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martedì 14 marzo 2023

Andrea Grillo: Dieci anni dopo quella settimana incantata intorno alla elezione di Francesco

Andrea Grillo
Dieci anni dopo quella settimana incantata intorno alla elezione di Francesco

Pubblicato il 13 Marzo 2023 nel blog: Come se non


A dieci anni da questo resoconto, rileggendolo, sono rimasto molto colpito da come fin dall’inizio fosse chiaro che cosa stava iniziando allora. L’irrompere di una grande e attesa novità, che avrebbe indirizzato gradualmente la Chiesa cattolica verso una lettura più profonda e più intensa di sé e del proprio rapporto col mondo. In occasione del 10° anniversario del 13 marzo 2013 mi è sembrato giusto ripubblicare il post tale e quale, come un atto di memoria e insieme di speranza. (Andrea Grillo)

La settimana intorno a Francesco
La Chiesa “in viaggio” cammina e si rinnova (post del 18 marzo 2013)

Le dimissioni di Papa Benedetto, annunciate il giorno 11 febbraio e divenute operative il 28 febbraio, avevano aperto un varco, nella vita della Chiesa, per un’occasione di revisione, di conversione, per un balzo in avanti possibile, ma non scontato.

Lunedì 11 marzo, esattamente un mese dopo quelle dimissioni, avevo un incontro serale a Padova, su iniziativa di tre parrocchie, sul tema del “giovedì santo”. Mentre mostravo loro l’esigenza di uscire dalla mentalità tradizionale (la eredità medievale del triduo della passione contrapposto al triduo della resurrezione) e di acquisire la più antica visione dei “tre giorni” (dal vespro del giovedì al vespro della domenica) pensavo che il giorno dopo si sarebbe aperto il Conclave e la Chiesa avrebbe potuto trovare nuovo impulso e nuova forza, anche per annunciare queste verità così fondamentali e così poco comprese.

Il giorno dopo, in effetti, si sono svolti tutti i riti di introduzione al Conclave, che ho seguito per radio mentre raggiungevo Pesaro, dove dovevo tenere le mie 4 ore di lezione, dalle ore 18 alle ore 21. Proprio al momento della pausa, intorno alle 19.30, ho avuto la notizia della “fumata nera”, che P. Lombardi aveva già pronosticata fin dal giorno prima. Come era ovvio, la prima votazione aveva avuto soltanto la funzione di “sondaggio” e di “verifica” delle condizioni di consenso e di orientamento dei cardinali.

Il giorno successivo, mercoledì 13 marzo, da molti ritenuto decisivo, si è sviluppato con una crescente tensione. Erano previste 4 votazioni, due la mattina e due nel pomeriggio. La mattina è passata in modo molto lineare e con una certa sorpresa la fumata nera di fine mattinata si è levata in cielo con largo anticipo rispetto al programma previsto. Che cosa poteva significare, tutto questo? Non lo si poteva capire. Nel pomeriggio c’è stata una certa attesa per la metà pomeriggio, quando poteva essere annunciata l’elezione. Ma l’attesa è stata delusa. Ci si era quasi convinti che anche la sera, intorno alle 19, o forse prima, avremmo di nuovo visto una fumata nera.

Intanto dovevo partire per Milano, dove la sera alle 21 avevo una conferenza nel ciclo “La cattedra del Concilio”. Andando verso Milano, da Padova, sono passato davanti all’uscita di Bergamo e ho visto l’indicazione “Sotto il Monte”. Un piccolo voto è sbocciato nel mio cuore. Se Papa Giovanni, 50 anni dopo, avesse voluto metterci una mano…

Mentre arrivavo a Milano, alla parrocchia di S. Giovanni in Laterano, poco dopo le 19, per radio ho sentito il giornalista urlare: “E’ bianca, la fumata è bianca”. Così diceva il commentatore, mentre la piazza intorno a lui cominciava ad applaudire con entusiasmo. In pochi minuti, con crescente agitazione, arrivo alla Parrocchia, dove è pronta la cena e la televisione inquadra continuamente la finestra della loggia di S. Pietro.

