Padre Maurizio Patriciello
GUERRA: I PRIMI NEMICI LI PORTO DENTRO DI ME
Avevamo smesso di riflettere seriamente sull’uomo e sui suoi deliri di onnipotenza. “Anche se si potesse provare matematicamente che Dio esiste, io non voglio che esista, perché mi limiterebbe nella mia grandezza", scriveva a Max Scheler, Dietrich Heinrich Kerle. Già, ma che cos'è la "mia grandezza"? Rimettiamo Dio al centro delle nostre vite, perché come affermava Nicolaj Berdjaev: « Là dove non vi è Dio, non vi è neppure l’uomo». L'intervento di don Maurizio Patriciello
Notti insonni, pensieri che si accavallano, preghiere farfugliate. Riflessioni. Vergogna. Voglia di piangere. Credevamo di non cascarci più, di essere diventati adulti, di aver esorcizzato per sempre la guerra. Sapevamo – è vero – tutto, la corsa agli armamenti, gli affari e il cinismo dei mercanti d’armi, la minaccia del nucleare, gli equilibri delicati tra le potenze che si dividono il mondo. Ma, in fondo, eravamo fiduciosi. Qualcosa, però, avevamo preferito accantonare. Avevamo smesso di riflettere seriamente sull’uomo, le sue fisime, la sua sete di denaro e di potere, i suoi deliri di onnipotenza. E ritornano alla mente vecchie letture, pagine sottolineate, studi degli anni passati, nomi di autori noti e meno noti. E un giorno vai a ripescarli in libreria.
Certo, perché questa guerra “disumana e sacrilega” merita di essere studiata da tanti punti di vista, compreso quello della fede. “Anche se si potesse provare matematicamente che Dio esiste, io non voglio che esista, perché mi limiterebbe nella mia grandezza” scriveva a Max Scheler, Dietrich Heinrich Kerler. Ho molto riflettuto su queste parole, cercando di penetrare nell’animo e nella mente di questo scrittore e di altri che la pensano come lui, ma non sono mai riuscito a comprendere il motivo per cui il mio Dio dovesse limitare la mia grandezza. Perché scomodare Dio, quando la mia “grandezza” è continuamente minacciata? I primi nemici li porto dentro di me, dipendendo io da organi, che tante volte, nemmeno so che esistono. Dipendendo da chi governa il mio Paese, dal medico che mi cura, dal Vesuvio e dal mare quando minacciano di arrabbiarsi. Dipendendo dai grandi della terra che con una firma, una decisione, un compromesso, un odio che li imprigiona, potrebbero, e di fatto possono, distruggere la mia vita e quella dei miei cari. È la nostra stessa condizione umana a “limitare” la nostra grandezza. Perché “Dio è Dio e l’uomo non è Dio”.
O accettiamo, quindi, di essere grandi perché creati a immagine di Dio che grande lo è davvero, o dobbiamo prendere atto della nostra e altrui miseria umana. Un solo bambino dilaniato da una bomba basterebbe a dire la nostra disumana pochezza. Incapaci di guardare in faccia la realtà, censuriamo le immagini, edulcoriamo le notizie, ci attardiamo a parlare di strategie belliche e cose del genere. Ma la verità è terribilmente spaventosa. Uomini adulti, intelligenti, colti, ricchi, potenti, ammazzano, mutilano, affamano altri uomini, donne, bambini. Li strappano alle loro case, ai loro cari, li annientano. Distruggono i loro sogni, le loro speranze, la loro psiche, il loro futuro. E, oltre al danno la beffa, non di guerra orribile e orripilante si tratta, ma di esercitazioni. I grandi inganni iniziano sempre con le parole. Muoiono migliaia di innocenti? È un’ esercitazione. Un popolo intero è costretto ad abbandonare le proprie case e andare verso un destino ignoto? Un incidente di percorso. Questo, per coloro che hanno conservato il ben dell’intelletto, è il tempo di riflettere sul dono della vita, di proclamare la bellezza e l’unicità della vita, di inneggiare alla vita. Di prendere coscienza che l’essere umano è sempre “un angelo agganciato a un bestia”, libero di scegliere l’uno o l’altra. Non è assolutamente vero che Dio limita la mia libertà. Al contrario, la indirizza al bene, inietta nelle sue arterie un amore sviscerato per gli altri, qualsiasi sia il colore della loro pelle o la lingua in cui si esprimono.
Solo alla luce di Dio prendiamo coscienza di essere solo dei “poveri mendicanti”. Henri De Lubac, alla fine della seconda guerra mondiale, si chiedeva pensoso: «Ritorneremo alla barbarie, a una barbarie senza dubbio diversa da quella antica, ma certamente più atroce, barbarie tecnica e centralizzata, barbarie riflessivamente inumana? Oppure sapremo ritrovare, in condizioni anch’esse assai diverse, con una coscienza approfondita e per un più libero e magnifico slancio, il Dio che la stessa Chiesa sempre ci propone: il Dio vivente che ha creato l’uomo a sua immagine? Questa è, al di là di tutti i problemi che ci premono, la grande questione che oggi si pone». Profezia? Parole incredibilmente attuali sulle quali siamo chiamati a riflettere. Rimettiamo Dio al centro delle nostre vite, perché come scriveva Nicolaj Berdjaev: «Là dove non vi è Dio, non vi è neppure l’uomo».
(fonte: Famiglia Cristiana 29/03/2022)