Fa più male la congettura che il ginocchio.
E menomale che il Papa non ha fissato un viaggio in Ucraina
di Simone M. Varisco
Meglio la gonartrosi della congettura, verrebbe da dire. Mesi di polemiche e insinuazioni zoppicano, ora, su un dolore al ginocchio. E peggio sarebbe stato se Francesco avesse messo in programma un viaggio in Ucraina.
Si è a lungo discusso, nelle scorse settimane, di un possibile viaggio di papa Francesco in Ucraina. Più volte il Pontefice è stato sollecitato in tal senso, soprattutto dal tempo della contestata visita all’ambasciata russa presso la Santa Sede (e non all’omologa ucraina), che tante controversie ha suscitato attorno all’opportunità di tale scelta.
Il momento giusto
Una prima risposta è giunta da Francesco con la missione affidata ai cardinali Czerny e Krajewski, rispettivamente prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale ed elemosiniere del Papa. Ancora recentemente, il 4 giugno scorso, in occasione di un incontro con un gruppo di ragazzi tenutosi nel Cortile di San Damaso nell’ambito dell’iniziativa “Treno dei bambini” del “Cortile dei Gentili”, il Papa è tornato sull’argomento. Interrogato in proposito da un fanciullo ucraino («Non ho una domanda, ma piuttosto una richiesta: può venire in Ucraina per salvare tutti i bambini che adesso soffrono lì?»), papa Francesco ha risposto: «Io avrei voglia di andare in Ucraina; soltanto, devo aspettare il momento per farlo, sai?, perché non è facile prendere una decisione che può fare più del male a tutto il mondo che del bene. Devo cercare il momento giusto per farlo».
Naturalmente – inevitabilmente – l’affermazione ha viaggiato a lungo sui media internazionali e anche su di essa si è detto e scritto parecchio. Ci si è interrogati, in particolare, sulla maniera di intendere quel «momento giusto». Qualche dettaglio era stato aggiunto dallo stesso Pontefice in una precedente intervista al Corriere della Sera (3 maggio), nella quale su un suo possibile viaggio in Ucraina Francesco aveva chiarito: «A Kiev per ora non vado. Ho inviato il cardinale Michael Czerny, e il cardinale Konrad Krajewski, che si è recato lì per la quarta volta. Ma io sento che non devo andare. Io prima devo andare a Mosca, prima devo incontrare Putin. Ma anche io sono un prete, che cosa posso fare? Faccio quello che posso. Se Putin aprisse la porta…».
Sul tavolo
Ancora prima, il 2 aprile, sul volo di ritorno da La Valletta, il Papa aveva ammesso che un viaggio in Ucraina «è sul tavolo, il progetto, è lì, come una delle proposte arrivate, ma non so se si potrà fare, se è conveniente farla, se farla sarebbe per il meglio, se conviene farla e devo farla, è in sospeso tutto questo. Poi, da tempo si era pensato a un incontro con il Patriarca Kirill: si sta lavorando a questo, si sta lavorando e si sta pensando di farlo in Medio Oriente. Queste sono le cose come stanno adesso». Ma in Medio Oriente, per il momento, è previsto soltanto il viaggio di uno dei belligeranti di questa guerra, il presidente statunitense Joe Biden, dal quale tutto è realistico attendersi salvo una moderazione del conflitto.
Sarebbe per il meglio?
La lunga riflessione del Pontefice e della diplomazia vaticana dimostra quanto ci sia in gioco. A partire dai possibili effetti sulla sanguinosa guerra in Ucraina (una visita del Papa davvero «sarebbe per il meglio»?) e sulle aperture – quanto sincere e quanto, invece, strumentali? – della diplomazia russa ad una possibile mediazione del Santo Padre. Nondimeno, sono da considerare gli interessi incrociati di Stati Uniti, Europa e Cina, aree già di per sé tutt’altro che esenti da responsabilità e criticità, anche per la Santa Sede, e sulle quali ancora si proiettano le ombre di quell’«abbaiare della Nato alla porta della Russia». C’è poi, non meno importante, il complesso quadro religioso, che vede nuove dolorose ferite non soltanto nei rapporti ecumenici fra la Chiesa cattolica e il Patriarcato di Mosca, ma anche sempre più spesso interne al variegato mondo delle ortodossie, anche in Russia.