Mangio con il Parroco, i suoi collaboratori e amici, nello spazio tra l’annuncio e la proclamazione. Passa un’ora abbondante, percorsa da mezze parole, aperture e chiusure, slanci di fantasia e realismi quasi cupi. Arrivano poi i primi accenni di apertura della finestra: si accendono le luci nelle stanze, si muovono tenue ombre dietro le tende bianche, infine ecco il momento, esce il Cardinale Protodiacono e ascoltiamo la parola tanto attesa: Habemus Papam! E’ il cardinale Bergoglio, di Buenos Aires. Che si chiamerà “Francesco”! Mi guardano in modo interrogativo e dico: “E’ aperto, era il competitore di Ratzinger nel 2005”. Resto molto colpito, capisco che è successo qualcosa che forse tutti avremmo potuto prevedere, ma che pochissimi avevano considerato.

Ancora qualche minuto di attesa, poi ecco il nuovo papa Francesco. Resta per alcuni minuti in silenzio, mentre la folla applaude e le bande suonano, sotto il balcone. Poi cominciano i 10 minuti più lunghi e più densi della Chiesa postconciliare. Il nuovo papa saluta con un “Fratelli e sorelle, buona sera!”. Colpisce subito il tono della voce, che sta a metà tra Papa Roncalli e Papa Lucani. Ma poi la preghiera per Papa Benedetto (chiamato “vescovo emerito di Roma”) prende la forma di un Padre Nostro, di un’ Ave Maria e di un Gloria, recitati in un italiano inevitabilmente incerto, ma diretto e sentito, sorprendente. Poi imposta il proprio cammino di “Vescovo con il suo popolo”, chiedendo che il popolo preghi silenziosamente Dio, perché benedica il proprio Vescovo. E nel silenzio della piazza che prega papa Francesco si inchina di fronte a Dio e al suo popolo. Poi procede alla benedizione, vestendo solo a quel punto la stola, che poi leva con le sue stesse mani, appena concluso il rito di benedizione. Alla fine chiede ancora il microfono e saluta la folla, ringraziando per l’accoglienza e augurando buona notte e buon riposo. Sono senza parole, quasi frastornato per sovrabbondanza. Come se, dopo le prospettive di un cambiamento ecclesiale, i rischi di vanificazione delle speranze, il risultato del Conclave ci presentasse, di colpo, una possibilità di reale mutamento di linguaggio, di priorità, di stile, di prospettiva, in un modo che forse nessuno osava pensare dopo le promesse solenni del Concilio Vaticano II. Erano 50 anni che non si sentiva parlare un Papa così.

Ma la serata doveva riservarmi altre sorprese. Infatti gli amici milanesi, che non conoscevo, avevano preparato come “introduzione” alla mia conferenza su “Sacrosanctum Concilium” la proiezione di due “video”: il primo erano alcuni minuti di una messa di Mons. M. Lefebvre a Parigi, nel 1977; la seconda alcuni momenti dell’ultima Veglia Pasquale presieduta da P. David Maria Turoldo. Nessuno, se avesse voluto contestualizzare quella serata imprevedibile, avrebbe potuto meglio anticipare i sentimenti e le emozioni che abitavano mente e cuore, anima e corpo. Eravamo di fronte a una svolta ecclesiale del tutto sorprendente e cominciare con quelle immagini è stata la premessa per una riconsiderazione del “partecipare” alla liturgia come esigenza elementare di questa stessa svolta, finalmente aperta e disponibile davanti a noi, da appena un’ora!

