"Le domande e la vita interiore"
di Enzo Bianchi
La Repubblica - 04 ottobre 2021
Siamo scossi ed esterrefatti, perché in questi giorni siamo stati raggiunti da notizie riguardo a persone scoperte in comportamenti non solo poco coerenti con la propria funzione, ma addirittura in comportamenti da loro condannati severamente, senza pietà, con linguaggi e atteggiamenti barbari. Perciò mi ritorna in mente una semplice domanda: ma queste persone hanno una vita interiore? Per una vita interiore non occorre percorrere cammini ardui e straordinari, ma semplicemente pensare, riflettere e farsi delle domande. Sì, credo che per una autentica vita interiore sia innanzitutto necessario sapersi interrogare e interrogare gli altri.
Antichi testi gnostici, purtroppo guardati con sospetto dalla grande tradizione cristiana a causa della loro provenienza “eretica”, contengono le domande essenziali ed eterne. Teodoto (metà del II secolo d.C.), citato da Clemente Alessandrino, si chiedeva: “Chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo? Cosa diventiamo? Da cosa siamo salvati?”. E Immanuel Kant ha posto le tre famose domande: “Che cosa posso sapere?”, “Che cosa devo fare?”, “Che cosa mi è lecito sperare?”. Sono domande che dovranno sempre e di nuovo essere poste, nelle diverse fasi della vita, sapendo che non troveremo mai la risposta, bensì solo risposte parziali e provvisorie che ognuno di noi dovrà generare con fatica, ma con il frutto di una maggior umanizzazione per sé e per gli altri. Le domande che ci poniamo, infatti, ci spingono ad andare a fondo, a conoscere di più noi stessi e cosa veramente ci brucia nel cuore, ci spingono ad ascoltare gli altri, a confrontarci e a dialogare con loro. Rainer Maria Rilke non a caso in una lettera a un giovane lo invitava ad “aver care le domande per se stesse”. Chi invece non si fa domande vive alla superficie di se stesso: fatica, emozioni, reazioni, gioie e sofferenze, tutto succede, tutto annega l’io profondo, tutto appare con poco senso…
Grazie alle domande si intraprende il cammino fondamentale della conoscenza di sé, che nell’occidente ha trovato una formulazione sintetica nel precetto gnôthi sautón, “Conosci te stesso”, scolpito sul frontone del tempio di Apollo a Delfi. Certamente tale conoscenza non è mai piena: ciascuno resta un mistero anche a se stesso e a volte può apparire addirittura un enigma con ombre e lati oscuri. E tuttavia è assolutamente necessario sforzarsi di conoscere se stessi, per sapere ciò di cui si è capaci, quali sono i propri limiti e le proprie forze: conoscere se stessi come processo di lettura psicologica di sé; conoscere se stessi nell’appartenenza a una porzione precisa di umanità; conoscere se stessi per agire responsabilmente nella compagnia degli uomini… Avviene così la “ricerca di senso”, questo vero e proprio télos della vita di ogni uomo, anche se oggi c’è chi asserisce che nella società della tecnica si possa fare a meno di tale ricerca. Ricerca di senso è ricerca del bene, della felicità che consiste certo nella cura e nella realizzazione di sé, ma che non può tuttavia realizzarsi senza gli altri, senza il confronto e il tentativo di comunione con gli altri: “mai senza l’altro”!
Non ci può dunque essere vita “altra” senza questa vita interiore che procuri soggettività, capacità di scelte e di assunzione di compiti, responsabilità nella storia e tra gli uomini. Solo chi si è esercitato a pensare e a custodire una ricca vita interiore può sfuggire alla massificazione, alla cattura del consenso, all’omologazione regnante. E, di conseguenza, può essere capace di generare pensieri che inoculano diastasi nel tessuto della società, diastasi che sono sempre nello stesso tempo di edificazione e di resistenza, di contestazione e di rinnovamento.
(fonte: blog dell'autore)