Senza dubbio in Ucraina si guarda con un misto di attesa e apprensione ad un possibile visita del Pontefice. Tanto più che, come si apprende dalle ricostruzioni di un recente incontro personale del Papa con amici argentini e ucraini, «se un viaggio in Ucraina diventa tecnicamente possibile, papa Francesco vuole venire a Kiev e non al confine con l’Ucraina, come alcuni consiglierebbero». A differenza delle attese di molti curiosi, per il popolo ucraino che soffre la guerra la “questione” di una visita di Francesco non si riduce ad un “evento”, ad un “sì” o ad un “no” a beneficio di spettacolo, ad una passerella come le molte già viste di diversi capi di Stato, tanto più utile a fornire materiale alla «coprofilia» di una certa parte del circo mediatico internazionale. Al riguardo, è significativa la vicenda dell’ultima Via Crucis, con la «preghiera scandalosa» (in senso cristiano, Spadaro dixit) in comune fra due famiglie, una ucraina e l’altra russa, ridotta in seguito alla preghiera silenziosa di due donne. Ma anche le parole tutt’altro che tenere del presidente Zelensky sui presunti ritardi telefonici del premier Draghi.
Rinviati i viaggi in Libano, Repubblica Democratica del Congo e Sud Sudan
E ora la gonartrosi, patologia cronica e degenerativa a carico del ginocchio. Francesco ne soffre, dolorosamente, da tempo e domenica è arrivata la richiesta di scuse del Papa alle popolazioni e alle autorità della Repubblica Democratica del Congo e del Sud Sudan per il rinvio della visita nei due Paesi, programmata per i primi giorni di luglio. «Provo davvero un grande rammarico per aver dovuto rinviare questo viaggio, a cui tengo moltissimo. Vi chiedo scusa per questo. Preghiamo insieme perché, con l’aiuto di Dio e delle cure mediche, io possa venire tra voi al più presto», ha detto il Papa. Qualcosa di simile era accaduto con il viaggio in Libano, mai annunciato ufficialmente ma che si diceva previsto per la metà di giugno, rinviato a data da destinarsi per ragioni di salute ad inizio maggio. Un nuovo impegno, si vedrà con quale esito, si profila poi per la fine di luglio, con il viaggio del Papa in Canada dal 24 al 30 luglio. Una tappa importante lungo il delicato processo di riconciliazione con le popolazioni native, nei secoli scorsi vittime di una colonizzazione culturale voluta dal governo canadese, ma realizzata anche con il supporto di scuole gestite da entità cattoliche.
Menomale, ma non meno male
Stante questa situazione, e dopo tante pressioni, quali conseguenze avrebbe avuto – anzitutto per il popolo ucraino – l’eventuale rinvio di una visita del Papa a Kiev? E come sarebbe stato accolto dalla nutrita schiera di media, di benpensanti in armi, di filopapali a intermittenza e presunti esperti di geopolitica? Quali dietrologie avrebbe suscitato? E quali interpretazioni fantasiose si sarebbero costruite sulla pelle di migliaia di morti e di milioni di credenti? È ragionevole chiederselo. E forse se lo è chiesto chi era chiamato a farlo. Pur senza considerare le polemiche di mesi sulle presunte omissioni nominali di Francesco, sui dubbi sostantivi, sui silenzi pacelliani, soprattutto sul razionale e santo rifiuto di «ridurre la guerra a una distinzione tra buoni e cattivi».
(fonte: Caffestoria 17/06/2022)