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martedì 27 novembre 2018

Il volontariato di Silvia, un dono immenso... Silvia, resisti, ti aspettiamo!


A chi ha meno di niente. 
Il volontariato di Silvia, un dono immenso

Anche dopo che Silvia sarà liberata (speriamo presto, siamo qui che aspettiamo dopo aver avuto la conferma che è viva), si discuterà del problema: ha fatto bene o ha fatto male ad andare là? Temo che purtroppo abbia ragione Andrea Lavazza, quando scrive che le spiegazioni dell’astio che Silvia suscita in quelli che la criticano sono principalmente due: aiuta gente che i critici non amano, ed è una donna. Anzi, una ragazza. Ha solo 23 anni.

Per i critici, una ragazza che si mette a disposizione dei terzo-mondiali non va approvata, perché non deve mettersi a loro disposizione, ma a nostra disposizione. L’andar là e spendere la vita per aiutare i poveri che vivono là, contiene l’idea di un tradimento: 'Non ci sono poveri a Fano? A Monza?'. E quindi nel fatto che è stata rapita e sequestrata si può anche sentire una forma di giustizia, che si può esprimere non con la formula 'se l’è cercata', ma con la formula 'se l’è meritata'. Che è anche peggiore. Perché vede qualcosa di accettabile nel rapimento, mentre è esso il crimine.

Ma io credo che noi, parlando della missione che Silvia s’era data, parliamo di qualcosa che non sappiamo. Basta che ascoltiamo le dichiarazioni di quelli che fanno lo stesso lavoro da anni, vivono in quotidiano pericolo e ci restano, portando ragioni che in sostanza parlano di un diverso e superiore senso della vita, percepito come un diverso e superiore senso della propria utilità: chi ha un bisogno 'assoluto' di te, come gli orfani di cui si occupa Silvia, vedono in te un essere 'divino', che gli porta un aiuto che tutto il resto dell’umanità non gli dà.

Non mi schiero col resto dell’umanità, che per centomila ragioni, alcune plausibili, non dà l’aiuto. Sto con chi ha coraggio e per ragioni che lui sente, e che possono essere razionalmente sbagliate o incaute, lo dà. I medici del Cuamm non possono aprire ospedali dappertutto, perciò in certi luoghi semideserti, con villaggi scarsi e distanti fra loro, istituiscono dei centri volanti di raccolta, dove un’auto-ambulanza passa a raccogliere i malati che arrivano, a volte da centinaia di chilometri. È rischioso, ma lo fanno. Sono migliori di noi. I bambini miserabili che vivono con padre e madre hanno zero, ma gli orfani hanno meno di zero. Essere utile a chi ha zero è grande.

Ma essere utile a chi ha meno di zero è immenso. Silvia provava qualcosa che noi non abbiamo mai provato e mai proveremo: l’immensità di darsi a chi ha meno di niente. Poiché lei sapeva e sa questo, a ventitré anni, e anche noi lo sapevamo ma in troppi non lo sappiamo più, non siamo in grado di giudicarla. Questi sequestri possono avvenire per diverse ragioni, anche ideologiche, anche religiose, ma il denaro c’entra sempre. C’entra in coloro che fanno il sequestro e c’entra in coloro che prendono le distanze dal sequestrato: 'Adesso ci toccherà pagare il riscatto'.

Anch’io ho provato questa avversione anni fa, quando una turista italiana, della mia città, fu sequestrata in Yemen. Il nostro Ministero degli Esteri aveva messo lo Yemen nella lista degli Stati da non visitare, se tu ci vai e ti catturano e chiedono un riscatto, lo Stato potrebbe abbandonarti. La voglia di girare il mondo per incamerare ricordi va disciplinata, devi restare nel mondo visitabile. Ma Silvia è un caso diverso. È laureata da poco, e ha già altre esperienze di volontariato in Africa, tra i bambini orfani o poveri. Ha messo numerosi selfie con loro su Facebook. «Amo piangere con gli altri per emozioni forti – scriveva –, sia belle che brutte». 'Cerca le emozioni belle – rispondono i critici –, le brutte lasciale a loro'. Cristianamente, stiamo con lei. E finché non torna stiamo male.
(fonte: Avvenire, articolo di Ferdinando Camon del 25/11/2018)

«SILVIA RESISTI, TI ABBRACCIO DALLA FINE DEL MONDO»

La lettera accorata e solidale dal Sudamerica alla ragazza rapita in Kenia, di Massimo Tanghetti, partito con il Servizio Volontari Internazionale più di dieci anni fa e mai più tornato in Italia. Una vita dedicata agli altri, una scelta d’amore e non un atto di follia.


