesti, le parole, le scelte, ha messo e continua a mettere a rischio tanti muri che con il tempo si sono alzati, anche nella Chiesa. Si erano creati una serie di sensi vietati e di sensi obbligati che avevano poco o nulla a che fare con il Vangelo, con il rischio di ridurlo a una morale insopportabile accanto ad altre proposte di morale. Il Papa li ha messi in crisi, in alcuni casi ha dato vere e proprie spallate. A un certo punto non è stato più possibile tacere, rimandare, far finta di niente. E non parlo soltanto di crimini come la pedofilia ma del modo di vivere l’esperienza religiosa».
Parlava di chiarezza del linguaggio...
«Chi non capisce la forza di inginocchiarsi davanti ai carcerati, alla gente che non conta nulla agli occhi della società? Di dire: chi sono io per giudicare? O di baciare i piedi a chi ha in mano le sorti dei popoli, come fece con i potenti del Sud Sudan in guerra civile? Se uno parla in maniera poco comprensibile, c’è il rischio di lasciare le cose come stanno. Con Francesco non può capitare, piaccia o no».
Si tende a fare dei bilanci, ma il Papa ha convocato un Sinodo in due parti a ottobre e nel 2024 che somiglia a un Concilio…
«È una forma diversa di partecipazione. Il Vaticano II fu convocato intorno a schemi definiti mentre ora, partendo dal “basso”, si chiede a tutta quanta la Chiesa: vediamo quanto Vangelo c’è in mezzo a noi, di quanto Vangelo ha bisogno il mondo. Riflettiamo su una Chiesa che riattinga alle radici del cristianesimo, sapendo di vivere in un mondo diverso da allora ma nel quale le domande dell’uomo non sono cambiate».
Dall’inizio Francesco parla di una «Chiesa in uscita».
«Sì, una Chiesa esortata a lasciare l’aria tiepida e tutto sommato confortevole delle sacrestie. Francesco invita ad abbandonare i luoghi comuni che deresponsabilizzano, la facile retorica che infastidisce anche quando tocca temi religiosi, il politicamente corretto che il più delle volte sa di compromesso e di collateralismo. È il passaggio, a volte faticoso, da una Chiesa che si pone al centro a una Chiesa che si mette al servizio di tutti, con tenerezza. Francesco ricorda sempre Matteo 25, Gesù che dice: quello che avete fatto ai più piccoli, lo avete fatto a me. Mettere al centro il Signore. E pensare a ciò che stiamo scegliendo, al modo in cui ci stiamo comportando».
(fonte: Corriere della Sera, intervista di Gian Guido Vecchi 11/03/2023)