Enzo Bianchi
Io e Bergoglio noi monferrini
La Repubblica - 21 Novembre 2022
Nella Bibbia sono presenti pagine intere dedicate alle toledot, alle generazioni, molto importanti per i credenti che le leggono perché sono una testimonianza delle radici: rivelano da chi siamo nati e questo permette di fare memoria con gratitudine di chi ci ha preceduti. Quando ci si è inoltrati nella vita si sente dentro il desiderio di conoscere maggiormente da dove veniamo, forse perché vogliamo anche trovare la direzione verso cui andare.
È dunque umanamente comprensibile e anche bello che Papa Francesco, ormai anziano e consapevole che i giorni davanti a lui non possono essere molti, abbia desiderato e deciso di visitare la sua terra di origine, il Monferrato, e salutare chi ancora rimane tra i suoi parenti, quasi tutti ormai non più in vita. Desiderio accresciuto dal fatto che lui in quella terra non è nato ma sono nati e hanno vissuto suo padre e i suoi nonni, che nel 1929 da Portacomaro, un piccolo paese tra le colline poco distante da Asti, emigrarono in Argentina. Il padre aveva sposato Regina Sivori proveniente dall’entroterra ligure e Jorge nacque il 17 dicembre 1936. “Astigiani nella Pampa”, la loro fu una difficile esperienza di emigrazione alla ricerca del pane e di una vita meno segnata dalla malora. Dagli accenni che il Papa più volte ha fatto, una persona significativa è stata per lui sua nonna Rosa, che, come tutte le nonne di quella generazione che è anche la mia, si prendeva cura dell’educazione dei nipoti con una presenza affettuosa e vigilante, trasmettendo i grandi valori della cultura contadina monferrina: la semplicità, la sobrietà, la discrezione espressa dall’imperativo “esageruma nenta!”, un esercizio della forza di volontà che obbediva al detto: “Fa’ el to duver, crepa ma va’ avanti!”.
Nel 2012 il Card. Bergoglio insieme ai pochi parenti rimasti a Torino è tornato a Portacomaro, al suo Bricco Marmorito, chiamato anche Bricco dei Bergoglio. Chissà cosa ha provato dentro di sé? Dalla cugina sappiamo che ha voluto mangiare la bagna cauda, i ravioli, bere il vino Grignolino, e così gustare ciò di cui aveva sentito tante volte raccontare con nostalgia da poveri migranti. In quell’occasione ha fatto un gesto molto significativo: ha preso un sacchetto di terra per portarla con sé in Argentina.
Sì, noi monferrini (il mio paese natale è a pochi chilometri dal suo) amiamo questa terra come amiamo la nostra gente, anche se uno non diventa “qualcuno” e resta quel che è sempre stato: una persona semplice, capace di fedeltà, di legami, e che ha una sola parola e siamo, come disse il Papa di lui e di me “siamo testoni!”.
C’è una poesia degli emigranti monferrini che la nonna di Bergoglio gli insegnò fin da piccolo, Rassa nostrana, e che Papa Francesco trascrisse in un suo libro:
Drit e sincer, cosa ch’a sun, a smijo:
teste quadre, puls ferm e fìdic san
a parlo poc ma a san cosa ch’a diso
bele ch’a marcio adasi, a van luntan.
Dritti e sinceri, quel che sono, appaiono:
teste quadre, polso fermo e fegato sano,
parlano poco ma sanno quel che dicono,
anche se camminano adagio, vanno lontano.
Anche in alcune udienze Papa Francesco se ne è uscito con espressioni monferrine che né l’uditorio né i giornalisti hanno capito, frasi sempre attinte alla sapienza contadina di chi vive di poco: di fede-fiducia e di semplice voler bene agli altri. È cosa umanissima e buona pagare il debito verso la terra, verso chi ci ha preceduto e accolto quando siamo venuti al mondo.
(fonte: blog dell'autore)
*********
Vedi anche il post: