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sabato 29 maggio 2021

"Bisogna amare, non parlare di amore ... L’amore non si arrende e non può mai accettare il dolore dell’amato." Card. Matteo Zuppi, omelia di Pentecoste

"Bisogna amare,
 non parlare di amore ... 
L’amore non si arrende
 e non può mai accettare
 il dolore dell’amato." 
don Matteo Zuppi,
Cardinale

Omelia di Pentecoste
Cattedrale di Bologna - 23 maggio 2021



"A Gerusalemme i discepoli si trovavano tra loro, ma erano distanti dal prossimo. Erano isolati, impauriti da un mondo minaccioso, forse pieni di giudizi e condanne. E la paura non passa da sola e Dio ci ha dato uno spirito da figli, non da schiavi! Lo Spirito Santo, cioè l’amore di Dio, entra nel cuore, diventa dolce ospite dell’anima e apre ognuno e la comunità tutta perché nessuno viva per sé stesso.

La Chiesa non è un gruppo preoccupato di risolvere le necessità di chi ne fa parte. È molto di più! La pandemia ci può rendere consapevoli che siamo davvero fratelli tutti ma vuole anche persuaderci che conviene chiudersi, preoccuparci per noi, mettere al centro il nostro io tenendo a distanza il prossimo o scegliendo solo chi ci serve. È il rischio di ogni persona e anche di ogni comunità: cercare il proprio benessere, finendo per difendersi dagli altri e guardare con diffidenza chi è estraneo.

Così finisce per diventare estraneo anche Gesù! Possiamo pensare che non c’è niente di male, anzi al mondo appare strano essere pieni di amore, regalarlo, quando siamo abituati a vendere e comprare tutto, a cercare l’interesse in ogni scelta, e cerchiamo misure di amore limitate e mediocri.

Anche le nostre comunità possono diventare prigioniere del protagonismo di ciascuno o un condominio senza l’amore di Dio e senza il prossimo, dove si finisce facilmente per discutere su chi è il più grande. Lo Spirito ci dona una forza che è nostra e non viene da noi, molto più grande della nostra volontà, ed è efficace proprio quando siamo pieni di Lui e non di noi. Dio non manda un ordine, non fa conoscere un programma, ma vuole che il nostro cuore sia pieno del suo amore, tanto che diventa dolce ospite dell’anima. Lo Spirito scende su tutti, peccatori come erano e come siamo. Quando sentiamo nel cuore quanto siamo amati vediamo le cose che prima non sapevamo scorgere. 
Bisogna amare, non parlare di amore.

Lo Spirito provoca due conseguenze sui discepoli: vanno incontro al prossimo e iniziano a parlare in modo nuovo con tutti. Chi sperimenta nel cuore l’amore non lo tiene per sé e si mette a servizio degli altri. L’amore non si possiede, perché c’è davvero più gioia nel dare che nel ricevere, e in un mondo ossessionato dal possedere ci spinge non al sacrificio ma al dono di quello che ognuno di noi è perché solo così non ci perdiamo. Gratuitamente, senza chiedere “grazie”, senza cercare ricompensa, perché l’amore è contento di amare e di rendere il prossimo amato.

L’altro frutto dello Spirito è parlare a tutti. Il primo modo per farlo è la gentilezza, che fa sentire il prossimo accolto, importante e rispettato. Il Signore ci apre alla relazione con tutti. Vediamo intorno a noi tanti cuori pieni di rabbia, disillusi, che finiscono per credere alla forza delle mani, dei soldi.

Quante volte sentiamo parole di condanna verso gli altri, specialmente i deboli, addirittura fastidio e indifferenza davanti al dolore di una persona, come se non ci riguardasse. Non ci abituiamo mai al dolore del prossimo, qualunque esso sia, dal vicino di casa isolato ai poveri neonati che affogano o agli anziani lasciati soli. L’amore non si arrende e non può mai accettare il dolore dell’amato.

Cerchiamo di conoscere tutti, di salutare, di tessere rapporti di amicizia perché nessuno è estraneo e anche lo straniero comprende. Tutti, anche le persone che ci sembrano lontane. E parlare con entusiasmo, pieni di amore, non guardinghi e sospettosi, pronti a interrompere al primo problema.
Ecco cosa è la Chiesa: persone amate dal Signore, piene del suo amore che diventa loro come quando ci si ama e che parlano ognuna la propria lingua ma che tutti comprendono perché piena di amore.

Siamo fratelli tutti e di tutti, ad iniziare da quei più piccoli fratelli di Gesù. Nel mondo c’è tanto isolamento da superare, e tanta sofferenza da consolare. Ci eravamo abituati a vivere a distanza, a pensare che il prossimo non ci riguarda, a passare oltre. La pandemia ha accentuato questo. Non lasciamo tanta gente sola, come se fosse normale. Ci sono tante ferite, evidenti e nascoste nell’anima e nella psiche, che richiedono la grande medicina dell’amore. 
Nella Chiesa tutti siamo chiamati a servire. Non ci sono in essa categorie diverse che si distinguono o si contrappongono ma solo dei fratelli e delle sorelle da amare per essere liberi dall’orgoglio, dall’amore per sé che isola e fa possedere invece di regalare.

Allora, non è questo il tempo – sia come stagione della nostra vita sia come presente tanto drammatico e pieno di ferite – di prendere sul serio l’amore di Dio e di parlare di più al cuore delle persone tutte con amore, liberi dal calcolo, dalla diffidenza, solo perché conoscano l’amore? Non è questo il tempo in cui parlare di Gesù, mostrando il suo amore mediante il nostro amore fedele e generoso? Non è questo il tempo, dopo tanto distanziamento e rarefazione dei rapporti e delle relazioni, di comunicare la bellezza di essere comunità, superando la distanza più grande che è quella dell’individualismo? Non si tratta di realizzare cose perfette e impossibili, ma di essere semplicemente cristiani che considerano fratelli tutti e che parlano a tutti di Gesù con le parole e soprattutto con la vita. La pandemia è il male universale, che ci ha diviso e vuole ognuno preoccupato per sé. Lo Spirito ci apre ad un amore che tutti capiscono, regalandolo a chi abbiamo vicino, a chi incontriamo.

Vieni Santo Spirito perché possiamo compiere oggi i prodigi della prima generazione. Vieni e accendi il nostro cuore di speranza, guariscilo con la tua consolazione, riempilo della gioia di essere pieni di te, come solo l’amore può dare. Tu sei la nostra forza. Grazie di quanto ci fai sentire, nell’intimo e nelle nostre relazioni, che siamo tuoi."


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