Il giorno successivo, giovedì 14 marzo. sono partito di buon mattino per Roma, dove dovevo tenere il mio seminario sulla “liturgia nel Concilio Vaticano II” e poi, nel tardo pomeriggio, la presentazione di un volume di un bravo monaco, filologo e musicista, mio ex alunno, di nazionalità argentina. La giornata, con tutti i suoi impegni, è però segnata dal crescente entusiasmo che trapela dalle prime mosse e parole del nuovo Vescovo di Roma. A S. Anselmo incrocio alcuni colleghi che mi rivelano alcuni retroscena della prima apparizione. Il “rifiuto della mozzetta” diventa una specie di simbolo del nuovo corso liturgico, che papa Francesco sembra voler inaugurare. Ma si viene anche a sapere della disinvoltura con cui il nuovo papa paga il conto al proprio albergo, prende lui stesso le sue valigie, accorcia le distanze con le persone, scende dalla sede, quasi inciampando, per andare ad abbracciare il Decano del collegio cardinalizio, porta un mazzolino di fiori alla Madonna e si inginocchia nell’ultima panca e non all’inginocchiatoio solenne a lui riservato… Sembra quasi che il linguaggio formale della Chiesa, in questa accelerazione improvvisa, riacquisti una possibilità di parola autorevole e di credito umano che per troppo tempo era rimasta latente o aveva anche dovuto conoscere aperte smentite.

La sera, presso l’Abbazia di San Paolo fuori le mura, posso sentirmi prossimo e quasi compreso in quel famoso mosaico dove il papa ( Onorio III) viene rappresentato “piccolo e quasi annichilito per terra”, che “bacia il piede al Cristo, dalle gigantesche dimensioni”, come ha scritto Paolo VI nel primo famoso discorso al Concilio Vaticano II, nel settembre del 1963.

Il giorno dopo, tornato a casa, a Savona, posso considerare la sera, in una riunione nella Parrocchia, quanto anche il percorso della iniziazione cristiana dei bambini possa essere riletto e promosso da questa prospettiva pastorale, confermata con tanta forza dal nuovo papa Francesco.

Intanto le diverse occasioni di incontro, di presa di parola, di presenza del nuovo Papa confermano la prima impressione: una rilettura non trionfalistica, non imperiale, non sommosacerdotale, non gerarchica si fa strada su tutti i livelli e può rinnovare tutto, se lo si vorrà davvero.

Sabato 16 mi aspetta una giornata di lavoro a Lugano, per i catechisti della Diocesi. Il tema è quello della “fede celebrata”. Il contesto è l’Anno della Fede. E’ un contesto che risente della ambiguità di una “scelta mancata”. Come si fa a celebrare il 50^ del Concilio Vaticano II, unendolo ai 20 anni del Catechismo della Chiesa Cattolica? Questa scelta, che ha inaugurato l’anno della fede, risulta letteralmente travolta dai fatti degli ultimi tre giorni. E’ stata proprio questa crescente mancanza di chiarezza a compromettere la figura ecclesiale degli ultimi anni, che ora può essere riscattata.

Ieri, domenica, al ritorno da Lugano, decido di onorare il voto di una settimana fa. Allungo di poco la strada e ritorno a Sotto il Monte. Dopo la celebrazione eucaristica salgo all’Abbazia di S. Egidio e visito la tomba di Padre David Maria Turoldo, mentre nel silenzio scendono soffici fiocchi di neve. Nel segno di Giovanni XXIII e del grande frate servita medito su questi giorni e su come, quasi di colpo, la Chiesa si sia trovata consolata nella sua diversità, nel suo anelito a dar la parola allo Spirito, a farsi prossima a tutti, a riprendere il cammino sospeso o interrotto, per troppi anni.

Dovremo raccontare ai nostri figli e ai nostri nipoti questi giorni di grazia. Dovremo narrarli in tutte le loro sorprese, in tutto ciò che era inatteso e che, realizzandosi di colpo, ci ha quasi levato la parola. Nelle pieghe di queste poche giornate è spirato un vento fresco, una brezza leggera, nella quale abbiamo potuto riconoscere l’impronta inconfondibile del bene che si fa largo e della libertà dello Spirito Santo, che soffia dove vuole, spesso contro ogni nostra attesa. E così apre alla speranza, vincendo ogni presunzione e ogni disperazione. La chiesa cammina, per davvero.