«Le parole che seguono non sono nuove. Nuovo è, però, il bisogno di ripeterle nei giorni in cui una giovane ragazza, Silvia Romano, è bersaglio di insulti da parte di tanta "brava gente" solo per il fatto di aver scelto di costruire un "nuovo mondo".

Siamo stati volontari. Architetti, operai, medici, infermieri, insegnanti, sindacalisti, pensionati, casalinghe, autisti e portieri di notte. Geometri e ragionieri. Antropologi, imprenditori e disoccupati. Studenti ed agricoltori. Quarant’anni della meglio gioventù di un Italia che ha sempre preferito guardare da un’altra parte, che ha sempre preferito le parole all’impegno diretto e quotidiano in quell’altrove che, adesso, è diventato casa nostra. Dalla fine degli anni 60 a oggi, oltre mezzo secolo di utopia "cattocomunista" mescolata a un pragmatismo prettamente bresciano. SVI. Servizio Volontario Internazionale. Per molti di noi qualcosa di simile a una famiglia, a una grande Chiesa laica nella quale abbiamo avuto l’occasione di incontrare anime inquiete come la nostra. Abbiamo provato a unire ideologia ed azione, continuando a domandarci quale fosse il senso del nostro andare. Abbiamo sbagliato ed abbiamo ricominciato. Sempre con umiltà, sempre in direzione ostinata e contraria. I volontari non sono persone facili. Non lo sono mai stati. Troppo convinti di essere dalla parte giusta della storia, troppo abituati a mediare, ad ascoltare, a non rispondere con violenza alla violenza. Spesso il desiderio di giustizia si confonde con l’arroganza e le difficoltà di relazione fra molti volontari sul campo sono lì a testimoniarlo. Tutti in cerca di risposta. Ogni risposta diversa da quella altrui.

Siamo stati volontari. Siamo andati in Africa ed in America Latina. Qualcuno non è più tornato e lì ha trovato casa. Abbiamo urlato la nostra rabbia tranquilla in centinaia di teatri semivuoti, in migliaia di interessantissimi convegni poco frequentati, in milioni di pagine scritte su bollettini parrochiali, giornali specializzati, diari, blog, lettere ai sostenitori, quotidiani locali. Abbiamo marciato. Abbiamo pregato, bestemmiato, lavorato, cantato. Abbiamo pianto per l’indifferenza degli altri e per la nostra impotenza di fronte alle ferite della terra. Abbiamo raccolto firme, venduto libri, organizzato aste e cucinato salamine. Abbiamo amici, mogli e figli di un colore diverso dal nostro e questo da molto prima che iniziasse la globalizzazione. Siamo stati avanti anche quando ci dicevano di essere fermi al passato, agli anni delle nuove frontiere, agli anni che sembravano preludere ad un futuro, agli anni in cui le encicliche non erano semplici macchie di inchiostro su carta bianca.

Siamo stati volontari. Abbiamo avuto i nostri caduti, i nostri eroi marginali ed indimenticabili. Qualcuno credeva in Dio, qualcuno no. Tutti con la stessa incredibile ed ingiustificabile fiducia nell’uomo. Ottimisti nonostante tutto. Sorrisi nel buio. Piccoli falò accesi nella notte scura. Abbiamo cambiato le cose? Non credo. Valeva la pena? Certo che ne valeva la pena!

Ci si scorderà di noi, perché siamo stati polvere fra la polvere della storia. Piccoli testimoni di un mondo che è impossibile raccontare. È stato bello e crudele. Come poi lo sono le vite che meritano di essere vissute... ovvero tutte.

PS: e, comunque, almeno fino a oggi, non siamo mai stati così insultati. Resisti Silvia, un abbraccio dalla fine del mondo.
Massimo Tanghetti
(fonte: Famiglia Cristiana 26/11/2018)

Vedi anche i post precedenti: