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lunedì 28 luglio 2025

La nonviolenza in un mondo in guerra, intervista a Pasquale Pugliese

La nonviolenza in un mondo in guerra,
intervista a Pasquale Pugliese 
a cura di Carlo Cefaloni

Dialogo con l’esponente del Movimento Nonviolento, filosofo studioso del pensiero di Aldo Capitini, di fronte all’estendersi di conflitti sempre più cruenti che spingono ad incrementare la corsa al riarmo già in atto in Europa

Parata militare della vittoria a Mosca p maggio 2025 EPA/MAXIM SHIPENKOV

Viviamo oggi un tempo in cui dirsi pacifisti non è certo più di moda e anzi appare una colpa. Ognuno, poi, ha il suo idealtipo di “pacifista immaginario” da criticare. Abbiamo perciò incontrato Pasquale Pugliese, un vero esponente del variegato movimento per la pace in Italia, per esaminare alcuni nodi tematici di un dibattito sempre più serio. Lo scenario di un conflitto armato in Europa non è più così lontano come dicono, con toni di realismo politico, molti leader e capi di stato. Il presidente francese Macron, nel discorso tradizionale del 14 luglio, ha giustificato il raddoppio della spesa militare affermando che «l’ Europa non è mai stata così in pericolo dopo il 1945».

Pasquale Pugliese foto Sereno Regis
Intervistiamo perciò Pasquale Pugliese che originario di Tropea, vive e lavora a Reggio Emilia. Di formazione filosofica, si occupa di educazione, formazione e politiche giovanili. Impegnato per il disarmo, militare e culturale, è stato segretario nazionale del Movimento Nonviolento fino al 2019. Cura diversi blog, tra cui uno sul sito de Il Fatto, ed è autore di alcuni testi come “Introduzione alla filosofia della nonviolenza di Aldo Capitini” e “Disarmare il virus della violenza“.

Come filosofo ed esponente del Movimento Nonviolento fondato da Aldo Capitini come si pone davanti alla questione dell’invio di armi all’Ucraina e riconoscimento del diritto alla difesa armata di una nazione?

Il Movimento Nonviolento, insieme alla Rete Italiana Pace e Disarmo di cui è parte, si oppone all’invio di armi all’Ucraina pur riconoscendo il diritto di difesa di una nazione aggredita. Occorre dire che se inizialmente c’è stata una resistenza popolare, ora in Ucraina si registrano fenomeni di costrizione a combattere e molte diserzioni dal fronte. La logica dominante, intrisa di bellicismo, sostiene che fornire armi sia l’unico modo per permettere all’Ucraina di resistere e mantenere aperta una via diplomatica. Dopo oltre tre anni di guerra e centinaia di migliaia di vittime è evidente che quello armato è uno strumento totalmente contraddittorio rispetto al fine. L’unica soluzione possibile può maturare attraverso i negoziati: l’alternativa è una guerra nucleare.

È diffuso il paragone tra Putin e Hitler e quindi la necessità di non “cedere” all’aggressore. Cosa non vi convince di questa impostazione?

Il paragone tra Putin e Hitler, che invoca il rischio di una politica di appeasement come quella di Monaco del 1938, appare una semplificazione infondata. Il punto non è se “darla vinta” a Putin quanto piuttosto trovare un nuovo assetto geopolitico mondiale basato sulla coesistenza pacifica e multipolare, nel rispetto da parte di tutti del diritto internazionale, dove nessun soggetto possa intraprendere guerre impunemente, come è avvenuto anche da parte occidentale in Afghanistan, Iraq e Libia. L’obiettivo è ridefinire la geopolitica globale, attraverso una Conferenza internazionale di pace, senza arrivare a scatenare la guerra tra superpotenze nucleari. Siamo a cinquant’anni dalla Conferenza di Helsinki alla quale bisognerebbe ispirarsi.

Quale è, a suo parere, il ruolo dell’Europa nel contesto attuale di conflitto e riarmo?

Dal punto di vista diplomatico, è quello del “terzo assente”, per citare Norberto Bobbio, avendo abdicato alla sua funzione di mediatore politico ed essendo diventato mero fornitore di armi ad una delle parti in conflitto. Contribuendo così all’attuale escalation bellica e, contemporaneamente, alimentando il pretesto per il “riarmo”. Che in realtà è l’accelerazione di un processo in atto da vent’anni basato sulla costruzione del “nemico” – oggi il “pericolo russo” – per giustificare l’aumento abnorme delle spese militari, cioè i profitti dell’industria bellica internazionale, sottraendo gigantesche risorse agli investimenti civili e sociali.

Quali sono le proposte concrete del Movimento Nonviolento per una “pace giusta”?

Il Movimento Nonviolento, oltre alla campagna di Obiezione alla guerra a sostegno degli obiettori di coscienza di entrambi fronti, promuove “cinque passi di strategia nonviolenta” per un’uscita di sicurezza dalla guerra in Ucraina. Tra questi, vi, appunto, è la proposta di una Conferenza internazionale di pace che coinvolga non solo i governi ma anche le società civili che non vogliono la guerra. Per quanto riguarda l’Europa, inoltre, mentre se a lungo termine, l’orizzonte è il disarmo totale e l’abolizione degli eserciti, in una fase intermedia di passaggio – di “transarmo” come avrebbe detto Johan Galtung – è necessaria l’introduzione di un’altra gamba della difesa: la difesa civile non armata e non violenta, che comprenda i corpi civili di pace, proposti da Alex Langer.

Ma Langer non è citato spesso come il fautore dell’intervento armato per fermare l’aggressore come fece nel suo appello del 1995 a difesa della popolazione bosniaca?

Alex Langer è spesso citato parzialmente, guardando con strabismo alla sua opera: sebbene dopo anni di inerzia delle cancellerie europee, Langer avesse chiesto un intervento di polizia internazionale delle Nazioni Unite, per rompere l’assedio di Sarajevo, contemporaneamente proponeva al Parlamento di Strasburgo il progetto dei Corpi civili europei di pace. Un corpo adeguatamente formato per intervenire nei conflitti per prevenire la loro degenerazione bellica, prima che arrivino armi, milizie ed eserciti. Trent’anni dopo, di questi ce n’è fin troppi, di Corpi civili europei di pace nessuno. Citare Langer solo per giustificare oggi invii di armi ed interventi armati, ignorando la sua visione sulla prevenzione e gestione nonviolenta dei conflitti, è evidentemente strumentale.

Qual è la strategia del Movimento Nonviolento di fronte alla possibile reintroduzione della leva obbligatoria?

La citata campagna di Obiezione alla guerra comprende anche una dichiarazione personale di obiezione di coscienza aperta a tutti. Tuttavia, penso che, almeno a breve, sia improbabile una chiamata alle armi per decreto a causa della impopolarità dell’arruolamento – come rileva anche l’ultima ricerca del Censis sugli italiani e la guerra – che significherebbe perdita di voti per chi si assumesse la responsabilità di ripristinare la leva obbligatoria, ma vedo in atto una più subdola “violenza culturale”. Questa si manifesta nella militarizzazione delle scuole, delle università e nelle campagne mediatiche che promuovono l’immagine del militare come “bello” e “figo”, al fine di attirare i giovani in corpi specialistici “rigenerabili”, come si dice in gergo militare per indicare la sostituzione dei morti e feriti in guerra. Non a caso, in un’audizione in Parlamento il capo di Stato Maggiore, generale Masiello, si è lamentato del fatto che le caserme non sono più attrattive e sono sempre meno anche i giovani che vanno nelle accademie militari. Insomma, si lamentava del fatto che la nuova generazione non sembra non essere più interessata alla guerra, mentre l’esercito italiano ha bisogno almeno altri 40.000 effettivi in “stato di pace”, diciamo così ( ne ho scritto sul blog de Il Fatto).

Siamo inorriditi davanti alla tragedia del conflitto israelo-palestinese dove la resistenza nonviolenta appare impossibile. Che fare?

Bisogna agire su due livelli. A livello istituzionale, chiedere alla comunità internazionale di trattare il governo israeliano come “criminale”, interrompendo i flussi di armi e le collaborazioni universitarie con l’apparato bellico israeliano, riconoscendo lo Stato di Palestina e arrestando il criminale di guerra Netanyahu. A livello di “diplomazia dal basso”, quella che possiamo mettere concretamente in campo noi, sostenere coloro che rifiutano la logica della guerra pagando di persona, come gli obiettori di coscienza e i disertori israeliani e la resistenza nonviolenta palestinese, oltre a supportare e far conoscere le straordinarie esperienze dei gruppi misti che – anche dentro l’inferno scatenato in Palestina – cercano la pacificazione e la riconciliazione (come i Combatants for Peace, i Parents Circle Families Forum e tanti altri). Non a caso, il Movimento Nonviolento sostiene, anche economicamente, le spese legali degli obiettori di coscienza in vari Paesi in guerra, Israele, Ucraina e Russia e, anche su questo, chiediamo la collaborazione di tutti e di tutte.
 (Fonte: Città Nuova 22/07/2025)